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Autore: giascali    02/08/2018    0 recensioni
Six of Crows!Au
-No?-
Prima di parlare, Shouto stringe le nocche tanto forte da farle diventare bianche.
- No. Non mi farò più controllare da te. – le parole gli regalano una scossa di adrenalina tanto travolgente da essere esilarante, lo ubriaca di un coraggio che non aveva mai sognato di avere fino ad ora.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: All Might, Hitoshi Shinso, Izuku Midoriya, Shouto Todoroki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-No.- la voce di Shouto è ferma e non ammette repliche. Enji Todoroki deve essere del parere contrario perché al sentirlo solleva il sopracciglio destro e ripete, con tono che sembra essere a metà tra lo sdegno e la sorpresa:
-No?-
Prima di parlare, Shouto stringe le nocche tanto forte da farle diventare bianche.
- No. Non mi farò più controllare da te. – le parole gli regalano una scossa di adrenalina tanto travolgente da essere esilarante, lo ubriaca di un coraggio che non aveva mai sognato di avere fino ad ora. Mantenendo lo sguardo fisso su quello del padre, continua: - Non sposerò Yaoyorozu né tanto meno verrò a lavorare per te o qualsiasi altra fottuta cosa tu abbia progettato negli ultimi sedici anni. –
Le palpitazioni gli sembrano così assordanti che per un attimo teme che Enji se ne renda conto e lo smonti come ha fatto tutte le altre volte che ha provato a ribellarsi. Shouto prova a fare un respiro profondo, i suoi occhi ancora fissi in quelli di suo padre. Sa che ogni conversazione con Enji Todoroki è una partita a carte: ogni muscolo facciale va controllato e reso neutrale per evitare che possa scorgere un cenno di insicurezza a cui appigliarsi per vincere la mano. È un gioco che dura ormai da anni, fino ad oggi Shouto ha sempre perso ma questa volta è diverso: Enji non ha assi nella manica con cui minacciarlo.
Natsuo ha iniziato a studiare qualche settimana fa in un’università abbastanza lontana da fuggire dall’influenza di loro padre, con tanto di una borsa di studio, Fuyumi lavora da tempo a Kamino e Touya non conta perché non si ricevono notizie da lui da anni. Con Natsuo l’ultima delle pedine che Enji ha usato per anni contro di lui si è finalmente liberata dal suo giogo e Shouto può finalmente essere libero.
Più di quelle con cui è veramente a suo agio sono le volte in cui Shouto ha fissato il soffitto e fantasticato di fregarsene dei suoi fratelli, non delle reali persone, solo nomi e ricordi vaghi di voci e volti, fantasmi sbiaditi della sua infanzia, e scappare. Ma l’attesa ne è valsa la pena per mandare finalmente al diavolo suo padre. Nonostante la paura che non lo ha mai abbandonato, fin dalla prima volta che lo ha colpito, e che ora lotta per soffocare l’adrenalina che gli scorre in corpo, ne vale la pena.
Si alza dalla sedia e per un attimo gode della vista di vedere la sua ombra proiettarsi sul volto del padre. – Me ne vado. –
Le sue parole sembrano spezzare l’incantesimo che fino ad ora ha lasciato immobile Enji, che si alza a sua volta e gli afferra con forza il braccio. – Tu non vai da nessuna parte. Non ho sprecato anni della mia vita per fallire per colpa dei capricci di un bambinetto viziato. – lo strattona, avvicinandolo al suo volto furibondo e allo stesso tempo le fiamme che di solito sfoggia solo sulle strade, per intimorire i criminali, compaiono e minacciano di bruciargli le punte dei capelli. –Tu mi appartieni, Shouto. – ad ogni parola la presa sul braccio si fa sempre più stretta e la determinazione del ragazzo vacilla. Una parte di sé sta già cercando di calcolare quanto tempo ci vorrà perché suo padre si dimentichi o quanto meno decida di ignorare anche questo episodio di ribellione e i due tornino alla solita routine in cui Shouto finge di non desiderare altro che assecondare il volere di Enji Todoroki. Shouto però è stanco di fingere.
Prova a liberare il braccio con uno strattone ma non è forte abbastanza. – Senza di me non saresti nulla! – la sua voce si sta facendo sempre più alta ma nessun domestico verrà in suo aiuto: hanno ormai imparato da tempo che è sempre bene non entrare nella stanza quando Endeavor grida. Come al solito, Shouto si ritrova a dover affrontare da solo la sua ira.  Sa già che il suo volto sta tradendo le sue emozioni, non ha più senso ormai continuare la farsa. Shouto prova ancora a liberare con la forza il braccio ma più Enji grida più il panico sembra avvolgerlo. Il calore delle fiamme sta divenendo pian piano insopportabile.
Non è del tutto sicuro quale sia più rumoroso, se le grida di suo padre o i battiti impazziti del suo cuore. La sua mente corre a mille, con il pensiero già sta immaginandosi le punizioni che gli infliggerà. La sua schiena è madida di sudore. Credeva davvero di potercela fare questa volta? Non ha già imparato la lezione dopo quella di due cinque settimane fa o quella ancor prima? Pensava davvero di riuscire ad andarsene così facilmente? E se anche fosse stato, come pretendeva di sopravvivere là fuori, senza lavoro o dimora?
È solo quando si accorge che Enji lo sta trascinando verso la palestra che Shouto riacquista il dominio di sé. Il suo braccio sinistro si riscalda talmente in fretta che suo padre non fa in tempo a lasciarlo. Sul suo volto appare un’espressione tradita e se possibile ancor più infuriata. Shouto non gli concede un’altra occasione per afferrarlo e corre verso le scale.
Sale tre gradini alla volta, alle sue spalle riesce a sentire i passi di Endeavor tuonare per tutta la casa. Dei domestici neanche l’ombra.
-SHOUTO TORNA QUI!- la sua voce gli fa scendere un brivido lungo la schiena ma non si ferma né si volta se non per erigere un muro di ghiaccio per rallentarlo. Non farà altro che farlo arrabbiare ancor di più ma a questo punto non gli importa, vuole soltanto uscire da questa casa.
Raggiunge la sua camera con il fiatone e maledicendosi per non averla messa tatticamente vicino alla porta, al diavolo l’effetto sorpresa che cercava. Mentre controlla con dita tremanti che ci sia tutto, vestiti, soldi, documenti falsi, sente un rumore fragoroso: suo padre ha rotto il muro e sta salendo le scale.
Da un ultimo sguardo alla sua camera, la sua prigione per anni, coltivando con titubanza nel cuore la speranza di non vederla mai più, prima di erigere un altro muro di ghiaccio davanti la porta e uscire dalla finestra. Quando Endavour entra, Shouto si sta già perdendo per le strade di Musutafu.
