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Autore: jaki star    10/07/2018    3 recensioni
|Attenzione! Spoiler per chi non segue le scan|
“Alla prossima, Aki-chan” disse, cercando di assumere una posizione dignitosa: l’amica lo imitò, i capelli mossi dal vento estivo.
“Alla prossima, Zero-chan” rispose, prima di essere inghiottita dall’ineluttabilità del destino.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano, Elena Miyano, Shuichi Akai, Tooru Amuro
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Someday out of the blue
 
Someday out of the blue, maybe years from now
Or tomorrow night
I'll turn and I'll see you, as if we always knew
Someday we would live again, someday soon
 
Si dimenò, paonazza: calde lacrime le rigavano le guance, cancellando l’ombra del sorriso che solitamente indossava. Nelle orecchie avvertiva il rombare del sangue, un ronzio fastidioso che non le permetteva di udire altro: la voce morbida del padre le risultava lontana ed incomprensibile, così come i richiami di sua madre. Con uno strattone improvviso riuscì a liberarsi della presa che la teneva ancorata al terreno: scattò in avanti, svicolando dalle braccia che provavano, invano, a riacciuffarla. Corse fino a quando le sue dita non si serrarono attorno ad un tessuto che ormai conosceva a memoria: ansimò, il respiro spezzato dal pianto.
Non voglio andare via!” strillò, scossa dai singhiozzi “Abbiamo ancora tante cose da fare insieme!”.
Lui restò immobile, i pugni contratti lungo le cosce magre coperte appena dai pantaloncini di jeans: avvertì la stretta sulla spalla intensificarsi, ma non si voltò. Digrignò i denti fino a provare dolore, alzando al cielo le iridi di ghiaccio appannate di triste frustrazione: trattenne il respiro, deciso a non lasciar piovere quelle lacrime che sentiva pronte a scatenarsi.
Vai, Akemi” ordinò, la voce tremante come il suo intero corpo “Ti stanno aspettando”.
Deglutì, percependo il viso rovente: ben presto, una sensazione umida e spiacevole gli bagnò la pelle abbronzata, destabilizzando pericolosamente il suo autocontrollo.
NO!” gridò la bambina, aggrappandosi alla sua schiena “Senza di te non vado da nessuna parte, Rei - kun!”.
 
Bambini…”.
Atsushi fece un passo avanti imbarazzato, venendo subito bloccato da un braccio teso: Elena non osò guardarlo negli occhi, lo sguardo velato dal riflesso delle lenti.
“No, caro” lo interruppe gentilmente la donna, a bassa voce “Lasciali fare”.
L’uomo sospirò, passandosi una mano dietro al collo: alzò gli occhi blu al cielo, chiedendosi se stesse davvero facendo la cosa giusta. Improvvisamente, non era più sicuro di nulla. Un vagito riscosse la sua attenzione, portandolo ad abbassare lo sguardo sul fagotto che la moglie teneva fra le braccia: sorrise intenerito, sfiorando con le dita le guance tonde della sua secondogenita. La bimba gli restituì uno sguardo enigmatico, così profondo da farlo vacillare: deglutì, sentendosi in colpa senza nemmeno sapere il perché.
 
