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Autore: crystalemi    07/07/2009    3 recensioni
«Ho scoperto a quattordici anni che i legami sono destinati a rompersi. Io non ho legami con nessuno, non ne ho bisogno.» Brandy si accorse che quel tono era così sicuro da sembrare una frase ripetuta spesso nelle notti di dolore. Così, non disse nulla e inforcò la porta.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Requiem For a Stillborn Dream


Una rana stava serenamente sguazzando in un fiume quando ad una sponda si avvicinò uno scorpione.
"Devo passare dall'altra parte" disse questi "ma non so come fare, io non so nuotare e se provo affogherò. Tu potresti aiutarmi trasportandomi sul tuo dorso e te ne sarei molto grato".
La rana, perplessa, rispose: "Ma se io ti lascio salire sul mio dorso tu potresti pungermi ed uccidermi!".
Lo scorpione rassicurò la rana: "Non ti preoccupare: perché dovrei farlo? Se ti pungessi morirei anch'io perché affogheremmo entrambi". La rana si sentì rassicurata dalle motivazioni dello scorpione e lo fece salire, fiduciosa.

...



Si premette le mani sulle orecchie, con più forza.
Perché il suo i-Pod si era spento proprio in quel momento?!
Le urla non sparivano, erano lì per divorarlo.
Avrebbe voluto svegliarsi e scoprire che quegli ultimi quattro mesi erano stati solo un terribile incubo. Forse sarebbe rimasto turbato, un po’ spaventato, ma la sua vita non si sarebbe sconvolta.
Cos’era successo? Quando tutto era cominciato di preciso?
Possibile che non si fosse accorto della spaccatura, prima?
Sua madre prese a lanciare oggetti nell’altra stanza e lui si schiacciò contro l’angolo dietro la porta, pregando e supplicando quel Dio in cui non aveva mai creduto.
Perché doveva capitare proprio a lui?!
Il rumore di ceramiche infrante terminò.
Lui cominciò a contare: 1, 2, 3 – “Vaffanculo, bastardo!” – 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 – porta che sbatte – 11, 12, 13, 14, 15 – piatto o bicchiere che si infrange contro la porta sbattuta.
Le lacrime ripresero a scorrergli, violente e silenziose, sulle guance così com’era accaduto le altre sere in cui il suo dannato i-Pod l’aveva tradito.
Voleva andarsene, sparire, morire, eclissarsi... voleva potersi annullare per sempre.
Quella casa era sempre più un campo di battaglia: le parole si facevano sempre più crudeli, le urla più alte, il numero dei piatti era ormai ridotto al minimo.
Non voleva vivere lì. Aveva sempre più paura, paura che loro lo potessero capire.
Perché lui sapeva che era tutta colpa sua. Era scoppiato tutto quando l’avevano visto a letto col suo migliore amico.
Ma non stavano facendo nulla! Stavano solo raccontandosi l’ultimo allenamento della squadra di basket dove militava Matteo – il suo migliore amico.
La mattina dopo li aveva sentiti rinfacciarsi in piccoli sibili la colpa di aver cresciuto un figlio frocio. Lui non lo era! Lui odiava quegli schifosi maiali!
Poi però si erano dimenticati di lui. O almeno, così sperava fosse.
Non voleva essere picchiato.
Fissò cupo l’armadio. Non sarebbe rimasto lì a pregare che non lo malmenassero.
No, non era così codardo. Se ne sarebbe andato, per sempre.
Si alzò continuando a piangere e riempì il borsone da piscina con dei cambi e altre cose di prima necessità che aveva in camera.
Prese dal salvadanaio i settecento euro che aveva messo da parte quell’anno. Erano quelli per la vacanza studio in Inghilterra e per le varie gite scolastiche. Inghiottì il groppo amaro che si era formato in fondo alla sua gola al pensiero di andarsene senza nemmeno un diploma. Quattro anni mancavano. Solo quattro.
Si chiese se sarebbe stato in grado a reggere quelle serate per tutto quel tempo. No, sarebbe morto prima per disperazione.
Strinse i denti, frenando le lacrime e mise i soldi nella tasca interna del borsone.
Indossò il giubbotto autunnale, nonostante facesse davvero freddo con la neve a terra, mise le scarpe che usava in palestra - e che teneva con la tuta – e, infine, afferrò un plaid. Era più che altro un valore affettivo, lo sapeva, ma, senza almeno qualcosa che gli riportasse alla memoria un ricordo caldo, aveva paura sarebbe impazzito.
Il plaid gliel’aveva regalato Matteo alle medie, lo usavano sempre quando lui andava a trovarlo.
Conservava il loro odore e alcuni dei ricordi più divertenti, spensierati e dolci che aveva.
Lo infilò di fretta nel borsone e disattivò l’allarme col telecomando. Aprì la finestra e le ante per poi uscire e saltare il metro che lo divideva da terra. La fortuna di vivere al primo piano.
Scavalcò il cancello, e si guadagnò la libertà.
Non che, alla fine, l’avesse mai desiderata quella libertà scomoda e incerta.

