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Autore: Prongs4    25/07/2018    1 recensioni
"In quei giorni, nonostante la nausea e la confusione, non accennavo a svenire.
Capii che ciò non avveniva per due ragioni. La prima: quella terribile sofferenza che percepivo mi voleva tutta per sé, tanto da non permettermi di perdere conoscenza neanche per un minuto, neanche per farmi riposare, dormire, ritrovare le forze. La seconda: davvero nessuno, neanche una volta, mi aveva messa in guardia, avvertendomi che la vita da Black potesse essere così crudele." Pov Narcissa
Andromeda Black è appena fuggita con il Nato Babbano di cui è innamorata, cambiando per sempre, irrimediabilmente, la vita delle sorelle Black. Il loro legame è spezzato, e il mondo che da esso dipendeva è distrutto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Rabastan Lestrange, Sorelle Black | Coppie: Lucius/Narcissa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Al tempio c'è una poesia intitolata "la mancanza", incisa nella pietra.
Ci sono tre parole, ma il poeta le ha cancellate.
Non si può leggere la mancanza, solo avvertirla.
 
Prologo
Nessuno mi aveva mai detto che il dolore è una tenaglia da cui non si sfugge, un padrone così severo da far sembrare la Morte come la migliore delle alleate, e che proprio come la Maledizione Cruciatus ha il potere di farti perdere il senno fino a prostrarti.
In quei giorni, nonostante la nausea e la confusione, non accennavo a svenire.
Capii che ciò non avveniva per due ragioni. La prima: quella terribile sofferenza che percepivo mi voleva tutta per sé, tanto da non permettermi di perdere conoscenza neanche per un minuto, neanche per farmi riposare, dormire, ritrovare le forze. La seconda: davvero nessuno, neanche una volta, mi aveva messa in guardia, avvertendomi che la vita da Black potesse essere così crudele. E come potevo acquietarmi, se questa scoperta mi causava così tanto risentimento?
Nonostante il mio stato febbricitante, non potei fare a meno di pensare che anche con la sua fuga, infondo, quella presuntuosa di Andromeda era riuscita a darmi un’ultima lezione di vita.

Parte I
La luna era salita in cielo e poi scomparsa per ben quattordici volte dal giorno in cui Andromeda era fuggita. Il sole immagino avesse fatto lo stesso, ma non uno dei suoi raggi era riuscito a penetrare le pesanti coltri del mio letto. Solo la notte mi concedevo di aprire le tende del baldacchino e quelle della finestra, perché mentre la luce del giorno sembrava offendermi, il buio non osava infierire su di me.

Quel quattordicesimo giorno portò con sé una visita. Non avevo desiderio di vedere nessuno, ma ‘al signorino Lestrange non si può dire di no’, mi ricordò la mia elfa. E d’altronde, realizzai, Rabastan era l’unico che avrei sopportato di incontrare in quel momento.

Se invece si fosse presentata Bella, così all’improvviso, non lo avrei tollerato.
Non avevo motivo di avercela con mia sorella, di essere irritata e di non volerla intorno, ed infatti non si poteva dire che provassi ostilità nei suoi confronti.
Ma vederla e stare con lei, specialmente se da sole, era una sofferenza terribile.
Io e Bellatrix eravamo sempre state pezzi di un puzzle che combaciavano perfettamente solo se uniti da un tassello intermediario, e perduta com’era quella tessera non diventammo che uno squallido quadro incompleto.
Mai come quando eravamo insieme il fantasma di Andromeda era altrettanto presente. E poi c’era qualcosa di sadico e al contempo di ironico nella faccenda: non avevamo mai avuto bisogno di dircelo, ma tutte e tre eravamo intimamente soddisfatte di assomigliarci fisicamente così tanto. Avevamo tutte colori diversi, certo, ma quello era ciò che esprimeva la nostra personalità, unica per ciascuna: Bellatrix aveva una chioma nera come il manto di un corvo, e gli occhi altrettanto scuri, come fondi di pozzi in cui cadere e gridare per il terrore, e quelle palpebre pesanti e perennemente socchiuse che sembravano dire tutto di lei, della sua sensualità pericolosa; Andromeda era il pezzo perfetto di mezzo, in quella scala cromatica, con i suoi capelli di un castano chiaro, gli occhi profondi, da cerva altera, che parlavano assai più delle sue belle labbra e ben ti studiavano; e poi vi ero io, agli antipodi – eppure altrettanto Black (proprio perché i Black non sono che assoluti, totalmente privi di equilibro. E’ forse per questo che Andromeda non lo era più?) – con i capelli non di un biondo slavato, ma intenso, e dagli occhi chiari scolpiti nella pietra, che proprio come essa potevano diventare incandescenti lapilli o gelide lapidi tombali. 
Tuttavia avevamo tutte e tre lo stesso mento volitivo, lo stesso incarnato pallido – non malaticcio – di marmo intatto, canonicamente inglese. Eravamo assolutamente convenzionali e al contempo totalmente particolari, e vi era qualcosa nelle nostra espressione, nel nostro naso aristocratico, nelle labbra così ben disegnate, un sostrato profondo che ci rendeva simili.
Ed ecco l’ironia.
Quando vedevo Bellatrix vedevo anche Andromeda, e con lei quella ridda confusa di sentimenti che andavano dalla rabbia al sollievo. Sono certa che fosse così anche per Bella.
Per giorni evitai di guardarmi allo specchio. E non solo perché sapevo che mi sarei vista trascurata e in confusione, ma perché mi sarei ricordata con più concretezza che mai di me stessa, di chi ero e di come era fatta Andromeda, dal capo retto dall’elegante collo ai piccoli piedi aggraziati – non diversamente da un innamorato che ha perduto la donna amata e ne ricorda la pelle liscia sotto le mani e le labbra imbronciate. E quasi mi crogiolavo in quell’ambiguità così tipica del nostro rapporto, del nostro amore viscerale, che tanto adito dava a quelle voci sulla nostra famiglia, sul nostro squilibrio, sui nostri legami infetti, sulla nostra incapacità di resistere al richiamo di quel sangue che, tanto rimescolato, ci impediva di capire dove finiva ciascuno di noi e dove cominciava l’altro Black.

