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Autore: MomoiDancho    15/08/2018    1 recensioni
Sono rimasto chiuso nella mia camera per tre anni.
La mia fobia sociale era diventata così grave da trasformarmi in un hikikomori, come vengono definiti in Giappone: Wikipedia recita “termine giapponese usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento”.
Ho googlato questa definizione quando stavo cercando di informarmi il più possibile sulla cultura del paese del Sol Levante; effettivamente ho il sogno di poter visitare Nara, un giorno, una meravigliosa città caratterizzata dalla presenza di cervi.
Come so dell’esistenza di questo luogo?
Lo devo tutto a Beatrice.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Sono rimasto chiuso nella mia camera per tre anni.
La mia fobia sociale era diventata così grave da trasformarmi in un hikikomori, come vengono definiti in Giappone: Wikipedia recita “termine giapponese usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento”.
Ho googlato questa definizione quando stavo cercando di informarmi il più possibile sulla cultura del paese del Sol Levante; effettivamente ho il sogno di poter visitare Nara, un giorno, una meravigliosa città caratterizzata dalla presenza di cervi.
Come so dell’esistenza di questo luogo?
Lo devo tutto a Beatrice.
Lei è l’unica che mi sia rimasta vicino, in tutti questi anni: l’ho conosciuta quando ancora stavo bene ed ero solo quello che comunemente può essere definito “un ragazzo timido”. Ero il primo della classe e venivo spesso emarginato per questo, ma un giorno, quando Beatrice entrò nella classe presentandosi come nuova studentessa, le cose cambiarono.

Si era seduta vicino a me, in primo banco, come se fosse la cosa più naturale al mondo.
Iniziò a parlarmi, vincendo la mia timidezza e mi raccontò della sua vita, dei suoi interessi, dei suoi viaggi.
E io ascoltavo, ascoltavo, ascoltavo e assorbivo tutta quella conoscenza, come se fosse il nettare più prelibato di cui potessi cibarmi: volevo sapere sempre di più, ma non osavo chiederle nulla, per via della timidezza… almeno all’inizio. Passarono i mesi e tutti iniziarono a credere che fossimo innamorati, se non addirittura fidanzati: io abbassavo la testa in imbarazzo, mentre lei si limitava a ridacchiare e a negare il più delle volte.
Ovviamente, il fatto che io mi chiamassi Dante non faceva in modo di risparmiare le battutine più ovvie.
L’ultimo giorno che andai a scuola, stavamo leggendo un passo della Divina Commedia, in particolare una parte dell’Inferno: Beatrice, accanto a me recitò

“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona”


E mentre lo disse, mi guardò per un attimo, come a volermi trasmettere qualcosa.
In quel momento, entrò dalla porta della classe mia madre, in evidente stato di shock: la cosa inizialmente mi mise in imbarazzo, il professore la guardò con aria interrogativa, ma al comparire del Preside di fianco a lei, non fece obiezioni quando chiese di potermi parlare al di fuori della classe.
Mi alzai e una volta che fui fuori dalla porta, mi disse «Dante… Dante.. io… Gaja è…» fece un sospiro e le lacrime le sgorgarono dalle guance, mentre mi abbracciò dicendo «Gaja è morta, travolta da un’automobile». Non saprei descrivere cosa provai in quel momento.
Paura, disgusto, panico, ma soprattutto senso di colpa: quella mattina, avrei dovuto accompagnare la mia sorellina di nove anni a scuola, ma per evitare di fare ritardo alla prima ora, le chiesi di andarci da sola.
Mi ricordo che mi sentii male e mi portarono in ospedale, dove non mangiai e bevvi pochissimo, peggiorando la mia già cagionevole salute fisica.
Ricordo che rimasi fortemente disgustato da me stesso: cos’era la scuola, cos’erano i voti, le lezioni, le verifiche, cos’erano in confronto alla vita della mia sorellina? Un soffio, un nonnulla, un qualcosa che non valeva un centesimo di quello che avevo perso.

Mi rifiutai di tornare a scuola e venni bocciato. Smisi di parlare, per un certo periodo.
Al contrario di me, che tenevo tutto dentro, per le persone che mi circondavano ero un ampio argomento di discussione: diventai “quel ragazzo che si è buttato via” o “una mente brillante sprecata”, ma anche “un vero peccato, prometteva così bene”.
Finii col barricarmi in camera, per evitare di vedere la gente, sentirmi etichettato o addirittura di venire “importunato” con domande riguardanti cosa provassi  per la perdita della mia sorellina, rendendo sempre più disperati e miserabili i miei genitori; rifiutai all’inizio anche di vedere uno psicologo, pur di non parlarne.
L’unica che non mollò con me fu Beatrice. Veniva quotidianamente a trovarmi e a portarmi i compiti, anche se ormai non andavo più a scuola: “Devi tenerti in allenamento, altrimenti quando riprenderai sarai in difficoltà” continuò a ripetermi fino allo sfinimento.
Il giorno del compleanno di Beatrice si avvicinò: buffo come lei fosse nata il 9 Settembre del 1999, come a ricordare il 9, già presente nell’origine latina di BeatrIX.
Le chiesi cosa volesse per il compleanno e lei mi disse che aveva due desideri impossibili: fare un viaggio post maturità “da sogno” in Giappone (del resto lei aveva passato l’estate a studiare per poter entrare nella facoltà di Ingegneria Biomedica e, finalmente, poteva concedersi il meritato riposo) e un altro, che non poteva dirmi. Quest’ultima cosa mi infastidì leggermente, perché tra noi non c’erano segreti.
Beh, quasi.
Io ero innamorato di lei da anni, ma non avevo mai avuto il coraggio di dimostrarle quanto tenessi a lei.
L’unica persona che sapeva della mia cotta, era Vera, la mia psicologa.
Lei mi punzecchiava, mi diceva che sarebbe stato un enorme passo per me poter anche solo uscire da camera mia e abbracciarla, facendole gli auguri.
Durante l’ultima seduta, mi aveva detto: “C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo: tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze  e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso… Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un’esistenza non convenzionale.” e mi aveva consigliato di vedere il film Into the Wild, da cui aveva preso la citazione.

