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Autore: Pendragon_97    23/08/2018    1 recensioni
Prima che vi apprestiate nella lettura di questo breve frammento, vorrei informarvi che nella sua stesura ho tratto ispirazione dalla leggenda originale dove Mordred è figlio illegittimo di Re Artù e di sua sorella, Lady Morgana. L'ambientazione ricalca a grandi linee quella della serie televisiva quando Morgana, essendo oramai consapevole del proprio potere, decide di lasciare Camelot per apprendere qualcosa di più dal popolo druido. In questo breve testo, ho tentato di fondere le due realtà indagando i sentimenti dei due Pendragon, fatalmente ingabbiati nelle fitte trame del destino. Spero vi piaccia! Ogni recensione, purché costruttiva, è assolutamente la benvenuta.
Genere: Drammatico, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mordred, Morgana, Principe Artù | Coppie: Morgana/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Il dolore lo aveva condotto lontano, nell’umida quiete del bosco che circondava e proteggeva i domini di Camelot. Una volta lasciato il mercato, le grida e le concitazioni paesane andarono scemando alle spalle di Artù per cedere il posto ad un leggero scricchiolio del manto erboso ogni qual volta il suo destriero muovesse un passo. L’inverno era oramai alle porte, le giornate fredde e piovose lo avevano annunciato e così la vegetazione da settimane spoglia e riarsa della verde vita che la caratterizzava. Per quanto fosse indecoroso ammetterlo, il Pendragon si sentiva molto più simile ad uno di quei fragili tronchi putridi e gelidi piuttosto che ad un principe dall’aria spavalda ed insolente. Da quando Morgana era fuggita, portando con sé il loro bambino, Artù non si era dato pace. Aveva scandagliato i boschi, spiato ogni abitazione di Camelot e ogni suo più recondito ripostiglio. Nulla; nessuna pietra fuori posto, impronta o segnale pareva testimoniarne il passaggio. Era come se si fosse volatilizzata, come se non fosse più parte di quel mondo. Scuotendo il capo, ricacciando a stento le lacrime, Artù smontò da cavallo. Forse le acque di quell’allegro torrente sarebbero riuscite a lavare un po’ di dolore dal suo volto. Si piegò dunque sulle ginocchia, immergendo entrambe le mani nella frescura di quel nettare trasparente con cui poi si bagnò il viso. Cosa, in quel viso dai tratti così nobili, era rimasto del futuro Re di Camelot? Quale folle avrebbe affidato i propri figli ad un uomo dallo sguardo sbiadito, privato della vita e del coraggio che un tempo lo animava? Doveva trovare una soluzione e patteggiare con quella sofferenza; se non per sé, almeno per Camelot. D’altronde, suo padre glielo ripeteva spesso: il suo primo dovere era verso il popolo che li aveva incoronati sovrani. Nemmeno il freddo del florido torrente ebbe tuttavia l’effetto ch’egli tanto agognava; il dolore tornò, vivo e pungente, a scuotere il suo corpo, a scalfire la sua anima. Perché ella era fuggita prima ancora che Artù rientrasse a Camelot. Morgana era fuggita senza ch’egli potesse abbracciarla, senza che insieme potessero godere della nascita del loro primo figlio. Lui, che mai aveva conosciuto quel piccolo fagottino, si ritrovò a piangere. Oramai era inutile celare il proprio dolore, quando la speranza era svanita per sempre. La felicità aveva chiuso le proprie inferriate quando Morgana aveva voltato le spalle al palazzo, diretta chissà dove. E senza di lei al suo fianco, Artù non aveva la forza necessaria per spalancarle una seconda volta...
Ad un tratto, tuttavia, tra i singhiozzi disperati che scuotevano il suo petto egli udì un pianto. Una vocina acuta e disperata rompeva il silenzio della foresta, animando ogni sua speranza di ritrovarli. Alzò il capo, asciugandosi le lacrime con il dorso del guanto. Dubitava che fossero loro; d’altronde, egli aveva già scandagliato quei boschi millimetro per millimetro. Eppure quel pianto era reale, magari apparteneva ad un qualche infante abbandonato da una madre che non avrebbe potuto crescerlo.
Corse, incurante delle radici e delle buche ch’avrebbero potuto ostacolare i suoi intenti. Il vento asciugò il suo volto, penetrandogli nelle ossa dove si impadronì della maggior parte delle sue energie. Quando arrivò, Artù si riscoprì stanco e senza fiato; colpa delle ripetute notti insonne in cui erano gli incubi a tenerlo alzato. Si guardò attorno, notando dalla medesima sponda del fiume in cui anch’egli giaceva una cesta di vimini e due manine che da essa dipartivano. Cautamente si avvicinò, sfoderando la spada e alzando la guardia; per quanto ne sapeva, poteva anche essere una trappola. Avanzò con cautela, scrutando l’ambiente circostante con aria vigile nonostante la stanchezza e l’adrenalina del momento. Che fosse stregoneria? Che fosse mera immaginazione?
Ogni suo dubbio si risolse incrociando lo sguardo di quel minuto, fragile neonato; il suo cuore si sciolse e la spada gli cadde di mano. Aveva già visto quegli occhi, quei lineamenti sublimi che rasentavano la perfezione. Piantò la spada a terra, liberandosi dei guanti per accoglierlo tra le proprie braccia. Era evidente che stesse sognando, che l’immaginazione stesse pilotando le proprie percezioni. Aveva già controllato quei boschi e di loro non c’era traccia. In quel momento, però, quel sogno personificava tutta la propria volontà di rimanere aggrappato a quel vano desiderio di famiglia. Anche se si fosse rivelata finzione, non voleva essere destato. Si ritrovò a sorridere, credendo di cullare il proprio figlio, nella speranza che il piccolo potesse acquietarsi. Era freddo il suo corpicino, gelate quelle mani con cui timoroso il bambino gli sfiorava il volto. Si risolse dunque ad avvolgerlo nel proprio mantello perché il tepore di quella lana potesse infondere nuove energie al neonato. Ed egli infatti si calmò, rimanendo comunque vigile. Era così piccolo ed innocente che Artù non riusciva a concepire la disperazione che dovesse albergare nel cuore della madre per spingerla ad abbandonarlo.

«Lascialo» proferì freddamente una voce alle sue spalle a cui il Pendragon rispose con un sobbalzo. Non aveva sentito alcun passo sebbene dal riflesso della propria lama potesse scorgere una figura vestita di nero.
«Non vedo per-» si bloccò. Era Morgana la donna alle sue spalle; la stessa Morgana che per giorni aveva disperatamente cercato. Sebbene i suoi capelli fossero spettinati e gli occhi brillassero di un giallo intenso, egli riusciva a riconoscere nella sua persona quell’antica bellezza di cui si era innamorato.
«Lascialo» ella ripeté mentre il sguardo tornava del colore naturale. Con riluttanza, Artù si avvicinò. Era dunque il loro bambino colui che stringeva tra le braccia.
«Perché, Morgana? Io…» non riuscì a formulare una frase di senso compiuto che le lacrime tornarono a ingrossare i propri occhi color del mare. Le porse il piccolo che con veemenza si sbracciava in direzione della madre.
Ella non rispose e il proprio mantello avvolto attorno al corpo del figlio fu l’ultima cosa che ricordò prima ch’ella scomparisse nel nulla.
   
 
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