In ogni caso, quando quel pomeriggio la mia elfa venne ad avvisarmi della visita del signorino Lestrange, non potei fare a meno di avvicinarmi alla toletta e spazzolarmi i capelli, raddrizzare la vestaglia, consapevole di quanto comunque fosse inappropriato ricevere un uomo in sottoveste, ma anche di quanto poco me ne importasse in verità.
Rabastan e suo fratello Rodolphus mi erano incredibilmente familiari - erano cresciuti con noi, entrambi promessi alle mie sorelle maggiori dacché ne avessimo memoria. Ma mentre Bellatrix e Rodolphus erano cresciuti intorno a questa consapevolezza, o proprio a causa di essa, Andromeda e Rabastan non ne avevamo mai preso atto. Non vi era nulla di chiaro, di definitivo fra di loro: a un certo momento potevano andare a letto assieme, per poi essersi indifferenti il giorno dopo, e comportarsi fraternamente l’attimo successivo.
Per me i fratelli Lestrange erano un’estensione del nostro trio, e lasciavo che mi viziassero e proteggessero non diversamente dalle mie sorelle.
Eppure sapevo di essere un tassello fuori posto in quello scenario – ero la Black senza un Lestrange, destinata dal fato ad appartenere a qualcuno totalmente diverso: un Malfoy.
Un uomo etereo, freddo, di una potenza spietata, tenuta a freno da rigidi argini; laddove invece i Lestrange erano plateali e carnalmente violenti, ardemonio, fuoco maledetto privo di controllo.

Lucius Malfoy era stato irrimediabilmente eletto da me come mio compagno di vita. La nostra unione era semplicemente scritta nelle stelle, quelle stelle che hanno tanta importanza per la mia famiglia. Ma Narcissa Black, lo so bene, è una strega volubile, come i suoi occhi, come il legno della sua bacchetta: d’acacia, un materiale capriccioso, selettivo, imprevedibile e difficile da trattare.

E’ così che, quando Rabastan comparve alle mie spalle, riflesso nello specchio davanti a cui ero rimasta, come sempre sentii qualcosa di torbido nel mio sangue, che mi ricordava che ero sì innamorata di Lucius, ma che ciononostante senza troppo sforzo, senza traumi, avrei potuto lasciare le briglie e unirmi al tornado di forza in cui vorticavano tanto Bellatrix quanto i Lestrange. Si trattava semplicemente di scegliere quale onda del mio carattere cavalcare.

Era poi così diverso da quello che stavano affrontando Bellatrix e Andromeda, mi chiesi? Infondo erano anche loro in bilico tra due mondi: una di loro incerta fra tradizione e azione, che è come dire fra immobilismo ed azione: Rodolphus o l’emergente Lord Voldemort? La vita da matrona purosangue, al di sopra delle contingenze e nobilmente contrariata, chiusa nella selettiva cerchia di famigliari e pochi intimi, come ogni donna Black prima di lei, o la Mangiamorte, una figura nuova, cangiante, pericolosa e potente? E l’altra, Andromeda: Rabastan, o quel Nato Babbano? Ciò che si conosce e si apprezza, che ti rassicura e stabilizza, o la ribellione, il rischio, lo stravolgimento? Entrambe avrebbero scelto la strada meno battuta, e forse proprio in questo stava la loro somiglianza.
Quanto a me, che avrei fatto? Non si trattava qui di scegliere fra due uomini, non c’era neanche battaglia per me. C’era da scegliere fra due Narcisse.

