Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
Segui la storia  |      
Autore: Nigg    13/07/2018    1 recensioni
Sono passati tre anni da quando i Paladini hanno lasciato la Terra per combattere contro l'impero dei Galra. Vinta la guerra, sono tornati a casa e stanno cercando di riprendere in mano le proprie vite.
Quando Lance comincia a chiudersi in sè stesso e non presentarsi più agli incontri programmati con gli altri membri del gruppo, Keith si preoccupa per lui e decide di andare a trovarlo a Cuba per controllare come sta.
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dei tre anni in cui sono rimasto nello Spazio ricordo tutto, eppure è come se non ricordassi nulla. Ricordo gli addestramenti, le trattative con i nostri alleati, il viaggiare di pianeta in pianeta. Mi ricordo le battaglie, reali nella Guerra contro i Galra e frustranti litigi con gli altri Paladini, dovuti alla necessità di vivere insieme senza nessun altro a cui potersi rivolgere e all’enorme, insormontabile voragine a forma di Terra nei nostri cuori. Le lacrime che ci consumavano durante la notte, e i sorrisi finti che indossavamo la mattina per cercare di non pesare sugli altri. Ma tutto si fonde insieme. Abbiamo provato di mantenere una routine, regolando le luci del Castello per simulare il passaggio dei giorni e delle notti ma, dopo un po’, i nostri “giorni” erano separati solo da richieste di aiuto e segnali di emergenza. Non c’era mai un vero e proprio tempo per noi stessi, per fermarsi e respirare e ripensare a ciò che ci stava accadendo e perché. Ogni cosa che facevamo era per un obiettivo. Dormivamo o mangiavamo quando dovevamo recuperare forze, parlavamo tra noi quando dovevamo migliorare il nostro lavoro di squadra per poter formare Voltron. Ci trattavamo l’un l’altro come membri di una famiglia ma eravamo costretti, che fosse per non sentirci completamente soli e abbandonati o per avere la confidenza necessaria a pilotare insieme i nostri Leoni. Se sia mai stato reale, non lo saprò mai. Ora che sono tornato, sto provando di mettere insieme i pezzi. La priorità è riallacciare i rapporti con la mia famiglia. Poi, proprio non lo so. La minaccia dei Galra è stata eliminata, ma quello che abbiamo fatto non è esattamente una cosa che possiamo scrivere sui nostri curriculum. Sono poche le persone sulla Terra che sanno la verità su ciò che è successo, abbiamo deciso che fosse meglio così. Abbiamo tutti una specie di cercapersone Alteano che ci consente di rimanere in contatto con Allura e Coran, e consente a loro di richiamarci in caso l’Universo abbia di nuovo bisogno dei Paladini ma tutti stiamo facendo del nostro meglio per non passare i nostri giorni ad aspettare che suoni. Saremo sempre Paladini, ma stiamo cercando anche di andare avanti.

 

Sopra a tutte le altre cose, ricordo perfettamente un sogno. Uno che ho sognato talmente tante volte da non ricordare più se fosse basato su eventi reali o fosse solo oggetto della mia fantasia fin dall’inizio. Questa è un’altra di quelle cose che probabilmente non saprò mai. Nel sogno, mi risveglio a bordo del Leone blu e vedo che fuori dalla cabina c’è l’Oceano. La vista sembra proprio come quella che avevo dalla finestra a casa dei miei genitori. Esco dal Leone e anche i profumi che sento mi ricordano la Terra. La spiaggia, gli alberi, il mare. Tutto è esattamente come lo ricordo. Inizio a piangere allora, sopraffatto dalle emozioni e, voltandomi, vedo il profilo della mia casa realizzando che l’Oceano non era “proprio come quello che avevo dalla finestra” ma esattamente lo stesso. Comincio a correre e trovo la mia famiglia là. Sono un po’ più vecchi, segnati dal tempo che è passato e dal dolore di aver perso un figlio ma ciascuno è perso nelle sue attività giornaliere. Mia sorella prende in giro mia mamma per la sua ossessione per la pulizia, mio padre li tiene d’occhio con un sorriso pieno di affetto e mio fratello gioca nel giardino. Non ho il cuore di avvicinarmi di più, ben sapendo che me ne dovrò andare presto, ma li guardo per molto tempo, sentendo il mio cuore riempirsi di amore ed è come se potessi respirare liberamente per la prima volta da quando me ne sono andato. Quando finalmente distolgo lo sguardo, Blu è lì ad aspettarmi per riportarmi al Castello. Non ne ho mai parlato con nessuno, ma quel sogno è stato la cosa a cui mi sono aggrappato ogni volta in cui pensavo di impazzire.