“E invece devi andare via” mormorò il bambino, per poi alzare considerevolmente il tono di voce “Vattene, Akemi!”.
La bambina trasalì, come colpita da uno schiaffo: alzò gli occhi sulla nuca bionda dell’amico, battendo le palpebre in preda all’incredulità. Improvvisamente digrignò i denti, rabbiosa: indietreggiò di qualche passo, per poi gettarsi addosso a quella schiena magra, coperta dalla felpa nera che tanto le piaceva. Rei barcollò, colto di sorpresa: si voltò di scatto, pronto a rispondere allo spintone, ma tutte le sue intenzioni svanirono una volta che il suo sguardo si incatenò a quello della ragazzina.
Bugiardo!” lo insultò la piccola Miyano, le ciglia imperlate di lacrime rabbiose “Non dire quello che non pensi! Lo fai solo per non guardare in faccia la realtà! Tu sei uno di noi e io non voglio andarmene senza il mio fratellino!”.
Rei strinse i denti, contraendo gli zigomi: scosse la testa, avvertendo il petto scattare in un tremito incontrollato.
“Non puoi restare qui…” sussurrò, la voce spezzata da un singhiozzo più forte degli altri “Devi andare via con la tua famiglia e-”.
“Ma quella è anche la tua di famiglia, Zero-chan!” lo interruppe bruscamente la bambina, afferrandolo per il bavero della maglia rossa, lasciata scoperta dalla zip argentata “Non voglio perderti! Io-”.
Non mi perderai”.
Akemi sgranò gli occhi, incredula: si ritrovò schiacciata contro un misto di tessuto e filamenti biondi che profumavano di buono. Era avvolta in un abbraccio che non aveva mai sperimentato, una stretta che sapeva di disperazione ma, allo stesso tempo, di speranza. Percepì la mano di Rei poggiarsi fra i suoi capelli neri, poco sotto la fascetta azzurra che lui stesso le aveva regalato e che lei non mancava mai di indossare.
“Un giorno, prima o poi…” mormorò vicino al suo orecchio, tirando su con il naso “Magari fra vent’anni o la settimana prossima… Anche se vai lontano, prima o poi ci ritroveremo”.
“Come fai a saperlo?” domandò d’impulso Akemi, avvertendo il corpo dell’amico staccarsi dal suo: lo guardò in viso, seria e scettica. La stava forse prendendo in giro?
Rei sporse il mento, simulando una fierezza che, forse, non possedeva: la piccola Miyano si vide riflessa nei suoi occhi pieni di lacrime trattenute.
“Lo so” asserì il ragazzino, composto nonostante i ruscelli che presero a scorrere agli angoli dei suoi occhi “Fra fratelli non è mai un addio: l’abbiamo promesso, no?”.
Alzò la mano destra, mettendo bene in mostra il palmo: un lungo graffio superficiale imperava sulla pelle abbronzata, i bordi leggermente arrossati. Akemi si morse il labbro inferiore, imitando il suo gesto: un lungo graffio, identico a quello del ragazzino, le solcava la carne pallida.
“Sì, l’abbiamo promesso” confermò fra i singhiozzi, allungando un sorriso che non riuscì a fissarsi “Fra fratelli non è mai un addio”.
Rei richiuse lentamente le dita, abbassando il braccio: fece mezzo passo indietro, rilasciando un sospiro tremante.
Alla prossima, Aki-chan” disse, cercando di assumere una posizione dignitosa: l’amica lo imitò, i capelli mossi dal vento estivo.
Alla prossima, Zero-chan” rispose, prima di essere inghiottita dall’ineluttabilità del destino.
 
Se solo avessero saputo, nessuno di loro si sarebbe mosso da quel vialetto cotto dal sole di un pomeriggio di mezza estate.
 
