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Autore: Love Your Sin    25/07/2018    1 recensioni
[Non ci sono tante cose che Alec ama quanto le stelle. Di notte gli piace sedere sul balcone e guardare l'angosciante drappo di oscurità che copre il cielo e il bagliore argentato della luna, circondato dalle costellazioni di stelle che conosce a memoria.
Questa è una notte speciale per lui e suo figlio. È l'unica notte dell'anno in cui Alec permette a Max di stare sveglio fino a mezzanotte, per vedere le meteore Perseidi piovere tutte insieme sul tetto della loro palazzina.
Alec non si aspettava di scoprire che non fossero stati gli unici ad avere quell'idea.]
Magnus/Alec
Parents!AU
Neighbors!AU
Conteggio: 4.4k
!!TRADUZIONE!!
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Nuovo personaggio
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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[Sono tornata con una nuova traduzione! E: Malec is back!
Devo ammettere che questi due mi erano mancati. 

Ho ottenuto dall'autrice il consenso per tradurre questa one shot quasi un anno fa (già...), ma tra vacanze al mare, inizio dell'ultimo anno di liceo e maturità non sono mai riuscita a concluderla (shame on me!). Pochi giorni fa mi sono costretta a riprenderla in mano e metterci un punto, perchè questa fanfiction è meravigliosa e quindi sì.

Come al solito, io mi prendo il merito soltanto per la traduzione, ci tengo a specificarlo.

Trovate il link della fanfiction originale qua.
L'autrice è Lecrit su AO3, che potete trovare qui.
Il consenso per la traduzione invece lo trovate qua.]


 



but some of us are looking at the stars


Non ci sono tante cose che Alec ama quanto le stelle.

Di notte gli piace sedere sul balcone e guardare l’angosciante drappo di oscurità che copre il cielo e il bagliore argentato della luna, circondato dalle costellazioni di stelle che conosce a memoria. 

Quando era più piccolo, solitamente si sedeva sul tetto della casa con Jace e Isabelle a tarda notte  quando i loro genitori dormivano e non potevano urlare loro addosso quanto pericoloso fosse  e le fissavano fino a quando gli occhi non erano troppo stanchi. Alec era sempre l’ultimo a scendere dal tetto, troppo ipnotizzato dall’eterea bellezza dell’immensità che vegliava su di loro per potersi sentire esausto, sia nel corpo che nella mente.
 
«Papà! Ce lo perderemo!»

Alec soffoca una risata, incapace di trattenere un sorriso che si allarga sulla bocca, gli angoli rivolti verso l’alto.

È grato che Max sia tanto appassionato quanto lo è lui. Ha iniziato a raccontargli delle stelle quando era solo un neonato e Alec lo aveva appena adottato. Nonostante gli avvertimenti scherzosi di Jace («Lo renderai un astronomo nerd come te, ce ne basta uno in famiglia»), Max aveva imparato ad amare le stelle proprio come Alec: osservando il cielo una volta scesa la notte e lasciandosi sopraffare dalla sua assoluta bellezza.

È una notte speciale per entrambi, questa. È l’unica notte dell’anno in cui Alec permette a Max di stare sveglio fino a mezzanotte, per vedere le meteore Perseidi piovere tutte insieme sul tetto della loro palazzina.

È molto più tardi rispetto al normale orario in cui va a dormire, ma Max non mostra il minimo segno di stanchezza, mentre saltella eccitato nel corridoio, aspettando che Alec finisca di sistemare alcuni snack e il nuovo telescopio che hanno comprato per l’occasione, quello precedente, tanto amato, ormai fin troppo antiquato.

«Papà» lo chiama di nuovo Max, trascinando le vocali in un piagnucolio impaziente e drammatico.

«Arrivo, arrivo» risponde, gettandosi lo zaino sulle spalle e prendendo le chiavi dal bancone della cucina. «Non ce lo perderemo, scimmietta. Non comincerà prima di un’ora.»

«Ma sei così lento» si lamenta Max. 

Alec ruota gli occhi al cielo, più divertito che altro. Dovrebbe fare quattro chiacchiere con Jace per dirgli di essere un pochino meno drammatico di fronte a Max, quando gli fa da babysitter. 

Ha a malapena il tempo di entrare in corridoio, prima che Max cominci a spingere la porta per aprirla, o almeno a provarci, ma è troppo pesante e deve spingersi contro di essa con tutto il suo peso per farla muovere abbastanza velocemente, grugnendo nel tentativo.