Era silenzioso intorno alla casa, solo i suoni ovattati della vita nella spiaggia andavano e venivano con la brezza. Keith si sentì quasi in colpa ad interrompere quella quiete bussando alla porta, ma aveva fatto tanta strada per arrivare lì. Fece un respiro profondo e si mise ad aspettare.

 

All’inizio sentì solo movimento provenire dalla casa, rumore di passi, poi finalmente una voce assonnata chiese:

 

“Chi è?”

 

“Salve, sono Keith, un amico di Lance. Lui è in casa?”

 

Fu proprio Lance ad aprirgli la porta, con un’espressione frastornata. ”Keith! Ciao, cosa ci fai qui?“

 

Keith gli rivolse un timido sorriso. “Ehy, non avevo riconosciuto la tua voce. Non sei venuto all’ultimo ‘ritrovo dei Paladini’ di Shiro… E neanche a quello prima. Va tutto bene?”

 

“Sì, è solo che… Non lo so, vuoi entrare? Ti posso offrire un bicchiere d’acqua? O di aranciata? Dovrebbe essere rimasta anche un po’ della torta che ha fatto mia mamma.”

 

“Un bicchier d’acqua va bene, grazie.”

 

Lance si fece da parte per permettergli di entrare e lo condusse verso la cucina.

 

“Hai una casa molto bella,” commentò Keith, guardandosi intorno. Non lo avrebbe definito un posto elegante ma era pieno di vita, accogliente, ogni singola cosa trasmetteva familiarità e affetto.

 

“Grazie.”

 

Bevvero la loro acqua in silenzio, nessuno dei due trovava le parole giuste per iniziare una conversazione, ma non c’era disagio, avevano condiviso talmente tante cose negli ultimi tre anni che non avevano bisogno di sentire l’altro parlare per sapere cosa pensasse.

 

Solo quando Keith notò che la malinconia negli occhi di Lance stava diventando troppo pesante, esplose:

 

“Hai degli impegni oggi? Ti andrebbe di fare qualcosa?”

 

“Intendi dire… Insieme? Ma cosa potremmo fare, non abbiamo niente in comune e neanche andiamo d’accordo!”

 

Keith ridacchiò. “Andiamo, abbiamo superato questa cosa, Lance. Abbiamo vissuto insieme per tre anni, una o due cose in comune le avremo. Come… Uccidere i Galra?”

 

“Ti stai offrendo volontario? No, perché l’unico Galra che possiamo trovare su questo pianeta penso sia tu.”

 

“No, no...” Questa volta la sua risata fu più sincera e Lance non potè trattenere un sorriso nel vederla. “Però venendo qui ho visto che c’è una fiera di paese? Potremmo andare a sparare a qualcosa. Non saranno Galra, ma magari potrebbe essere divertente,” suggerì.

 

Lance ci pensò un attimo ma poi gli ammiccò. “Sai che non suona male? Perché non la trasformiamo in una sfida? Anche se non so quanto sia leale, considerando che tutti e due sappiamo bene chi sia il più bravo cecchino tra di noi.”

 

“Non esagerare. Mi sono allenato, lo sai? Accetto la tua sfida.”

 

“Bene, lo vedremo… Dammi cinque minuti per cambiarmi e lasciare un biglietto a mia mamma.”

 

“Certo, ti aspetto.”



