Videogiochi > Persona 5
Ricorda la storia  |      
Autore: _stfu_    12/07/2018    1 recensioni
Contiene spoiler sul gioco.
One Shot con protagonista Akechi Goro, nata da " Wow questa immagine è piena di feels, scriviamoci qualcosa sopra" e passata ad essere un tremendo e faticosissimo esercizio di scrittura per me che se arrivo a riempire mezza pagina è già un traguardo.
9066 parole che (forse) fareste meglio a non leggerle.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goro Akechi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Una voce flebile, calma e tranquilla stava chiamando il suo nome. 

Era sicuro che non appartenesse a nessuno di sua conoscenza, ma nonostante tutto aveva alle sue orecchie un qualcosa di familiare e allo stesso tempo stranamente malinconico e triste.

 

 Cercò di concentrarsi, tendendo le orecchie e mettendo a fuoco la vista, in modo da capire da dove potesse provenire quella voce, ma non riuscì a vedere altro che oscurità intorno a sé; solo il buio più totale, senza il minimo accenno di una luce che, come una piccola scintilla di speranza, fosse in grado di indicargli la direzione da prendere. 

Si sentiva perso.  Improvvisamente un senso di paura iniziò a farsi strada nel petto di Akechi, una paura che non provava da tempo, da quando era piccolo e il fato si era preso gioco di lui in quella maniera così malvagia e meschina, strappandogli via l’unica persona che aveva, l’unico legame di sangue a cui ancora teneva.
In lui cominciò a nascere la speranza di trovarsi in un sogno. Non aveva la benché minima idea di come si fosse trovato lì e la sensazione che in un certo senso provava alla fin fine era la medesima, come se il suo corpo fosse immateriale e potesse svanire da un momento all’altro, al minimo soffio di vento. Quella voce però era troppo reale e aveva un qualcosa di nostalgico. Gli ricordava qualcosa, ma cosa di preciso? Si sforzò di spremersi le meningi, per ricordare qualcosa che potesse anche solo dargli un minimo indizio, ma non ci fu nulla da fare, l’unica soluzione era continuare cercare alla cieca, vagando in quel luogo che passo dopo passo pareva inghiottirlo sempre di più.
Era tutto così surreale ed al di là di qualsiasi logica. Non capiva come potesse esistere un luogo del genere, così vuoto, tetro e senza speranza - come ormai iniziava a sentirsi anche lui. 

Ogni rumore veniva inghiottito da quell’oscurità, i suoi passi non producevano nessun suono, così come dalle sue labbra non usciva alcuna parola. Si era ritrovato a non poter parlare; l’unica cosa che poteva fare era ascoltare, senza rispondere a quella voce a cui avrebbe voluto porre numerose domande: chi era che lo chiamava? Dove si trovava? Nessuna parola che aveva tentato di pronunciare era riuscita ad arrivare alle sue orecchie, così come il suono dei passi che faticosamente stava muovendo per cercare di raggiungere chi lo stava chiamando in quella maniera ormai insistente.
Non c’era nulla da fare però, non vedeva né sentiva nulla ad esclusione di quella voce che ora si era fatta ancora più lieve. Come se non bastasse una formicolio sempre più spiacevole aveva cominciato ad attanagliargli i piedi, risalendo verso le gambe.
Gli ci volle qualche secondo per realizzare che quella sensazione non era solo una sua mera fantasia, bensì qualcosa che stava accadendo concretamente nella realtà; era come se qualcosa di morbido, ma allo stesso tempo denso non lo volesse lasciar andare, impedendogli i movimenti e facendolo sprofondare inesorabilmente sempre più verso il basso, come un vortice trascina negli abissi del mare le imbarcazioni o le sabbie mobili che senza lasciarti nessuna via di scampo ti sommergono e inghiottono. 