Andromeda era scappata di casa due settimane prima. Ci aveva sussurrato di essere incinta, aveva mormorato il nome del padre del bambino, con mani tremanti aveva lasciato una lunga lettera in cui ci spiegava tutto in modo trasparente ed impudico, e poi era letteralmente scappata, prima che avessimo il tempo di esplodere nelle nostre reazioni.
Da due settimane la mia vita era cambiata per sempre, e non in meglio, su questo non avevo dubbi.
In quei giorni avevo visto mio padre invecchiare di colpo sotto il peso dell’umiliazione, mia madre allontanarsi ancora di più da quella famiglia che mai aveva davvero compreso, e mia sorella, l’unica che mi rimaneva, dare le ultime scintille di se stessa prima di trasformarsi in qualcosa di nuovo e spaventoso. E io?

Rabastan entrò e si chiuse la porta alle spalle. Io continuavo a guardare lo specchio.
La mia vestaglia, insolitamente scura, era chiusa mollemente, lasciando intravedere la sottoveste e le mie lunghe gambe bianche. Non mangiavo da giorni ormai, e dormivo poco o niente, e tutto il mio malessere si rifletteva all’esterno. Eppure mentirei se dicessi che mi trovavo sgradevole, pur dimagrita e stanca com’ero, perché, nonostante non fossi curata come al solito, ero innamorata di me stessa a tal punto da trovare che anche la malattia mi donasse.
Non era mia predisposizione, anche nei periodi di sottopeso, assumere un’aria scheletrica – piuttosto mi assottigliavo armoniosamente e, anche se era palese che non ero in salute, ero ancora elegante, signorile, desiderabile. Pensai questo con quell’ultima briciola di soddisfazione che restava nel mio corpo provato.
E dovette pensarlo anche Rabastan, perché per la prima volta in quella vita che fino ad allora avevamo condiviso mi sentii una donna accanto a lui, e lui mi sembrò un uomo. Non un fratello o un amico intimo. Mi guardava proprio come un uomo che si accorge, all’improvviso e in mezzo a una folla, della presenza di una giovane sorprendentemente bella.
Che strano ed assurdo potere aveva Andromeda, per cui era riuscita a beffarsi così di noi e a stravolgere le nostre vite, a farci sentire nuovi e diversi nel nostro corpo e nella nostra casa? Ero in bilico, e in qualche modo capivo che, dopo giorni di abbrutimento, avrei finalmente capito cosa la fuga di Andromeda aveva in serbo per me. Quale sarebbe stata la vera, pesante, ed ineluttabile conseguenza, la ritorsione per quel suo gesto.

Angolo autrice
E' la prima volta, nella stesura di una delle mie innumerevoli fic sulle Sorelle Black, che trovo il coraggio di affrontare un argomento che per me, affezionatissima al trio Bella - Dromeda - Cissy, è quanto meno tragico. E forse ho cercato anche in questo caso di sfuggirvi, raccontando il dopo e non la fuga vera e propria. Ma infondo di questo si tratta: di un dramma consumato, di un tradimento, e di un dolore immenso. 
Ho scelto il Pov di Narcissa perché è in assoluto quello che mi è più familiare, come avrà avuto modo di notare chi ha letto altre mie storie. Ho invece introdotto il personaggio di Rabastan, tanto trascurato, sigh!, cercando di dargli una rinnovata importanza, come vedrete nei capitoli successivi, dove, evitando spoiler, potrò spiegare meglio le mie scelte :)
Questa storia è un po' un compendio della mia visione complessiva di Narcissa e del suo rapporto con gli altri personaggi principali, e ho cercato dunque di dare una coerenza e di sistematizzare il modo in cui si approccia alle sorelle, ai fratelli Lestrange, e naturalmente al suo fidanzato, Lucius Malfoy. E' una visione molto sentita ma personale, e per questo ben predisposta a confronti!
Fatemi sapere che ne pensate, e come avete immaginato voi la fuga di Andromeda. 
Grazie ai lettori, taciti o parlanti che siano!
Prongs4


P.s. la citazione iniziale è tratta dal film "Memorie di una Geisha", e mi è sembrata, spero non a torto, molto appropriata.
  
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