Non ho mai più fatto quel sogno da quando sono tornato sulla Terra, ma non ho neanche mai smesso di pensarci. Ogni volta che lo ripercorro nella mia mente, mi ritrovo a focalizzarmi su dettagli diversi. Non so perché mi ossessioni ancora. Sono qui, ora, potrei vivere una scena identica a quella davvero ogni giorno invece di stare a rimuginare. Eppure, niente mi da lo stesso conforto. Da quando sono ritornato, non mi sono mai sentito completamente a casa. Continuo a sentirmi come se non appartenessi più a questo posto. La mia famiglia mi ama ancora, ovviamente, e io loro, con tutto il mio cuore, ma vedo che ciascuno di loro ha le proprie abitudini in cui io non ho parte. Mi fa sentire fuori posto, mi fa male, e cerco conforto nello stesso posto in cui lo cercavo quando ero nello Spazio. Le piacevoli sensazioni che mi dava quell’immagine, risvegliarmi sentendo l’odore familiare di Blu, freddo e metallico, udendo risate e conversazioni distanti in una lingua che incredibilmente sembrava Spagnolo. Fin troppo spesso mi perdo in quel ricordo, rincorrendo le sensazioni che mi provoca come se fossero un salvagente per non affondare. La confusione nel sentire le voci in Spagnolo, subito attenuata dal pensiero di aver dimenticato il traduttore del Leone attivo, non sarebbe stato troppo strano, considerando che da quando avevamo trovato un modo per includere le nostre lingue di origine nei sistemi del Castello, la impostavo più volte di quante sia a mio agio ad ammettere. Dopo aver aperto gli occhi, nel sogno mi chiedevo cosa facessi nel mio Leone, perché ero convinto di essermi addormentato nella mia stanza e di non essere via per una missione. Sbattendo le palpebre per liberarmi dal sonno mi guardavo intorno, fino a realizzare che al di fuori c’era una spiaggia, un panorama veramente troppo simile a quello Terrestre. Poi il sollievo, la speranza, e alla fine la delusione, nel capire che si trattava di un sogno. A quel punto mi dicevo che non mi importava che non fosse reale, mi bastava che lo sembrasse, e la speranza diventava quella di non svegliarmi troppo presto. Ricordo di aver pensato più di una volta: ‘Per favore, lasciatemi sentire le risate umane, le conversazioni in Spagnolo. Lasciatemi camminare a piedi nudi sulla sabbia ancora per un po’. Allora perché qui, ora, quando faccio queste stesse cose nella vita reale, non mi sento allo stesso modo?



Il viaggio per arrivare alla fiera che aveva visto Keith non fu lungo, ma i due riuscirono a trovare il modo di discutere ugualmente, il pretesto questa volta dato da quale stazione radio scegliere. Lance si ritrovò a pensare che era bello vedere che alcune cose non erano cambiate, mentre Keith sbuffò per l’esasperazione e spense la musica del tutto. Una volta arrivati, parcheggiarono la macchina e percorsero l’ultimo pezzo di strada a piedi. Keith aveva le mani in tasca e lo sguardo fisso in avanti, ma notò che Lance aveva gli occhi che brillavano e sorrise, facendo il possibile per non farsi notare. Sapeva che la prospettiva di una sfida aveva sempre questo effetto su di lui, ma era contento di vedere che il suo aiuto era servito.

 

Si diressero immediatamente alle bancarelle dedicate ai giochi e ci rimasero per più di un’ora, prima lanciando palline contro bottiglie sospettosamente pesanti, poi sparando con pistole di plastica agli oggetti più disparati, da semplici bersagli a oggetti colorati di strane forme.

 

“Te l’avevo detto che mi ero allenato,” disse Keith quando decisero di smettere, reputando che un gioco o due in più non avrebbero migliorato la situazione di Lance nel loro punteggio. Lui piagnucolò: “Se avessi avuto il mio Bayard...”

 

“Se avessi avuto il tuo Bayard, ora ci troveremmo in una prigione, e penso di essere l’ultima persona al mondo con cui vorresti trovarti in uno spazio così ristretto.”