We had it all
And watched it slip away

 
*
 
Where are we now?
Not where we want to be
 
“E tu invece, cosa mi dici?”.
Shiho Miyano teneva il mento comodamente appoggiato sulle mani intrecciate, lo sguardo indecifrabile illuminato da una scintilla d’interesse: osservava pazientemente la ragazza davanti a sé, in attesa di una risposta esauriente.
Akemi si portò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio, contraendo le labbra in una smorfia pensierosa: lasciò che gli occhi chiari vagassero per il locale, alla ricerca di un po’ di ispirazione.
“Non saprei, sorellina” ammise infine, tornando a riportare l’attenzione su Shiho “È un periodo piuttosto piatto: le cose con Dai vanno bene e… Oh!”.
Shiho sobbalzò appena all’esclamazione della sorella: si ricompose, senza tuttavia riuscire a nascondere una punta di curiosità.
“Sì?” la incoraggiò, allungando un sorrisetto ironico “Hai raggiunto il Nirvana?”.
Akemi le fece una linguaccia che sfociò immediatamente in un sorriso.
“È arrivato un nuovo ragazzo nella divisione esterna” spiegò, sporgendosi in tono cospiratorio “Bourbon, lo hanno soprannominato”.
Oh!” le fece il verso Shiho, fingendo malamente stupore “Ma dai, che evento!”.
La maggiore delle Miyano sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Avanti Shiho, potresti mostrare un po’ più d’interesse” la riprese, piccata “Da quello che si dice, dovrebbe avere la mia età e sembra essere un tipo piuttosto singolare, proprio come te: sa un sacco di cose, gli piace lavorare da solo, non abbassa mai la testa, è particolarmente fascinoso… E ha già litigato con Dai”.
Shiho fece schioccare la lingua contro il palato, improvvisamente interessata.
“Mi sta già simpatico” asserì, incrociando le braccia sotto al seno “Chi non litiga con quella principessina tossica del tuo fidanzato? Solo i deviati come lui ci vanno d’accordo. O i martiri come te”.
“Shiho!” la redarguì Akemi, punta sul vivo “Non parlare così di Dai! È un bravo ragazzo”.
La sorella ridacchiò, per nulla incline a ritrattare le sue considerazioni: non era minimamente turbata dal nervosismo della ragazza. Anzi, ne era quanto più divertita.
“Hai un concetto piuttosto strano di bravo ragazzo, anche se forse sarebbe meglio dire ragazza” disse la scienziata, appoggiando le braccia sul tavolo “Bè, se l’unica novità è l’ennesimo affiliato all’Organizzazione, deve essere proprio un periodo davvero piatto”.
Akemi sospirò, gettando la spugna. Sua sorella era come il Maelstrom di Poe: era molto più semplice lasciarsi trasportare dai suoi principi che combatterla apertamente. Solo in quella maniera era possibile sopravviverle.
“Ti dirò, questo Bourbon è davvero particolare” disse quindi, appoggiando il mento sul palmo della mano “Sarà che è decisamente straniero e ha interessi disparati, ma qualcosa mi dice che farà carriera presto: Vermouth gli ha già messo gli occhi addosso. Mi preoccupa solo il fatto che l’abbiano messo in squadra con Dai, visto che si sono già insultati…”.
“Ancora con questo Dai” la riprese Shiho, alzando gli occhi con aria infastidita “Gli farà bene qualcuno in grado di rimetterlo al suo posto. E poi, se le cose si faranno così disastrose, affiancheranno un terzo elemento o li separeranno, anche se non conviene alla loro pelle tirare troppo la corda…”.
“Un terzo elemento c’è già, in realtà” specificò Akemi, accarezzandosi il mento “Si chiama Scotch: non è stato il tuo sorvegliante, per un po’ di tempo?”.
Shiho parve illuminarsi, annuendo.
“Sì” rispose, sincera “L’unico simpatico”.
Dopo qualche istante la più giovane assottigliò lo sguardo, un sorrisino diabolico sulle labbra piene.
“Non è che invece di appiopparlo a me” insinuò, incrociando le mani sotto al mento “Vorresti questo affascinante Bourbon tutto per te?”.
“Ma che dici!” scattò Akemi, arrossendo indispettita “Di uomo ne ho solo uno e non intendo cambiarlo. Pensa tu, una ti vuol fare un favore…”.
“Non ho bisogno di questo tipo di favore sorellona, grazie” la bloccò la minore, poggiando la guancia sul palmo della mano “In sintesi: nulla di nuovo in questo schifo di posto. A parte Bourbon il fascinoso”.
Akemi sospirò, per poi accennare ad un sorriso vagamente mesto.
“Nessuna novità sarà mai bella o interessante” mormorò, sfiorandosi la fascia azzurra che teneva fra i capelli “Non finché saremo qui. Non avrei mai voluto vivere in una tale fogna… Neanche mamma e papà avrebbero voluto”.
Shiho incrociò le braccia al petto, senza nascondere una certa amarezza.
“Ormai è andata” commentò, secca “Volvere o volare, siamo qui. E non per nostra volontà. Ci toccherà aspettare…”.
La maggiore la osservò, sospirando: senza sapere perché si afferrò la mano destra, accarezzandosi il palmo con il pollice.
“Shiho… Un giorno ce ne andremo: e sono sicura che-”.
“Che quello è un fottuto idiota!” Rye si portò le mani sul berretto, sistemandoselo bene sulla fronte “… No, no Scotch, ci parli tu: altrimenti io lo prendo a fucilate! Non mi interessa come, parlaci e fallo ragionare, che io ho da fare, a differenza sua. A dopo”.
Shiho scoccò un’occhiata glaciale al nuovo arrivato, percependo il disprezzo affiorarle sulla lingua: come diavolo faceva a girare con il berretto di lana in piena estate?
“Oh, ma guarda” fece, piccata “Il Sert ti ha già lasciata uscire, Raperonzolo?”.
Il ragazzo si accigliò, accostandosi subito ad Akemi: incrociò le braccia al petto, una scintilla ironica negli occhi verdi.
“Simpatica come sempre” rispose a tono, poggiando intanto le mani sulle spalle della Miyano maggiore “Cosa hai messo questa volta nel caffè, al posto dello zucchero? Limone? Cianuro?”.
“Se avessi assunto cianuro sarei contenta perché vedrei i fiori da parte delle radici invece che la tua bella faccia da tossico” ribattè Shiho, alzandosi in piedi “Ed invece sono qui. Bè, a differenza di qualcuno io ho da fare in laboratorio: ciao Akemi, ci sentiamo stasera. A più tardi possibile, Raperonzolo”.
Akemi allungò una mano per trattenere la sorella, invano: nemmeno il tempo di salutare che si era già dileguata. Non sopportava proprio l’idea che l’uomo alle sue spalle sarebbe diventato, prima o poi, suo cognato. Sospirò, sollevando gli occhi sul fidanzato.
“Con chi ce l’avevi, questa volta? Non è nel tuo stile innervosirti così…” domandò, temendo già la risposta.
Bourbon” sbottò infatti il ragazzo, confermando i suoi sospetti: la ragazza si trovò a respirare ancora, per poi avvertire una strana sensazione al centro del petto.
Era come se qualcosa le mancasse. Un tassello. Tornò ad osservarsi il palmo destro, per poi sfiorarsi la fascetta azzurra che teneva fra i capelli: l’aveva da una vita, da prima che si trovasse ingabbiata nella lurida realtà di un’organizzazione fantasma.
“Andiamo, Akemi?” chiese improvvisamente Dai, giocando distrattamente con una ciocca scura: l’interpellata annuì, senza tuttavia riscuotersi totalmente dal suo torpore. Si passò le mani sulle braccia, quasi a voler scacciare un insetto.
“Sì…” acconsentì, alzandosi “Scusami, ero sovrappensiero”.
Uscì dal locale, i capelli scompigliati da un refolo di vento estivo: Dai le sfiorò la mano, chiedendole implicitamente se fosse tutto nella norma. Lei gli sorrise, annuendo: intrecciò le dita con le sue e s’avviò per il viale cotto dal sole di un pomeriggio di mezz’estate, senza tuttavia riuscire ad ignorare, ancora una volta, la strana sensazione che aveva al centro del petto.