In quel momento stava accadendo la medesima cosa ad Akechi che, con orrore, si rese presto conto che per quanto si sforzasse non solo di uscirne, ma anche di chiedere aiuto, nessun grido riusciva a sfuggire dalle sue labbra e e perfino la voce che fino a quel momento non lo aveva mai abbandonato sembrava  essere sparita, lasciandolo ancora una volta completamente da solo.

Era una sensazione malinconica, ma non in senso buono, affatto.Portava con sé tutta la disperazione di come si era sentito in tutti quegli anni, da quando era morta sua madre e aveva cominciato quell’estenuante viaggio di famiglia in famiglia, senza che nessuno mai accettasse di tenere con sé un piccolo parassita, nonché  il figlio di una relazione che di giusto non aveva mai avuto niente.

Ma da questa esperienza aveva imparato che era meglio mostrare agli altri quello che volevano vedere e far sentire loro quello che volevano sentirsi dire. Aveva finto di essere qualcun altro, si era creato una facciata, una banale e allo stesso intricata maschera da tenere in pubblico, da mostrare alle persone in modo che finalmente potessero apprezzare il nuovo Ace detective Goro Akechi. Era una maschera che si era costruito ad arte negli anni, per poter raggiungere il traguardo che si era posto e non solo gli serviva per poter essere accettato dalla società, ma anche per raggiungere ed avvicinarsi alla causa di tutto il suo dolore e tutti i suoi problemi, l’uomo che ora stava per essere eletto primo ministro del Giappone: Masayoshi Shido. 

 

 

 

Akechi si sentì mancare di colpo il fiato, come se tutta l’ aria fosse sparita improvvisamente, lasciandolo boccheggiante e ora come non mai impaurito dalla situazione così al limite del reale che stava vivendo, perché quella era la prima vera sensazione che provava da quando era iniziato tutto, che non gli dava l’ impressione di trovarsi in un sogno. E se quello non era un sogno come aveva iniziato ad ipotizzare, allora dove si trovava?
Ancora quella voce incomprensibile che chiamava il suo nome, poi qualche altro suono, altre parole probabilmente, che gli risultavano però impossibili da comprendere. 

 

Ci fu un lampo improvviso e Akechi aprì gli occhi, scattando seduto così velocemente che il rapido cambio di pressione gli provocò delle fortissime vertigini, accompagnate da un bagliore  accecante che costrinse il ragazzo a coprirsi la vista con una mano. 

Era tutto così confuso e.. strano. Non c’era altro modo per descrivere quella situazione dopotutto.
Si guardò intorno, alla ricerca di un qualche indizio che potesse aiutarlo ad identificare il luogo in cui si trovava e il motivo per cui fosse lì.
Ancora un po’ frastornato si mise in piedi. Un brivido lo scosse quando i suoi piedi, nudi, toccarono il pavimento freddo di quello che ad una prima e rapida occhiata sarebbe potuto essere del marmo  di un innaturale color zaffiro e talmente ben lucidato che poteva vedere riflessa a grandi linee la sua figura, piegata ad osservare, con espressione incredula, quello che aveva davanti a sé.
Aveva la sensazione di essere già stato in quel posto, ma ancora i pensieri gli sfuggivano, rendendogli faticoso qualsiasi ragionamento di senso vagamente compiuto. Il suo cervello riusciva solo a processare quello che si parava davanti alla sua vista.
Nella stanza la luce proveniva da un piccolo lampadario che pendeva dal soffitto, con più precisione da dei piccoli cristalli luminosi che lo adornavano e pendevano appena verso il basso, ricordando vagamente dei fuochi fatui. 


Quel luogo aveva un aspetto tetro e lugubre, ma ad accentuare ulteriormente questa sensazione c’era al centro della stanza, appoggiata su un lungo tavolo coperto da una tovaglia bianca, una bara coperta da una teca di vetro, adornata da fiori che riprendevano il colore del pavimento e delle pareti. Sentì un nodo alla gola per l’ ovvia domanda che gli passò per la mente. Chi c’era in quella bara?
 Come se fosse guidato da una strana frenesia che lo stava spingendo a a scoprire di chi fosse il cadavere che giaceva davanti a lui, il detective si alzò per avvicinarsi, ma una voce interruppe sul nascere i suoi passi.