 

“No, dai non l’ultima… Forse potrei trovare una o due persone con cui mi piacerebbe meno. Ad esempio… Lotor?”

 

“Cosa? Ci sguazzeresti con Lotor, potresti finalmente farti svelare il segreto dei suoi capelli perfetti.”

 

“Cavolo, odio quando hai ragione. Non dovrebbe essere legale avere quei capelli. Peccato che non abbiamo potuto chiedergli come facesse.”

 

“Sai com’è, eravamo un po’ impegnati a sconfiggere suo padre.”

 

“Già...” Lance si perse nei suoi pensieri, e Keith vide comparire di nuovo quell’ombra dietro ai suoi occhi. Si pentì immediatamente della sua ultima frase e si morse la lingua, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa per distrarlo. “Ho fame, perché non mangiamo qualcosa?”

 

Uno sguardo malizioso comparì per un momento negli occhi di Lance. “Ma vorresti rimanere qui? Perché altrimenti ti potrei portare nel Mio Territorio.” Si mise in posa con le braccia allargate sull’ultima parte.

 

“Guidami.”

 

“Come, così? Non hai paura che ti porti in un vicolo buio e ti derubi o qualcosa del genere?”

 

“Nah, solo per oggi ho deciso che mi fiderò di te.”

 

Lance finse di sussultare. “Il grande Keith, completamente nelle mie mani per una giornata?? Cosa può fare un povero uomo per essere degno di questo onore.”

 

Keith gli diede una spinta, ridacchiando e lo seguì fuori dal parco e verso la macchina.



Ricordo con estrema chiarezza l’ultima volta in cui ho fatto quel mio sogno ricorrente. Era il giorno in cui saremmo dovuti arrivare a casa ed ero così ansioso da non riuscire a dormire. Dopo ore di incubi, la familiarità di quella scena mi ha fatto piangere per il sollievo. Forse è per questo motivo che l’atmosfera mi sembrò diversa da tutte le altre volte. Ricordo che nell’aprire gli occhi, vidi un’ombra rossa e nera allontanarsi. Forse è stato uno scherzo della mia immaginazione, ma non mi sembrava di averla mai vista nessuna delle altre volte. O forse semplicemente non lo ricordo, ma non so cosa potrebbe essere. Di solito la prima cosa che notavo era l’odore metallico di Blu. Non so perché quel giorno le cose siano state diverse. Dopo è andato avanti come al solito. Dagli schermi del pannello di controllo di Blu ho visto l’Oceano e sono uscito. La scena è sempre la stessa quindi ormai so che se vado nella spiaggia posso sentire la sabbia sotto ai miei piedi. A volte sono anche riuscito a fare il bagno nel mare prima di svegliarmi. Sembra sempre tutto così reale. So anche che se mi incammino in una particolare direzione posso vedere la mia famiglia. Mia madre e mia sorella che si prendono in giro una con l’altra, mio fratello che gioca e mio padre che li sorveglia. Tutto è sempre uguale, ma riesco a sentire gli odori, udire le loro voci, percepire la familiarità e l’affetto tra loro e mi scalda il cuore. Per questo continuo ad andare, ogni volta che mi addormento.



“Ok, allora, questa è la casa di mia nonna, là c’è il parco dove andavo sempre a giocare da piccolo con i miei fratelli o i miei amici e lì... C’è il migliore ristorante del mondo.” Lance stava muovendo le sue lunghe braccia e dita affusolate indicando con entusiasmo i vari posti mentre parlava.

 

Keith guardò il “migliore ristorante del mondo” con un sopracciglio sollevato. “Seriamente Lance? Lo Space Restaurant?”

 

“Dai, andiamo! Sarà divertente,” Lance esclamò, trascinando Keith per il bordo della sua maglietta e portandolo dentro.