 
Those hot afternoons
Still follow me
 
*
 
Someday out of the blue
In a crowded street or a deserted square
I'll turn and I'll see you
 
Bourbon percorse a passo svelto la via deserta, un cappellino nero calato sulla testa bionda: le corte ciocche gli ricadevano sulla fronte abbronzata, mascherandone gli occhi di ghiaccio, cristallini come il cielo estivo che gli stava riversando addosso tutto il suo calore. Si passò una mano dietro al collo sudato, allargandosi appena il colletto della maglia rossa: estrasse dalla tasca dei pantaloncini di jeans il cellulare, dando un rapido sguardo allo schermo. Si accigliò, contrariato.
No, Scotch” registrò, allungando il passo infastidito “Dì a quel cretino che non ho intenzione di seguire il suo piano ai limiti della demenza: faccio a modo mio. Che se ne vada pure a spasso con la fidanzatina: a differenza sua, io sto lavorando”.
Terminò il messaggio vocale con un gesto secco, togliendosi il cappellino per farsi un po’ d’aria con la visiera: scosse la testa, tornando sui suoi passi.
 
La fidanzatina, eh?”.
 
Si fermò, rallentando progressivamente: socchiuse le palpebre, osservandosi il palmo della mano destra. L’aveva riconosciuta prima ancora di udire il suo nome. L’aveva vista di sfuggita, in fondo ad un corridoio semioscuro, mentre parlava con una collega: il sorriso appena accennato, gli occhi chiari e la fascetta azzurra fra i capelli d’ebano, identici a quelli di suo padre. Era diventata bellissima.
 
