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Autore: Alley    25/07/2018    1 recensioni
[a Laura]
Clarke guarda la scheda sparire oltre la fessura e poi alza la testa. Il suo sguardo sale fino ad incontrare un paio di occhi scuri e sfrontati piantati sotto una zazzera di ricci disordinati.
“La scelta è tra Clarke Griffin e Bellamy Blake.”
È sicura di non aver mai visto quel volto alle riunioni di classe né durante gli incontri scuola-famiglia.
Un’altra cosa di cui è certa, è che non le piace affatto.

[kid!Madi; kid!Octavia]
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: per esigenze narrative, la differenza di età che intercorre tra Bellamy ed Octavia è maggiore rispetto a quella che li separa nel canon.

 







Alla mia compagna di stanza,
ora dottoressa,
e alla luce che portò nel buio di quella mattina.



 


















Clarke fissa la tela incompleta ed i pennelli sporchi accatastati nell’angolo; un sospiro le sale alle labbra, e lo reprime a stento.

Si era ripromessa di portare a termine la commissione, ma non si è potuta trattenere a dipingere oltre le due quella notte: non può permettersi di presentarsi a scuola con due borse enormi sotto gli occhi il giorno delle elezioni del rappresentante di classe.

Non che abbia qualcuno da impressionare in vista della votazione; ogni anno è l’unica candidata e viene eletta senza nemmeno il bisogno di ricorrere agli scrutini, ma ci tiene ad affrontare la proclamazione con un aspetto presentabile.

Dall’altra parte della stanza giace il tomo di anatomia comparata, intoccato. Il dipinto lasciato a metà era una visione confortevole, a confronto.

Il rumore dei passi di Madi la distrae e dirada parte delle sue preoccupazioni. Ha ancora un giorno intero per finire la commissione, in fondo, e per anatomia…beh, ci sarà tempo.

Adesso è il momento di far partire la giornata.

“Denti?” domanda a Madi, quando la piccola figura di lei si materializza sulla soglia del salotto.

“Lavati.”

“Colazione a sacco?”

“Messa in borsa.”

“Bacio alla mamma?”

Madi rotea gli occhi, ma, alla fine, la raggiunge e le schiocca un bacio sulla guancia senza troppe rimostranze. È di indole più affettuosa di quanto voglia far credere.

“Perfetto” commenta Clarke soddisfatta “Andiamo.”

Mentre raggiungono l’ingresso, lo sguardo di Clarke cade sulla busta di carta poggiata accanto alla borsa che infila a tracolla prima di proseguire dritto fino alla porta.

Da quando lei e Madi vivono in quell'appartamento, il rituale si ripete puntuale ogni mese; “nel caso vi facesse comodo qualche extra”, le dice Abby al momento della consegna, ben sapendo che, in realtà, il denaro le risulterà indispensabile per far fronte a tutte le spese che la attendono.

Come ogni mese, Clarke si era categoricamente imposta di non utilizzare il contenuto della busta; si era detta che il compenso che il signor Wallace le deve le sarebbe bastato.

La verità è che è appena sufficiente per la bolletta della luce e che il pagamento della retta del corso di scherma di Madi è troppo vicino per mettersi a fare l’orgogliosa.

Anche questa volta, dovrà accettare di non avercela fatta da sola.

*

Quando la signorina Hogan infila la scheda della sua candidatura nella scatola di cartone poggiata sopra la cattedra, Clarke aggrotta la fronte in un moto di autentico stupore.

“Quest’anno abbiamo…” L’operazione andrebbe effettuata solo nel caso in cui ci fosse--- “…un altro candidato.”

Clarke accoglie l’annuncio con un cipiglio interrogativo. Nello stesso istante, quasi come a fornirle la risposta che cercava, un altro foglio scivola nella fessura.

La mano che lo inserisce non appartiene alla signorina Hogan.

Clarke guarda la scheda sparire all'interno della scatola e poi alza la testa. Il suo sguardo sale fino ad incontrare un paio di occhi scuri e sfrontati piantati sotto una zazzera di ricci disordinati.

“La scelta è tra Clarke Griffin e Bellamy Blake.”

È sicura di non aver mai visto quel volto alle riunioni di classe né durante gli incontri scuola-famiglia.

Un’altra cosa di cui è certa, è che non le piace affatto.

*

Clarke si propone di ignorare il suo avversario – il suo nemico – durante il conteggio delle schede, ma fallisce miseramente; non può fare a meno di lanciargli delle occhiate di sottecchi, come a voler appurare che sia davvero lì a contenderle il posto.

Un paio di volte, lo scopre a fare lo stesso. Quando succede, entrambi si premurano di spostare lo sguardo altrove alla velocità della luce.

Nemmeno il suo cognome le risulta familiare. Deve trattarsi del padre di un nuovo arrivato. Clarke conosce ogni singolo compagno di classe di Madi; se ci fosse stato un Blake o una Blake tra di loro, lo avrebbe ricordato.

La signorina Hogan monitora l’ultima scheda, poi fa saettare lo sguardo da lei a Bellamy. “Parità” sancisce, riponendola sul mucchio formato da quelle già esaminate.

È un affronto. Un vero affronto. Clarke ha ricoperto il ruolo di rappresentante con efficienza ineccepibile per tre anni. Che ragioni ci sono per votare uno sconosciuto anziché lei?

Malgrado lo scontento, si impone di ostentare nonchalance. Riesce persino ad attaccarsi sulla bocca un sorriso di plastica mentre passa in rassegna il viso dei genitori stipati tra i banchi, alla ricerca dei possibili traditori.

È sicura che Gina e Echo ne facciano parte. Probabilmente hanno già elaborate una vasta gamma di fantasie erotiche in cui questo Bellamy Blake si presenta a casa loro in tenuta da idraulico per aggiustare le tubature gocciolanti della cucina.

Non che lei abbia pensato ad una cosa del genere. È perfettamente in grado di occuparsi delle riparazioni domestiche da sola, grazie tante.

E nemmeno starebbe bene con la divisa da idraulico, quello lì.

Non lo sa perché lo ha immaginato, naturalmente. È solo…intuito.

“Era da un po’ non si verificava una situazione simile.” La voce della signorina Hogart la riporta alla realtà. “Propongo ai due candidati una specie di periodo di prova. Una volta terminato, verrà illustrato ai genitori il lavoro svolto da entrambi durante l’arco di tempo trascorso e si procederà ad una seconda votazione. Che ne dite?”

Istintivamente, gli occhi di Clarke corrono a cercare quelli di Bellamy; non la sorprende scoprire che lui ha reagito allo stesso modo.

Questa volta, nessuno dei due distoglie lo sguardo.

“Affare fatto.”  

*

“Perché non mi hai detto che avete una nuova compagna?” Madi, stravaccata scompostamente sul sedile del passeggero, ha le cuffie infilate nelle orecchie e muove la testa seguendo il ritmo. "Madi?”

Questa volta, Clarke fa sì che il livello della sua voce superi quello della musica; Madi si sfila una cuffietta, concedendole a malincuore la sua attenzione. “Cosa?”

“C’è una nuova arrivata.”

“Octavia Blake.”

“Non me lo avevi detto.”

Madi fa spallucce, gli occhi rivolti alla striscia di asfalto che si dipana oltre il parabrezza. “Non c’è niente da dire. Non parla con nessuno, non saluta nemmeno; somiglia più ad un fantasma che ad una persona.”

“Sai, suo padre---”

Prima che abbia il tempo di portare a termine la frase, Madi torna ad immergersi nella musica.

*

Clarke ha appena impugnato il pennello quando sente il cellulare vibrare all’interno della tasca dei jeans; lo tira fuori con la mano libera e clicca sulla notifica per visualizzare il messaggio.

È da parte di sua madre.

Sei stata eletta?

Non proprio. Ti spiego da vicino.

Okay. Come va con anatomia?

Gli occhi di Clarke si spostano dallo schermo al libro abbandonato al solito posto e, alla fine, approdano sulla tela in attesa di essere riempita.
Non ricorda nemmeno a che pagina sia arrivata.

Alla grande.