Alec sbuffa una risata e si avvicina per aiutarlo, guadagnandosi un’occhiata trionfante dal figlio, non appena comincia a credere di aver improvvisamente ottenuto una forza sovrannaturale. 

Non appena Alec ha chiuso la porta a chiave dietro di loro, Max comincia a correre su per le scale, esortandolo a muoversi più velocemente, ed Alec esegue, il sorriso che si allarga sempre di più, fino a sentire gli occhi piegarsi dolorosamente agli angoli, ogni volta che la sottile ma entusiasta voce di Max gli ripete quanto è eccitato.

Alec non ammetterebbe mai con i suoi fratelli che ha scelto di vivere a Brooklyn perché il cielo è più chiaro che a Manhattan e perché quell’edificio in particolare volteggia sopra tutti gli altri, rendendogli più semplice coltivare quella passione d’infanzia e condividerla con il figlio. Non lo ammetterebbe mai, ma lo sanno entrambi  Jace lo ha preso in giro abbastanza volte per renderlo piuttosto chiaro.

Il tetto è il posto perfetto per osservare le stelle, la ruvidità del cemento levigata dalle piante che lo circondano, creando così un tranquillo paradiso di pace, che è fin troppo raro trovare nella frenesia di New York. Quando gli manca l’ispirazione per uno dei suoi quadri, ad Alec piace salire quassù e guardare la città aprirsi ai suoi piedi. L’ispirazione è in ogni angolo, nell’orizzonte disegnato sotto il Brooklyn Bridge, nel parco all’angolo dove Max ha mosso i suoi primi passi, nel fiume Hudson che scorre attraverso la città, imperturbabile.

Quando apre la porta, Max che la attraversa di corsa, è troppo affascinato dalla notte stellata per notare che Max non sta correndo verso il loro solito punto di appostamento.

«Max!» grida allegramente una voce piena di giovanile innocenza. 

Alec si spaventa, preso alla sprovvista, sbattendo le palpebre stupito per vedere il figlio correre verso un altro bambino dagli scompigliati capelli color ebano e la pelle mulatta, un largo sorriso in volto. Ancora più sorprendente è il sorriso raggiante di Max, quando raggiunge il bambino e lo tira in uno stretto e vigoroso abbraccio.

«Raf!» grida in risposta, anche se urlare non è affatto necessario.

Le sopracciglia corrugate per la sorpresa, Alec si avvicina lentamente, solo per congelarsi completamente sul posto quando realizza chi sia il bambino e, più precisamente, chi sia l’uomo seduto a terra, stretto nella coperta che il bimbo ha lasciato per salutare Max. 

Dopotutto forse urlare è necessario.

Alec non sa tanto dell’uomo, se non che il suo cognome è Bane  non che lo abbia controllato sulla cassetta della posta  e che ha il sorriso più mozzafiato che abbia mai visto. È sempre vestito in modo impeccabile, dagli stivali di pelle alla punta dei capelli  tinti di un rosso acceso quella sera.

Si incontrano quasi tutte le mattine all’ingresso, solitamente dopo che Alec ha lasciato Max a scuola e torna a casa per lavorare e Bane sta lasciando la palazzina  presumibilmente per andare a lavoro, qualsiasi lavoro facciano le persone stupende come lui per mantenersi. Si scambiano un sorriso e un saluto e a volte Bane lo lascia con un occhiolino ammiccante e un complimento. Quella volta che ha commentato la capigliatura mattutina di Alec, la bocca curvata in un sorriso allusivo, è riuscito a farlo arrossire per almeno un’ora. 

L’ispirazione non lo abbandona mai in quelle particolari mattine.

In qualche modo si sente confortato dal fatto che Bane sembri altrettanto sorpreso dell’entusiasmo dei due bambini.

«Voi due vi conoscete?» chiede, e Alec si era dimenticato della sua voce, sottile e chiara come un fiume di montagna, ma abbastanza vellutata da portarlo a chiedersi cosa vi sia nascosto sotto.

«È il mio migliore amico!» risponde Raf.

Max annuisce freneticamente, afferrando la mano di Alec per trascinarlo più vicino.«Papà! Questo è Raf!» esclama, gli occhi brillanti di una pura ed evidente scintilla, e il cuore di Alec comincia a palpitargli nel petto. «Il mio migliore amico che vive sulla scala antincendio!»