 
 
Una volta rifugiatosi nella zona sud dell’isola, quella in cui in certi giorni neanche Endeavor ha il coraggio di entrare senza essere accompagnato da qualche uomo in più, Shouto si nasconde in un vicolo situato in mezzo a due sbilenchi edifici e riprende fiato.
Se ne pente quasi all’istante: l’odore di questa parte di Musutafu è tremendo. Attorno a lui macellai scuoiano carcasse di animali senza badare a dove buttano le frattaglie, fruttivendoli vendono frutta ormai avariata a prezzi ridotti. Si distacca con uno scatto dal muro a cui è appoggiato, quando capisce perché il vicolo puzza così tanto.
Si aggiusta il cappuccio per nascondere meglio i capelli sperando allo stesso tempo che nessuno li abbia notati. Non appena calerà il buio, ne approfitterà per infilarsi la parrucca che ha comprato di nascosto giorni fa e cambiarsi i vestiti. Per oggi deve solo limitarsi a non farsi notare e trovare un posto per la notte.
Osserva con attenzione i passanti, per studiarne i gesti e il modo di camminare. Nelle orecchie gli risuonano le conversazioni tra i sottoposti di suo padre che tra un bicchiere di sakè e l’altro commentano l’astuzia dei cani di Musutafu sud, lamentandosi di come siano tanto abili ad odorare il profumo dei viali della zona nord anche tra le pieghe del miglior camuffamento da non lasciar tempo di accorgersi di essere stati scoperti, prima di ritrovarsi con le tasche vuote o peggio la gola aperta.
Stando attento a non farsi notare, tira fuori un coltello (rubato per sicurezza dall’armamentario del padre) e lo infila in tasca, chiude bene la borsa e copre meglio capelli e vestiti, conscio che basta un passo falso perché tutto vada all’aria. Trae un profondo respiro (questa volta solo con la bocca) e inizia a percorrere il vicolo.
Cinque ore dopo Shouto ha visto più di quello che avrebbe preferito, rischiato di essere derubato da un branco di mocciosi alti appena la sua metà e litigato con più locandieri di quello che realmente si aspettava ma infine è riuscito a trovare alloggio in una bettola che per un prezzo accettabile gli ha dato un futon e una cena al limite della decenza.
La parrucca nera gli pizzica la pelle ma non si azzarda a togliersela per paura che la serratura della porta sia ancor più cedevole di quello che pensa e non faccia neanche rumore, qualora qualcuno tentasse di entrare per derubarlo. Sotto il sottile cuscino riesce a sentire il coltello, sua unica fonte di sicurezza, e per un attimo rimpiange il comfort della sua stanza.
Dalla finestra della stanza entra il rumore delle strade di Musutafu sud di notte: le risate e gli inviti delle prostitute di fronte le locande, le urla e canti di quelli che sono già ubriachi, i litigi di chi non sa perdere a carte. Guardando il soffitto Shouto si chiede se riuscirà mai a ricostruirsi una vita con le proprie forze o se sarà costretto a vagare per sempre guardandosi alle spalle. Si chiede cosa voglia farne della sua vita, ora che può finalmente scegliere.
Pensa vagamente ai suoi fratelli, alla possibilità di raggiungere Natsuo o Fuyumi e cercare di riallacciare i rapporti ma smette subito. Sa bene che sarebbe un azzardo provare a contattarli adesso: dopo Musutafu, sarebbero probabilmente i primi posti in cui Endeavor lo cercherà. Chissà se ad un certo punto Enji si stancherà di cercarlo e getterà la spugna. E se non lo facesse? Cosa farà se Endeavor non si fermerà?
Dopotutto Shouto è il prodotto di venticinque anni di duro lavoro e sacrifici da parte sua, non sarebbe da lui arrendersi dopo appena qualche mese. No, Enji Todoroki non si fermerebbe finché non lo riavrebbe sotto il suo tetto, tra le sue grinfie. L’unico modo per essere libero sarebbe convincerlo che ormai Shouto è ormai inutile.
Si lascia scappare un sorriso sardonico al pensiero, magari se fossi morto. Spalanca gli occhi, per la prima volta i rumori della strada non raggiungono nelle sue orecchie, l’unico suono nella claustrofobica stanza sono i battiti del suo cuore e i suoi pensieri che vanno a mille.
Forse ha trovato un modo per liberarsi di suo padre, dopotutto.
 
 
Sembrerebbe impossibile a dirsi ma c’è stato un tempo in cui Shouto ha avuto un vita relativamente normale, addirittura felice. Nei suoi ricordi, quel periodo è vago e confuso ma Shouto rammenta la spensieratezza di quei giorni, il calore delle braccia di sua madre e la risata di Natsuo.
Ora il riflesso nello specchio dell’unico bagno della locanda sembra deriderlo e riportarlo con violenza alla realtà. Nulla è più come prima: tutto, dalla cicatrice che gli copre quasi tutta la parte sinistra del volto alle pareti ricoperte di muffa della stanza sembrano fare a gare per ricordarglielo con più brutalità.
Shouto cerca di ignorare le sue occhiaie, la cicatrice (francamente sarebbe contento se potesse evitare di guardarsi allo specchio per il resto della sua vita) per concentrarsi sui suoi capelli. Con la luce della fiamma nella mano sinistra e della candela che si è portato dietro, studia attentamente la sua chioma, sperando al tempo stesso di non aver dimenticato di tingere di nero nessuna ciocca. Appoggiato sul lavello c’è un barattolo di tinta nera di cui una parte adesso è sopra la sua testa e sulla sua camicia perché a quanto pare tingersi i capelli è più difficile di quello che sperava.
Dopo essersi accertato di aver fatto un lavoro decente, spegne la mano e richiude con attenzione il barattolo ringraziando Yaoyorozu per averglielo procurato senza porre nessuna domanda se non un sopracciglio alzato a sentire la sua richiesta. Probabilmente capirà non appena sentirà la notizia questa mattina. Sempre che Enji Todoroki sia abbastanza disperato da chiedere aiuto e rendere pubblica la sua scomparsa.
Il risultato è strano, il ragazzo che gli restituisce lo sguardo ha un’espressione stanca e diffidente, potrebbe avere qualche possibilità di passare inosservato per la strada, nonostante la cicatrice mostruosa. Vagando per le vie, ha notato che sono in molti a sfoggiare sfregi anche peggiori: se Shouto starà attento, ci sono buone probabilità che nessuno ripenserà al suo.
 
 
Nei giorni seguenti è troppo impegnato a preoccuparsi di non farsi notare, derubare o truffare per pianificare concretamente la sua finta morte e cosa fare in caso di successo. Per ora si limita a passare le giornate svegliandosi così presto che dovrebbe essere illegale, per andare a lavorare come manovale al porto fino alla sera e poi ritornare alla sua stanza sentendo dolore su tutto il corpo.