*

Mentre Bellamy illustra la tabella compilata per il menù della mensa, Clarke sente già il profumo della vittoria spandersi nell’aria.

Attende che l’esposizione di Bellamy giunga al termine per farsi avanti, in mano una scheda molto più ricca di appunti ed annotazioni rispetto a quella consegnata da lui.

“Ecco la mia” dice, porgendola alla signorina Hogart “Ho sostituito tutte le pietanze contenenti lattici con altre che non ne abbiano per Molly – è intollerante – e segnalato l’allergia alle fragole di Greg e quella al burro di arachidi di James. Verdure tre volte alla settimana, abbinate al dolce in modo da disinnescare eventuali proteste; il Martedì e il Giovedì invece si chiude con la frutta. Carne rossa è ridotta al minimo. Nel caso in cui servisse un suggerimento per l’azienda fornitrice, mi permetto di segnalare la Healthy&Cool Food; mi sono fatta inviare tutta la documentazione relativa a controlli e qualità dei prodotti e, considerando il rapporto tra prezzo e qualità, sono indubbiamente i migliori sul mercato.”

La signorina Hogart annuisce con aria soddisfatta. Ringrazia entrambi prima di congedarli, ma Clarke riesce a scorgere senza sforzo l’esito nascosto dietro la sua cortesia.

Adesso, il profumo le invade prepotentemente le narici.

Mentre lasciano l’aula, l’aria di Bellamy sa di sconfitta e di stizza. “Sono nuovo” dice a mo’ di giustificazione. “Non sapevo tutte queste cose.”

Clarke stira le labbra e solleva le spalle in un gesto di boriosa noncuranza. “Forse dovresti informarti.”

*

La mattina dopo, Bellamy è poggiato a quella che somiglia ad una cesta di metallo sorretta da rotelline mobili.

Clarke non ci fa troppo caso.

È il giorno delle proposte per la prima gita dell’anno e lei è già pronta ad incassare la seconda vittoria; non potrà che ottenerla, con il Contemporary Art Museum come meta.

Quando porge la brochure del museo alla signorina Hogart, lei prende a sfogliarla; per qualche motivo, non appare convinta come Clarke si aspettava. “Signorina Griffin” comincia, cauta “Crede che i bambini siano in grado di…apprezzarlo?”

“Certo” risponde Clarke prontamente. L’arte è in grado di parlare a tutti; è un linguaggio universale. E poi, la visita aiuterà a combattere il luogo comune secondo cui l’arte contemporanea è sinonimo di quadri incomprensibili e oggetti senza alcun significato.

Mentre la signorina Hogart continua a visionare la brochure, i bambini cominciano a riempire l’aula. Alcuni prendono posto, altri si accalcano attorno alla cesta alle spalle di Bellamy; presto, Clarke sente levarsi dal manipolo che l’ha attorniata un brusio entusiasta.

I bambini affondano le braccia nella cavità della cesta e tirano fuori peluche a forma di delfino, balena, polpo ed altri animali marini. Madi ne prende uno con le sembianze da cavalluccio marino.

Traditrice.

“Il Blue Aquarius ospita tantissime varietà di specie, alcune delle quali estremamente rare. In occasione della settimana d’apertura offre alle scolaresche sconti del settanta per cento sul costo dei biglietti. E gadget gratuiti” aggiunge Bellamy, con un cenno ai pupazzi “Oh, ha allestito una sala a tema Nemo in cui ogni vasca contiene un esemplare di ogni personaggio del cartone animato.”

La signorina Hogart è palesemente impressionata ed i bambini entusiasti.

Questa volta, Clarke ha un presentimento opposto rispetto a quello che il giorno precedente le ha fatto pregustare la vittoria.

“Ai vostri posti.” La signorina Hogart richiama la classe all’ordine, poi ringrazia Clarke e Bellamy per la collaborazione.

Quando lasciano l’aula, Clarke avverte il bisogno di discolparsi in qualche modo. “Non sapevo dell’acquario.”

Bellamy le rivolge un’espressione che conosce fin troppo bene. “Forse dovresti informarti.”

*

Nell’esatto momento in cui la fine della riunione viene annunciata, Bellamy spalanca la porta dell’aula.

Si è trattato del primo incontro tra la preside e i rappresentanti di classe dell’istituto; non essendosi ancora svolta la seconda votazione, la signorina Hogart aveva ritenuto opportuno che entrambi vi prendessero parte. Invece, Clarke si è ritrovata a presenziare da sola.

Un punto che la riporta in vantaggio.

I genitori cominciano a defluire, abbandonando l’aula uno dopo l’altro; l’unico a procedere contro corrente è Bellamy, che si fa strada tra la calca fino a raggiungere Clarke. “Hai gettato la spugna?” gli chiede lei, alludendo alla sua assenza.

“Ero a colloquio con la signorina Hogart. Octavia ha fatto a botte con un compagno di classe e sono stato convocato d’urgenza.”

“Oh.” Improvvisamente, Clarke avverte una fitta di rimorso attanagliarle le viscere. Se deve portarsi avanti nella sfida, non vuole che sia per ragioni attinenti ad Octavia e alla sua condotta. “Beh, capita. Sono bambini” dice “Qui non è stato detto granché. Posso aggiornarti io, se vuoi.”

Bellamy se ne sta ad ascoltarla mentre ricapitola i punti essenziali toccati durante la riunione, eppure, per tutto il tempo, Clarke ha l’impressione che sia con la testa altrove.

Ad Octavia, probabilmente.

*

Un drappello di bambini è posizionato sulla soglia dell’aula, pronto a varcarla. “Dove state andando?” domanda Clarke, ostruendo il passaggio. “C’è la prova di evacuazione tra poco.”

“Nella sala teatro.” Il suono di quella voce basta a procurarle un violento moto di fastidio. “È stata prenotata per oggi…” Bellamy assottiglia lo sguardo e la fissa per un lungo istante prima di proseguire “…come sicuramente avrai letto sul registro.”

Clarke non ha nemmeno pensato a farlo; ha semplicemente sollecitato la preside affinché fissasse le prove di evacuazione quanto prima, senza pensare ad eventuali coincidenze o sovrapposizioni. L’anno scolastico è cominciato da settimane; cose del genere vanno fatte nell’immediato. Lo spettacolo, invece, è piuttosto lontano. Certo, se si fosse premurata di controllare avrebbe evitato che fosse scelto proprio quel giorno, ma in fondo non è questa gran tragedia. Di sicuro sarebbe peggio se un incendio li cogliesse alla sprovvista e studenti e personale venissero divorati dalle fiamme mentre sono presi dal panico.

“La sicurezza è più importante delle prove” dice, ignorando le facce deluse dei bambini.

“Avresti potuto farle spostare: la sala è prenotata per l’intera settimana e Lunedì cominciano i lavori di ristrutturazione.”

“Tutta la scuola è stata allertata, Bellamy. Non possiamo passare di classe in classe a dire che è tutto saltato.”

“Grazie a te i bambini arriveranno allo spettacolo impreparati.”

Un’ondata di stizza l’attraversa, scuotendola fin dentro le ossa. Se potesse, si metterebbe a ringhiare; per evitarlo, serra la mascella e immette tutta l’aria che i suoi polmoni sono capaci di contenere. “Grazie a me ognuno saprà esattamente cosa fare in caso d’emergenza.”

“Clarke Griffin, la salvatrice della patria.”

“Signor Blake, signora Griffin.”

Soltanto in quel momento, Clarke si accorge che i bambini frapposti tra loro li stanno fissando con aria sperduta e preoccupata.
La signorina Hogan li invita a tornare ai propri posti.

“Ma abbiamo le prove!” dice una di loro, la vocina sottile che s’impenna in segno di protesta.

“Le farete più avanti, Emily.”

La signorina Hogart attende che tutti siano rientrati, poi si affaccia all’interno della classe per annunciare che arriverà a breve e si richiude la porta alle spalle.

“È vero che state concorrendo, ma per evitare simili inconvenienti suggerirei un minimo di…collaborazione.”

La perplessità che appare sul viso di Bellamy è specchio di quella che Clarke sente montare dentro.