Alec si acciglia, ma è subito confortato dalla risatina di Raf. «Non vivo sulla scala antincendio» lo corregge, ridendo ancora di più.

Oh. Ha senso.

Alec ha notato che Max aveva cominciato a passare sempre più tempo sulla scala antincendio e quelle poche volte che era andato a controllarlo e ad assicurarsi che non facesse niente di spericolato, lo aveva trovato con il collo piegato in una posizione poco confortevole, mentre parlava e rideva, e aveva immaginato si trattasse di un altro bambino. Solo non sapeva il figlio di chi.

«Sei qui anche tu per guardare le stelle?» chiede Max con entusiasmo, oscillando sulle punta dei piedi, e Alec sa che si sta trattenendo con tutto se stesso per non cominciare a saltare su e giù.

Raf annuisce in risposta con altrettanto entusiasmo. «Il mio papà ha detto che potevo stare sveglio per guardare la pioggia di meteoriti!»

«Anche il mio!» esclama Max. All’improvviso sembra realizzare che Raf non è da solo, perché si volta verso il vicino. «Ciao signor Bane! Sono Max Lightwood e questo è il mio papà» dice, tirando la mano di Alec per enfatizzare le parole, come se ci fossero dubbi su chi si riferisse. 

«Ciao Max» risponde il Vicino Sexy con un piccolo sorriso. Le labbra si sollevano verso l’alto quando alza lo sguardo verso Alec. «Ciao vicino. Non credo ci abbiano presentati [ndt. “I don’t think we’ve been formally introduced.”  colpo al cuore]. Sono Magnus, il padre di Rafael. È un piacere conoscervi.»

Alec si riscuote dallo stupore per stringergli la mano. «Anche per me.»

Max al suo fianco sorride, coprendo la bocca con una mano nel vano tentativo di nasconderlo.

Alec arrossisce, schiarendosi la voce. «Voglio dire, piacere mio. Sono, sono Alec.»

«Il mio papà sa tutto delle stelle» dice Max eccitato a Raf. «E ha anche quel coso che serve per guardarle meglio, come lo zoom di una macchina fotografica che non scatta foto.»

«Si chiama telescopio, scimmietta» ride Alec, scompigliando i capelli del figlio e ignorando il suo gemito di protesta.

Si toglie lo zaino dalle spalle e lo appoggia delicatamente a terra, prendendo con attenzione il telescopio. Si siede nel mezzo del tetto e sistema il treppiede di modo che sia basso abbastanza per Max e Rafael. Segue gli assi per trovare un buon punto, dove Venere brilla luminoso tra le altre stelle, per poi fissare il telescopio.

Quando si gira di nuovo verso i bambini, gli occhi di Rafael, ricchi di evidente interesse, sono spalancati.

Alec gli regalo un piccolo sorriso incoraggiante. «Vuoi provare?» gli chiede gentilmente, indicando il telescopio.

Rafael annuisce impazientemente, voltandosi verso il padre per chiedere il permesso, gli occhi blu notte aperti e supplicanti. Il sorriso che Magnus gli dona in risposta è pura tenerezza e fa attorcigliare tiepidamente lo stomaco di Alec.

«Fa pure, tesoro» dice e Raf corre da Alec, con Max alle calcagna. 

Alec controlla un’ultima volta le lenti prima di spostarsi, facendo segno a Rafael di prendere il suo posto. Il bambino esita un momento, ma alla fine si alza sulle punte per allineare occhi e lenti, il naso spiaccicato adorabilmente contro il metallo.

«Wow» sussurra senza fiato.

«Quello più grande al centro è Venere» gli dice.

«Venere è la seconda cosa più luminosa nel cielo dopo la Luna» recita Max inorgoglito, desideroso di condividere la sua conoscenza con il suo migliore amico della scala antincendio. «È chiamato anche stella del mattino.»

Alec non riesce a trattenere un sorriso sghembo, riempito d’orgoglio fino al punto di luccicare. 

«Papà! Papà!» esclama Max. «Posso fargli vedere la Luna? Posso? Posso?»

Magnus ride, ancora seduto a terra, e Alec si gira verso di lui con un sorriso, scuotendo le spalle in risposta. 

«Sì, ma conosci le regole» dice, tornando a concentrarsi sul figlio.