 

“Buon pomeriggio, Lance! Come stai?” Chiese la ragazza dietro al bancone sorridendogli amichevolmente. Aveva la pelle abbronzata, in una tonalità simile a quella di Lance, e i suoi capelli erano lunghi e ondulati. Indossava un vestito con una forma che ricordava chiaramente una tuta spaziale, Keith non potè nascondere una risata. Lance decise di ignorarlo e rispondere con un sorriso altrettanto brillante:

 

“Sto bene, e tu? Avresti un tavolo per due per pranzare?”

 

“Per ora tutto bene, grazie. Certo, qualsiasi cosa per te e i tuoi amici, caro! Vieni.” Gli fece cenno di seguirla e li condusse ad uno dei tavoli liberi. Erano bianchi e circondati da una specie di paravento con sistemi di controllo in plastica e vari disegni di radar e schermi per ricreare l’immagine di una navicella spaziale. Il ghigno compiaciuto di Lance era talmente ampio che Keith pensò gli dovesse fare male alle guance, ma si trovò comunque a sorridere contro la sua volontà.

 

“Ha! Hai sorriso! Ho vinto!” Disse Lance quando lo vide.

 

“E va bene… Ammetto che è piuttosto simpatico come posto.”

 

“Lo sapevo che alla fine ti sarebbe piaciuto! Dovevi solo superare i tuoi preconcetti. Dietro tutta quella superiorità e quell’odio per le interazioni sociali, in realtà anche tu eri un bambino che amava lo Spazio come me.”

 

“Cosa? A cosa dovrei essere superiore? E non odio le interazioni sociali, sono solo…Difficili! Però sì di sicuro da bambino amavo lo Spazio, su questo ti devo dare ragione.”

 

“Seriamente? Primo della classe? Troppo bravo per la mia scuola? ‘Non ti riconosco come mio rivale perché non sei all’altezza’?”

 

“Non ho mai detto nessuna di queste cose, Lance.”

 

“Magari non le hai mai dette, ma di sicuro le hai pensate, Keith.”

 

“E cosa ne sai di quello che penso? Se mai, eri tu ad avere un sacco di preconcetti nei miei confronti.”

 

La cameriera portò loro i menù e Lance dovette trattenersi dal replicare a tono con una rispostaccia. Il momento di pausa, però, gli diede modo di considerare le parole di Keith. Quando si ritrovarono nuovamente soli, si sentì molto più calmo.

 

“Immagino che non fosse facile sopportarmi a quel tempo… Scusami se ti ho trattato male.”

 

“Neanche io ero un pezzo di pane, non ti preoccupare. Eravamo piccoli e la situazione non era d’aiuto. Anzi, penso che l’aver continuato a litigare con te mi abbia aiutato. Era qualcosa che sapevo come gestire, al contrario di tutto il resto che stava capitando intorno a noi.”

 

Lance annuì, non sapeva come rispondere ma capiva perfettamente cosa Keith intendesse. In quei tre anni erano cambiate così tante cose, nessuno di loro era più la stessa persona di quando erano partiti. Non avevano mai smesso di battibeccare, ma con il tempo i loro litigi erano diventati sempre più forza dell’abitudine che causati da motivi reali. Era una cosa su cui potevano sempre fare affidamento, una certezza in mezzo a tutto il resto, anche se non lo avrebbero mai ammesso. Aprirono i menù per distrarsi ed evitare che quel treno di pensieri li facesse affogare, ma le parole continuavano ad aleggiare nello spazio tra loro.

 

“Lance… Questo menù è in Spagnolo.”

 

“Sì, certo,” rispose Lance distrattamente, senza alzare gli occhi.

 

“Lance?”

 

“Oh!! Certo, scusa, non ci avevo pensato. Te lo traduco io, e ti dirò quali sono le cose che devi per forza assaggiare.”

 

Così cominciarono a parlare dei vari cibi e delle specialità Cubane e l’atmosfera all’interno della navicella di plastica si alleggerì notevolmente.