Non lavora ogni giorno per la stessa compagnia, qualche giorno capita che qualcuno si svegli prima di lui ed occupi così l’ultimo posto in quella che da’ un pausa nelle ore più calde o un bicchiere d’acqua per rinfrescarsi.
Altre volte capita che non trovi proprio nessuno che lo assuma e passa le ore a cercare qualcuno che lo faccia in città. Fino ad ora le giornate sono trascorse metodicamente, seguendo un ritmo che lo porta sfinito a fine giornata, durante il lavoro si concentra sul bruciore dei muscoli e lascia che le chiacchiere dei suoi colleghi facciano da sottofondo e lo distraggano dall’ansia che lo accompagna da quando è scappato e lo fa scattare ad ogni rumore alle sue spalle.
Ogni giorno divide la paga che gli consegnano a fine giornata in quattro parti, tre delle quali nascoste in distinti punti della stanza, in caso qualcuno entrasse, la quarta se la porta sempre dietro in una tasca interna alla maglia con cui lavora. La somma che sta letteralmente indossando è abbastanza per improvvisare una fuga in caso di emergenza ma non è ancora in grado di portarlo lontano, ovviamente. A mala pena riuscirebbe a raggiungere Kamino, che dista solo tre città da Musutafu.
Durante la preparazione per scappare, Shouto è stato più volte tentato di portare con sé anche qualche gioiello da vendere in caso di necessità ma ha sempre desistito temendo che Endavour potesse accorgersene. Non è stata una cattiva idea, perché negli ultimi giorni ha notato qualche viso familiare per le strade ma ogni tanto, guardando i soldi diminuire ogni giorno sempre di più, pensa con rammarico che avrebbe potuto inventarsi qualcosa e dare la colpa ad un ladro, per quanto potesse suonare ridicolo.
Durante la pausa pranzo, si rifugia sotto l’ombra e, per distrarsi dal sapore insipido del pranzo che gli hanno dato, ascolta con più attenzione le conversazioni degli altri operai. Non hanno nulla a che fare con i discorsi con cui si intrattengono i membri dell’entourage di suo padre. Questi uomini non hanno mai visto uno spettacolo di teatro e tantomeno letto un’opera classica eppure Shouto non può fare a meno di trovare delle somiglianze. Parlano anche loro degli argomenti preferiti dei soci di Endeavor: soldi, sesso e salire di classe.
Ha passato sedici anni a cercare di ignorare argomenti del genere ma ora non fanno altro che rincuorarlo:  almeno non stanno parlando di lui.
 
 
Un giorno, sempre all’ora di pranzo, si accorge tra un morso e l’altro che l’argomento non è lo stesso di sempre.
-          Te lo giuro, li ho visti con questi occhi: non saranno stati più alti di così ma hanno messo k.o. un tizio tre volte la loro stazza. – con la coda dell’occhio Shouto cattura gli ampi gesti delle mani che accompagnano le parole dell’uomo.
Deve essere sulla quarantina, con braccia grosse quanto la sua testa e il naso che porta i segni di essere stato rotto più volte. Non è la prima volta che si ritrovano a lavorare per la stessa compagnia di trasporti ma non hanno mai parlato anche se Shouto non fa fatica a trovare familiare la sua voce, dato che difficilmente quest’uomo trova modo di stare zitto.
-          E quando sarebbe accaduto questo? Magari dopo che ti sei ubriacato l’altro giorno? – lo deride il suo amico. La sua voce gli suona nuova ma non la faccia. Shouto lo vede sempre seduto vicino all’altro.
-          No, no. È successo ieri. – riprende a parlare non badando all’ironia del compagno. Il ragazzo non saprebbe dire se non se ne sia accorto o se sia abituato. – Stavo tornando a casa quando mi sono accorto dell’ennesimo tentativo di linciaggio di uno dei ceffi di Shie Hassaikai. Ero vicino a quel posto dove ti abbiamo portato per il tuo compleanno, hai presente? – l’uomo aspetta un cenno prima di continuare: - A quanto pare è la solita storia, una delle ragazze dei locali dei Shie Hassaikai si è innamorata di uno dei clienti e i due sono scappati insieme. Devono essere davvero stupidi perché erano ancora qui, nonostante la fama di quei figli di puttana. –
Suo malgrado Shouto si ritrova interessato alla storia e richiude il pranzo dentro il tovagliolo. Mantiene lo sguardo fisso verso le navi sull’orizzonte, per fingere disinteresse, nonostante questa storia sia probabilmente una delle cose più interessanti che gli sia capitato di sentire fino ad ora.
L’altro si lascia scappare una risata divertita e un’imprecazione così colorita e fantasiosa che Shouto spera di provarla al più presto. – Non imparano mai, eh? –
-          La scena sembrava quella di sempre, hai presente? Lo scagnozzo alto e grosso che fa nero il furbo di turno, la ragazza che strilla e implora l’aiuto dei passanti, la folla che la ignora ma non troppo per non lasciarsi fuggire lo spettacolo. –
-          E tu eri tra questi, ovviamente. –
-          Sarei uno stupido se sognassi di intromettermi tra gli affari dei Shie Hassaikai! – di nuovo quell’imprecazione.
-          Ma questi due di cui stai parlando lo sono, a quanto pare. –
Braccio di ferro annuisce grugnendo disgustato. – Non so se quei due erano dannatamente stupidi o incredibilmente coraggiosi ma sono comparsi dal nulla e lo hanno attaccato. Avresti dovuto vederli! Sembravano capaci di prevedere le sue mosse, nel giro di pochi minuti lo avevano steso a terra e stava invocando la madre. Non è uno spettacolo che vedi tutti i giorni. –
-          Ma chi erano? Li hai visti in volto? –
L’uomo scuote la testa. – No, avevano delle maschere, quindi non devono essere completamente stupidi. –
-          Aspetta, che genere di maschere? Come quelle del gruppo di Shie Hassaikai? –
-          Ma se ti ho appena detto che hanno ammazzato di botte uno dei suoi uomini! No, le loro maschere non erano come quelle di Shie Hassaikai. Erano di forme e colori diversi. Vestivano di nero e sul braccio avevano uno strano simbolo giallo. –
-          Giallo? Sembravano una u e una a incrociate? –
-          Come fai a saperlo? –
Shouto lo ringrazia mentalmente per la domanda. La conversazione ha preso una piega che non avrebbe mai immaginato ma non per questo meno interessante. Possibile che a sud di Musutafu ci siano dei buoni samaritani che difendono i deboli? No, è impossibile. Sono pur sempre nella zona sbagliata dell’isola. Sicuramente devono aver chiesto qualcosa in cambio alla coppia per il loro intervento. La maggior parte delle persone che Shouto ha conosciuto lo avrebbero fatto, con eccezione forse solo Yaoyorozu ma lei non conta perché è una santa.
