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Autore: Nuwanda11    24/08/2018    0 recensioni
In un mondo simile al nostro ma situato in un limbo sospeso fra atmosfere “Mijazakiane” e avventure alla Alexander Supertramp Inko, in modo simile a molti di noi, ogni giorno, da quando ha memoria, svolge mansioni sempre uguali: si procura cibo, raccoglie legna per il fuoco e poi alla sera si siede accanto ad esso e scrive sul suo diario ciò che gli è accaduto durante il giorno, spesso rilegge ciò che ha scritto quasi come se non ricordasse nulla del suo passato e a volte scrive poesie su fogli di carta che infila in bottiglie vuote che poi lascia trasportare dal fiume chissà dove.
Ogni tanto dei misteriosi personaggi detti i Portatori gli consegnano generi di prima necessità come spezie, zucchero, caffè, ecc. Poi un giorno, qualcosa cambia; il sale finisce e i Portatori per qualche motivo non lo riportano più e poi anche la signora che portava il caffè non si fa più vedere.
Da questi eventi e dai ricordi che affiorano dal suo diario nasce il desiderio di capire cosa sia successo, dove siano e chi siano i Portatori. Tutto ciò sarà l'inizio di un viaggio, un percorso di vita che porterà Inko molto, molto lontano.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole rovente immobilizzava piante e rocce. Caldo, buio. Il sapore dell'erba frammisto a quello di terra umida. La bocca riarsa e impastata di sabbia e ancora quel sapore di terra e sangue.
Il braccio destro dolorante, percepito appena sotto al peso del corpo schiacciato al suolo da ore. Nell'istante in cui Inko tentò appena di sollevare le palpebre, spilli di luce gli trafissero gli occhi ancora incollati da terra e lacrime.
Un'improvvisa folata di vento scosse fili d'erba e sferzò le foglie di una solitaria quercia, quasi fossero vessilli di una battaglia perduta. Poi solo una brezza leggera lambì il suo corpo sudato e un brivido di freddo lo attraversò ridestandolo appena; eppure ancora non riusciva a muoversi, sentiva dolore ad una gamba, come un onda di calore che si propagava dentro di lui salendo dal ginocchio.
Ricordava un suono dolce, nient'altro.
Sole. Umido calore. Inko sollevò appena la testa e vide gocce di sangue rappreso sul braccio sinistro. Piegò la gamba destra ed il primo suono che emise fu un roco rantolo, la tibia pulsava di un dolore feroce, quasi cannibale.
Passarono altri minuti o almeno così ad egli parve. Il suo lamento roco diventò un urlo sordo mentre cercava di sollevarsi da terra e fili d'erba rimanevano intrappolati nella barba. La gamba ancora pulsava al ritmo agitato del cuore, non sembrava rotta ma c'era una grossa escoriazione sanguinolenta poco sotto al ginocchio, il dolore ora sembrava una lama piantata nell'osso.
Inko si sedette subito a terra perché non riusciva a stare in ginocchio, respirò profondamente, ci provò digrignando i denti ma il dolore esplodeva dentro e la nausea aumentava il senso di malessere. Iniziò a massaggiare il braccio che piano riprese vita mentre mille formiche impazzite lo percorrevano da dentro, dopo un po' si calmarono. Si toccò la testa e si accorse che la parte destra della fronte era incrostata di sangue rappreso; non faceva molto male ma era gonfia, come il ginocchio. Il ragazzo si appoggiò nuovamente a terra sulla schiena, il cielo era di un azzurro intenso senza fine ed era attraversato da vaporosi cumuli che sornioni andavano a nascondersi sopra al crinale sul quale, ora gli sembrava di ricordare, stava passeggiando la sera prima. Aveva graffi ovunque.
Si sedette, cercando di mettere a fuoco ciò che aveva intorno. Il dolore si attenuò appena. L'erba sopra alla quale giaceva poco prima sembrava tornare quasi a respirare con sollievo, piccola porzione verde di un'immensa prateria che fra avvallamenti, tenui colline e ampie zone pianeggianti si estendeva d'innanzi a lui fino all'orizzonte, ormai già perduto in un'alba matura, ed egli lì, immobile, come un piccolo neo su di una schiena muscolosa.
 