Loro due che collaborano. Non potrà mai funzionare.

È escluso però che diano di nuovo spettacolo a quel modo. Non è il caso e, soprattutto, scontri come quello rischiano di far emergere le negligenze in cui i tanti impegni la portano ad incappare.

Tra le tele e anatomia tutto il resto, potrebbe ricapitarle di dimenticare qualcosa come ha dimenticato di controllare il registro d’istituto. Saltare qualche prova non è un danno irreparabile a quel punto dell’anno, certo, ma se avesse avuto un quadro completo della situazione avrebbe evitato l’inconveniente o fatto sì che i turni si organizzassero in modo da non penalizzare la classe.

In più, ha fatto restar male i bambini.

Accetterà la collaborazione nel nome del bene superiore. Quando verrà eletta, potrà estromettere Bellamy Blake dalla sua esistenza e dimenticare d’averci avuto a che fare.

Non vede l’ora che arrivi quel momento.

*

Tra i compiti del rappresentante di classe c’è quello di avanzare proposte per le iniziative da adottare in vista di festività e occasioni particolari. Gli anni scorsi non c’è stato bisogno di farlo con tutto quel preavviso, ma adesso, occorrendo elementi da valutare, ai candidati è stato chiesto di provvedere compilando una sorta di calendario da illustrare ai genitori.

Sia Clarke che Bellamy avevano già cominciato a lavorarci. Visto che quella benedetta collaborazione dovrà pur cominciare da qualche parte, hanno deciso di confrontarsi sulle ricorrenze rimanenti.

“Per la festa della mamma pensavo di lasciargli massima libertà di scelta; potrebbero, non so, scrivere una lettera o una poesia o fare un disegno o---”

Clarke alza gli occhi appena in tempo per scorgere l’ombra calata a ricoprire il viso di Bellamy. Istintivamente il suo sguardo scorre verso il basso, portandosi all’altezza dell’anulare di lui: non vi è traccia della fede né di anelli di alcun tipo. Potrebbe aver semplicemente divorziato, ma la tristezza incastonata sul suo viso suggerisce tutt’altro.

Clarke la sente come appiccicata addosso.

Lei ha perso suo padre, e ne ha sofferto, ma il peso del lutto è ricaduto soprattutto su sua madre: è lei che si è presa la famiglia sulle spalle e che è stata forte abbastanza da tenere in piedi se stessa e Clarke; è lei che si è sobbarcata il dolore di entrambe.

Non sa quale sia esattamente la storia nascosta dietro la faccia addolorata di Bellamy, ma lui sembra esattamente il tipo di genitore disposto a fare una cosa del genere.

“---o magari no.” Seppur in ritardo, Clarke prova a correggere il tiro. “Hanno dieci anni; forse è l’età in cui possono bastare gli auguri.” 

“No, va bene: è una buona idea.”

Clarke decide di non insistere; nota, però, che l’ombra non si è dissolta.

*

L’ultima lattina superstite incassa il colpo ammaccandosi su di un lato e precipita a terra, dove giacciono tutte quelle cadute in precedenza.

La ragazza dietro al bancone prende un orsacchiotto di peluche grande quanto un bambino dagli scaffali su cui sono esposti i premi e lo porge a Bellamy. Lui ripone il fucile a piombino e lo afferra, ringraziandola con un sorriso.

È in quel momento che Clarke compare al suo fianco.

“Hai visto Jane e Claire?” chiede con aria trafelata “Non sono nel gruppo uscito dalla casa delle bambole né sui cavallucci e---”

Bellamy si limita ad indicare un punto alle sue spalle; Clarke insegue la traiettoria tracciata dal gesto ed incontra le rotaie del trenino a vapore. Le due bambine sono lì, sedute una accanto all’altra nel vagone di testa, due enormi sorrisi stampati in viso. A quanto pare, essere alla guida le eccita parecchio.

“Puoi evitare di farti venire un infarto.”

“Cerco solo di tenerli d’occhio.”

“Clarke, siamo in un parco giochi con cinque attrazioni. Sarebbe più facile che si perdessero a casa loro che qui.” 

“E se si facessero male?”

“Potrebbe succedere anche sul pianerottolo di casa.” Bellamy la fa sembrare la cosa più semplice del mondo. Clarke sa che ha ragione, ma non riesce a scenderci a patti; ha bisogno di credere che tutto sia controllabile per non sentirsi sopraffatta dall’impotenza. “Non puoi metterli sotto una campana di vetro per far sì che non gli accada nulla.”

A quel punto, Bellamy abbassa lo sguardo sul pupazzo. “Tieni” dice, spingendolo verso di lei. Clarke lo fissa, incapace di allungare le mani quel tanto che basta per afferrarlo. “Regalalo a Madi.”

Oh. Giusto. È per Madi. È ovviamente per Madi. Cosa diavolo va a pensare. “Grazie, ma…perché non lo dai ad Octavia?”

Bellamy sorride; nella curva disegnata dalla sua bocca c’è una specie di malinconia di cui Clarke non sa spiegarsi l'origine. “Lei è più tipo da pistole e pugnali. Giocattolo, naturalmente.”

“Beh, è una tosta.”

Finalmente, si decide a prendere il pupazzo.

“Puoi dirlo forte.”

*

Bellamy visiona il calendario delle attività extra compilato da Clarke. Mentre scorre le voci la sua espressione lascia trapelare un disappunto da cui lei comincia a sentirsi irritata prima ancora di ricevere qualsiasi tipo di commento.

“Sono troppe” obietta alla fine, restituendole il foglio protocollo “Sono bambini, non macchine.”

“Non è vero.” Non sono troppe; sono abbastanza da permettergli di scoprire cosa gli piace e in che cosa sono portati. La vita non può essere soltanto studio; più attività sperimentano, più possibilità avranno di trovare quella adatta a loro. “In Argentina ne sono previste anche di più.”

“Avresti potuto informarti direttamente su Cina e Corea, se cercavi paesi in cui i bambini vengono trattati come animali da soma.”

“Non mi sono informata: ci ho fatto volontariato. È lì che ho conosciuto Madi.”

“L’hai adottata?”

Il tono di Bellamy cambia di colpo; da caustico qual era si fa serio e ammirato.

“Sì” conferma Clarke, vagamente in imbarazzo. Non ha mai vissuto quella scelta come un merito: separarsi da Madi sarebbe stato come perdere una parte di sé.

Nessuno avrebbe scommessa che sarebbe finita in quella maniera dopo il loro primo incontro; nemmeno lei. Madi proveniva da una delle Case Miseria1 più povere e malfamate di Buenos Aires; orfana e senza nessuno al mondo, aveva vissuto immischiata nella malavita locale sin da piccola. Ferita di striscio durante una sparatoria, era stata portata al centro medico della struttura per minori presso cui Clarke era stata collocata.

Madi le era stata presentata come una bambina difficile; scaltra, troppo adulta per la sua età, decisa a non lasciarsi avvicinare da chi la teneva reclusa lì dentro. Il fatto che avesse provato a scappare per ben due volte sarebbe dovuta essere un’avvertenza sufficiente, ma Clarke aveva avuto un quadro preciso della situazione soltanto quando, durante il loro primo incontro, Madi aveva risposto al suo tentativo d’approccio aggredendola. Ha portato addosso il segno del morso lasciatole all’altezza della spalla per giorni prima che sbiadisse.

Chi era lì da più tempo di lei le aveva consigliato di desistere e di lasciare che Madi si ammansisse da sé, ma Clarke si era rifiutata di arrendersi.

La seconda volta che si era presentata da lei, Madi l’aveva ostinatamente ignorata. La terza aveva fatto lo stesso. Al quarto tentativo Clarke aveva portato con sé dei disegni, tra cui un suo ritratto. Madi aveva reagito con la più totale indifferenza. Ancora una volta, Clarke si era rifiutata di lasciarsi scoraggiare; glieli aveva lasciati, dandole appuntamento al giorno successivo.

L’indomani Madi l’aveva accolta senza un saluto, ma Clarke si era accorta che i disegni non erano riposti nell’ordine in cui li aveva lasciati. Poteva voler dire soltanto una cosa: Madi li aveva sfogliati.