Max annuisce, le sopracciglia corrugate in un’espressione che mostra tutta la sua serietà. «Starò attento» promette.

Quando Alec non si allontana, Max alza gli occhi al cielo in modo drammatico e lo prende per mano, spingendolo verso Magnus senza cerimonie. 

«Non ho più due anni, papà!» esclama e sì, Alec deve definitivamente dire a Jace di smetterla di insegnare la sfacciataggine a suo figlio di cinque anni. «Tu puoi preparare gli snack e parlare con il signor Bane, così io posso andare a giocare veramente con Rafael e tu non potrai dire di non conoscere i suoi genitori.»

Alec apre la bocca per rispondere, ma non ne esce niente, gli occhi che si spalancano al tono esigente del figlio. Magnus sbuffa una risata e Alec si volta verso di lui, per lanciargli uno sguardo di assoluto tradimento e incredulità, ma la vista del vicino che nasconde una risatina con la mano, proprio come ha fatto suo figlio poco prima, lo fa scoppiare a ridere a sua volta e alzare gli occhi alle bizzarrie di Max. 

«Condividerò la mia coperta con te se tu condividerai con me qualsiasi cosa abbia questo buon profumo nel tuo zaino, signor Capelli da Appena Sveglio» gli offre Magnus con un sorrisino ammiccante.

Alec si sforza di non arrossire a quel nomignolo ridicolo. I suoi capelli non sono così malaccio.

Non risponde subito, incantato dal modo in cui la luce della luna illumina il volto del suo vicino, facendo luccicare il glitter nei capelli e l’ombretto rosa sulle palpebre. 

«Muffin» riesce a dire alla fine, afferrando lo zaino per prendere il contenitore di plastica. «Li abbiamo fatti io e Max prima di uscire. Sono ancora caldi.»

Magnus gli sorride, sollevando le sopracciglia quando alza un braccio per indicare ad Alec lo spazio vuoto al suo fianco e Alec si avvicina prima che la sua mente trovi una ragione per cui non dovrebbe farlo, come ad esempio il fatto che non abbia per niente freddo. Si siede goffamente, stringendosi nella coperta.
 
«Grazie» sussurra. 

«Grazie a te» risponde Magnus, rubando un muffin e morsicandolo impazientemente, un bagliore malizioso a tremolargli negli occhi.

Alec ride e la tensione gli abbandona tutto d’un tratto le spalle, anche se si trattiene nel resto del corpo, in ogni centimetro del profilo destro che sfrega contro Magnus e il suo calore contagioso sotto la coperta. 

Per un attimo il silenzio li avvolge con la stessa piacevolezza della coperta, mentre guardano i figli osservare meravigliati le stelle dal telescopio, Max che condivide tutto quello che sa sui corpi celesti sopra di loro con l’amico, Raf che ascolta con attenzione, lo sguardo che si sposta incantato da Max al telescopio.

«Quindi» mormora Alec. «I nostri figli sono amici?»

Magnus ride, un suono chiaro e luminoso, gli occhi che brillano quando li posa su Alec. «Raf ha parlato senza sosta di Max per mesi, pensavo fosse un amico immaginario.»

Alec non può fare a meno di ridere con lui. «Mi chiedevo perché Max passasse così tanto tempo su quella scala antincendio, credevo che fosse così stanco di stare con il suo vecchietto che voleva letteralmente cercare di scappare. [ndt. In inglese è un gioco di parole: “I was wondering why Max was spending so much time on the fire escape, I thought he was so bored of spending time with his old dad he was literally trying to escape.”]»

«Effettivamente sembra avere una propensione per la drammaticità» fa notare Magnus con un sorriso. «E so di cosa parlo, sono un esperto.»

«È colpa di mio fratello» sospira Alec, ma l’affetto nella sua voce contraddice la sua apparente irritazione. «Ed è ancora peggio con Izzy. Passa un’ora con lui e improvvisamente vuole prendere lezioni di ballo liscio, comprare un cagnolino e salvare il mondo in un solo pomeriggio.»

«Izzy?» ripete Magnus. «Sarebbe la signora Capelli da Appena Sveglia?»

Alec si dice che l’interesse genuino che traspare dal suo tono e che può leggere nei suoi occhi è soltanto il frutto della sua vivida immaginazione.