Dietro di lui una riva scoscesa e verdeggiante era punteggiata di rocce e cespugli e proseguiva alla sua destra per almeno trenta gambe, scendendo nuovamente fino a  confondersi fra le onde dell'immenso oceano verde della prateria. Alla sua sinistra, invece, la riva proseguiva diventando roccia viva e centocinquanta, duecento gambe più in là si affacciava a strapiombo sull'ampia valle percorsa sinuosamente dal Grande Fiume che a sua volta la tagliava in due, come la scia di una piccola barca in un immenso mare boscoso. Da sempre il suo panorama preferito, da sempre l'unico che avesse mai potuto osservare.
Ora iniziava a ricordare: la sera prima voleva salire sullo spuntone di roccia per ammirare ancora una volta lo sconfinato paesaggio della valle e rendersi conto se ci fosse un qualche segno dell'esistenza di altre persone come lui. Non sapeva da dove fosse scaturita questa assurda idea ma era quasi l'imbrunire quando, probabilmente doveva essere inciampato su qualcosa. “Si era proprio così!”, cercò di mantenere l'equilibrio per alcuni metri ma nell'oscurità non vide il grosso masso sul quale schiantò la gamba. Ricordava il dolore fortissimo e da quel punto iniziò a rotolare senza controllo perdendo i sensi. O almeno così gli sembrava.
Si alzò a fatica da terra, la gamba era ancora dolorante e la nausea persisteva, paradossalmente il percorso in salita su per la riva lo agevolava in quanto era più facile aiutarsi con le mani ma impiegò quasi un'ora per tornare a casa.
Pur essendo piuttosto breve il percorso, dovette improvvisare una stampella poi una volta giunto in prossimità del suo capanno, si diresse verso il ruscello per sciacquare le ferite e per lavarsi un po'. Era stremato. Fece dei piccoli impacchi sulle escoriazioni con un’erba medicamentosa che aveva raccolto, confidava che servisse anche a calmare il dolore. La stanchezza e il sonno nel frattempo combattevano una strenua lotta contro di esso ma il dolore si dimostrava avversario coriaceo e un po’ sadico, Inko sperava che l’effetto delle erbe presto si schierasse come alleato. Un po’ di tregua.
Si trascinò lentamente verso l'interno della sua capanna, all'ombra, lasciando la porta aperta per far circolare un po' d'aria. Ora era più rilassato. La battaglia volgeva al termine, per oggi sembrava vinta.
Sprofondò in un lungo sonno mentre si accorse di odiare quella sensazione di sicurezza e pace che provava nella sua casa. Odiava il fatto di non riuscire a provarla in nessun altro luogo che quello. Non ne capiva del tutto la ragione ma non ebbe il tempo di pensarci troppo. Sogni, incubi e ancora quel dolce suono, come una musica indefinibile.
 