***


Raluca era una ragazza di strada e si prostituiva per soddisfare le tasche del suo protettore. Non incontrava mai clienti fisicamente belli, non serviva alle fantasie represse degli uomini gradevoli.
Raluca ne aveva visti parecchi di uomini ma tutti grassocci, bassi e tarchiati. E vecchi.
Così, quando quel signore alto e di bella presenza la invitò a salire in macchina provò una strana sensazione di allegria – non che realmente ricordasse di aver mai provato una cosa simile – e lo salutò, per la prima volta convinta che quella sera, almeno per qualche ora, le sarebbe sembrato meno disgustoso ciò che faceva.
Raluca non era una quindicenne fortunata, lo sapeva bene, e, anche quella notte, lo dimostrò.
Infatti, la mattina dopo all’alba sarebbe stato rinvenuto dietro ad un cassonetto il cadavere di una prostituta: del suo sangue non vi sarebbe stata alcuna traccia, né in corpo né altrove.
Questo lo sapeva bene Brandy Clay ma tacque, anche quella notte felice di potersi nutrire.
Quello che mai si sarebbe aspettato era quel ragazzo, testimone del suo intimo e dolce scempio.
Quel ragazzo che, con gli occhi brillanti, avrebbe girato i tacchi senza dir nulla.
Ancora più strano sarebbe stato seguire lo sconosciuto che, con tutta calma, l’aveva portato nel suo microscopico appartamento, là dove avrebbero consumato una notte di animale passione.