La volta in cui si è messa a disegnare davanti a lei è stata la prima in cui Madi le si è avvicinata di sua sponte; è rimasta ferma ad osservarla per tutto il tempo, senza dire una parola. Quando Clarke le ha offerto una matita, Madi l’ha afferrata e l’ha poggiata sul foglio con titubanza. Da quel giorno, Clarke è diventata l’unica di cui accettasse la presenza.

Nelle settimane a venire Clarke le ha insegnato l’Inglese e l’arte del disegno; ne ha scoperto la vivacità e la gentilezza nascoste sotto l’armatura che le asprezze della vita le avevano cucito addosso.

Ma ha scoperto anche un’altra cosa: Madi aveva una malattia del sangue. L’impianto dell’associazione non aveva un ospedale attrezzato per le cure di cui necessitava. Ottenerle all’esterno sarebbe stato possibile, ma non in tempi brevi. Così, Clarke ha contattato sua madre per metterla al corrente della situazione; Abby non ha esitato a pagare il viaggio di ritorno ad entrambe e il successivo percorso di terapie a Madi. Quando è venuta a conoscenza del desiderio di Clarke di tenerla con sé, ha esternato più di qualche perplessità; sei giovane, le ha detto, ed hai una lunga carriera accademica davanti a te. Clarke ha insistito, evitando di ammettere che sottrarre del tempo ai tomi di medicina per dedicarlo a Madi non le pareva un sacrificio, ma una prospettiva assolutamente piacevole; ha promesso che avrebbe saputo conciliare l’ingresso di Madi nella sua vita con l’università e lo studio.

A quel punto, Abby ha fatto sì che l’iter di adozione venisse semplificato al massimo grazie ad alcune delle sue conoscenze altolocate.

È una storia lunga da raccontare. Clarke si dice che è per questo che tende a semplificarla, ma la verità è che la fa sembrare la classica filantropa con il portafoglio pieno che può permettersi di adottare un bambino con la stessa facilità con cui si preleva un cucciolo al canile, aggirando la burocrazia e spacciando i propri privilegi per misericordia.

O, almeno, è così che lei è convinta che la faccia apparire.

“Beh, possiamo eliminarne qualcuna” dice, per cambiare argomento. “Ora che ci penso la signorina Hogart aveva detto qualcosa sulla mancanza di fondi dell'istituto; probabilmente non sarebbe possibile organizzare così tanti corsi.”

“Va bene. Possiamo compilare un nuovo calendario insieme.”

"Insieme." La parola ha uno strano sapore contro il palato. Strano, ma non cattivo. "Ci sto."

*

“Si può sapere perché mi hai portata qui?”

“Perché altrimenti non avresti mai acconsentito a portarci i bambini.”

“Non lo farò in ogni caso.” Sono in marcia su quel sentiero da un tempo che a Clarke pare infinito; è vero, non è particolarmente impervio, ma possono sceglierne uno più sicuro e meno sperduto. Senza contare che, con il buio, qualsiasi percorso diventa pericoloso. “E perché a quest’ora?”

"Lo scoprirai presto.”

“Hai detto la stessa cosa cinque minuti fa.” Bellamy la ignora e svolta in un viottolo secondario che si apre alla destra di un folto cespuglio. Clarke lo imita. “E dieci e quindici e---”

Lo spettacolo che le si para davanti le blocca in gola il resto delle parole. Nel buio, la miriade di granelli di luce appare come una distesa di luminarie magicamente sospesa in aria. Il bagliore che emana forma una sorta di nube fatiscente da cui Clarke si sente attratta come una falena da un lampione. Ad avanzare, però, le parrebbe di rompere un incantesimo; così resta lì, ferma sul posto, a rimirare le lucciole che risplendono nell’oscurità con in corpo un’emozione simile a quella suscitatale da Notte stellata alla sua prima visita al Museo di Arte Moderna.

È qualcosa che non ha mai saputo tramutare in parole, ma che avverte con una nitidezza mai sperimentata in altre circostanze; qualcosa che la fa sentire viva, e piena.

È passata quella che potrebbe essere un’eternità quando si volta verso Bellamy. Lo trova con gli occhi posati su di lei; è uno sguardo morbido, quello che le sta rivolgendo, che le si adagia addosso come una coperta calda. Clarke ha il tempo di studiarlo per un solo momento prima che scompaia e Bellamy assuma l’espressione di chi è stato appena colto in flagrante.

“Se avessi saputo che sarebbe servito a farti stare zitta ti ci avrei portata prima.” Non suona beffarda come le provocazioni che è solito indirizzarle. È maldestra, e improvvisata; non da Bellamy. “Allora” lo sente dire Clarke, addosso ancora quel filo d’imbarazzo. “Potremmo venirci subito dopo il tramonto, in modo da non fare troppo tardi. Non sarà buio come adesso, ma possiamo comunque far indossare delle giacche fluorescenti ai bambini, se ti fa sentire più sicura.”

La luce delle lucciole gli accarezza i lineamenti, mettendoli in risalto. “Pensi che ne valga la pena?”

Clarke ne traccia i contorni con lo sguardo, come fa quando vuole imprimersi nella mente una figura che andrà a trasporre su carta; dopo averli incamerati, torna ad osservare lo spettacolo di luci. “Sì” dice convinta “Ne vale la pena.”

*

In piedi davanti al cavalletto, Clarke guarda assorta la tinozza di colori in attesa di venir riversati sulla carta.

Avrebbe una commissione da finire con urgenza, ma c’è un’idea che preme insistentemente nella sua testa e sa che l’unico modo per essere lasciata in pace quando l’ispirazione la attanaglia in quel modo è assecondarla.

Così accantona la tela a cui stava lavorando e, al suo posto, ne sistema una immacolata; ci versa sopra una cascata di blu notte e la puntella di schizzi di bianco e d’argento, sfuma le tonalità fino a quando l’effetto non le ricorda la brillantezza delle lucciole.

Sul bordo del foglio tratteggia due sagome indistinte; di fronte alla distesa di oscurità drappeggiata di luce appaiono infinitamente piccole, ma non sole.

L’immagine di Bellamy la accompagna fino all’ultima pennellata.

*

Quando Clarke apre la porta dell’aula, la prima cosa che vede è Claire che volteggia per aria con le braccia spalancate: è aggrappata alle spalle di Bellamy e ride in modo incontenibile.

Dopo averle fatto fare un giro completo attorno ai banchetti, Bellamy la deposita a terra e si rivolge al resto della classe. “Chi vuole fare un giro?” domanda. Una miriade di piccole mani prende a sventolare, accompagnata da un coro esaltato di io.

Bellamy passa in rassegna i volti assiepati attorno a lui e qualcosa nella sua espressione cambia; si apre una specie di crepa che passa inosservata agli occhi dei bambini, ma non a quelli di Clarke.

Il sorriso di Bellamy si spegne definitivamente quando individua Octavia in disparte in fondo all’aula. Soltanto dopo esser rimasto ad osservarla per qualche momento, si accorge della presenza di Clarke.

“Chiedo scusa al capitano e ai passeggeri per l’interruzione.” Bellamy fa un piccolo sorriso e, per un attimo, il suo volto torna a rasserenarsi. “La signorina Hogart ha chiesto di portare le autocertificazioni domani. Ce le dividiamo?”

“Faccio dalla A alla L.”

“Perfetto.” Clarke lancia una rapida occhiata alle spalle di Bellamy. Octavia è ancora ferma al suo posto, immobile come una statua di sale, completamente estranea al resto del mondo. “Il volo può proseguire.”

*

Clarke sbatte le palpebre e, per un lungo istante, la realtà è soltanto un contorno confuso e sbiadito attorno a lei.

Non avverte la morbidezza delle lenzuola, ma soltanto qualcosa di duro e scomodo che gratta contro la guancia. Quando solleva il busto, scopre che si tratta di una tela. Ha le braccia sporche di colore e la bozza che le ha fatto da cuscino è tutta stropicciata.