Ogni volta che mi sento perso, i miei pensieri si riempiono di una sola parola. Blu. Blu è il mio colore, il colore dell’armatura che indossavo ogni giorno. Il colore dell’Oceano che per me è sempre stato un sinonimo di casa. Il colore e il nome del Leone robot che pilotavo. La parola porta con sé la familiarità di Blu, i rumori della cabina di pilotaggio, i suoi odori… Inevitabilmente, mi fa anche pensare al mio sogno. Prima di ritornare sulla Terra, usavo quei momenti nella spiaggia immaginaria per trovare un po’ di pace prima di dover tornare alla vita reale del Castello. Dopo la prima volta, non mi sono mai fermato a ragionare, semplicemente mi lasciavo trasportare dalle sensazioni, la sabbia sotto i miei piedi, l’azzurro dell’acqua cristallina e il suo profumo, i sorrisi della mia famiglia. Non mi importava per quanto tempo durasse o cosa succedesse di preciso. Ora, camminando sulla vera spiaggia e osservando la vera acqua cristallina, mi sento come se stessi indossando i panni di qualcun altro. Mi aggrappo alla memoria di quei sogni cercando di ricordare quanti più dettagli possibili per mantenere viva la memoria. Pensare che un giorno potrebbe svanire mi terrorizza. Per questo continuo ad analizzare le differenze che nel tempo ho notato tra le diverse occorrenze di quel sogno. Come i profumi. C’era sempre l’odore metallico di Blu, quello pungente dei prodotti Alteani che usavamo per pulire, quello dei miei vestiti, ma ricordo a volte, di aver annusato un odore che era fuori luogo nella mia cabina di pilotaggio. Non ci ho mai pensato troppo perché probabilmente era solo la mia immaginazione, ma ora mi sto aggrappando a qualsiasi cosa. Non ricordo com’era, ma ricordo di aver pensato che fosse un profumo familiare per me tanto quanto quello di Blu, ma che non aveva posto al suo interno.



Dopo aver lasciato il ristorante, camminarono verso la riva del mare, per godersi la quiete della spiaggia che andava svuotandosi e ammirare il tramonto. Lance costrinse Keith a togliersi le scarpe per “apprezzare il momento, se non puoi sentire la sabbia sotto i tuoi piedi non ha senso essere qui.”

 

Keith lo aveva assecondato, ben sapendo che non c’era niente da fare quando Lance si metteva in testa che una cosa era un’esperienza fondamentale. Dopo tutto, era stata una giornata praticamente perfetta. Una che non avrebbe mai pensato di poter avere con Lance. Una che gli dispiaceva dovesse finire presto.

 

Quasi leggendo i suoi pensieri, Lance parlò sottovoce:

 

“Lo sai, potresti… Rimanere… Se vuoi… Per un po’.”

 

Keith sapeva di non avere nessun obbligo di andare da qualche parte, nessuno che lo aspettasse. Sapeva di poter rimanere, in teoria. Ma perché avrebbe dovuto volerlo? E soprattutto, perché Lance avrebbe dovuto volerlo? Si voltò per osservare la sua espressione e vide nei suoi occhi dolore, quasi paura. Era una cosa che ricordava di aver visto molto spesso nei primi giorni al Castello dei Leoni e che aveva sperato di non rivedere mai più. In un istante, cancellò ogni suo dubbio.

 

“Va bene,” rispose semplicemente.

 

Lance sorrise, un timido sorriso sollevato. Era da molto tempo che non si sentiva così a suo agio con sé stesso e non voleva che quel giorno finisse.

 

Continuarono a camminare in silenzio, dirigendo i loro passi verso la macchina e poi verso casa di Lance.

 

Quando arrivarono, Lance presentò Keith agli altri membri della famiglia come “un mio amico di quella missione nello spazio di cui vi avevo parlato, ricordate?”. Keith strinse loro le mani e scompigliò i capelli del fratellino di Lance.

 

“Mamma, Keith rimarrà qui per un po’, potrebbe stare nella camera degli ospiti?”

 

“Certamente, ma sappi che dovrete entrambi aiutare con la cena, dato che non mi hai avvisato per tempo che ci sarebbe stata una persona in più.”

