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Autore: Shireith    17/08/2018    2 recensioni
(Sheith // ambientata durante gli avvenimenti della 7x01)
Keith ha perso Shiro troppe volte, e, mentre tale rischio è prossimo a concretizzarsi di nuovo, questa volta per sempre, si ritrova a riflettere su quanto il ragazzo significhi per lui.
Dal testo:
Che strano sentimento che è la felicità, pensava Keith. Una volta che ti viene strappata via senza alcun preavviso cominci a credere che non la ritroverai mai più, e poi, quando e se succede, sei così incredulo che il timore di perderla di nuovo è sempre dietro l’angolo. Eppure, la presenza di Shiro era diventata una costante, ormai, e niente sembrava essere più in grado di portargliela via.
Che ingenuo che era stato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, Takashi Shirogane
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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E poi arrivasti tu, portando con te i colori del mondo


 Se gettava uno sguardo alle sue spalle, Keith ricordava i suoi trascorsi passati sulla Terra con incertezza, li vedeva sotto una doppia luce: c’erano i ricordi belli e quelli brutti.
  Quando cercava di risalire alle memorie più remote della sua esistenza, esse affondavano le proprie radici nella prima infanzia. In quelle occasioni, Keith era in grado di ricordare i tanti momenti di spensieratezza trascorsi in compagnia di suo padre – troppo lontani per essere riacchiappati, troppo cari per essere lasciati andare. Tali momenti erano ormai impossibili da replicare con accuratezza, perché la presenza fisica di suo padre era ben al di là delle sue facoltà.
  Tuttavia, nonostante la figura positiva del genitore illuminasse i suoi primi anni di vita come un sole dalla fonte inestinguibile, i primi ricordi che gli tornavano alla memoria anche quando non richiesti erano infausti, portavano con sé un dolore a lungo represso ma impossibile a cancellare. Il dolore, del resto, è una costante nella vita umana: al contrario della felicità, così difficile da raggiungere, nessuno può sottrarsi alla sofferenza. Essa, prima poi, arriva per tutti. Alcuni la sperimentano in giovane età, altri in età adulta. Alcuni la sperimentano in grande quantità, altri in dosi minori. Alcuni sono in grado di contrastarla, altri no, e, anche se non per loro colpa, presto o tardi finiscono per sopperirvi.
  Keith l’aveva sperimentata in giovane età, la sofferenza: era ancora un bambino, all’epoca, ed essa si era manifestata nella salita al cielo di suo padre – sempre se lassù vi fosse davvero un’entità superiore ad attenderlo tra le proprie braccia per porre fine alle sue sofferenze.
  In seguito a quel tragico avvenimento, i momenti bui della sua vita s’erano susseguiti l’uno dopo l’altro a velocità spaventosa, disarmante, come le tessere di un domino che, dopo essere state disposte con pazienza e attenzione, cedono di fronte alla prima imperfezione. Basta una piccola svista affinché tutto il resto vada in pezzi.
  Negli anni a venire, la sua vita si poteva riassumere in questa semplice ma efficace metafora.
  Un tempo aveva anche ceduto di fronte all’idea che tale agonia non sarebbe mai giunta a conclusione, e che anzi essa avrebbe avvolto il resto della sua esistenza in una fitta nube di sofferenza sempre più intensa e ineludibile.
  Era ormai prossimo alla frantumazione, l’animo di Keith, quando Shiro si era fatto strada nell’oscurità che lo circondava e gli aveva mostrato la via verso la salvezza, promettendogli che mai e poi mai gli avrebbe permesso di fare ritorno al suo precedente stato di miseria. E se inizialmente Keith aveva dato poco credito alle sue parole, nell’arco di poco tempo Shiro gli aveva dimostrato con i fatti che le sue intenzione erano genuine, e il ragazzino che era un tempo gli aveva finalmente affidato la sua totale fiducia.
  Dopo anni, Shiro era stata la prima e unica persona a credere in lui.