Alla fine, quella sera avevo deciso di guardarlo: non mi colpì molto, finché non arrivò la fine, in cui durante la lunga agonia, in cui il protagonista non riesce a cercare aiuto, essendo completamente isolato, scrive su uno dei libri che era solito leggere "Happiness is only real when shared": la felicità è autentica solo se condivisa.
Fu come un’epifania per me.
La mia vita, la mia unica vita, la stavo buttando via. Era vero, Gaja era morta per colpa mia, ma proprio per la vita che lei non era riuscita a vivere, io dovevo farlo con tutte le mie energie, dovevo assaporare la vita il doppio, farlo anche per lei.
Presi una decisione, la più spaventosa della mia vita.
Chiamai Beatrice e le dissi “Prendi una valigia, mettici dentro lo stretto indispensabile e aspettami sotto casa tua. Non fare domande, tu aspettami”. Fortunatamente lei viveva da sola, essendo una studentessa fuori sede. Successivamente, controllai il mio conto in banca: era sufficiente a coprire le spese per una settimana. Tutto era perfetto.
Mentre mi vestivo, il cuore mi martellava nel petto. Lo stavo per fare, lo stavo per fare dopo tre anni.
Avevo aperto la porta di camera mia e con grande paura, avevo fatto un passo. Ero.. fuori. Libero. Provai un’euforia indescrivibile, un qualcosa di unico e speciale. Avevo preso la lettera che avevo scritto per i miei genitori e l’avevo lasciata sul tavolo.

Prima che me ne rendessi conto, stavo correndo, fuori, con l’aria tra i capelli. Urlavo, urlavo a pieni polmoni e ridevo, con le lacrime agli occhi. Mi ero fermato solo un attimo, a guardare le stelle e in quel momento avevo deciso di rischiare il tutto per tutto. Comprai un mazzo di nove rose rosse all’ultimo minuto, pagando con la carta di credito che mi ero portato dietro.
“Ci siamo, sono arrivato” pensavo, mentre intravedevo Beatrice davanti a casa sua, che si guardava intorno con aria assorta.
L’avevo colta all’improvviso, alle spalle, mentre con voce tremante le avevo detto:
«Non voltarti, ti prego, devo dirti una cosa importante» percepivo la sua sorpresa e la sua voce, la sua bellissima voce che con fare stupito mi diceva «Dante? Sei… sei…» «Sì. Sono uscito: ci ho messo tre anni, ma finalmente ho capito quanto la vita possa essere bella, ma per essere completa… beh per esserlo, tu devi essere con me». Mentre abbassavo lo sguardo, lei si era voltata e nel vedere le rose rosse, le era spuntato un sorriso meraviglioso e mi affrettai ad aggiungere «Scusa io… io…» Beatrice mi mise un dito sulle labbra, chiedendomi di tacere un attimo e aggiunse «”Ben poco ama colui che ancora può esprimere, a parole, quanto ami.” Lo disse un certo signore che portava il tuo stesso nome, circa 700 anni fa» e all’improvviso, mi aveva baciato. Dolcemente, facendomi capire quanto in realtà aspettasse quel momento.

In quel momento era suonata la mezzanotte e le avevo fatto gli auguri «E così, sei riuscito a indovinare cosa fosse il mio secondo desiderio» mi aveva sussurrato in un abbraccio. L’avevo guardata leggermente confuso, quando finalmente ero riuscito a collegare. Così avevo aggiunto solamente «A dire la verità, ero venuto qui per esaudire il tuo primo desiderio. Il nostro volo parte fra un’ora esatta» questa volta era lei a guardarmi confusa «Beatrice, ti porto a Nara. Buon ventesimo compleanno».
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Buonasera a tutti! Ho scritto questa one shot perché recentemente sono particolarmente interessata ai disturbi mentali e/o ai problemi sociali, quindi, perché non dare un po’ di speranza (anche se solo in un mondo irreale)?
Nel caso vi sia piaciuta, non esitate a lasciare una recensione, sono sempre felicissima di leggerle!
   
 
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