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Autore: Bellis    08/07/2009    1 recensioni
Devo ammettere che sobbalzai, quando quella voce così ben nota giunse inaspettatamente alle mie orecchie.
Girai sui tacchi, trovandomi faccia a faccia con Mycroft Holmes.
Accennai un sorriso, nella maniera più convincente, e chinando il capo lo salutai.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Procedimento Induttivo

24 Aprile, 1891

Ho spesso trovato l'atmosfera del Diogenes Club molto rilassante, quasi un ristoro alla caotica percezione del centro urbano londinese. Negli austeri locali che accompagnano le silenziose e pacifiche meditazioni dei soci, nulla può turbare la quiete di un animo in cerca di tempo vitale, in cerca di quell'incoraggiamento alla riflessione che solo il silenzio può dare.

Eppure, quella mattina, nella luce scintillante e tiepida del sole primaverile, nemmeno tra quelle mura riuscii a raccogliere un briciolo di quiete interiore, gemma preziosissima avvolta e confusa nel turbinìo di tumultuose cogitazioni.

La Sala degli Estranei - così la chiamano, nella necessità di un nome breve ed univoco - era inondata da quel tepore, che anche i volumi polverosi sembravano gradire. Due scale giacevano appoggiate alle scaffalature, e chiunque avrebbe potuto notare come la più interna fosse praticamente nuova, mentre la più esterna era sovente utilizzata - il terzo piolo era sul punto di spezzarsi, ed un cigolio sinistro percorse tutta la povera struttura dell'abusato oggetto, quando lo sfiorai con le dita affilate.

Mi incamminai alle vetrate, e ne scostai la tenda con cautela, lanciando una breve occhiata all'esterno, percorrendo con lo sguardo la via sterrata ed il marciapiede che costeggiava Pall Mall, in cerca di quei volti che troppo spesso avevano popolato i miei incubi, di recente. E tuttavia, non potei scorgerne nessuno, da sveglio.

Era una presenza subdola, che penetrava i miei pensieri sempre e comunque. E quei pochi giorni che mi separavano dalla fine di ogni preoccupazione sembravano al mio cuore una barriera insuperabile. Respinsi questo cupo presagio, appoggiandomi all'intelaiatura della finestra, e cercando di restituire alla mia mente il completo controllo della mia essenza, scacciando quelle sensazioni che erano inevitabili alla mia natura umana, eppure così distruttive per l'analisi logica e deduttiva.

Avevo già trascorso molto tempo dialogando con me stesso, discutendo e mettendo alla prova ogni punto del mio ragionamento. Non v'era possibilità di errore. Questa consapevolezza mi rassicurò, ma soprattutto riportò quella catena di argomenti e di informazioni alla mia memoria con straordinaria vividezza e rapidità, cosicchè iniziai ad attraversare la Sala, passo dopo passo, avanti ed indietro, e non udii il delicato tonfo della porta che veniva richiusa con mano esperta e silenziosa alle spalle di mio fratello.

"Sherlock."

Devo ammettere che sobbalzai, quando quella voce così ben nota giunse inaspettatamente alle mie orecchie.
Girai sui tacchi, trovandomi faccia a faccia con Mycroft Holmes.
Accennai un sorriso, nella maniera più convincente, e chinando il capo lo salutai.

"Come stai, fratello mio?" chiesi, cortesemente, rimanendo immobile, le mani giunte dietro la schiena.
Notai che il suo sguardo distante si era focalizzato sulla mia persona, e la stava scrutando attentamente, in cerca di quei piccoli particolari dai quali la sua allenata facoltà deduttiva traeva sostegno.

Feci un passo indietro, esponendomi alla luce che filtrava tra le tende, per facilitargli il compito.
Mi ringraziò con una bonaria strizzata d'occhi.
"Oh, trascorro la routine giornaliera nella quiete del Club... il mio ambiente naturale, come ben sai, ragazzo mio." commentò, trascinando i piedi verso una poltrona ed affondandovi con davvero poca leggiadrìa ed un buono spessore di nonchalance.
"Ora, Sherlock, vedo che tu hai già preso una decisione, e che la tua risoluzione è ferma ed incrollabile." aggiunse, mentre prendevo posto di fronte a lui.
"Mi sfugge dunque il motivo della tua seppur gradita visita."