  L’aspetto che più aveva colpito Keith era che non ne aveva avuto ragione. O meglio, la ragione c’era, ma era una ragione talmente altruista e pura che Keith a malapena ci aveva creduto, all’inizio – non aveva voluto farlo, perché il timore di ricevere l’ennesima delusione lo terrorizzava.
  Quanti guai gli aveva provocato? Aveva rubato la sua macchina, aveva fatto a botte con un compagno… Eppure Shiro era di nuovo lì a tendergli una mano amica mentre gli ricordava che non avrebbe smesso di credere in lui. Perché? Perché tutti abbiamo bisogno di una mano, qualche volta.
  Era semplicemente quella la ragione.
  Il mondo gli era ostile da anni, ma, in quel momento, Keith si era ritenuto estremamente fortunato che sul suo cammino avesse incontrato Shiro. E sempre in quel momento aveva deciso che, come Shiro stava aiutando lui, non appena ne avesse avuto bisogno, lui avrebbe fatto di tutto pur di ricambiare il favore.
  Per un po’ di tempo era stato di nuovo felice.
  Che strano sentimento che è la felicità, pensava Keith. Una volta che ti viene strappata via senza alcun preavviso cominci a credere che non la ritroverai mai più, e poi, quando e se succede, sei così incredulo che il timore di perderla di nuovo è sempre dietro l’angolo. Eppure, la presenza di Shiro era diventata una costante, ormai, e niente sembrava essere più in grado di portargliela via.
  Che ingenuo che era stato.
  La malattia che tanto aveva temuto potesse minacciare la salute di Shiro non gliel’aveva portato via. Ma aveva avuto a malapena il tempo di tirare un sospiro di sollievo che a concludere l’opera ci aveva pensato qualcosa di ancora più grande di loro – la guerra.
  Era una guerra che per una volta non riguardava gli uomini e i loro vili scopi, le loro sciocche motivazioni – no, era una guerra ancora più destabilizzante, capace di fargli gelare il sangue nelle vene. Esseri la cui storia era molto più ancestrale di quella umana, esseri che si ritenevano superiori, ma che di superiore avevano solo la conoscenza, non di certo la sensibilità, l’indulgenza, la tolleranza.
  Al contrario erano stolti. Ignoranti. Insensibili. Crudeli. Perversi. Non esistevano nell’intero universo aggettivi abbastanza forti da riuscire a descrivere lo scempio cui Keith aveva assistito una volta lasciata la terra.
  Non anni né secoli, ma millenni spesi a uccidere, sottomettere, schiavizzare, saccheggiare e depredare intere popolazioni. Altea, un pianeta che nelle sue fantasie Keith immaginava come un pianeta esotico e ricco di conoscenza, completamente andato, distrutto, sparito.
  Superiorità, ostentavano con fierezza i carnefici dell’universo. Ma quale superiorità?
  E pensare che quando aveva scoperto di discendere in parte da una civiltà capace di tale cattiveria era arrivato a odiare se stesso.
  Eppure, ancora una volta, dopo che era stato certo di averlo perso per sempre, dopo che aveva pianto la sua assenza giorno e notte, dopo che la sua vita era tornata a colorarsi di sfumature d’un grigio freddo – spente, atone –, Shiro era di nuovo lì. Nonostante tutto quello che aveva passato, aveva ancora il desiderio e le energie di offrirgli il suo supporto.
  Shiro era una tale fonte di gioia e benessere che perderlo una seconda volta aveva fatto ancora più male. Una seconda pugnalata l’aveva trafitto in pieno petto lì dove era stata inflitta anche la prima, e la ferita, riaprendosi, aveva penato finché non l’avevano ritrovato.
  Era possibile arrivare a perderlo ancora una volta?
  Evidentemente, sì.
  Un dio, la natura, il destino… c’era qualcosa nell’universo che si divertiva a giocare con i suoi sentimenti.