Strabuzza gli occhi e si allunga verso il cellulare poggiato lì davanti; lo agguanta e trasalisce davanti al 07.30 stampato impietosamente sul display.
In mezz’ora dovrebbe scaricare e stampare le autocertificazioni, levarsi via il colore da dosso, preparare la colazione, guidare fino a scuola e---

“Madi!”

Madi appare sulla soglia già vestita di tutto punto. “Tranquilla: ho già mangiato.”

Versarsi del latte e tostare qualche fetta di pane non richiede chissà quale sforzo, eppure, Clarke si sente in colpa come se l’avesse costretta ad occuparsi della cucina per un mese.

“Perché non mi hai svegliata?”

“Ho preparato tutto io. Potevi dormire un po’ di più.”

“Madi, mi sono addormentata senza stampare le autocertificazioni e se non le consegno questa mattina---”

“Sono sul tavolo all’ingresso.”

Clarke aggrotta la fronte, confusa. “Le hai stampate tu?”

“Le ha lasciate qui Bellamy.”

La risposta la colpisce come un getto d’acqua gelata. “Cosa?” chiede “Quando?”

“È passato ieri sera.”

Quindi, Bellamy l’ha vista accasciata sul tavolo come la più classica delle casalinghe disperate. Magnifico.

“Perché lo hai fatto entrare se dormivo?”

“Perché pensavo che stessi dipingendo.”

“Allora perché non mi hai svegliata?”

“Perché Bellamy ha detto che non ce n’era bisogno.”

Clarke reprime uno sbuffo e getta la spugna: a quanto pare, non ha attenuanti a cui appigliarsi.

A quel punto, può soltanto appuntarsi mentalmente di mettere le autocertificazioni in borsa. “Mi preparo in un attimo.”

*

Quando Clarke individua Bellamy in fondo al corridoio accelera Il passo per raggiungerlo. “Ehi” gli fa, affiancandolo.

“Ehi.”

“Mi hai lasciato le autocertificazioni.” Non è una domanda, ma Bellamy risponde comunque. “Pensavo ci fosse un errore nelle voci sui dati assicurativi, ma in realtà era tutto a posto. Avevo già stampato tutto l’elenco prima che ce lo spartissimo, quindi...”

Si sarebbe procurato un enorme vantaggio se avesse sfruttato la sua inadempienza. Clarke si limita a pensarlo.

“Quindi sei una pittrice.”

“Io?” Clarke viene presa totalmente alla sprovvista. “Io non--- è soltanto un hobby.”

Ha tutto l’aspetto di una giustificazione e Clarke sa che non avrebbe motivo di fornirne, ma sa anche perché sente il bisogno di farlo. Bellamy però non conosce tutta la storia. Dovrà trovarla incredibilmente strana, in quel momento, con addosso un’aria colpevole apparentemente immotivata.

“Okay.” Se è davvero così, non lo dà a vedere “È un bell’hobby.”

“Uh, sì.” Clarke si aggrappa al manico della borsa, provando a respingere il disagio. “Grazie, comunque.”

Nel frattempo, hanno raggiunto l’uscita. “Di nulla.”

*

“Visita di Mamma Natale?”

Hanno provveduto alla disamina di buona parte delle idee partorite prima di cominciare a lavorare fianco a fianco, sostituendole con compromessi che prendono il meglio di ciascuna proposta e lo conciliano con gli aspetti più vantaggiosi dell’altra.

All’inizio nessuno dei due intendeva cedere, ma, con il tempo, trovare l’incastro è diventato sempre più semplice e naturale. Ora, alla tabella unica che hanno redatto restano da compilare soltanto poche voci tra cui, appunto, Natale.

“Mi travesto e porto regali ai bambini. Così la scuola non deve ingaggiare esterni” spiega Clarke “E poi il rosso mi dona.”

“Gli anni scorsi eri l’unica candidata: andrebbe cambiato in Babbo Natale, adesso.”

“Servirebbe solo a farmi ristampare il documento rettificato dopo che avrò vinto.”

“Ti piace illuderti.”

“Non voglio darti false speranze.”

Non c’è cattiveria né astio nello scambio; è una presa in giro benevola, simile a quelle che si fanno tra amici dopo una scommessa il cui esito, in fondo, non farà poi tanta differenza.

Non è esattamente così. Clarke tiene al risultato di quella sfida; vuole vincerla. Solo che, dall’altra parte, non c’è più qualcuno che desidera a tutti i costi veder perdere.

“Una festa in maschera?” Bellamy è tornato a studiare il programma stilato da Clarke. “Questo mese?” Ora, la sua voce suona stranamente cupa. “Perché?”

“Per far divertire i bambini” risponde Clarke pratica “Sarà ospitata dalla villa di mia madre. Ci entrerebbe l’intera scuola, lì dentro; una singola classe non sarà un problema.”

Per qualche motivo, Bellamy appare perplesso. Tra tutte le iniziative, quella era decisamente l’ultima che si aspettava di vederlo contestare. “Possiamo aspettare Halloween e organizzare qualcosa qui. I bambini lo adorano e potranno travestirsi da streghe, fantasmi, mostri e---”

“Halloween è passato e quel giorno si ingurgitano già abbastanza zuccheri andando in giro a fare dolcetto o scherzetto.”

“Clarke, non c’è bisogno di questa festa. È periodo di verifiche.”

“Non ero io quella noiosa?”

“Sì, ma adesso sei quella che vuole accaparrarsi voti mettendo a disposizione la villa di famiglia.” L’accusa la colpisce come un pugno sferrato senza preavviso. È sale gettato su una ferita che lotta tutti i giorni per rimarginare. “Ci tieni tanto a sbattere in faccia a tutti che sei cresciuta come una principessa viziata?”

“Non sai niente di come sono cresciuta. Non sai niente di me.” Quando parla, la voce le trema. Detesta perdere il controllo. Detesta che il giudizio di Bellamy riesca a spingerla a tanto. “Pensa a come dev’essere cresciuta tua figlia per non sapersi nemmeno relazionare ai suoi coetanei.”

“Octavia non è mia figlia!” Bellamy ha praticamente urlato, eppure, il suo somigliava più ad un verso sofferente che ad un moto di rabbia. “È mia sorella.”

La scoperta è una specie di stilettata, e Clarke non ha idea del perché le faccia quell’effetto; non sa perché, oltre che sbigottita, si senta così profondamente infelice.

Sono stati sempre e solo genitori a seguire i figli a scuola, nella sua esperienza, ma non c’entra il fatto che sia insolito. È qualcosa che ha a che vedere con il respiro accelerato di Bellamy e con il muro impenetrabile che ha eretto tra di loro appena Clarke ha tirato in ballo Octavia; la fanno sentire sbagliata, e terribilmente in colpa.

Vorrebbe poter prendere le parole che gli ha scagliato contro e distruggerle con le sue stesse mani.

“Signori?” La testa bionda della bidella fa capolino da dietro la porta. Clarke non si era nemmeno accorta che fosse aperta. “Va tutto bene?”

“Sì” dice Bellamy freddamente. “È tutto a posto.”

Poi se ne va senza aggiungere una parola. 

*
La mattina dopo, Clarke contatta la preside per ottenere informazioni sulla famiglia Blake. Non le spetterebbe riceverle, ma una piccola bugia su presunti moduli da compilare in vista della seconda votazione basta a fargliele ottenere.

A quanto pare, la madre di Bellamy ed Octavia è morta in un incidente d’auto poco più di un anno fa. Qualche settimana dopo la tragedia, i fratelli Blake hanno lasciato la casa in cui sono cresciuti per spostarsi nell’appartamento che occupano attualmente. Clarke immagina che sia stato un modo per ripartire o, semplicemente, per mettere distanza fisica tra loro e i ricordi. Non che siano qualcosa da cui ci si possa allontanare realmente.

Del padre non si sa nulla, e nemmeno di altri parenti prossimi.

Tutto quel tempo a contatto con Bellamy e non aveva idea di quella storia.

Non sai niente di me.