***


Raffaele era abituato a svegliarsi con le lenzuola sporche, da solo e nel migliore dei casi, con delle banconote sul pavimento.
Quella mattina non era stato affatto diversa se non per la quota che si era trovato di fianco. Era più di quanto avesse mai guadagnato in prestazioni come quella.
Di solito non si vendeva spesso. Aveva un lavoro – mal retribuito, vero – e una punta di orgoglio – ma era giusto una punta. Erano quattro anni che conduceva quella vita ed era conscio che non avrebbe fatto altro fino a che qualcuno non si fosse deciso a farlo fuori.
La sera prima era uscito proprio in cerca di quello: un assassino. Lui era troppo attaccato alla vita per suicidarsi e non era mai stato abbastanza fastidioso per le bande del quartiere. Era anche vero che, con quelli, bastava regalare il culo per farsi perdonare. O almeno, a lui funzionava.
Forse per il semplice fatto che fosse bello e si comportasse da puttana d’alta classe loro avevano un occhio di riguardo.
S’infilò nella doccia maledicendo quell’essere.
Aveva assistito all’omicidio. Era un testimone e lui un pazzo succhia-sangue. Perché diavolo non l’aveva ammazzato nel sonno?!
Non riusciva proprio a spiegarselo.
Però, ammise, era stato stupendo, una delle migliori scopate della sua vita. E ne aveva avute parecchie.
All’inizio, quattro anni prima aveva schifato quelle proposte ma infine aveva ceduto al suo migliore amico. Lui l’aveva seguito perché l’amava, aveva abbandonato tutto per lui e gli era sembrata una cosa carina darsi in ricompensa. Non che dopo avesse schifato meno omosessuali, ma aveva almeno cambiato idea riguardo ai “mostri”. Erano solo un po’ pervertiti, niente di più: Matteo era comunque una brava persona.
Poi, quella brava persona si era innamorata e il proprietario di un ristorante aveva ampliamente ricambiato, così lui era rimasto solo mentre l’amico si godeva la vita da amante di un imprenditore. Non gli era poi dispiaciuto tanto. Matteo non si meritava quella vita infernale: Matteo era puro, non aveva fatto nulla di male e la sua unica colpa era stata incontrare “Raffy”.
Chiuse l’acqua calda e si asciugò prima di uscire dalla cabina trasparente. Indossò un paio di boxer puliti e si fece una coda alta, in modo da tenere lontani i capelli dal collo.
Il suo minuscolo abitacolo era pulito e ordinato. Aveva sempre avuto la fissa per ordine e pulizia e i primi tempi da fuggitivo erano stati traumatici. Poi, grazie a quell’amore – che poi s’era sempre chiesto quali giochi di denaro ci fossero se un quindicenne accettava di diventare amante di un cinquantenne – lui e Matteo avevano ottenuto documenti falsi e lavori in nero. Aveva fatto un sacco di lavori, dal cameriere in posti malfamati fino al cubista in locali gay.
Si era accorto proprio durante quel periodo di piacere molto anche agli uomini e così aveva approfittato per “arrotondare” lo stipendio.
Quello era stato a sedici anni.
Ora, che di anni ne aveva quasi diciannove, aveva un posto fisso come cameriere in un ristorante per famiglie e, per arrotondare, la notte lavorava in una discoteca tre volte a settimana.
La notte prima era semplicemente uscito per prendere una boccata d’aria e trovare il dolce abbraccio della morte.
Gli capitava di sentire il bisogno di scomparire dalla realtà ma ormai era troppo disilluso per sognare di poter entrare alla Scala di Milano e diventare primo ballerino.
Il corpo lo aveva ancora, certo, a mancare era tutt’altro. Aveva perso la voglia di sognare, di desiderare, di impegnarsi per diventare il migliore. Gli bastava fare bene il suo lavoro, non lasciarsi mettere i piedi in testa dalle due bande e al contempo sapervi far la pace in modo efficace.
Tossì mentre indossava i jeans non troppo nuovi.
Aveva ancora un po’ di fastidio, ricordo della passione folle che l’aveva controllato quella notte. Al pensiero si chiese ancora se quell’animale in calore fosse stato veramente lui.
Si era sentito eccitato, partecipe, non avrebbe mai voluto smettere. Gli era seriamente piaciuto. Non aveva provato niente di simile le volte in cui si era dato per ottenere qualcosa in cambio.
Ai soldi non aveva nemmeno pensato, si disse mentalmente, infilando la maglietta di cotone. Aveva solo desiderato annullarsi e al contempo andare avanti fino alla sua morte.
E, diamine, aveva davvero sperato che il tutto si coronasse con un omicidio. Gli era sempre parsa la fine che avrebbe fatto, fin dalle prime volte che si era attardato a letto con Matteo.
Aveva sempre avuto il sentore di poter morire accoltellato o in un modo simile. Era stata una sensazione probabilmente dettata dalla paura iniziale che aveva però imparato ad accantonare.
Uscì dal portone del vecchio palazzone di periferia in perfetto orario con la sua noiosa routine, desideroso inconsciamente di poter rivedere quella sanguisuga.