-          Perché dovresti vivere sotto un masso o un completo imbecille per non sapere cosa significhino. È lo Yuuei. Sono un branco di piantagrane che se ne va in giro credendosi in grado di fare ciò che neppure Endeavor riesce qui. Dio, non c’è altro da aspettarsi da All Might. –
Ormai continuare a fingere disinteresse è inutile perché Shouto si è alzato tanto in fretta che fatica a mantenere l’equilibrio e cade sulle casse su cui stava seduto prima, rompendole e attirando l’attenzione dei due. Con una risata lo guardano cercare di rialzarsi e riacquisire un po’ di dignità ma è dura quando rimani incastrato tra delle assi di legno che fanno fottutamente male e ti rifiuti di toccare il muro perché sai di cosa sia quella macchia.
Braccia di ferro sembra provare abbastanza pietà per lui, perché lo aiuta ad alzarsi. La sua mano è due volte quella di Shouto ma la stretta non è eccessivamente forte. – Se avessi voluto sentire la storia, bastava chiedere, moccioso. –
È così che Shouto scopre che fine ha fatto Yagi Toshinori dopo il suo ritiro e che parla per la prima volta con qualcuno per più di un minuto da settimane.
 
 
Da quel giorno, Yamada lo prende sotto la sua ala protettrice il che significa che Shouto si ritrova a doversi inventare una storia personale, cosa che aveva sperato di poter rimandare molto di più perché è sempre stato pessimo a usare la propria immaginazione. Il fatto che sia stato abbastanza stupido da mantenere il proprio nome la dice lunga.
La storia che racconta a Yamada è breve e concisa: è figlio unico, sua madre lo ha cresciuto da solo (non così tanto lontano dalla realtà) ma è morta qualche anno fa (il segreto per mentire è infilare quante più verità possibili) in un incendio, Shouto si è salvato ma al costo della cicatrice sul volto (una bugia, ovviamente, ma è molto meglio di indugiare su ricordi che ancora fino ad oggi lo svegliano nel cuore della notte madido di sudore e pieno di rimorsi).
Non è la storia più originale che avrebbe potuto inventarsi ma è il meglio a cui è riuscito a pensare e dopotutto ha sempre saputo di non avere le stesse doti di Yaoyorozu. L’importante è che Yamada non insista e continui a fare domande e a giudicare dalla tenera stretta alla spalla che gli da dopo aver sentito la sua storia, Shouto è abbastanza fiducioso di essere riuscito nel suo intento.
I giorni che seguono continuano ad essere monotoni ma meno silenziosi e solitari, adesso, prima di tornare alla locanda, saluta gli inseparabili Yamada e Kobayashi e scambia con loro qualche battuta durante la pausa o quando il capo gira lo sguardo, ogni tanto parlano dello Yuuei, delle ultime imprese dei suoi membri (fino ad ora sembra che siano solo o adulti incredibilmente bassi o ragazzini, secondo Yamada) o di come Yagi Toshinori stia migliorando la situazione, passo dopo passo, da tre anni.
Non ha idea del perché Yamada stia facendo questo, Dio, non sa neppure se le sue intenzioni siano sincere e sia vero che gli ricorda il figlio di sua sorella ma a volte Shouto vorrebbe dirgli la verità o almeno ringraziarlo perché non è stato finché non ha trovato compagnia che si è accorto che ne ha sentito la mancanza negli ultimi dieci anni.
Ogni tanto si chiede come stiano i suoi fratelli, se già sappiano della sua fuga e se siano preoccupati. A volte immagina di incontrarli per le strade di Musutafu e di abbracciarli e recuperare insieme il tempo perduto. Sono pensieri sciocchi, sa bene che i problemi della sua famiglia non si potrebbero mai risolvere così facilmente ma a volte sono tutto quello che gli resta.
 
 
Tre settimane dopo la prima volta che ha parlato con Yamada, Shouto è costretto a scappare ancora.
È un giorno come gli altri: il sole è alto nel cielo e così caldo che è costretto ad usare il suo lato destro per non collassare al suolo, sta trasportando una cassa piena di pesce, l’odore così penetrante che teme che non riuscirà a liberarsene per i prossimi giorni.
Probabilmente un lato positivo degli addestramenti di suo padre (l’unico) è che lo ha reso abbastanza forte e resistente da poter fare questo genere di lavoro, nonostante siano stati in molti a prenderlo in giro, nei primi giorni.
Quanto meno ha pensato così fino ad oggi.
Il secondo e terzo lato positivo (gli ultimi, davvero) sono il controllo della sua quirk la capacità di pensare in fretta.
Forse non sarebbe dovuto ricorrere ad usarla, se fosse stato più attento. È per puro miracolo che noti con la coda dell’occhio le rifiniture scarlatte e bronzee delle divise dei poliziotti che stanno parlando con un commerciante, caratteristiche delle uniformi degli uomini di suo padre. Se non le avesse viste, probabilmente non ci avrebbe neanche badato, così tanto abituato a vedere poliziotti di tanto in tanto avventurarsi per questa zona del porto per controllare la merce e i permessi dei mercanti.
Mi hanno trovato. Solo pensarlo gli fa congelare il sangue. È la vista dei duo uomini avvicinarsi, seguendo la direzione che gli indica il suo capo che lo fa rinsavire e capire che deve capire come andarsene senza essere notato o almeno catturato.
Yamada deve aver notato la sua agitazione, perché si gira e gli chiede: - Tutto a posto? –
Shouto vorrebbe davvero tanto non coinvolgerlo perché ha ormai deciso da tempo che è un brav’uomo tutto sommato e non si merita di essere arrestato da questi uomini solo per aver deciso che un sedicenne con cui lavora è abbastanza piacevole da scambiarci quattro chiacchiere. Si morde il labbro e scuote bruscamente la testa alla sua domanda, troppo impegnato a pianificare un modo per raggiungere la locanda per recuperare per lo meno i soldi e il barattolo di tinta. Il resto, i vestiti e la parrucca, lo può lasciare agli uomini di Endavour.
Bilancia il peso della cassa sul braccio sinistro, prima di coprirsi testa, e speranzosamente anche parte del viso. Poi intrappola i due soldati, congelandoli fino alla vita. L’ideale sarebbe stato fino alle spalle e immobilizzare anche le braccia, ma Shouto non usa la sua quirk da quasi due mesi, se non per regolare la sua temperatura corporea, e non avrebbe mai immaginato che dopotutto quegli addestramenti giornalieri servivano a qualcosa.