Quella sera afferra il pennello con la precisa speranza che dipingere possa mettere a tacere quelle parole; è tutto il giorno che le sente risuonare nella testa in maniera incessante e, ogni singola volta, rimpiange la rabbia con cui le ha gettate fuori.

Non sembra funzionare, ma non ha altre armi con cui combattere quella battaglia.

*

Il dipinto sta venendo talmente male che Clarke deve reprimere la tentazione di stracciarlo ogni volta che si ferma per soppesare il risultato.
Se il committente si rifiutasse di pagarla, non gli darebbe torto.

L’ora è più tarda di quella che è solita fare. Ha puntato la sveglia all’alba per recuperare lo studio arretrato, ma il sonno che le pesa sulle palpebre le suggerisce che non la sentirà suonare.

Forse avrebbe ancora qualche speranza se andasse a letto adesso.

Il fatto è che, se chiudesse gli occhi, tutto ciò che vedrebbe è l’espressione ferita di Bellamy che si ripresenta ancora e ancora e ancora, come l’istantanea di una pellicola senza fine. Se si tiene sveglia ed attiva è più facile scacciarla, fingere di non avercela conficcata nel cuore come una spina.

"Clarke." Quando intercetta la piccola figura incorniciata dagli stipiti quasi sobbalza. Madi è lì, il pigiama addosso ed uno sguardo preoccupato in viso. “Va’ a letto.”

Clarke lancia uno sguardo atterrito alla tela. È orribile e, per qualche motivo, prova l’impellente bisogno di dirlo a voce alta. Sente che potrebbe scoppiare, se non lo facesse.

“Sono una persona orribile.”

L’espressione di Madi si addolcisce di colpo. Clarke le ha raccontato quello che è successo con Bellamy. Quando è tornata a casa non le è riuscito di fingersi allegra come si impone di fare quando l’assillano il pensiero delle spese o quello della laurea; avrebbe potuto inventarsi una bugia, ma, una volta tanto, ha voluto dismettere i panni della persona forte che finge costantemente di essere. Per quanto sia convinta di saperli indossare, la verità è che certe volte diventano davvero troppo stretti per tenerseli addosso.

Anche Madi si è rivelata essere all’oscuro di tutto: Octavia non ha mai svelato nulla del suo passato a lei né, presumibilmente, a nessun altro.

“No.” Dopo averla raggiunta, Madi le fa segno di chinarsi; quando la guancia di Clarke è alla sua portata, ci stampa sopra un bacio. “Non lo sei.”

Se è Madi a dirglielo, riesce quasi a crederci.

*

Clarke pigia il campanello e aspetta, nervosa. Dall’interno dell’appartamento proviene un silenzio piatto davanti al quale si convince che nessuno verrà ad aprirle.

Il timore si rivela infondato.

“Ciao.” Dalla soglia, Octavia si limita a fissarla con due occhi enormi. Il suo sguardo è intimidatorio come quello di una bambina di dieci anni non dovrebbe nemmeno poter essere. “Posso parlare con tuo---?”

Clarke si interrompe quando ode la voce di Bellamy risuonare in un punto imprecisato della casa, sovrapponendosi alla sua.
“O.? Con chi stai---?”

Un attimo, e la sua figura si materializza dietro quella della sorella.

Bellamy lancia a Clarke un’occhiata severa prima di invitare Octavia ad indietreggiare con un tocco gentile all’altezza della spalla. “Va’ a giocare.” le dice, poi si rivolge a lei. “Entra.”

Octavia si dilegua senza proferire parola e Clarke segue Bellamy nella direzione opposta. Viene condotta in uno spazio piccolo e accogliente che, a giudicare dal mobilio, fa da salotto e da cucina assieme. Non è ordinato in maniera maniacale come ogni angolo di casa sua, ma nemmeno è in subbuglio; ha una specie di equilibrio tutto suo retto dai quadri appesi alle pareti e dal grande tappeto colorato abbinato alla stoffa del sofà.
Accanto al piccolo divano ricoperto di cuscini c’è un tavolino basso su cui sono poggiati un libro di mitologia per bambini e dei disegni. Quello in cima alla pila ritrae una sagoma stilizzata che Clarke identifica come un’antica guerriera; la mano inesperta di Octavia ha abbozzato tratti piuttosto approssimativi, ma la scimitarra ed il trucco attorno agli occhi sono indizi sufficientemente eloquenti. 

“Cosa? Vuoi chiamare gli assistenti sociali?”

Clarke impiega qualche istante a capire che la domanda allude all’insistenza con cui si sta guardando intorno.

In realtà, pensava semplicemente che quella casa è più calda di quanto quella in cui vive potrà mai essere. Ha sempre voluto appendere dipinti fatti da lei alle pareti, ma non l’ha mai fatto, pensando che non avrebbe contribuito a toglierle l’arte della testa. Suonerebbe stupida come spiegazione, così si limita a dire: “Non lo farei mai.”

Qualcosa nel suo tono deve renderla convincente, perché la durezza scivola via dal viso di Bellamy e viene sostituita da una specie di mesta rassegnazione. “Perché sei qui, Clarke? Per averla vinta?”

“Per chiederti scusa.” A quelle parole, un lampo di sorpresa gli balena nello sguardo. “Non avrei dovuto dirti quelle cose. Non so praticamente niente di te. Credevo che Octavia fosse tua figlia.”

Svanito lo stupore, Bellamy torna ad assumere un’espressione impassibile; Clarke non sa se tra quello che ha da dirgli ci sarà qualcosa capace di scalfirla, ma sa che non se ne andrà senza aver buttato tutto fuori.

“Se ci tenevo tanto a quella festa è perché…pensavo che ai bambini potesse piacere. Loro ti adorano e adorano le tue idee, mentre le mie sembrano tutte così…noiose.”

Sono noiose.” Sorprendentemente, Bellamy non suona pungente né accusatorio. “Ma questa non lo era.” Tutt’a un tratto appare completamente diverso da qualsiasi versione di se stesso che Clarke abbia sperimentato finora.

Quando lo vede inspirare a fondo, sa già quale argomento sta per tirare fuori.

“Poco più di un anno fa, Octavia venne invitata ad una festa in maschera. Non voleva andarci. Io insistetti. Passava tutto il tempo da sola o con me; volevo che si facesse degli amici. Fu nostra madre ad accompagnarla. Sulla strada del ritorno fece un incidente: è morta sul colpo.” Una pausa, un respiro strozzato “Volevo aiutarla e ho ottenuto soltanto che si chiudesse ancora di più per via del lutto.”

“Non è colpa tua.”

“Lo è, invece: mia sorella, la mia responsabilità.” Lo dice con una solennità tale che Clarke non ha il coraggio di smentirlo. “Ho pensato che fare il rappresentante di classe fosse un modo per prender parte più attivamente alla sua vita. Non mi racconta nulla a meno che non sia io a chiedere.”

“A volte Madi non risponde nemmeno se interrogata.”

A quelle parole, i tratti del viso di Bellamy si distendono. È solo un attimo, però, prima che la sua espressione torni a rabbuiarsi. È allora che Clarke si decide a parlare; sarà un tuffo nel vuoto, ma li avvicinerà più di quanto riuscirebbe a fare qualsiasi parola di conforto.

La prospettiva la spaventa infinitamente meno di quanto si sarebbe aspettata – meno di quanto dovrebbe. Si tratta di mettersi a nudo, di mostrarsi debole e vulnerabile anziché perfetta ed invincibile. Credeva fosse qualcosa di cui avere paura, invece, ora che è sul punto di compiere quel passo, si rende conto che è qualcosa di cui ha bisogno. Con Bellamy, è anche qualcosa che sente di potersi concedere.

Ammettere di starlo facendo anche per se stessa, però, rischierebbe di farla chiudere a riccio; così, per essere sicura di andare fino in fondo, seppellisce la consapevolezza e si dice che è soltanto una questione di colpe da espiare.