«No» risponde, scuotendo la testa troppo velocemente. «Isabelle è mia sorella. Non c’è nessuna signora. Sono un padre single. Max è stato adottato.»

Lo dice tutto in un fiato, facendo una smorfia dentro di sé per la sua assoluta mancanza di eloquenza. Questa, proprio questa, è l’esatta ragione per cui si ritrova ad essere un padre single

«Oh» dice Magnus, e la parola resta sospesa nell’aria tra di loro, pesante, con un significato che Alec si sforza di analizzare fino a quando comincia a perdere senso.

Per un momento Alec rimane a fissare la luce della luna riflettersi negli occhi scuri e profondi di Magnus, chiedendosi come sia possibile che brillino più delle stelle nella notte più chiara dell’anno.

«Che mi dici di te?» chiede, prima che possa dire qualcosa di stupido come “cazzo, sei troppo carino, dovremmo sposarci”, perché non dice parolacce davanti ai bambini. «Dov’è la madre di Rafael?»

Magnus scuote le spalle. «Siamo solo Raf e io.»

«Bene» sputa Alec prima di riuscire a fermarsi. Gli occhi si spalancano, le guance cominciano a bruciare, quando le labbra di Magnus si aprono in un altro sorriso. «Voglio dire, non bene. O sì? Oddio, non devi rispondere, non sono affari miei. Volevo solo dire  solo…merda, perché sto ancora parlando?»

Max e Rafael sussultano nello stesso momento, abbandonando le stelle per voltarsi sbalorditi verso di lui, gli occhioni spalancati.

«Papà!» esclama Max, chiaramente offeso  Alec lo capisce, anche se si sente più offeso dall’argomento a cui ha appena sottoposto il suo vicino. «Barattolo delle parolacce!»

Alec ringhia sommessamente, pizzicandosi il ponte del naso. «Metterò un dollaro quando rientriamo» sospira, trattenendosi dal seppellire il volto tra le mani. «Mi dispiace.»

Ma Max e Rafael si sono già voltati di nuovo, distratti da un’accecante luce rossa nel cielo che attribuiscono a Superman, mentre si parlano uno sopra l’altro eccitati perché i loro amici a scuola non ci crederanno mai. Alec non ha il coraggio di dire loro che è soltanto un aereo.

«Mi dispiace» ripete Alec a bassa voce nell’orecchio di Magnus.

Magnus si raddrizza con uno sguardo divertito, facendo scontrare gentilmente le loro spalle. «Non ti scusare» dice dolcemente, le sue dita a danzare nell’aria in un gesto plateale, gli anelli sulla mano che brillano. «Sei splendido quando arrossisci.»

Alec apre la bocca per rispondere, ma il suo cervello smette improvvisamente di funzionare, e la richiude prima di ricominciare a balbettare.

Il sorriso di Magnus si allarga. «Quindi, sai davvero tutto sulle stelle?» chiede, e c’è un genuino interesse nascosto sotto il tono scherzoso. «Sei un astronomo o qualcosa del genere?»

Alec ride, scuotendo la testa. «No, sono un architetto» risponde. «Ma ho sempre amato le stelle, da quando sono piccolo.»

«Cosa che chiaramente non sei più» dice Magnus, gli occhi che vagano sul suo corpo sfacciatamente, e questa volta Alec non è sicuro di essersi immaginato la scintilla di apprezzamento che ha scorto. «Così hai passato il testimone a tuo figlio.»

Alec lancia uno sguardo a Max, che sta chiacchierando eccitato con Rafael gesticolando, e un tenero sorriso gli colora le labbra. «È più affascinato da tutto ciò di quanto lo fossi io alla sua età» ammette, prima di concentrarsi di nuovo su Magnus. «Tu che lavoro fai?»

«Lavoro al Metropolitan Museum of Art» risponde con un sorriso.

Alec si chiede come è possibile che il museo possa permettersi di farlo lavorare, visto che mette in ombra tutti i capolavori, ma tiene la bocca chiusa e si limita ad annuire. 

La sua testa deve veramente smetterla di fare questo. Magnus è soltanto il suo vicino. Il suo bellissimo, amichevole, gentile, affascinante vicino, con un sorriso per cui vorresti morire, certo, e un amore infinito per il figlio che traspare dai suoi occhi ogni volta che si posano sul bambino, ma resta comunque il suo vicino.