Il sole era ormai alto, probabilmente il pomeriggio era già inoltrato, le ore più calde.
Inko si svegliò madido di sudore e con la gamba meno gonfia ma ancora dolorante. L’impacco che gli aveva applicato sopra sembrava aver disinfettato la ferita e decise che era ora di andare nuovamente al fiume per lavarla e rifare la medicazione.
Non ricordava un solo giorno nel quale non si fosse svegliato al mattino in casa sua. Quello di quello strano giorno era di fatto il primo risveglio fuori casa che ricordasse. Ad ogni modo, anche se era pomeriggio, cercò di adempiere alle quotidiane faccende. Prese il suo diario e vi riportò sopra ciò che era accaduto, l’intestazione della pagina diceva: giorno 8822 e poi scrisse ciò che era successo come quasi ogni giorno.
Si alzò dal letto aiutandosi con la stampella, i denti stretti in una smorfia non trattennero un gemito di dolore, un respiro profondo durò il medesimo tempo che una goccia di sudore impiegò per scendere dalla fronte e sfiorare il sopracciglio. Uscì dal capanno raccogliendo il secchio dell’acqua vuoto e si diresse verso il ruscello distante appena venti gambe.
La ferita era migliorata e decisamente meno gonfia, la pulì in modo accurato e applicò un nuovo impacco, riempì il secchio e tornò al capanno anche se con tutto quel carico non fu facile, come di consueto passò davanti alla mensola dei Portatori e notò qualcosa di diverso.
Sul piccolo scaffale c’era come di consueto: una bottiglia vuota e un sacchetto di caffè ma non c’era il sacchetto del sale finito il giorno prima. Nonostante egli avesse accuratamente riposto il sacchetto vuoto sopra alla mensola stessa; i Portatori vedendolo, avrebbero dovuto sostituirlo, come sempre avevano fatto fino a quel giorno.
Tutto ciò sembrava non avere alcun senso. I Portatori erano delle persone, quasi le uniche che Inko nella sua vita avesse mai potuto sperare di incontrare, le quali fungevano da corrieri per prodotti più o meno necessari a chi, come Inko, viveva in luoghi così isolati. In verità Inko non poteva sapere se questa sua teoria fosse giusta ma era l’unica che potesse dare senso alla loro esistenza, sempre che la loro esistenza ne avesse uno. Nessuna parola, nessun contatto fisico. Arrivavano al mattino prima dell’alba, lasciavano i loro prodotti e continuavano il loro viaggio e le loro consegne, ammesso che ci fosse qualcun’ altro a cui dover portare spezie, condimenti, erbe, cibo, attrezzi, bottiglie vuote o chissà cos’altro.
Il respiro di Inko si fece più affannoso e anche le pulsazioni aumentarono. Una specie di equilibrio universale era stato turbato. Una costante del suo mondo, della sua vita, per la prima volta era cambiata per sempre e non poteva neanche lontanamente intuirne il motivo.
 
Inko non aveva più il sale, non ne sapeva il motivo ma non poteva nemmeno sapere se nei giorni successivi gliene avrebbero portato; aveva però ancora il caffè, quello si. Sembrava quasi che questo evento avesse qualcosa a che fare sul modo in cui egli negli ultimi tempi sembrava percepire la sua vita. Insipida.
Appoggiò il secchio dentro al capanno e si sedette nuovamente sulla branda per far riposare la gamba che ancora pulsava di dolore. Per distrarsi prese il suo diario e ne sfogliò qualche pagina a caso per vedere se gli saltasse all’occhio qualche riferimento sui Portatori o su episodi che potessero in qualche modo parlare di loro ma al momento non riusciva a ricordare nulla di preciso e la ricerca si rivelò piuttosto infruttuosa.
Osservò la bottiglia vuota che nel frattempo aveva appoggiato sul tavolo dentro al capanno. La solita bottiglia nella quale spesso infilava un foglio con scritta sopra una poesia e che poi chiudeva con un tappo in sughero, lasciandola in balia del ruscello che a sua volta la trasportava verso valle. Forse. Pensò dubbioso per un attimo.
 