Getta a terra la cassa di pesce e scappa, gettando il porto nel caos. Disgraziatamente, non ci vuole molto per i suoi inseguitori per liberarsi: a quanto pare sono anche loro tra i pochi fortunati a Musutafu ad essere nati con una quirk (anche se Shouto l’ha sempre considerata una sfortuna ma dettagli).
Li sente gridarsi ordini a vicenda  e con la coda dell’occhio li vede richiamare altri soldati.  Con imprecazione, svolta improvvisamente a sinistra, per evitare l’attacco di un soldato che tenta di prenderlo di sorpresa e si dirige verso il mercato del pesce. Corre per le strette stradine spingendo chiunque gli stia tra i piedi, trascinando a terra casse e qualsiasi cosa riesca a raggiungere per rallentare i suoi inseguitori.
Quando questi cominciano  a sparare, la folla cade nel panico e comincia a spingere e a gridare, inconsapevole che così non fanno altro che aiutarlo. Shouto è appena riuscito a distanziarsi un altro po’ dalle guardie quando uno di loro spara in cielo per ben due volte ed inizia a gridare:
-          IL PROSSIMO CHE PROVA A MUOVERSI VERRA’ ARRESTATO PER INTRALCIO ALLA GIUSTIZIA! –
All’istante, il mercato si silenzia. Debolmente si sentono i rumori del resto della città raggiungere la piazza, Shouto riesce quasi a distinguere voci di bambini, così spensierate da stringergli il cuore perché non ha mai avuto il lusso di poter essere così. Ha sempre dovuto vivere per accontentare suo padre, per diventare quello che non è mai stato capace di essere.
Shouto ha sedici anni ma ancora non sa nulla di sé stesso. Non sa se alla fine diverrà come suo padre, così pieno di rimorsi e invidia da avvelenare chiunque gli stia accanto, o come sua madre, talmente debole da cedere difronte alla crudeltà della vita senza concretamente cercare una rivalsa. Non sa se ci sia altro che sappia fare, oltre a combattere ed essere un disastro umano.
Sa solo che se si arrende adesso, non potrà mai scoprire chi è veramente.
Piano piano accenna qualche passo indietro, fingendo timore alla vista delle quirk e delle pistole dei soldati, confondendosi il più possibile con la folla che lo circonda. Qualcuno impreca, quando si fa strada con i gomiti ma Shouto non riesce a sentirlo, troppo impegnato a regolare il suo respiro affannoso, non saprebbe dire se per la corsa o per la paura, e si fa più piccolo possibile, nascondendosi dietro a due uomini.
Il soldato che ha gridato, l’unico che non sta sfoggiando la sua quirk, stringe la presa alla pistola e la rivolge verso la folla. Shouto vorrebbe morire per la vergogna al pensiero che la prima cosa che prova è sollievo che stia guardando lontano da dove si trovi.
È un sentimento che non aveva mai avuto davvero occasione di provare fino ad ora, non intensamente come adesso, quanto meno. Vivendo con Endeavor ogni aspetto della sua vita doveva essere perfetto, un vanto, motivo di invidia degli altri: dalla sua educazione al controllo impeccabile sulla sua quirk. La vergogna non era contemplata. Ma ora, rendendosi conto di quanto possa essere egoista il suo desiderio di continuare ad essere libero, Shouto si chiede se realmente se lo meriti, se forse non sia meglio che torni da suo padre senza mettere ulteriormente in pericolo altra gente.
-          Bene, gente, ora ci capiamo. – riprende a parlare Grilletto facile. – Stiamo cercando un fuggitivo. Ha una quirk molto potente e una cicatrice sulla parte sinistra del viso.- Nel frattempo, gli altri tre stanno perlustrando la folla, controllando i volti e avvicinandosi lentamente a dove si trova. Chiunque lo abbia visto, ce lo dica all’istante. È pericoloso e disperato, sa di essere in trappola ed è disposto a tutto pur di scappare. Non abbiate pietà di lui perché lui non ne avrà per voi. –
Non è del tutto una descrizione errata: data la situazione, Shouto pensa che gli calzi al pennello. È interessante che Endeavor stia mantenendo ancora segreta l’identità del fuggitivo ma dato che si tratta di suo figlio è più che comprensibile: sarebbe fin troppo difficile spiegare senza fare cenno agli anni di abusi.
Cercando di retrocedere ancora ed evitando al tempo stesso lo sguardo della folla, evidentemente desiderosa di ritornare alla loro routine quotidiana e disfarsi dell’ennesimo criminale, Shouto rimpiange di non aver seguito il suo istinto settimane fa e provato a fingere la propria morte. Forse gli avrebbe potuto far guadagnare abbastanza tempo per racimolare i soldi per attuare il suo piano B: andare a cercare rifugio dalla famiglia di sua madre e, in caso di fallimento, rubare abbastanza soldi per cambiare paese.
È un piano molto vago, non ancora pensato nei dettagli: è un azzardo sperare di trovare accoglienza da parte dei genitori della madre, sono pur sempre gli stessi che l’hanno praticamente scambiata per scalare la vetta sociale, ma proprio per questo non sarebbe il primo tra i posti in cui lo cercherebbe Endeavor.
A casa dei suoi nonni materni avrebbe potuto anche scrivere delle lettere per i suoi fratelli, chiedendo finalmente loro scusa per non essere mai stato un fratello decente.
È a pochi passi dall’entrata di una strada secondaria, quasi nascosta da due bancarelle stracolme di frutti di mare, che si accorgono di lui. – EHI TU! FERMATI ALL’ISTANTE O SPARO! – la folla si allontana all’istante da lui, come se fosse appestato.
Una donna grida, da dietro la sua bancarella. – È LUI! –
Ed è così che con sommo orrore Shouto capisce che gli è scivolato il cappuccio, l’unica forma di camuffamento su cui ha potuto contare fino ad ora. È ormai inutile cercare di nascondersi, ora. Senza pensarci troppo, abbandona l’anonimato e attiva la sua quirk: erige due alti muri di ghiaccio per tenere a bada la folla e congela al terreno la guardia con la pistola e quello che lo ha minacciato prima (gli unici che riesce a intravedere).
Non perde altro tempo e corre via. In questi due mesi ha cercato di imparare come meglio ha potuto le strade di Musutafu sud ed è proprio grazie a quelle prime settimane di vagabondaggio, in cui si è perso più delle volte che vorrebbe ammettere (rischiando, in qualcuna, anche di essere rapinato), che ora riesce a svoltare all’improvviso, senza dover riflettere troppo su come ricalcolare la strada fino alla locanda.
Detesta perdere tempo prezioso per recuperare i suoi soldi ma sono l’unico mezzo per poter raggiungere i suoi nonni ed avere una seconda opportunità. Dietro di sé, sente le voci delle guardie gridare ma non distingue i loro passi, forse è riuscito a distanziarli abbastanza per smetterla di confonderli con le sue continue ed improvvise deviazioni.