***


Raffaele seppe di essere stato accontentato quando, quella sera stessa, nel suo locale era entrato proprio lui. Si era seduto al bancone dove gli aveva ordinato un Bloody Mary di quel tipo. Nome in codice per dire che voleva un bicchiere di sangue.
Come cosa al ragazzo faceva sempre un po’ schifo ma era il suo lavoro, l’avrebbe fatto bene accettando anche cose disgustose come versare il sangue al posto dei liquori.
L’uomo lo osservò per tutto il tempo fino a quando lui stesso non si decise a parlargli.
«Mi chiamano Raffy, tu?» chiese mentre asciugava una caraffa.
«Brandy» Il ragazzo lo guardò stranito, interrompendo il movimento delle mani.
«Vuoi un bicchiere di Brandy?» Chiese, sollevando un sopracciglio, vagamente confuso e scettico.
L’uomo sorrise mostrando due pronunciati canini e scosse il capo.
«Mi chiamo Brandy. Vengo da Londra.» Raffaele pensò che l’aveva intuito dall’accento che era inglese ma sorrise della gaffe appena fatta.
«Raffy, hai visto i soldi stamani, vero?» Il ragazzo annuì andando a preparare un cocktail per un cliente. Quando tornò sorrise leggermente.
«Più di quanto chiedo di solito. Hai le mani bucate ma non mi darà fastidio un bis» Trovandoselo lì davanti non era riuscito a non proporsi nuovamente. Che importanza aveva utilizzare la scusa dei soldi per averlo ancora? Si sarebbe dato a lui gratuitamente e più che volentieri, anche se non sapeva da dove nascesse quel sentimento.
«Mi farà piacere. A che ora finisci il turno?» Chiese allungandogli un’altra banconota e prima di rispondere Raffaele gli portò un altro boccale di sangue.
«Alle quattro.» guardò l’orologio appeso dietro di lui e constatò che mancava meno di un’ora. Anche l’uomo fece lo stesso e si alzò, elegantemente.
Anche vestito con semplici Jeans e una maglietta sembrava provenire dai ranghi alti del potere. Sarebbe benissimo potuto essere un principe o un imprenditore per il suo portamento.
«Andrò a mangiare. Ti aspetterò al tuo monolocale» Prima di andarsene si allungò sul bancone, scoccandogli un bacio veloce per poi scendere a graffiargli la pelle del collo con i canini affilati mentre una mano stringeva una coscia dal dietro.
Si staccò rapido come si era avvicinato e Raffaele restò a fissarlo con un sopracciglio arcuato, con cinico divertimento, prima di riprendere a servire cocktail.

L’aveva trovato proprio lì, davanti al suo portone, intento a fumare una sigaretta.
Avevano fatto sesso, quasi meglio della notte prima ma solo una volta. Poi lui aveva preteso di chiacchierare. Raffaele avrebbe semplicemente voluto dormire ma lui l’aveva costretto a parlargli di tutta la sua vita. Aveva tirato fuori anche quegli scheletri che non era riuscito a mostrare nemmeno a Matteo. Aveva raccontato della sua fuga e dei primi tempi. Gli aveva addirittura parlato del sentimento di solitudine e del desiderio represso di morire.
Dal canto suo, l’uomo l’aveva ascoltato senza interrompere e senza una sola espressione.
«Non bevi troppo sangue?» Chiese all’improvviso Raffaele dopo interi minuti di silenzio dove l’uomo si era divertito a saggiare con la mano il suo stomaco. Brandy s’interrupe, voltando il volto verso la finestra. Probabilmente mancava nemmeno un’ora all’alba, constatò Raffy seguendo il suo sguardo.
Brandy si alzò, raccattò gli abiti in giro e si rivestì.
Dal portafoglio tirò fuori una banconota da cinquecento euro e la appoggiò in bilico sul suo naso. Raffy sgranò gli occhi e lui sorrise facendogli scorrere una mano lungo tutto il corpo, senza ombra di pudore.
«Questo è l’acconto per domani notte. O non lavori di domenica?» Il ragazzo sbuffò, rapito da quel sorriso obliquo e scrollò le spalle.
«Farò un’eccezione. Vieni all’ora che vuoi.» Brandy gli strinse un fianco e gli rubò un bacio, piccolo e delicato, senza ombra della brama e della foga a cui Raffaele era abituato.
Poi, semplicemente, uscì facendo attenzione a non sbattere la porta all’ingresso.