Non mi perderai.
Un giorno, prima o poi… Magari fra vent’anni o la settimana prossima… Anche se vai lontano, prima o poi ci ritroveremo
“Come fai a saperlo?”
 “Alla prossima, Zero-chan
 
Forse non lo aveva visto o forse non lo aveva nemmeno notato, ma aveva percepito una fitta lacerargli il petto quando gli era passata accanto senza degnarlo di uno sguardo: una volta gli sarebbe saltata al collo, ridendo divertita dal poter godere della sua esclusiva compagnia. Dell’esclusiva compagnia del suo migliore amico. Dell’esclusiva compagnia del suo fratellino, che cacciava entrambi nei guai ma che le tendeva sempre la mano per aiutarla, anche se graffiata e sporca di terra.
Una volta lo avrebbe fatto.
Ma, purtroppo, quella volta era scivolata via nel peggiore dei modi.
Scosse la testa, cercando di scacciare quel pensiero che, infido, lo colpiva nei momenti meno idonei: lo raggiungeva quando era più esposto a se stesso, quando era solo con i suoi fantasmi. Si insinuava fra le pieghe del suo cervello come una vipera, impedendogli di dormire o di riemergere dalla foschia di un passato che era tornato a bussare alla sua porta. Calciò una pietra, furioso con sé stesso e con il mondo, per poi rimettersi in marcia: attraversò a passo svelto un vicolo, l’apparenza rilassata ma gli occhi lucidi di fredda circospezione. Evitò con cura una strada principale, preferendo le vie tortuose di un ristretto quartiere residenziale: girò l’angolo, trovandosi al cospetto di una lunga scalinata che discendeva verso un viale adombrato. Poggiò il piede sul primo gradino, producendo un leggero tonfo che si mischiò al rumore di un tacco di donna: si calò meglio il cappellino sul viso, di modo che fosse molto meno riconoscibile. Continuò nella sua discesa, girando appena gli occhi per intercettare la figura femminea di una solitaria passeggiatrice. Avvertì le pupille restringersi quando la donna girò appena il viso verso di lui, i lineamenti dolci rilassati in un’espressione un po’ trasognata. Rei “Zero” Furuya avvertì le gambe rallentare senza che lo avesse comandato, il busto che ruotava appena. Le labbra carnose di Akemi Miyano, aggiustate da un filo di rossetto color pesca, sembrarono schiudersi in preda allo stupore. Uno stupore confuso, che inconsciamente sapeva ma che non era in grado di elaborare. Di riemergere dalla nebbia del passato. Il biondo strinse di riflesso la mano destra e continuò la sua traversata, che in quel momento appariva ai suoi occhi come un doloroso ma quanto più urgente e necessario calvario. Le diede le spalle e serrò le palpebre, ingoiando il dolore e l’amarezza. Quando aveva promesso ad entrambi un loro ricongiungimento, più di dieci anni prima, non aveva minimamente pensato che tale bellissimo evento sarebbe avvenuto in circostanze così devastanti. Si erano lasciati con le labbra incurvate all’insù, il cuore gonfio di speranza… E si erano rincontrati con la morte incollata alla schiena, gli occhi disillusi di chi aveva perso tutto, perfino il diritto di essere se stesso.
Che fato bastardo.
 
As if our love were new
 
“Mi scusi?”.
 
Rei si bloccò, non riuscendo ad imprecare mentalmente: forse perché, infondo, in quel richiamo ci sperava. Non c’era nessuno oltre a loro due, per cui fu costretto a girarsi: incontrò gli occhi chiari di Akemi e non poté fare a meno di notare quanto fossero simili a quelli di sua madre, seppur con le sfumature azzurrine di Atsushi.
“Dice a me?” chiese indicandosi, mentre un corposo refolo di vento destabilizzò l’equilibrio del suo cappellino: lo afferrò prima che potesse essere trascinato via, ma non riuscì a nascondere, in questo modo, viso e capigliatura. Akemi lo guardò negli occhi con più intensità, come rapita da un dolce e lontano ricordo.
“Sì…” mormorò quindi la giovane, muovendo appena le labbra carnose “Io e lei… Per caso ci siamo già visti da qualche parte?”.
Due occhi grandi e celesti, il viso piacente ed i tratti da straniero. Capelli dal colore improbabile, per nulla comuni ma belli proprio per la loro unicità. Pelle abbronzata di natura, senza bisogno di lampade o di esposizione forzata al sole. Akemi si ritrovò a deglutire ed osservarsi appena la mano destra, stretta all’altezza del cuore. Quel ragazzo non aveva nulla di giapponese, ad esclusione della parlata perfetta. Non poteva essere così facilmente dimenticabile. Lo vide sorridere ed arrossì appena, stupita dalla brillantezza fascinosa di quei denti bianchissimi.