«Max lo amerebbe» dice, indicando il figlio con il mento. «Mia cognata è un’artista e lui adora quando lo porta con sè alle mostre. Cosa fai di preciso?»

«Sono un curatore» dice Magnus e le sue labbra si curvano verso l’alto. «Sono un esperto di opere d’arte e belle cose.»

Poi gli fa un occhiolino e Alec arrossisce. Apparentemente il suo vicino non vuole che la sua testa funzioni normalmente. 

Eppure sorride. Magnus ricambia il sorriso e le stelle cominciano a brillare più luminose. 

«Papà!» esclama Max, correndo verso di lui e lasciandosi cadere sul suo grembo, seguito da Rafael che fa lo stesso con suo padre. «Sta cominciando!»

Oh. Le stelle stanno davvero brillando di più. Non era solo il sorriso di Magnus. Alec era stato ingannato.

Strisce di luce sfrecciano attraverso il radioso cielo vellutato di mezzanotte, volteggiando intorno alla luna crescente e terminando la loro corsa nel buio. Alec avvolge Max con un braccio e gli lascia un bacio tra i capelli.

«Papà» dice Max, picchiettando sulla sua manica. «Dicci qualcosa delle stelle cadenti.»

E Alec lo fa. Racconta loro di quei piccolissimi pezzeti di roccia che, in un modo o nell’altro, lo avevano da sempre affascinato, di come la loro incandescenza gli ricordasse di non essere mai solo, non importa quanti ostacoli gli venissero lanciati contro. Racconta loro dei due tipi di meteore conosciuti e, anche se sa già tutto, Max annuisce con vigore e Alec riesce ad intravedere, con la coda dell’occhio, che Magnus e Rafael lo stanno ascoltando attentamente, gli occhi che di tanto in tanto si spostano dal cielo a lui.

A volte fanno una domanda e, quando sa la risposta, Max risponde ancora prima che Alec ci possa pensare su, ma lo lascia fare con un sorriso fiero, correggendolo solo se necessario.

Quando la pioggia di meteore si disperde con bagliori di luce attraverso l’oscurità, Alec comincia a parlare delle costellazioni e Rafael interviene timidamente quando sa qualcosa, mentre Max sorride raggiante e orgoglioso dal grembo di Alec, perchè chiaramente gliel’ha insegnato lui.

Non sa per quanto restano lì, a parlare delle stelle che si librano sopra le loro teste, ma Max e Rafael si stanno per addormentare in braccio a loro, la testa pesante di torpore, quando Magnus gli sorride, appoggiando una mano sul suo braccio.

«Dovremmo andare» dice, nascondendo uno sbadiglio dietro la mano.

«Papà» sussurra Max con la voce stanca.

«Sì, scimmietta?» risponde Alec, baciandogli la fronte mentre si alza, cullandolo tra le sue braccia.

«Il signor Magnus lavora al museo» lo informa solennemente, circondandogli il collo con le braccia, mentre Alex ripone tutte le loro cose nello zaino. «Pensi che possiamo andare a trovarlo così lui ci insegna qualcosa sui quadri come hai fatto tu sulle stelle?»

Alec si scambia un rapido sguardo con Magnus, che sta piegando la coperta, Rafael che si strofina gli occhi assonnato al suo fianco, prima di riposare gli occhi su suo figlio. «Non possiamo disturbare Magnus al lavoro, Max» dice e sta per continuare, ma Magnus lo interrompe.

«Non importa» dice, facendo un occhiolino giocoso a Max, che risponde con un sorriso stanco. «E non lavoro durante il weekend, quindi sarò felice di farvi fare un tour sabato.» Il suo sguardo è di nuovo su Alec. «Magari poi potete venire da noi così Max e Raf possono giocare insieme.»

Alec non dà a suo figlio nemmeno il tempo di supplicarlo. «Penso che piacerebbe ad entrambi» dice, sorridendo.

Magnus si avvicina, la coperta abbandonata sulla spalla, una mano stretta in quella di Rafael. «E magari mentre loro giocano, noi due possiamo avere un altro tipo di appuntamento» aggiunge, un barlume di timidezza nello sguardo. [nda. È, di nuovo, un gioco di parole. Quando due bambini si incontrano per giocare, in inglese si dice “play date” e “date” è anche il termine che si utilizza per indicare un appuntamento romantico.]