 

“Lo faremo,” rispose, indicando a Keith di seguirlo lungo il corridoio.

 

“Ti posso prestare dei vestiti di quando ero piccolo se vuoi cambiarti in qualcosa di più comodo,” Lance disse con un sorrisetto malizioso.

 

“Dai, non sono così più basso di te!”

 

”Certo, certo, come dici tu...“

 

Prepararono la stanza degli ospiti per Keith e dopo aver fatto una doccia ed essersi cambiati, tornarono in cucina come promesso.

 

La serata passò con leggerezza, chiacchierando del più e del meno, poi la famiglia di Lance decise di ritirarsi per la notte. Lance vide che Keith era tanto assonnato quanto lui e fu sul punto di suggerire di andare a dormire a loro volta, ma il solo pensiero di ritrovarsi nuovamente da solo gli fece mancare il respiro e sentire nel petto un dolore che conosceva fin troppo bene. Cercò disperatamente qualcosa, qualsiasi cosa pur di evitarlo e la domanda che Keith gli aveva fatto molte ore prima echeggiò nella sua mente. Se Keith lo aveva chiesto, poteva farlo anche lui, giusto?

 

“Ti andrebbe di fare qualcosa?”

 

Nonostante avesse fatto del suo meglio per eliminare la nota di ansia nella sua voce, Keith la sentì ugualmente e non battè ciglio prima di rispondere.

 

“Cosa avevi in mente?”

 

Bastò questo per farlo respirare di nuovo. “Dipende. Potrei stracciarti ai videogiochi, stracciarti a una gara di nuoto notturna nell’Oceano o potremmo andare a bere qualcosa.”

 

Keith sorrise. “Interessante il fatto che non pensi di potermi battere sul bere, prenderò nota.”

 

“Non tutto deve essere una competizione, Keith.”

 

“Non sembrerebbe, Lance.”

 

Si stavano fulminando con lo sguardo a vicenda, solo qualche centimetro separava i loro nasi. Era una scena che si era ripetuta talmente tante volte che entrambi scoppiarono a ridere.

 

“Pensi veramente che sarebbe il caso di andare a nuotare così tardi?” Chiese Keith, riflettendo sulle opzioni che Lance aveva elencato.

 

“No, hai ragione, meglio se aspettiamo domani per quello. Probabilmente mia mamma ci ucciderebbe.”

 

“La tua famiglia è molto gentile.”

 

“Sì, sono fantastici...”

 

“Dai, allora aggiudicato per i videogiochi. Ti lascerò addirittura scegliere quale fare per primo.”



La cosa più strana del mio sogno ricorrente, è che ogni volta avevo l’impressione di poter scegliere cosa fare. Su cosa concentrarmi. Se volevo uscire dalla cabina di Blu, andare sulla spiaggia. Se preferivo tuffarmi nell’Oceano o andare a vedere la mia famiglia. Non cambiava quasi nulla, i bambini che ridevano erano sempre gli stessi e le conversazioni lontane avevano sempre lo stesso suono. I miei genitori e fratelli erano sempre nello stesso posto e nella stessa posizione, ma era diverso da un normale sogno in cui ogni cosa si sfuma con le altre. Era esattamente il contrario. Per questo lo amavo, per questo mi svegliavo ricaricato, per questo ancora oggi trovo sollievo nel perdermi nei ricordi di quell’esperienza. Non ho mai saputo perché fosse così, ma non mi è mai importato.



Dopo tre ore passate a giocare a qualsiasi gioco Lance o uno dei suoi fratelli abbia mai posseduto, incluso uno in cui bisognava prendersi cura di un pony che Lance giurò non essere suo - ma dallo sguardo possessivo nei suoi occhi Keith non gli credette minimamente - erano piacevolmente esausti. I loro occhi erano rossi per aver passato troppo tempo a guardare uno schermo e avevano male alle guance per quanto avevano riso. Avevano addirittura dimenticato di tenere traccia del punteggio.