Raggiunge la locanda da un vicolo talmente stretto che è costretto a strisciare tra i due muri. Una volta trovatosi grosso modo sotto l’unica finestra della sua stanza (unico motivo per cui ha scelto questa locanda dopo essersene andato dalla prima) si arrampica a fatica e la forza. Non appena entra, si concede un respiro di sollievo prima di cominciare a sollevare una delle assi allentate, nascosta dal letto. Recupera velocemente i soldi e prende anche quelli nascosti tra i vestiti.
Sta per sollevare un’altra asse di legno (nella stanza c’erano troppi pochi luoghi e cose per essere originale con tutti e tre i nascondigli) quando bussano alla porta della stanza. Shouto sente il sangue congelarsi. Non avrebbe mai creduto che pochi tocchi potrebbero eguagliare il terrore provato ascoltando le grida di sua madre.
-          Visto? Non è qui. Non risponde. Ora potreste andarvene? State facendo innervosire i miei clienti. –  riconosce il proprietario della locanda di cui ha sempre cercato di non attirare l’attenzione né positiva né negativa.
-          I fuggitivi non ti invitano di certo nel loro rifugio. – commenta una voce femminile e se Shouto non fosse in fuga applaudirebbe per la replica pungente.
La porta si apre senza dargli tempo per alzarsi o nascondersi (non che ci siano veramente dei posti ma tentar non nuoce). Sulla soglia si affacciano il proprietario della locanda, che gli lancia uno sguardo quasi tradito, come se non potesse credere che Shouto abbia osato infangare la sua reputazione nascondendosi qui, e la soldatessa con cui stava discutendo. È alta e robusta, i muscoli ben sviluppati, cosa che non lo sorprende perché ha sempre saputo dei risultati delle sessioni di addestramento di suo padre.
La donna alza la sua pistola e lo intima di alzare le braccia e arrendersi. Congela sia lei che il locandiere fino alle spalle e si dirige verso la finestra. Quando però è già con un piede fuori, sente un proiettile passargli a pochi centimetri dall’orecchio. – Fermati o la prossima volta non mancherò! –
Shouto si chiede come reagirebbe se ora le rispondesse che preferirebbe un proiettile, piuttosto che dover rivedere il padre. Invece, attacca ancora, ferendola alla mano che sta tenendo la pistola e salta.
Una volta tornato in strada riesce a percorrere una ventina di metri prima di venire circondato.
La prima cosa che nota sono le maschere. Queste persone non hanno il viso scoperto e le divise bardate di rosso e bronzo, come i soldati di suo padre ma indossano uniformi più sobrie, l’unico decoro è un kanji all’altezza del cuore che gli ferma il suo non appena lo vede. Gli uomini di Chisaki.
Fortunatamente sono soltanto due degli otto prodigi che formano la scorta personale di Chisaki Kai (non che ne abbia veramente bisogno) ma ad ogni modo Shouto sa bene che le sue speranze di fuggire sono calate drasticamente.
-          Todoroki Shouto, giusto? – dice uno, quello più basso, ha il viso regolare e tiene gli occhi chiusi. – Hai combinato un bel casino, eh? Ma ora è tutto finito. Ti consiglio di non opporre resistenza, se non vuoi farti male. –
Shouto si lascia scappare una risata. – Non hai nient’altro di meglio da dire? – risponde. Erige un altro muro di ghiaccio e lo spinge contro lui e il suo compagno. È sempre bene evitare il confronto diretto quando non sei certo dell’esito del duello. L’uomo che ha parlato, alza appena un braccio e intorno a loro si alza una barriera che li protegge dal suo attacco. Ci riprova, ancora ed ancora, cercando un punto debole nella difesa del suo opponente ma non la trova.
L’alternativa è solo una: scappare. Fa appena due passi prima di vedersi sbarrare la strada dal più robusto dei due. Lo guarda con un ghigno che fa accapponare la pelle e fa per afferrargli un braccio, con una tale naturalezza che sembra quasi che Shouto non sia altro che un bambino che sta facendo i capricci in mezzo alla strada.
Si ritrae di scatto e per un attimo rischia di perdere l’equilibrio. Forse è solo questo che lo salva dall’attacco dell’uomo alle sue spalle. Non appena sente lo sparo, si protegge con il suo ghiaccio, la sua reazione è istantanea, naturale dopo anni passati a sputare sangue negli addestramenti del padre.
Non si può permettere il lusso di voltarsi per controllare il nemico alle sue spalle, perché l’altro tira un gancio, mirando in pieno viso. Shouto fa un altro passo indietro e ricambia il favore colpendolo al fianco con un calcio. Al ricevere il colpo, l’uomo sorride ancora. – Scacco matto. – prima di muoversi molto più velocemente di prima e colpirlo con un pugno che gli fa mancare il respiro e lo costringe a piegarsi in due.
È in quel momento che sente di essere trafitto da qualcosa alla scapola sinistra. Con la mano raggiunge la parte lesa e sente qualcosa di metallico perforargli la pelle, ha forma cilindrica ed è freddo al tatto. Quando lo tira via, comincia a sentire le vertigini. Barcolla lontano, cercando di ricordare cosa fare in caso di costole incrinate o rotte. È abbastanza certo che nessun libro di medicina consigli di combattere in tali condizioni.
-          Ch- che cos’era? – in bocca ha un sapore pastoso, sta diventando difficile rimanere in piedi, parlare e pensare lucidamente allo stesso tempo, ogni muscolo pare improvvisamente pesare tonnellate. Ora che ci pensa, anche le palpebre sembrano pesanti.
I due ridono. – Oh, niente di che. Qualcosa su cui stiamo lavorando ultimamente. Data l’occasione non ci abbiamo trovato nulla di male in sperimentarla con te. Dovresti essercene grato: puoi vantarti di essere la prima vittima dell’inibitore di quirk! –
-          Cosa? – riesce a farfugliare, prima di cadere in ginocchio. A nulla servono i suoi tentativi di evocare del ghiaccio che lo possa sostenere. Con un l’ultima parte lucida di sé, realizza con terrore che sta per essere catturato. Lo riporteranno a casa. Al pensiero, le ultime forze che lo tenevano in piedi cedono e finisce così a terra. – Vi prego. Non riportatemi a casa. Vi prego. – implora e per la seconda volta sente un’ondata di vergogna travolgerlo.
C’è niente di più patetico che implorare nelle sue condizioni? Senza neanche la forza per stare in ginocchio ma steso a terra, con le lacrime che gli offuscano la vista?