Sapevo che anche la più misurata cautela nel mio comportamento non poteva nascondere alcun segreto alla vigile ed allenata perspicacia di Mycroft. Sicuramente aveva notato che il mio pallore e la magrezza del mio viso superavano in intensità quelli abituali.
Ma non aveva bisogno di impegnare in modo completo le sue abilità deduttive. Probabilmente, la sua convinzione nell'esporre quella naturale domanda derivava semplicemente dall'istinto fraterno, che pur doveva esserci, sepolto nella formalità Vittoriana e nella rigidità ed austerità di costumi, tipiche della nostra famiglia.

"E' in realtà assurdamente semplice, Mycroft." replicai, con leggerezza, come se si trattasse di una di quelle antiche sfide che impegnavano noi due ragazzi, nel saper trarre il maggior numero di dettagli dal semplice aspetto dei passanti o degli ospiti dei nostri genitori.
"Volevo solamente vederti, prima di partire."

Annuì gravemente, passando una mano sul fazzoletto di seta rossa che spuntava dal taschino del suo abito formale.
"Lasci l'Isola?"

Era il mio turno di annuire, e non dissi nulla d'altro.

"Il primo treno di domani, spero."

"Certamente."

"Il Continental Express, fortunatamente, ha una coincidenza diretta col traghetto."

Mi accorsi di sorridere, in modo più ampio, ora. Mycroft doveva aver controllato gli orari poco prima del mio arrivo.
"Lo so."

"Sarai solo?"

Esitai.
Non avevo ancora avuto l'occasione di parlare al Dottor John Watson, col quale avevo condiviso tante esperienze e tante avventure. Certamente la sua disponibilità ed il suo carattere impulsivo lo avrebbero spinto ad accompagnarmi.
La pausa che indusse mio fratello ad intervenire era dovuta semplicemente al fatto che la mia coscienza recalcitrava, all'idea di fornire al mio amico Watson un compagno di viaggio tanto pericoloso.

"E' mia opinione, Sherlock, che avere al tuo fianco qualcuno di famiglia possa esserti d'aiuto, ora più che mai." sentenziò mio fratello, con un leggero sorriso ad increspare il viso per nulla giovanile, e già percorso da profonde rughe.
"E sai bene che i miei impegni di lavoro non permettono che io mi allontani da Londra." concluse, meditabondo, appoggiandosi allo schienale della poltrona.

Rimasi a riflettere, attentamente, sul concetto appena espresso, e tuttavia i miei pensieri furono interrotti da un unico lampo di consapevolezza.
"Temo solamente per la vita del mio potenziale accompagnatore, Mycroft." risposi, seccamente, aggrottando le sopracciglia e distenendo la mano destra ad enfatizzare il concetto.

Mio fratello si levò in piedi, avvicinandosi alla vetrata, come a cercare qualche sprazzo di luce, nella situazione attuale. Quando lo raggiunsi, affiancandolo e rimanendo immobile in attesa, finalmente parlò.
"Il professor Moriarty non cerca che il confronto con te. Ed è per la tua vita che devi temere, ragazzo mio." lo sentii confermare la voce della mia ragione, che pur mi riecheggiava già nella mente. "Il Dottor Watson è un vecchio soldato, e credo che gli faresti un grave oltraggio, non informandolo della situazione. Da quanto ho potuto capire, non è tipo da abbandonare un camerata in pericolo."

Non potei che ricambiare il piccolo sorriso che mi indirizzò, abbassando infine lo sguardo e raccogliendomi nei miei pensieri.
Fui destato pochi istanti dopo da un boato sordo, che mi fece trasalire, e non riuscii ad evitare che il mio sguardo scattasse, attento ed ansioso, a spiare nervosamente la via che si stendeva, già crepitante di vita, dinanzi a noi.
Trovai che l'origine del forte rumore non era altro che un garzone disattento, uscito da una delle botteghe vicine.

Sentii la mano di Mycroft posarsi sulla mia spalla. Voltandomi verso di lui, lo trovai attonito e preoccupato dalla mia evidente - e forse esagerata - reazione.
"Ti ringrazio del tuo consiglio, del quale mi avvarrò certamente, fratello mio." recuperai infine, naturalmente era sottinteso un 'come sempre', che omisi in omaggio alla dignità ed alla forma che sapevo lui gradiva.