***


Brandy era arrivato poco prima di mezzanotte. Aveva addosso il solito odore metallico di sangue. Raffy era certo che avesse già ucciso.
Si sedette sul letto, iniziando a spogliarsi quando lui gli posò una mano sul capo.
Fece il giro del matrimoniale – unico piccolo lusso che si erano concessi lui e Matteo anni prima – e si sdraiò. Rimase a fissare il soffitto a lungo e, nel frattempo, Raffaele aveva deciso di spogliarsi.
«Non sono un Human Living Vampire. Voi come li chiamate?» Chiese gentilmente. Il ragazzo si girò prono per osservarlo meglio e rispose:
«Loro si fanno chiamare Real Vampires. Per me sono solo dei folli col fetish del sangue.» L’uomo ringhiò leggermente.
«Non hanno idea di cosa sia un vampiro. Non hanno mai visto la morte.» Il ragazzo lo vide intento a fissare la sua schiena pallida, lo sentì passarvi le dita con reverenza e dolcezza. Un mix a cui non era decisamente abituato. Si lasciò sottomettere dalla cascata di brividi che quelle dita gli provocavano, aspettando che continuasse a parlare.
«Sono nato due secoli fa. Il vampiro che mi creò mi sfruttò per dieci anni. Poi, lo uccisi. Ho girovagato per il mondo, principalmente in America: è molto grande e il degrado delle metropoli e davvero impressionante. Ma io sono Inglese, amo la mia patria. Tornai cinquant’anni fa. Solo tre anni fa dovetti andarmene, sai, la globalizzazione è pestilenziale per chi non deve avere un’identità. Quindi, in sostanza, io uccido perché ne ho bisogno. E’ nella mia natura.» Raffy notò che era triste, come se non gli garbasse quel destino da assassino e fece un gesto di cui non si credeva più capace: l’abbracciò.
Lui rimase stupito, rigido e trattenne il fiato. Quando Raffaele si staccò da lui c’era però il solito sorriso obliquo e incomprensibile.
«Sei un umano speciale, in tanto tempo non ho mai conosciuto qualcuno così. Sei disperato e al contempo vai avanti con forza. In queste notti ho capito perché ogni volta che ti scorgevo sentivo il bisogno di nutrirmi. Ma non voglio ucciderti, mi sono innamorato.»
Raffaele si alzò, silenzioso, dandogli le spalle. Espirò tutta la sua tristezza in uno sbuffo. Senza voltarsi rispose, stancamente:
«Ho scoperto a quattordici anni che i legami sono destinati a rompersi. Io non ho legami con nessuno, non ne ho bisogno.» Brandy si accorse che quel tono era così sicuro da sembrare una frase ripetuta spesso nelle notti di dolore. Così, non disse nulla e inforcò la porta.
Tetramente Raffaele continuò a fissare l’uscio, la testa vuota e una strana tristezza a serpeggiargli nel corpo.
Si disse che era giusto così, che lui non ne aveva bisogno.
Non riuscì più a chiudere occhio e si rigirò continuamente fra le coperte di quel letto all’improvviso troppo grande e freddo. Pensò tutta la notte a quelle parole, rischiando spesso di voler crederci.
Si sentì male e pianse. Pianse come non aveva più fatto da quella notte in cui si era caricato quella libertà dura e cruda, preferendola alle urla degli amati genitori.
Andò a lavoro con nel cuore un peso tremendo, diviso fra il desiderio di cedere alle leziose mani dell’amore e andare dritto per la sua strada, attendendo la morte solitaria.
Passò così tutta la settimana a seguire. Smise di mangiare tanto che le due bande del luogo inviarono a testa un rappresentante per chiedergli di riguardarsi.
Si mise a ridere e salutò, senza la sua solita cortesia.
Detestava i sentimenti, non aveva bisogno di braccia ad accoglierlo a casa. Non le voleva.
Ma poi, alla fine, cedette. Aveva bisogno di credere in uno spiraglio di felicità, ora non poteva più negarselo.
Lo cercò. Uscì, il pomeriggio tardi e stette fuori l’intera notte. Di lui non vi era, però, ombra.
«Mi sembri addirittura dimagrito» La sua voce lo fece sobbalzare verso le cinque di mattina. Raffaele si girò a guardarlo con le lacrime agli occhi.
Brandy era completamente sporco di sangue in volto e le sue iridi erano di un rosso brillante e acceso. Quegli occhi sembravano divorarlo, sconquassargli il petto e azzannarlo alla gola. Quegli occhi era certo gli stessero sondando dentro. E, nonostante sapesse quanto fosse pericoloso farlo, si tuffò fra le sue braccia. Si lasciò stringere violentemente, si lasciò ferire scosso solo dai suoi turbamenti. Ora come avrebbe potuto dire di non volere alcun legame? Ora che gli si era gettato contro in cerca di protezione?
Per un secondo si chiese se fosse sensato cercare la salvezza fra le braccia di un vampiro. Ma, appunto, fu solo per un secondo. Si fidava, voleva fidarsi di lui, ne aveva un cieco bisogno.
Il dolore che sentiva si affievolì quando Brandy lo liberò dal suo abbraccio. In silenzio fu guidato fino ad una chiesa in stile romanico, anche se quasi distrutta. Scesero nella cripta dove Raffaele vide un altare molto largo. Il vampiro gli sorrise prima di sdraiarsi lì sopra.
«Qui è dove dormo per rifuggire la luce. Non vi scendere mai di giorno, per nessun motivo.» Raffy annuì, col cuore pesante e la testa leggera. Fece i pochi passi che lo separavano dall’altare e posò le labbra su quelle dell’uomo. Il vampiro sorrise scoprendo i canini.
Con un fremito, Raffaele corse via.
Si sedette su una panca semi-integra e rimase a fissare quel profeta in croce da lui tanto odiato. Cosa gli era passato per la testa? Perché baciarlo? Cosa voleva da lui?
Sentiva ancora l’odore del sangue sulle labbra e le lacrime bruciavano: lacrime astiose per il non poter scorrere libere, crudeli come sempre. Ma non riusciva a non trattenerle: voleva solo un po’ della sua vecchia apatia. Solo un po’ di quel freddo dolore che più di tanto non lo infastidiva.
Sentì le palpebre pesanti e si disse che poteva permettersi qualche minuto. Dormire un po’ non l’avrebbe certo ucciso.
Chiuse gli occhi e pensò ancora, per ultimo, di non volersi più svegliare debole e stanco.