Il perché mai facesse tutte queste cose: tenere un diario, scrivere poesie, mettere sulla mensola sacchetti vuoti, aspettare i Portatori, non era molto chiaro nemmeno a lui ma così era da sempre o almeno da quando si ricordava.
Chissà fin dove viaggiavano quelle bottiglie. Chi mai avrebbe potuto leggere le sue poesie, forse i Portatori? Era per questo che sapevano della sua esistenza? Era per questo che lo aiutavano a procurarsi tutti quei prodotti? Perché e da quanto tempo viveva in quel luogo?  Quel’ era il significato di tutto questo?
Poi iniziò a ricordare che era proprio questo genere di dubbi ad averlo spinto a partire il giorno prima; ricordava che da diverso tempo si poneva domande di questo tipo e si era chiesto se ci fosse stato un modo per cambiare le cose o almeno per capirle un po’ meglio. Ma era caduto giù dalla riva ed ora era lì, immobile, nella sua capanna a rifarsi le stesse domande. Che fosse un segno che certe domande era meglio non farsele?
 
I giorni successivi passarono in modo relativamente sereno, ma non arrivò nessuna ispirazione e Inko non scrisse nessuna poesia, così la bottiglia rimase lì sul tavolo del suo capanno ad attendere un foglio di carta che sembrava non volesse arrivare mai. La mente era affollata di dubbi e pensieri. I ricordi e i sogni sembravano frammentati e si sovrapponevano fra loro in un caos mnemonico che lasciava il cervello sospeso in una sorta di loop, in attesa forse, che qualche evento spezzasse questa routine e mettesse ordine in questa specie di entropia sinaptica. Perlomeno la guarigione della gamba procedeva bene e ormai non c’era più bisogno della stampella. Inko riusciva a pescare e a procurarsi la legna per il fuoco, spesso si sedeva in riva al ruscello, appena al di sotto della piccola altura sulla quale era costruito il suo capanno, sorseggiava caffè e si lasciava viziare e coccolare da albe e tramonti in un susseguirsi di giorni più o meno sempre uguali, cercando di ritrovare un senso di attaccamento e un equilibrio perduto nei confronti di una condizione di vita che fino a poco tempo prima aveva per lui rappresentato una costante imprescindibile.
Al mattino, a volte, si svegliava con la sensazione di aver sentito ancora quel suono, quella musica che aveva udito il mattino della caduta dalla riva. Non ricordava la melodia ma aveva impressa l’atmosfera di serenità e sospensione metafisica che quel suono sembrava trasmettere. Era certo che avesse qualcosa a che fare con ciò che gli stava capitando dentro ma ancora non poteva nemmeno lontanamente intuire quanto le sue sensazioni fossero giuste. Poi, improvvisamente, mentre il suo sguardo si perdeva nel baluginante ondeggiare del fuoco vispo e scoppiettante, prese la matita e un foglio e scrisse:
 
E’ il tempo che ancora non è, che mi costringe a scovarlo?
O è il presente che mi spinge altrove,
Nel vuoto insondabile del domani?
O ancora è il passato che sentenzia su ciò che sarà,
Creando una strada già scritta?
Sono gli eventi e i pensieri stessi le risposte che cerchiamo?
O sono essi le domande su ciò che vogliamo da noi?
È la nostra stessa vita lo scopo della nostra esistenza?
Oppure essa è la continua ricerca di una risposta?
 
La fiamma stava languendo. Il buio fagocitava vorace la prateria perché il cielo era carico di nuvole invisibili e minacciose, la luna non poteva fare breccia. Inko arrotolò il foglio e lo ripose nella bottiglia, si recò nei pressi del ruscello, lentamente, zoppicando, e la lasciò alle sue gorgoglianti acque. Entro breve avrebbe iniziato a piovere, tornò al capanno, la sua casa. Avvertì che qualcosa mancava, sentiva un vuoto, si guardò intorno come per cercare qualcosa che mancava ignaro che presto avrebbe avvertito quel vuoto dentro di se. Scalciò distrattamente il secchio dell'acqua e per qualche motivo gli venne in mente che avrebbe voluto parlare piuttosto che scrivere sul suo diario, parlare con qualcuno, qualche volta, ma con chi? Si coricò con un leggero senso di inquietudine che ancora non sapeva spiegare e si addormentò quasi subito mentre le prime gocce tintinnavano sul tetto.
   
 
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