«Chiunque merita una seconda possibilità»

Era di nuovo     quella voce, ma questa volta era riuscito a capire la direzione da cui era arrivata.
Alzò lo sguardo e sul fondo della sala poté scorgere una figura interamente vestita di blu. Era una bambina con indosso un vestito che arrivava poco oltre le ginocchia e lunghi capelli color avorio, tenuti compostamente indietro ad un cerchietto abbellito ai lati da graziosi fiori dorati.

 

“Chiunque merita una seconda possibilità”, ripeté in un mormorio Akechi. Non gli sarebbe dispiaciuto poter avere una seconda possibilità, ma questa volta non per riuscire a portare a termine i suoi egoistici piani di vendetta, se così potevano essere definiti, ma per cambiare le cose, difendere per davvero la giustizia in cui credeva. Se ne avesse avuto l’ occasione sarebbe tornato indietro nel tempo ai mesi precedenti, si sarebbe unito ancora una volta ai Phantom Thieves, questa volta senza cercare di ostacolarli, ma appoggiandoli e cercando di aiutarli. Se poi la fine si sarebbe rivelata tragica come quella che gli era capitata, allora poco male, ma almeno avrebbe avuto la coscienza un poco più pulita. Il passato dopotutto non si può mai cancellare del tutto e questo lo sapeva fin troppo bene. Sapeva che era inutile sfuggire al proprio destino; in ogni caso tutta la sua facciata sarebbe crollata rovinosamente come in passato, mostrando alla fine quanto potesse essere vile e infantile quel giovane detective che tutti osannavano in televisione e sui social network, come si era comportato da bambino capriccioso, calpestando la vita degli altri pur di poter ricevere un po’ di approvazione e per poter raggiungere il proprio fine. Non c’era nulla di cui andare fieri in tutto ciò, se ne era reso conto, anzi, probabilmente lo aveva sempre saputo che quella era la cosa sbagliata da fare. Non aveva scuse, non voleva neanche trovarne, non più, non dopo aver compreso quanto anche le vite degli altri potessero essere state tristi a causa di quel fato malevolo che sembrava si divertisse a porre l’essere umano davanti alle peggiori disgrazie. 


Quando quel filo di pensieri terminò, in un baleno ogni ricordo relativo agli ultimi avvenimenti erano successi, tornò vivido più che mai nella mente del giovane ragazzo: il Metaverse, il Palace, i Phantom Thieves che aveva dapprima cercato di uccidere, il se stesso prodotto dalla cognizione distorta di Shido, visto da quest’ultimo come una mera marionetta in grado solo di ubbidire ai suoi ordini e infine quel pesante muro di metallo che aveva arbitrariamente deciso di far scendere, in modo che si frapponesse tra lui e i Phantom Thieves per permettere loro di compiere la loro impresa, rubare il Tesoro e costringere il suo deprecabile padre, avido di potere, ad ammettere tutte le deplorevoli azioni che aveva compiuto in quegli anni.

 


Gli ultimi istanti però, quelli più cruciali di quel duello, non riusciva a ricordarli. Non importava quanto si sforzasse, non c’era nulla da fare. 

 

«Sono morto?»  Domandò dopo un breve silenzio di riflessione. Era la cosa più ovvia che al momento gli venne da chiedere, ma dalla ragazza - non più alta di un metro e venti  ora che notava bene, visto che in un primo momento a stento era riuscito a vederla da dietro la bara - non ricevette risposta. Lei si limitò a voltare il corpo, indicando con un gesto elegante un punto alle sue spalle.
In fondo alla stanza si stagliava la sagoma di un omino dal naso prominente, seduto a una poltrona con davanti un basso tavolino di legno.


« Benvenuti nella Velvet Room. L’esistenza di questo posto va al di là di sogno e realtà, mente e materia»

 

 

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Persona 5 / Vai alla pagina dell'autore: _stfu_