Ma quel mio comportamento inusuale, nervoso, altamente emotivo, aveva evidentemente reso il mio fratello maggiore particolarmente sospettoso. Continuò a fissarmi, con sguardo ammonitore, passando in rassegna il mio abbigliamento impolverato e la mia pettinatura che - avrei potuto giurarlo - non era certo impeccabile.
Non era solamente per salutarlo che mi ero diretto - o meglio, mi ero rifugiato - presso il Diogenes Club.

Avevo a stento evitato quel furgone che si era precipitato nella mia direzione alla massima velocità, trainato da due cavalli spronati al galoppo, proseguendo su Marylebone Lane. E quel mattone che era caduto dal tetto dell'edificio in costruzione di Vere Street si era sbriciolato a meno di un metro da me.
Nessuna prova certa di premeditazione. Ovviamente.
Eventi puramente casuali.

"Dunque hai già sperimentato qualche segno tangibile delle attenzioni del professor Moriarty." affermò, con la certezza del matematico.

Inarcai le sopracciglia.
"Oltre ad aver ricevuto una visita dal professore in persona... in effetti, mentre mi dirigevo ad Oxford Street, mi sono imbattuto in una sfortunata serie di..."
La mia indomabile tendenza alla teatralità emerse in una piccola pausa, "... incidenti."

Scuotendo il capo con severità, egli replicò, impietosamente, "C'era da aspettarselo."

"Me lo aspettavo, infatti."

Mycroft, con un cenno, mi invitò ad accomodarmi nuovamente, mentre si metteva a proprio agio sulla poltrona da lui prediletta - vedevo infatti che era l'unica a poter sostenere il suo peso, in quella stanza.
"C'è sempre un'altra soluzione, Sherlock... che potrebbe essere presa in considerazione."

Sostenni il suo sguardo per qualche momento, infine scossi il capo, in segno di muto diniego, serrando le labbra con decisione, ed abbassando gli occhi al pavimento lucido e marmoreo.

"Senza Moriarty, la sua rete malefica di agganci e di informatori è come un corpo umano privato del cervello - inerte, innocuo, morto." aggiunse, socchiudendo le palpebre e cercando nuovamente il contatto visivo, che evitai, tentando di prendere tempo.

"Trovo che il tuo paragone non sia del tutto esatto, Mycroft." replicai, lentamente, "Se consegnassi ora - adesso, in questo stesso giorno - le prove da me raccolte a danno del professore e dei suoi accoliti, egli sarebbe imprigionato, è vero. Insieme, forse, a parte dei suoi complici. E tuttavia i pesci più piccoli e subdoli scapperebbero tra le maglie della rete."

"Nessuno di essi è alla tua altezza. Nessuno dei... pesci più piccoli... può competere con te, Sherlock." sbottò, seccato dal mio contraddittorio.

Accennai un sorrisetto ironico.
"Pesci piccoli, ma pericolosi. Viscidi, e subdoli. Prima di trovare altre prove a loro carico, quale danno potrebbero arrecare? Quando invece abbiamo la possibilità di catturare l'intera organizzazione, pazientando per tre soli giorni!" esclamai, il tono basso, ma non del tutto calmo, me ne resi conto.

Con uno scatto faticoso, data la sua mole, mio fratello si levò nuovamente in piedi, passeggiando nervosamente e delineando il contorno della sala di lettura, a mento basso, serio in volto. Lo osservai attentamente. Ero abituato ai suoi lunghi silenzi, che spesso preludevano ad illuminanti affermazioni. Ma potevo stabilire con certezza che non stava ora ragionando nel pieno della sua lucidità.
"E cosa accadrà, al processo, Sherlock," esordì, bruscamente, "Se il testimone principale non potrà intervenire..." fece un'altra pausa, prendendo fiato, "... perchè brutalmente assassinato per le vie di Londra?"

Balzai dalla sedia, sorridendo alla melodrammaticità inusuale di questa domanda retorica.
"Mio caro Mycroft - " iniziai, ma mi interruppe con un'occhiata, evidentemente ingiungendomi di rispondere in modo coerente.
Mi riappoggiai con delicatezza alla poltroncina.
"... probabilmente questo nuovo delitto aumenterebbe il numero di indizi a beneficio della nostra Polizia Ufficiale di Scotland Yard." analizzai, sollevando l'indice destro, "Ma non ti preoccupare. Ho fatto in modo che la mia testimonianza diretta non sia essenziale."