Chiude gli occhi per tentare di scacciarle ma il pensiero di non riuscire a vedere i suoi rapitori rende la situazione ancora più terrificante e li riapre subito. Su di lui, incombono i loro volti. Shouto soffoca un singhiozzo e riprova a riattivare la sua quirk. A questo punto, sarebbe disposto ad utilizzare anche il suo lato sinistro, pur di salvarsi.
Quando lo afferrano, non implora. Non prova nemmeno ad implorare aiuto. È un fuggitivo, ormai per tutte le strade di Musutafu si sarà sparpagliata la voce del ricercato dagli uomini di Endeavor e Overhaul, solo uno stupido proverebbe a mettersi contro di loro.
Shouto viene caricato sulla spalla di uno di loro e continua a non dire nulla. Una fitta di dolore gli attraversa il costato ma non emette nessun verso di dolore, nonostante sia così forte che riconosce i sintomi di quando sta per perdere coscienza.
L’ultima cosa che vede, volgendo lo sguardo al cielo, è un lampo verde.
 
 
Shouto riprende coscienza dopo quelle che sembrano ore e, con suo sommo sollievo, ancor prima di aprire gli occhi sa già che non è legato e gli effetti della droga sembrano essere svaniti. La pesantezza che ha provato prima ai muscoli se n’è andata e anche il controllo sulla sua quirk pare essere tornato, anche se dovrebbe provare, per esserne effettivamente certo. Le costole continuano a far male.
I suoi pensieri vengono interrotti quando si accorge che non si trova da solo, nella stanza. A pochi passi da lui, riesce infatti a sentire alcune persone parlare:
-          Fammi capire bene, siete intervenuti mentre gli uomini di Chisaki Kai, uno dei magnate che fa parte dell’Oligarchia, stavano per rapire questo ragazzo, li avete affrontati e in qualche modo siete riusciti a non morire e a salvarlo. Poi, accorgendovi che era ferito, avete pensato bene di non portarlo da un dottore ma qui, in un covo di ricercati. – il tono della donna che parla, si direbbe una signora piuttosto avanti con gli anni, è burbero ma non distante.
-          Beh, questa in realtà sarebbe la infermeria di suddetto covo? – le risponde un ragazzo, la voce giovanile non sembra turbata dalla ramanzina della donna. Shouto sente il rumore di uno schiaffo e il suo gemito di dolore. La donna, probabilmente la responsabile dell’infermeria, deve averlo colpito. 
-          Deku non provare a fare il furbo con me, mi prendo cura di te da anni e non mi farò imbambolare come il resto di Musutafu. Avete rischiato grosso e per chi? Un criminale? Uno vero, per di più? – Shouto mantiene gli occhi chiusi, in attesa di capire che intenzioni abbiano.
-          Cosa?! È un ricercato? – esclama una terza voce, anche questa appartenente ad un ragazzo.
-          Non hai sentito la notizia, Riot? Stamattina c’è stato un inseguimento per tutta la zona. Gli uomini di Endeavor cercavano un ragazzo con una quirk potente e una cicatrice. A quanto pare lo avete trovato, congratulazioni. – la donna si lascia scappare un sospiro di esasperazione.
-          No-non lo sapevamo. Che facciamo? Lo riportiamo da loro? –
-          Deku? – a questo punto, Shouto è pronto ad alzarsi e attaccare. Se deve rischiare ancora una volta di essere riportato da suo padre, lotterà fino alla fine. È solo per le parole di Deku, se si ferma in tempo prima di congelare l’intera stanza:
-          Possiamo… - Deku fa una pausa, prima di continuare. – Possiamo ascoltare la sua versione dei fatti, prima di decidere? –
-          Cosa?! Ti ha dato di volta il cervello?!
-          Possiamo sempre chiamare Brainwash e sottoporlo ad un interrogatorio. –
C’è una pausa e se Shouto credesse negli dei protettori di Musutafu ora probabilmente starebbe recitando preghiere fino a perdere la voce. La dottoressa sospira ancora. – Va bene, chiamatelo. Ma che qualcuno rimanga qui a sorvegliarlo, si risveglierà a breve e non sappiamo come reagirà. –
Poi sente il rumore di passi e il cigolare di una porta che si apre e chiude.
-          Puoi aprire gli occhi, ora. – per poco le parole non gli fermano il cuore ma Shouto finge indifferenza e obbedisce.
Si mette seduto, cercando di non far caso al dolore al costato e si guarda attorno. La stanza dove si trova è semplice, ha lo stretto indispensabile per il suo compito: ci sono due file di letti, ognuna da quattro, una parete è coperta da uno scaffale pieno di boccette ammassate le une sulle altre, al centro della stanza, c’è quello che sembra un tavolo per le operazioni. La porta è alle spalle di Deku.
Indossa una maschera di stoffa verde che gli copre la parte superiore del viso, ad eccezione degli occhi, anch’essi verdi, dalla testa gli pendono quelle che sembrano due orecchie, al collo gli penzola un’altra maschera, di un materiale più duro e con un disegno che ricorda un sorriso. Addosso ha una maglia a maniche lunghe e dei pantaloni neri, aderenti quanto basta per rivelare un fisico atletico. Alle mani porta dei guanti bianchi.
Non ci vuole molto per associare il logo dorato sulla sua maglia e la maschera ad un nome: lo Yuuei. È stato salvato dallo Yuuei.
-          Non hai paura che possa attaccare? Sono un ricercato pericoloso. – chiede con tono divertito. Possibile che non tema che possa scappare?
Deku ride e scuote la testa. - No, sei stato sveglio per la maggior parte della conversazione. Avresti potuto farlo prima, cogliendoci di sorpresa, ma non lo hai fatto. Ci sono più possibili spiegazioni, una è perché volevi ovviamente sentire le nostre intenzioni, oppure hai voluto dimostrarci di non costituire una minaccia oppure volevi aspettare che ce ne andassimo per scappare. La lista continua ma queste mi sembrano le più probabili. – Shouto fa leggermente fatica a seguire il filo del discorso, che comincia con tono normale ma che più va avanti più diventa un mormorio, come se stesse ragionando a voce alta e non parlando con lui.
È totalmente diverso dal modo in cui parlano tutte le persone che ha incontrato fino ad ora.
-          Da quanto sono qui? – lo interrompe quando è ormai impossibile distinguere le parole e vede soltanto le labbra muoversi.
Deku si riprende dalla trance con un scatto e arrossisce. O quanto meno Shouto crede che stia arrossendo. – Da poche ore, due o tre. Hai perso conoscenza poco prima che intervenissimo. – afferra lo schienale di una sedia e la trascina fino al letto dove Shouto sta steso e si siede. – Posso… posso chiederti una cosa? – gli domanda quando incrocia il suo sguardo.