 

“Credo che dovremmo proprio andare a dormire ora. Possiamo fare la rivincita domani,” disse Lance con un sospiro.

 

“Sì, mi sembra una buona idea,” rispose Keith, alzandosi dal divano e stiracchiandosi, portando le braccia sollevate sopra la testa e piegando il collo all’indietro.

 

“Lo sai… I miei vestiti non ti stanno proprio così male,” commentò Lance. La stanchezza stava avendo la meglio e le parole uscirono dalla sua bocca senza filtri. Si irrigidì, realizzando le implicazioni di ciò che aveva detto, ma Keith si limitò a sollevare un sopracciglio. “Chi sei tu e cosa hai fatto a Lance?”

 

Lance lo colpì su un fianco con il dorso della sua mano. “Dai, stavo solo cercando di essere carino.”

 

“Non farlo, è inquietante.”

 

Lance ridacchiò e si alzò a sua volta per dirigersi verso la sua stanza. “Comunque grazie per oggi. Per essere venuto a controllare come stavo e tutto.”

 

“Non ti preoccupare, so com’è, è difficile per tutti. Essere di nuovo qui e cercare di ritrovare il nostro posto su questo pianeta… Non è una cosa che gli altri possono capire. Tu avresti fatto lo stesso per ciascuno di noi.”

 

Lance annuì ma non era molto convinto. “Ti manca a volte?”

 

“Che cosa?”

 

“Tutto. Lo Spazio, combattere la guerra, essere un Paladino… Mentre ero là l’unica cosa a cui pensavo era quanto mi mancasse la mia casa. Ora sono qui, dormo tutto il giorno, non faccio nulla, non lo so… Ogni giorno che ho passato là mi sono sentito utile, come se la mia vita servisse a qualcosa...”

 

“Sarai sempre un Paladino, Lance. Sì, è vero, qui i nostri giorni sono meno frenetici, non ci sono situazioni di vita o di morte da affrontare ogni secondo che passa, ma questo non significa che la tua vita non serva a niente. Ti stai prendendo cura della tua famiglia e quando lo vorrai, potrai trovare un lavoro alla Garrison o dovunque tu voglia, devi solo scegliere cosa vuoi fare. E poi, se l’Universo avrà bisogno di nuovo, saprà chi chiamare.”

 

“Siamo passati dal salvare l’Universo a preoccuparci di dover scegliere un lavoro...”

 

“Non hai niente di cui preoccuparti, qualsiasi cosa sceglierai, andrai benissimo.”

 

“Lo pensi davvero?”

 

“Certo.”

 

“Grazie.”

 

La voce di Lance uscì in un sussurro, Keith sentì qualcosa sussultare nel suo petto nel vederlo così vulnerabile. Si limitò ad annuire, non fidandosi della sua voce.

 

Camminarono in silenzio nel corridoio, fianco a fianco, finché non raggiunsero la stanza di Lance e fu il momento di separarsi. Lui si fermò, spostando il peso nervosamente da un piede all’altro e mordendosi l’interno della guancia. Sentiva il panico farsi strada di nuovo nel suo corpo e disse:

 

“Non è che potresti… Dormire con me? Solo per oggi?”

 

Keith lo fissò in completo shock, aprendo e chiudendo gli occhi diverse volte. “Cosa??”

 

“Io… Scusa, scusa, scusa, dimentica quello che ho detto, buona notte, ciao,” Lance balbettò in un solo fiato e prima che Keith potesse riprendersi e formulare una risposta coerente, entrò nella camera e sbattè la porta.

 

Lance si gettò sul letto, nascondendo la faccia rossa come un pomodoro nel suo cuscino ma stava già cominciando a faticare a respirare. Gli sembrò passata un’eternità quando finalmente riuscì a calmarsi.

 

Per tutto il tempo, Keith rimase bloccato fuori dalla sua porta, con una mano sospesa a mezz’aria, senza riuscire a prendere una decisione su cosa fare.









 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender / Vai alla pagina dell'autore: Nigg