“Dipingere non è un hobby: è un lavoro. O, almeno, vorrei che lo fosse: il lavoro dovrebbe procurarti di che vivere, e l’arte non lo fa. I soldi che guadagno con le commissioni non bastano. Dipingo prevalentemente di notte per risparmiare tempo; le tele ne richiedono molto. Durante il giorno studio e mi occupo di Madi. Non l’ho adottata per farla stare da sola o smollarla ad una baby sitter. Mia madre è una chirurga e ha una clinica tutta sua dove si aspetta che un giorno vada a lavorare. Sono iscritta a medicina da anni e ho dato solo qualche esame; sono andata in Argentina perché volevo prendermi una pausa e da quando sono tornata mi sono completamente bloccata. So che dovrei laurearmi e seguire le orme di mia madre e lasciar perdere la pittura, ma---”

“Perché dovresti?”

Perché è quello che gli altri si aspettano da lei; perché quella di medico è la carriera brillante che le ragazze di buona famiglia intraprendono; per non deludere sua madre; perché uno stipendio da dottore le permetterebbe di mandare Madi ad un’università prestigiosa senza dover chiedere soldi in prestito.

Sono le motivazioni che si è sempre data, eppure, improvvisamente, non le appaiono più così valide. “Non lo so" ammette. "Per essere perfetta come dovrei essere, suppongo.”

“Clarke” dice Bellamy; in qualche modo, suona come un rimprovero e una carezza insieme. “Sei in gamba, e intelligente; sei stata in Sud America a fare volontariato ad un’età in cui i ragazzi sanno a stento allacciarsi le scarpe; stai mantenendo una casa da sola e facendo da mamma ad una ragazzina. Sei già perfetta.” Clarke avverte un pizzicore formicolarle lungo le guance, e un calore proveniente dall’interno. “E sarai perfetta anche come rappresentante.”

“Cosa?”

“Fidati: è giusto che sia tu a farlo.”

“No!” Clarke mette un po’ troppa veemenza nell’esclamazione, ma non le importa. “Bellamy, non posso farcela ad occuparmi di tutto; mi serve una mano. Inoltre, i bambini amano le tue idee; posso mettere le mie doti organizzative al loro servizio, ma non potrò mai averle al posto tuo. Vuoi condannarli ad una vita di visite a musei di arte contemporanea totalmente inadatte alla loro età?”

Bellamy risponde con un sorriso minuscolo che, agli occhi di Clarke, appare enorme. “Decisamente no.”

“L’unico modo in cui possiamo farlo funzionare è insieme.”

Bellamy la guarda, soppesando le sue parole. D’un tratto, la sua espressione diventa sgombra da qualsiasi dubbio. “Insieme” ripete, deciso.

Questa volta, è Clarke a sorridergli

*

Clarke tiene il cellulare in equilibrio nell’incavo della spalla, le mani occupate a tirar fuori dal frigorifero gli ingredienti per la cena. “Sei avvertito: anche gli adulti saranno ammessi soltanto in costume.”

“Clarke---”

“Niente Clarke. Chi si presenta in borghese resta fuori la porta.”

“Io e Octavia non ci saremo.”

Una fitta di delusione la attraversa da capo a piedi. “Perché?” chiede, smettendo di trafficare con cibo e stoviglie.

“Lei--- non se la sente, credo.” La voce di Bellamy è tutta colpa e sconforto. “Non posso insistere, Clarke.”

“No.” La sua mente lavora ad una tale velocità che le pare quasi di sentire lo stridore degli ingranaggi che collidono l’uno contro l’altro. “Non puoi” conviene “Ma io sì.”

*

Clarke spinge la porta socchiusa e si affaccia nella piccola stanza. Ci sono disegni attaccati alle pareti, e fotografie. La prima in cui il suo sguardo incappa ritrae un ragazzino pieno di ricci con una bambina in spalla. Mentre guarda Octavia sorridere attraverso il rettangolo di carta, Clarke realizza di non averglielo mai visto fare da quando l’ha conosciuta.

“Posso entrare?”

Octavia non le dà il permesso, ma nemmeno glielo nega; così, Clarke si arrischia a prenderselo da sola. Avanza fino alla parete contro cui Octavia è addossata, il foglio stretto tra le mani posizionato in maniera che la visione del disegno le sia preclusa.

Una volta raggiuntala, glielo porge.

Octavia lo afferra dopo qualche istante di riluttanza.

Il disegno raffigura una guerriera ispirata a quella ritratta da lei; la scimitarra brandita nell’aria, i capelli intrecciati a formare un’intricata acconciatura, le vesti in pelle strette addosso a mo’ di armatura. “Puoi travestirti così, se vuoi.” L’invito accende negli occhi di Octavia una scintilla di interesse; Clarke la vede, e piazza l’affondo. “Madi può aiutarti con il trucco e i capelli. Che ne dici?”

Il silenzio di Octavia, questa volta, è un inconfondibile assenso.

*

Bellamy ed Octavia arrivano in anticipo, in modo che le bambine abbiano tutto il tempo di completare il travestimento. Clarke ha equipaggiato Madi con forcine ed ombretto nero e le ha intimato di non esagerare con le quantità; Madi ha annuito angelicamente, ma Clarke è sicura che si divertirà un mondo ad impiastrare il viso di Octavia a suon di make-up.

Poco male; potrebbe rivelarsi una buona occasione per legare e se c’è una cosa che desidera è che Octavia trovi un’amica. Lo spera per lei, e anche per Bellamy.

Senza perdersi in preamboli o chiacchiere, Madi prende Octavia per mano e la trascina all’interno. Clarke e Bellamy restano soli, la villa che si staglia maestosa alle loro spalle.

“Hai un costume da---”

Bellamy abbassa lo sguardo ad abbracciare la sua stessa figura “---idraulico” dice al suo posto “E tu---”

“Principessa” lo anticipa Clarke, un sospiro nella sua voce. Nell’esatto momento in cui ha visto la propria immagine riflessa allo specchio, ha saputo che Bellamy non gliel’avrebbe fatta passare liscia. “Sì, lo so: sono---”

“---bellissima.”

L’istante che impiega a tirar fuori la voce le appare eterno. “Grazie” riesce a dire alla fine. “Anche tu non sei male. Gina ed Echo ti adoreranno.”
“Perché dovrei piacergli tanto?”

“Beh, perché---”

Clarke realizza spaventosamente in ritardo che mettersi a parlare con Bellamy delle fantasie erotiche che quella mise potrebbe suscitare (alle altre, eh, non a lei) è l’ultima cosa che desidera al mondo.

“Lascia perdere.”

Si avvia verso l’ingresso della villa prima che Bellamy possa porle ulteriori domande.

*

Clarke si addentra nella stanza degli ospiti a passo felpato; alle sue spalle, Bellamy sta attento a spostarsi altrettanto silenziosamente. “Qui” bisbiglia, accucciandosi dietro ad un mobile basso.

I bambini hanno insistito affinché giocassero a nascondino insieme a loro; Clarke ha acconsentito, riconoscendolo come un onere a cui i futuri rappresentanti non possono sottrarsi.

Così, mentre Madi ed Octavia si coprivano gli occhi con le mani contando a voce alta e gli altri si sparpagliavano in tutte le direzioni, Clarke ha preso Bellamy per un braccio ed è sgattaiolata fin lì. Oltre ad essere la più defilata del piano, la stanza degli ospiti è anche quella in cui Madi non ha mai messo piede in occasione delle visite ad Abby. Chiunque sarebbe portato a perlustrare le camere che conosce per prime, pertanto, la scelta ha un vantaggio assicurato.

Clarke e Bellamy si schiacciano contro il muro in modo che l’imposta di mogano li copra interamente. Stanno decisamente stretti, ma l’armadio non può essere usato come tana poiché incassato alla parete laterale e infilarsi sotto al letto con tutta quella stoffa addosso è fuori discussione.

“Il tuo geniale nascondiglio non servirà a nulla se gli basterà affacciarsi per vedere l’orlo della tua gonna.”

“Aiutami a tirarla indietro.”

Bellamy lo fa, accatastando il tessuto in un angolo. “Invecchieremo mentre controllano tutte le stanze” commenta sottovoce “C’è tutto lo spazio che serve per tre persone.”