Bentornata, Aki-chan” le disse, girandosi raggiante verso di lei: allargò le braccia, come ad invitarla a tuffarsi in quello spazio ristretto ma paradisiaco. Akemi si portò le mani affusolate alle labbra, soffocando un singhiozzo: dai suoi occhioni chiari iniziarono a scendere lucide lacrime di gioia, riflesso di un’anima ferita che finalmente poteva permettersi un po’ di felicità.
Zero-chan” singhiozzò la giovane, gettandogli le braccia al collo e colmando il divario fra i loro corpi “Sei tornato davvero”.
Fra fratelli non è mai un addio” si citò Rei, stringendola forte: immerse il naso nei suoi capelli, decisamente cresciuti ma ugualmente morbidi, inspirando il suo profumo. Era un’essenza buona, delicata, identica a quella che possedeva in passato.
Non ho mai smesso di sperarci” mormorò Akemi, gli occhi umidi di pianto contro la sua guancia “Non ho mai smetto di sperarci”.
 
Rei scosse la testa, un sorriso cordiale e gli occhi vitrei, spenti come una brutta giornata d’autunno.
No, non credo signorina” rispose gentile, calcandosi il cappellino sulla chioma bionda “Deve avermi scambiato per qualcun altro”.
Akemi si irrigidì appena, un po’ imbarazzata ma non del tutto convinta: chinò il capo in segno di scuse, mortificata, senza tuttavia smettere di osservarlo.
“Oh, mi scusi” si affrettò a mormorare, poggiando le mani sulle ginocchia “Non volevo farle perdere tempo prezioso. È che mi ricordava qualcuno… Sa, ogni tanto la memoria gioca brutti scherzi”.
Il ragazzo socchiuse appena le palpebre, le labbra incurvate all’insù.
“Non si preoccupi, nessun disturbo” disse, più morbido “Capita a tutti di avere qualche defiance. Buona giornata!”.
“Anche a lei” rispose Akemi, mentre lo osservava girarsi: lo vide scendere le scale a passo sciolto, non una minima esitazione nei suoi movimenti. Sospirò, dandogli le spalle e risalendo pigramente gli scalini che le mancavano. All'improvviso, si sentiva terribilmente stanca.
 
Alla prossima, Aki-chan”.
 
Akemi si girò di scatto, percependo chiaramente la voce di quel ragazzo misterioso arrivarle in un sussurro caldo all’orecchio: puntò gli occhi sgranati sul nulla, la mano appoggiata sul petto. Il viale era vuoto, spazzato appena dalla profumata brezza estiva. Schiuse le labbra ed avvertì una lacrima scivolarle sulla guancia, il cuore improvvisamente palpitante nella cassa toracica: rilasciò un sospirò tremante, scuotendo il viso.
Ricordati della nostra promessa” disse al vento, la voce dolce incrinata “Alla prossima… Zero-chan!”.
 
Nascosto dietro il tronco di un albero, Bourbon immerse il viso fra le mani.
 
Someday we would live again, someday soon
 
*
I still believe
 
Immerse il viso nella spessa sciarpa bianca, il giaccone blu che gli copriva le spalle ricurve: si chinò, un’unica ciocca bionda sfuggita al controllo del morbido berretto di lana candida. Allungò una mano guantata, poggiando un bellissimo mazzo di fiori sul granito scuro: un’alternanza di meravigliosi crisantemi e calle, composizione troppo gioiosa per una tomba grigia. Lasciò una carezza sulla fredda pietra prima di rialzarsi: il pallido sole si specchiò sui suoi occhiali scuri, schermo perfetto per nascondere due profonde pozze di desolazione.
Non l’ho dimenticata” mormorò, arretrando senza girare le spalle “L’ho solo infranta, Aki-chan”.
 
I still put faith in us
 
La campanellina suonò squillante, indicando l’arrivo di un nuovo cliente: Tooru sorrise cordiale da dietro al bancone, alzando gli occhioni celesti dai bicchieri che stava pulendo. Azusa lo imitò, rivolgendosi alla figura femminea che si stagliava sulla soglia del Poirot.
“Buongiorno!” esclamò radiosa, chinando appena il busto.
Amuro mosse le labbra, ma non uscì alcun suono: il bicchiere che stava lucidando gli scivolò dalle mani, cadendo con un tonfo nel lavandino e sollevando schizzi d’acqua e sapone.
  
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