Deku gli fa cenno di procedere. – Perché mi hai aiutato? So chi siete e se davvero fate rispettare la legge, non ha senso che ve la prendiate con gli uomini di Chisaki Kai, un membro dell’Oligarchia. Soprattutto per salvare uno sconosciuto in fuga dagli uomini di Todoroki Enji. –
Il ragazzo lo fissa per qualche istante, grattandosi la testa, prima di replicare: - Sembrava che avessi bisogno di aiuto. – fa spallucce.
Shouto non ha il tempo per chiedergli, urlare, che cosa voglia dire perché dalla  porta entrano due persone: un ragazzo con una maschera nera che copre anche a lui la parte superiore del viso ma lascia scoperti gli indomabili capelli viola e un uomo così alto e possente che per un momento Shouto si chiede come faccia a rimanere dello spazio nella stanza. All Might.
All Might si ferma un attimo sulla soglia e incontra il suo sguardo. Nei suoi occhi sembra scattare qualcosa, che si ricordi di lui? Ma il momento se ne va velocemente come è arrivato e i due si avvicinano.
L’interrogatorio comincia.
Il ragazzo dai capelli viola si schiarisce la gola. – Vuoi qualcosa prima di cominciare? Hai sete o fame? Dolore da qualche parte? –
-          No. – appena risponde, accade qualcosa di strano. È una sensazione diversa da quella della droga di prima, sente perdere sensibilità agli arti, è come se il suo corpo non fosse più suo. Brainwash sorride. – D’ora in poi risponderai a tutte le domande che ti porremo e non mentirai. Chiaro? –
Con suo sommo orrore, si ritrova ad annuire. Una quirk che controlla le persone? Come è possibile che sia rimasta nascosta un tale minaccia? Perché All Might non è già padrone di tutta Musutafu, se ha una tale arma nel suo arsenario?
-          Come ti chiami? –
-          Todoroki Shouto. – risponde ancor prima che possa tentare di resistere. Nel volto di All Might si dipinge un’espressione sorpresa, Deku annuisce, come se avesse appena confermato un dubbio e Brainwash si volta verso di loro e chiede:
-          Qualcuno che potremmo conoscere? –
-          Forse tu lo conosci come Endeavor, ma il suo vero nome è Todoroki Enji. Credo che Todoroki-shounen sia suo figlio, giusto? –
-          Oh, quindi credo che dobbiamo escludere che tu sia un criminale. – vedendolo non rispondere, il ragazzo ordina con voce infastidita: - Rispondi. –
-          Non sono un criminale. – ribatte con lo stesso tono. – E non pensavo che fosse una domanda. -
Brainwash gira gli occhi ma ignora il suo commento. – Quindi sei scappato di casa? Ti prego dimmi che non sei l’ennesimo ragazzino viziato e ingrato. -
Deku interviene prima che possa tirargli un pugno. – Perché sei scappato? –
Il suo tono è preoccupato, i suoi occhi lo fissano con una concentrazione tale da metterlo a disagio. Tra questo e le sue parole di prima, Shouto non sa cosa pensare di questo ragazzo, che alla sua età se ne va in giro per Musutafu sud a combattere contro la scorta di uno dei magnate dell’isola e a salvare sconosciuti come lui. “Sembrava che avessi bisogno di aiuto”. Assurdo. Nessuno ha mai guardato Shouto e pensato che fosse in difficoltà o quanto meno nessuno lo ha mai aiutato.
La risposta alla sua domanda sta implorando di uscire dalla sua bocca, il comando di Brainwash si fa sempre più opprimente ogni secondo che Shouto usa per elaborare una versione che possa soddisfarli senza rivelare troppo. Dopo anni di abusi, ancora non sa perché sia così reticente a nasconderlo. Forse è un istinto sviluppatosi nel tempo, nato nel timore della reazione di un Endeavor che scopre cosa va a dire di lui suo figlio.
-          Dovevo… dovevo andarmene da quella casa. – deglutisce. –Non c’era più nulla che mi trattenesse lì. –
All Might solleva le sopracciglia e si siede sul suo letto, gli poggia una mano sulla spalla, è tanto grande che gliela copre completamente. Shouto si ricorda improvvisamente che da piccolo, prima che la sua stessa casa divenisse una prigione, i suoi fratelli degli sconosciuti e sua madre un fantasma, ci fu un periodo in cui lo aveva ammirato così tanto da sognare di essere come lui da grande.
Solo dopo aver visto lo sguardo inorridito di sua madre rivolto a lui, ha capito che era impossibile, nonostante gli sforzi di Endeavor.
Evita il suo sguardo, a disagio, ma con la coda dell’occhio nota la conversazione silenziosa che sta avendo con Deku. È uno scambio di sguardi e gesti ridotti fino al minimo, incomprensibili da terzi e nati da una complicità che non nasce dopo una notte. Shouto si chiede quale sia la loro storia. Come ha fatto un ragazzo della sua età ad attirare l’attenzione di All Might, una leggenda tra i suoi pari, e venir considerato da lui un suo simile?
-          Credo che sia abbastanza, per ora. Todoroki shounen, se vuoi, sei libero di rimanere qui finché non sarai guarito completamente. Ti prometto che sarai al sicuro e non diremo a nessuno dove ti trovi, a meno che tu non voglia contattare qualcuno? Tua madre o i tuoi fratelli, forse? – Non ci vuole un genio per capire che hanno parlato di lui e delle altre cicatrici, non solo le bruciature (sa di essere stato medicato e quindi che lo hanno visto senza vestiti), ma Shouto non rifiuterebbe un aiuto per capire le sue parole. Lo vogliono aiutare davvero?
-          Mia madre è morta. – risponde, incredulo. Possibile che abbiano capito la sua situazione? Quasi non si accorge di non essere più sotto il controllo di Brainwash, che nel frattempo si è alzato e uscito dalla stanza senza neanche salutare.
Anche All Might si mette in piedi, lui e Deku gli rivolgono due sorrisi così simili che paiono padre e figlio. – Magari possiamo parlare di quello che vuoi fare mangiando un piatto caldo. Vado a prenderti qualcosa. – ed esce dalla stanza.
Shouto si stende di nuovo, gli avvenimenti appena accaduti sono troppo sconvolgenti per cercare di elaborarli da seduto. Ha trovato davvero un luogo sicuro? Si può fidare dello Yuuei? Sono abbastanza i racconti delle loro imprese per tranquillizzarlo?
Deku sembra leggergli nel pensiero, perché senza che dica nulla, parla: - Andrà tutto bene. – il tono è sicuro e ha ancora il sorriso che gli ricorda quello di All Might.
Shouto lo guarda ed è quasi tentato di imitarlo. – Come fai a dirlo? –
-          Perché ora siamo qui. –
Shouto gli crede.
   
 
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