Alec si deve mordere il labbro per evitare di sorridere troppo. «Se non hai paura che tuo figlio diventi una drama queen professionale, sono sicuro che a Jace non dispiacerebbe dare un occhio anche a Rafael oltre che a Max.»

Gli occhi di Magnus brillano di soddisfazione e non c’è niente che Alec possa fare per fermare l’ampio sorriso che gli colora le labbra. 

«Tesoro, sono suo padre» dice scherzando. «Sono abbastanza sicuro che sarà lui ad insegnare a tuo fratello una o due cosette.»

Alec ride, spingendo la porta che conduce alle scale per aprirla e facendogli gesto di andare, per poi sistemare Max tra le sue braccia. «Pensandoci, non penso sia una buona idea» mormora, ma riesce già a sentire le farfalle nello stomaco.

Scendono le scale in silenzio, fermandosi davanti all’appartamento di Magnus e Rafael.

«Ci vediamo lunedì all’ingresso. Non comportarti come uno sconosciuto» dice Magnus, con un occhiolino derisorio.

«Non lo farò» promette Alec. «Ho le braccia un po’ occupate adesso, ma magari la prossima volta mi puoi dare il tuo numero così possiamo organizzare quell’appuntamento? Per Max e Raf.»

«Certo» risponde Magnus. «Per Max e Raf.»

Raf sbuffa incredulo. «Papà, tu e il papà di Max volete flirtare tutta la notte? Voglio andare a dormire.»

Alec si schiarisce la voce, le guance leggermente arrossate. «S-sì, dovremmo andare. Buonanotte.»

Magnus sorride, avvicinandosi per lasciargli un bacio leggerissimo all’angolo della bocca. «Buonanotte, Alexander» sussurra allontanandosi, il respiro che si infrange contro le sue labbra. Alec è costretto a bagnarsele passandoci sopra la lingua. «Buonanotte, Max» aggiunge poi a voce più alta, accarezzandogli la testa nascosta nell’incavo del collo di Alec.

Si gira, inserendo la chiave nella toppa ed Alec sente la bocca formicolargli al ricordo del suo respiro su di sè.

«Buonanotte, signor Magnus» biascica Max mezzo addormentato. «Buonanotte, Raf. Mi dispiace che il mio papà fa lo strano e il rozzo con il tuo.»

«Va bene» risponde Raf, annuendo pensieroso. «Anche il mio papà fa lo strano e il rozzo con il tuo. Ma se si sposano possiamo diventare fratelli.»

La testa di Max scatta velocemente verso l’alto, gli occhi blu spalancati che lo osservano sorpreso. «È vero?»

Alec balbetta per un attimo e guarda Magnus, che continua a sorridere, una scintilla di divertimento e affetto negli occhi.

«Lasciate che gli offra una cena prima» dice poi diplomaticamente. 

«Okay» risponde Max, tornando alla precedente posizione. 

«Buonanotte, signor Lightwood. Buonanotte, Max» dice Rafael, mentre entra in casa. 

Alec sorride prima a lui e poi a Magnus.

Magnus si avvicina, lasciandogli un altro bacio sulla guancia e voltandosi prima che Alec possa dire anche solo una parola. «Ciao» dice poi con voce leggera e vibrante, che suona più come un inizio che come una fine, e sparisce all’interno, chiudendo la porta dietro di sè. 

Alec resta a fissare la porta sbattendo le ciglia, consapevole di avere le guance arrossate e la bocca aperta - per lo shock o altro, non ne è sicuro.

«Papà» lo chiama Max, strascicando la parola sul suo collo. «Il signor Magnus è andato. Possiamo andare anche noi ora.»

Alec scuote la testa. «Sì, scimmietta» sussurra, spostandosi verso le scale.

Quando Max è a letto, subito addormentato, Alec gli bacia la fronte e raggiunge la cucina per versarsi un bicchiere d’acqua. Poi lascia che la sua mente ritorni a Magnus, il ricordo delle sue labbra che si muovono furtivamente sulla sua pelle gli provoca una scia di brividi, e sorride alle macchie luminose dalla finestra, come offuscato, in modo fantastico, dallo sfarfallio nello stomaco che non si è ancora fermato.

Non ci sono tante cose che Alec ama quanto le stelle, ma in piedi al buio della sua cucina, a guardare l’infinito vuoto di luce che si dissolve in un sentiero mozzafiato, comincia a pensare che, da lì a poco, non sarà più così.
  
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