Clarke non fatica a cogliere l’allusione nascosta nelle sue parole. “Mia madre ha insistito perché stessimo qui, ma io volevo occuparmi di Madi da sola” spiega “Sono stata io a volerla portare negli Stati Uniti; crescerla era…una cosa mia. Il compromesso è stato che io le lasciassi comprare un appartamento e che, da quel momento, lei mi permettesse di cavarmela da sola. Non è andata esattamente così: l’arte non ti consente di mantenerti.”

“Ma ti rende felice.”

“Sì” conferma Clarke, perché è semplicemente la verità. Le ore che passa in compagnia del pennello sono le migliori della giornata anche se le affronta con tutto quel sonno in corpo. Al pari di quelle che condivide con Madi, naturalmente. “Mi rende felice.”

Così dicendo, si volta verso Bellamy. Si aspetta di incontrare il suo profilo e, invece, finisce con gli occhi dentro a quelli di lui. È stato un gesto istintivo, ma non immotivato; in un modo che non riesce a spiegarsi del tutto, Bellamy la riporta al concetto di felicità.

La realizzazione la sorprende, ma, stranamente, non la manda in tilt; forse è lo sguardo che Bellamy le tiene puntato addosso ad anestetizzare qualsiasi tipo di reazione.

“Allora dedicatici. A che servono i soldi se non sei felice?”

Tutt’a un tratto qualcosa cambia, come se si fosse verificato un improvviso spostamento d’aria. Clarke è convinta che nessuno dei due si sia mosso, eppure, adesso Bellamy è incredibilmente vicino, troppo vicino, e la sua bocca è tutto ciò che Clarke riesce a vedere. Poggiarci sopra la propria le sembra un’idea terribile, ma anche allettante.

No, più che allettante: meravigliosa. La migliore che abbia avuto in vita sua. Il respiro caldo che le soffia sul viso non fa altro che aumentare quella convinzione.

In un angolo remoto della sua coscienza Clarke sa che è sbagliato e irrazionale, ma…non le importa. Vuole soltanto sporgersi quel tanto che basta per---

“Trovati!”

Bellamy arretra così velocemente che quasi inciampa nella stoffa del vestito di Clarke. Lei scatta in piedi in maniera altrettanto repentina. “Ma che brave!” esclama, con un sorriso forzato, e finge di non vedere la consapevolezza incisa sul viso di Madi. “Su, torniamo di là. Tocca a noi andare sotto.”

*

Il silenzio che riempie l’abitacolo è ingombrante e terribilmente scomodo. Quando Madi parla, però, Clarke lo rivaluta come qualcosa di estremamente confortevole.

“Stavate per baciarvi.”

“Cosa?!” La voce le esce stridula come può esser resa soltanto da una bugia. “Non stavamo per---”

“Clarke, è solo un bacio. Non vi abbiamo beccati a fare se--- ehi, attenta!”

Un’automobile le sorpassa lanciando bussate forsennate di clacson.

Se ha sbandato, non è assolutamente per le immagini che il suo cervello ha prodotto.

Affatto.

Neanche per sogno.

“State insieme? Perché non me lo hai detto?”

“Madi, l’unico modo in cui potremmo avere una conversazione del genere è a ruoli invertiti.”

“Ti piace?”

Clarke stringe la presa attorno al volante, soppesando la domanda. Le piace che Bellamy sia così in gamba con i bambini; che la incoraggi ad essere ciò che vuole e non che dovrebbe essere; che la guardi quando è convinto che lei non se ne renda conto.

Le piacciono tutte queste cose, ma---

“Okay, ti piace.”

“Non l’ho detto.”

“Appunto. Da oggi non hai più il permesso di arrabbiarti quando sono io che non dico le cose a te.”

Clarke ingoia un sospiro, riprendendo a guidare con maggior tranquillità. “Non lo so. Credo che mi faccia paura pensarci.”

“Non ci pensare, allora.”

Sembra una soluzione semplicissima, in effetti; peccato che Clarke non abbia mai imparato ad impedirselo.

*

La proposta di ricoprire il ruolo in combo viene accettata dalla signorina Hogart ed è prontamente avallata dalla preside. Evidentemente, i risultati che hanno ottenuto nelle ultime settimane non hanno convinto soltanto loro due che cooperare sia la scelta migliore per la classe.

In luogo della seconda votazione, ci saranno semplicemente due firme da apporre per ufficializzare l’elezione; la mattina dopo la festa è quella in cui è previsto che vengano messe.

Quando Clarke arriva, Bellamy è davanti all’entrata dell’istituto; non può sapere da quanto, ma ha la netta sensazione che l’abbia aspettata per recarsi con lei in presidenza.

“Spero che Octavia si sia divertita.”

“Lo ha fatto” dice lui; poi, dopo una piccola pausa “Grazie. Per aver insistito.”

Il silenzio che cala è fatto di qualcosa di completamente nuovo, qualcosa di diverso dalla tensione che scoppiettava nell’aria quando erano rivali e dalla complicità a cui sono giunti con il tempo.

Di qualunque cosa si tratti, Clarke non è sicura di saperlo gestire.

“Ho detto a mia madre che lascerò l’università. Ho già scaricato i moduli per la rinuncia” dice di getto “Come artista non guadagnerò mai quello che avrei guadagnato come medico, ma farò in modo che sia abbastanza. Aprirò una pagina Facebook, magari, proverò ad intrufolarmi in qualche mostra e---”

“Ce la farai.” Bellamy è tranquillo, e sicuro; per un momento, riesce a convincerla che potrebbe sollevare il mondo con un dito. Clarke si ripromette che farà tesoro di quella sensazione; se ne ricorderà quando riceverà porte sbattute in faccia, quando l’indigenza la farà dubitare di aver fatto la scelta giusta. “Ne sono certo.”

Adesso, la voglia di baciarlo è così forte da tramutarsi in un dolore quasi fisico; il pensiero di quel che accadrebbe se cedesse, però, basta ad immobilizzarla sul posto.

Non ci pensare, le suggerisce la voce di Madi.

Così, semplicemente, la ascolta. Azzera la distanza che la divide da Bellamy con un unico passo e si solleva sulle punte quel tanto che basta a portarsi alla sua altezza. All’inizio si limita a premere con forza la bocca contro la sua, le palpebre serrate come se precludersi la visione di quello che sta facendo lo rendesse meno reale. Soltanto quando avverte la morbidezza dei capelli tra le dita realizza di aver artigliato la nuca di Bellamy, per tirarlo più vicino e spingerlo ad inclinare la testa alla ricerca di un’angolazione migliore.

Bellamy la asseconda, i palmi premuti contro i suoi fianchi, e le dà libero accesso alla sua bocca.

Clarke si sente catapultata al centro esatto dell’universo; è come se non fosse affatto davanti la scuola di sua figlia, con il rischio di esser vista da lei o da chiunque varchi il portone d’ingresso, ma in un luogo privo di coordinate dove esistono soltanto lei e Bellamy.

Poi, il suo cervello si riaccende di colpo e si ritrova di nuovo con i piedi ben piantati sulla Terra. Quando succede arretra con un balzo e preme le mani contro la bocca, gli occhi sbarrati ed un treno di emozioni che la investe a tutta velocità: panico; vergogna; terrore. Rimorso, quello no, ma è sicura che subentrerà appena Bellamy aprirà bocca.

“Oddio scusascusascusa, non so cosa mi sia preso, giuro che---”

“---non volevi?”

Clarke è troppo presa dalla frenesia di giustificarsi per accorgersi del modo sospetto in cui la bocca di Bellamy si contorce. “Beh, sì, volevo, ma---”

La risata fragorosa in cui scoppia la coglie totalmente alla sprovvista.

“Ehi, che cos’hai da ridere?” domanda piccata “Mi stai prendendo in giro, Blake?”

Bellamy scuote appena la testa, il riso che si scioglie in una specie di tenerezza. Clarke vorrebbe essere realmente arrabbiata, ma la verità è che la piega morbida del sorriso che Bellamy le indirizza le fa venire voglia di baciarlo di nuovo.

Questa volta, però, è lui a cercare la sua bocca.
























Note
1 Corrispettivo argentino delle favelas

 
  
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