Non era la migliore delle risposte, non esaustiva e non rassicurante. Anzi, in un'altra occasione probabilmente mio fratello si sarebbe stupito di tanta assurda e bambinesca ironia, che non giovava nè alla logica nè all'oggettività di un osservatore esperto.
Quel giorno, si limitò a reprimere un sospiro, talmente lieve da apparire quasi invisibile, a chi non avesse conosciuto i modi dell'individuo.
"La tua decisione è dunque veramente irrevocabile, mio caro ragazzo." constatò infine, avvicinandosi a me e sedendomi a fianco. La seggiola imbottita scricchiolò, al che mio fratello stabilì saggiamente che fosse meglio riaccomodarsi nella poltrona più massiccia.

"Del tutto, Mycroft." confermai, ora molto serio, mentre scrutavo il suo volto improvvisamente così vecchio, e notavo come condividesse i presagi oscuri e tenebrosi che avevano invaso i miei sogni ed i miei pensieri.

Potei cogliere di sfuggita un lampo di approvazione - o forse ammirazione - nel suo sguardo, quando lo risollevò, ed interpretai il suo prolungato silenzio come una paziente attesa. "Pensavo, fratello mio, di passare la giornata qui al Club." gli sottoposi la mia idea, volta ad evitare ulteriori 'incidenti'.

Annuì, socchiudendo gli occhi, ed il suo sguardo non del tutto concentrato e piuttosto vacuo mi parve la perfetta rappresentazione dell'astrazione mentale.
Mi avvicinai alla sua poltrona, sorridendo appena, con la determinazione di cercare rifugio nella biblioteca, ove avrei potuto trovare informazioni e pace per scrivere.

"Ah, Sherlock." chiamò, mentre mi avviavo alla porta.

Mi voltai, ponendomi in ascolto, giacchè avevo compreso dal tono di voce che si trattava di una puntualizzazione importante.
Era altresì raro che Mycroft parlasse a vanvera.

"L'inaspettata partenza del Dottor Watson potrebbe indirizzare qualcuno sulle tue tracce, ragazzo mio." fece, preoccupato, a voce bassa.

Chinai il capo in segno di grave assenso.
"Prenderò ogni precauzione, lo prometto."

Mio fratello sorrise bonariamente.
"Posso fornirti una... precauzione in più, finchè sei a Londra." replicò immediatamente, "Penso che troverò l'energia sufficiente per fare un bel giro in carrozza, domani all'alba - l'aria mattutina è corroborante, e gioverà alla mia salute più di tutto quello smog pomeridiano."

Generalmente, non sono una persona incline a mostrare apertamente i moti più intimi del mio animo. Tuttavia, in quel momento, la gratitudine dovette affiorare con sincerità e limpidezza sino al mio volto ed ai miei occhi, perchè Mycroft continuò a sorridere.
"A dopo, Sherlock." concluse, levando la mancina in un cenno di commiato.

Mentre mi incamminavo attraverso i corridoi dagli elaborati arazzi del Diogenes Club, verso l'atrio antistante l'enorme biblioteca fornita di aggiornate pubblicazioni, mi soffermai a ponderare le parole utilizzate dal mio caro fratello per descrivere colui che era divenuto, dopo tanti anni, a tutti gli effetti, il mio 'cronista'.

In effetti, io stesso mi ero spinto sino a considerarlo, interiormente, parte della famiglia.
Se anche la fratellanza può essere definita una relazione transitiva, ed essendo Mycroft un matematico dalle spiccate doti intellettuali, non mi stupii affatto che egli avesse esteso - per semplice procedimento induttivo - il concetto di questa parentela al mio fraterno amico, Watson.


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Nota, Nota dell'Autore
Che si firma a tutte l'ore.
Ehi! Fa rima!
Rileggendo, dopo quasi sette anni d'oblio, Le Memorie di Sherlock Holmes, mi sono imbattuta nella celebre Ultima Avventura. Mi ha colpita in particolar modo il resoconto che Holmes fa nello studio di Watson, riguardo la sfortunata serie di incidenti che lo ha coinvolto, affermando infine di essersi recato a Pall Mall da suo fratello, dove ha passato la giornata.
Ecco qui dunque un breve frammento di una conversazione, che - ne sono convinta - è stata molto più lunga ed elaborata.
Ah, sì, la prima persona narrativa. Non mi è mai riuscita particolarmente bene :S Però, non ho saputo resistere alla tentazione di immedesimarmi direttamente nel personaggio.
Spero, Lettore, che il mio piccolo testo Ti sia piaciuto.
A presto!

   
 
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