  Riscoprire, mesi dopo, che lo Shiro che avevano ritrovato non era esattamente il vero Shiro era stato un supplizio che Keith non riusciva nemmeno ad articolare in frasi di senso compiuto.
  Di nuovo l’aveva ritrovato, e di nuovo aveva rischiato di perderlo.
  Benché avesse di nuovo i suoi amici, benché avesse al suo fianco una creatura affascinante come Kosmo, benché Krolia, la madre che non credeva più di avere, era pronta a dargli tutto il supporto di cui aveva bisogno, Keith, vedendo Shiro in punto di morte, non riusciva a pensare che a lui.
  Era diventato l’uomo che era ora per merito di Shiro, che gli aveva offerto il suo aiuto nel momento in cui ne aveva avuto un disperato bisogno. Se non fosse stato per lui, Keith poteva solo immaginare quali spiacevoli pieghe avrebbe assunto la sua esistenza.
  La vita non è niente se non viene vissuta con uno scopo.
  Keith non gli era debitore tanto per la sua vita intesa in senso fisico, ma per aver dato un senso alla sua esistenza che allora era stata pressoché vuota. Questo gli aveva permesso di andare avanti, anche quando Shiro era stato dichiarato deceduto a seguito della missione Kerberos.
  Shiro significava troppo per lui.
  La malattia non gliel’aveva portato via. L’anno di prigionia presso i Galra l’aveva traumatizzato in modo irreversibile, sì, ma neanche loro erano riusciti a spezzare il suo animo da guerriero, né tantomeno gliel’avevano portato via.
  E ora, benché i suoi valori fossero bassi, Shiro era lì, ed era vivo. Non poteva perderlo di nuovo, non così. Non doveva succedere.
  La guerra intrapresa dai Galra aveva costretto sua madre a lasciarlo quando era ancora un infante. Era cresciuto senza di lei per colpa loro, per colpa di quella guerra sinonimo di insensatezza cui avevano dato inizio per meri scopi egoistici, futili.
  Come se non fosse già abbastanza, gli avevano portato via anche Shiro non una ma ben due volte. Non poteva permettere che ciò accadesse una terza volta.
  Che senso avrebbe avuto fare ritorno sulla Terra, se Shiro non era al suo fianco? Che senso avrebbe avuto mettere per sempre fine alla tirannia dell’Impero Galra e riportare la pace nell’intero universo, se Shiro non era al suo fianco? Che senso avrebbe avuto vivere, se Shiro non era al suo fianco?
  E per un attimo, Keith quasi perse la speranza. Tra la sofferenza e il senso di rassegnazione che stava lentamente prendendo il sopravvento, aveva dimenticato che Shiro era un guerriero. Dopo essere sopravvissuto per anni, non poteva permettersi di arrendersi di fronte a una tale avversità.
  C’era una guerra da fermare.
  Una pace da instaurare.
  E Keith lo stava aspettando.
  «Non puoi immaginare tutto quello che ha fatto per me» l’aveva sentito dire a Krolia.
  Sì, aveva ragione. Aveva fatto tanto per lui, lo riconosceva. Tuttavia, sembrava che Keith non avesse ancora ben capito quanto anche lui fosse stato importante nella sua vita.
  Anche Shiro aveva perso la sua famiglia prematuramente, e, alla Garrison, aveva trovato in Keith il fratello minore che non aveva mai avuto. Per anni aveva riposto in lui tutte le sue energie, e, quando era stato il momento, Keith aveva seguito il suo esempio.
  Senza mai arrendersi, era stato in grado di ritrovarlo e di ricondurlo a casa.
  Doveva svegliarsi, anche solo per ricordargli che l’aveva salvato tanto quanto lui aveva salvato Keith.
  Erano uno il salvatore dell'altro.
  Furono proprio queste le parole che Keith soffiò sulle labbra quando lo vide risvegliarsi e l’abbracciò, un contatto fisico che portava con sé tutto l’amore che provava nei suoi confronti.
  Aveva davvero temuto di averlo perso di nuovo, questa volta per sempre.
   
 
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