***


A farlo scattare direttamente dal sonno alla veglia fu quel dolore improvviso e fisico. Il polso pulsava violentemente e appena riuscì a riaprire gli occhi impastati capì solo che delle iridi rosso acceso gli stavano violentando l’anima.
Distolse a fatica gli occhi – senza che la sensazione di violenza smettesse, però – e vide sul suo polso un graffio da cui spillava qualche goccia di sangue. Il piccolo taglio era sul lato, lontano dalle vene principali e per questo sentì una punta di paura.
Inconsciamente aveva già capito tutto.
Tornò a fissare quelle iridi e percepì in esse l’eccitazione del vampiro.
«Fidati di me, non ti dispiacerà!» Era una supplica, lo aveva percepito nonostante il tono sembrasse sicuro. C’era una velata richiesta in quell’ordine, una richiesta che, però, lo spaventò.
«Perché?» Chiese leggermente, tremando ma solo in parte di paura.
Era confuso. Provava paura, piacere, desiderio, attesa, ansia e necessità. E tutto ciò era impossibile da reggere con davanti quelle ammalianti iridi.
«Ti amo» Si sentì rispondere e, nonostante qualcosa gli urlasse di scappare, nonostante sentisse come una parte di sé cercare di avvertirlo di qualcosa, inclinò il collo a destra, offrendosi fiducioso.
Desiderio e brama esplosero in fondo agli occhi del vampiro e Raffaele si ritrovò a fissare il suo tanto odiato Dio rappresentato in un dipinto proprio davanti ai suoi occhi. E si lasciò mordere e amare in silenzio, godendo e soffrendo allo stesso tempo.
E la paura arrivò assieme alla comprensione. Quando i suoi occhi si offuscarono e cominciò a sentire freddo, irrazionalmente capì che era la fine.
Nel silenzio mormorò qualcosa di cui non capì nemmeno il senso.
Avvertì il vampiro staccarsi dal suo collo magro e urlare disperatamente, si sentì scuotere violentemente e, poi, fu accolto dal buio.
«Grazie, amore.» furono le ultime parole che da lui sentì Brandy Clay e furono le stesse straziate parole che vennero accolte dal vento al sorgere del sole.



...
Eppure, quando furono a metà del tragitto, lo scorpione punse la rana.
La rana, stupita dal gesto dello scorpione, mentre stava affondando insieme a lui trovò la forza di chiedergli: "Ma perché l'hai fatto?! Adesso moriremo entrambi!"
Lo scorpione le rispose: "Non ho potuto farne a meno: questa è la mia natura".





Note: La storiella della rana e dello scorpione è un aneddoto taoista che ho preso da un libro, è possibile trovarla anche in rete, ovviamente. All’idea originale si adattava davvero bene ma adesso ho i miei dubbi. Però non potrei toglierla, altrimenti nulla avrebbe senso.
Ps. Me ne sono accorta solo ora: a rigor di mia logica, Brandy muore al sorgere del sole diventando polvere. Sperando si fosse comunque capito, nonostante sarebbe ingannevole conoscere il resto delle mie storie incentrate sui vampiri. Brandy, invece, è un vampiro classico.


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