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Autore: MarySF88    28/08/2018    2 recensioni
Clexa ispirata al telefilm The 100.
Lexa si risveglia improvvisamente dopo la sua morte ma qualcosa non va. Non c'è Clarke vicino a lei né Titus, sarà stato tutto un sogno?
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 8, Non ancora

 

“Dammi una casa

che non sia mia,

dove possa entrare e uscire dalle stanze

senza lasciare traccia.

Una casa come questo corpo,

così aliena quando provo a farne parte,

così ospitale

quando decido che sono solo in visita.”

Arundhathi Subramaniam

 

Per un tempo, che soltanto uno stato incipiente di pazzia poteva aver tanto allungato, Lexa pensò che quella ragazza potesse essere Clarke. Non la voce, più tenue e più fruttata di quella della sua amata. Non il colore dei capelli, biondi ma molto più chiari di quelli della Skaikru. Neppure l'assenza di quella certezza, che aveva fatto sua solo poche ore prima: le sarebbe bastato uno sguardo per capire se era lei, ma... Aveva bisogno che lo fosse.

“Melanippe di Era.” si presentò la ragazza porgendole una ciotola d'acqua e un tozzo di pane. “Sì, lo so. La città del tempo, eccetera, eccetera. Ma non chiedermi niente perché, che tu ci creda o no, sono la persona meno indicata per raccontare le sue meraviglie.” la ragazzina sorrise scherzosamente roteando teatralmente gli occhi e agitando leggermente le mani, cosa che causò la fuoriuscita di qualche goccia d'acqua dalla ciotola. Lei, del resto, non sembrò notarlo.

Non doveva avere più di diciannove anni, era molto bella e, fatto che finì di sconcertare Lexa, aveva gli occhi di due colori diversi: uno verde e uno azzurro. Non aveva mai visto nulla di simile in vita sua. Decisamente non era Clarke. Uno strano vuoto si fece largo dentro di lei. Qualche argine aveva ceduto e adesso i suoi muscoli si rilassavano come fango inzuppato dalla piena che lentamente lo scioglie.

Solo allora Melanippe sembrò notare che l'altra la stava fissando con una strana espressione a metà tra lo spavento e la sorpresa.

“Oh...” sospirò la strana ragazzina distogliendo lo sguardo e morsicandosi un labbro. “Immagino che tu non abbia mai visto... questo.” fece roteare un dito per aria all'altezza degli occhi e proseguì. “Eterocromia... A quanto pare non si adatta particolarmente a chi non ama attirare l'attenzione. Ma la cosa ha anche i suoi vantaggi...”. Sembrò perdersi nei suoi pensieri per qualche istante poi si chinò cercando di mettersi all'altezza di Lexa e tornò a guardarla negli occhi accennando un timido mezzo sorriso. Le porse nuovamente la ciotola e il pane.

“Tieni, ti conviene mangiare. Hai una pessima cera...”

Lexa sembrò finalmente scuotersi dal suo torpore riprendendo possesso di sé quel tanto che bastava a farle afferrare il pane e la ciotola mormorando un triste “Grazie...” e mettendosi a sbocconcellare la pagnotta contro voglia.

Melanippe si sedette a terra di fronte a lei mentre la osservava con preoccupazione. “Ti fa ancora male?” le chiese indicando la caviglia.

“Abbastanza da non poterci camminare.” rispose Lexa senza però farci troppo caso. Erano altre le parti che le facevano veramente male. Dove era finita? Come c'era finita? Chi era veramente quella ragazza? Una strana versione di qualcuno che aveva conosciuto? Dove era finita Clarke? Stava bene? Era riuscita a distruggere A.L.I.E.? Era stanca... Stanca di tutte quelle domande. Nemmeno la morte le poteva concedere un po' di riposo?

“Non mi hai ancora detto il tuo nome.” il flusso dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto dalla voce tenue della ragazza.

“Pensavo non parlassi la nostra lingua, poi mi hai risposto...” aggiunse quella titubante.

“Lexa...” intervenne la Heda, poi vedendo che la ragazza si aspettava altro, “... Kom Trikru.”

Melanippe sgranò gli occhi per lo stupore. “Non sei di queste parti, vero?” le chiese.

Lexa scosse la testa e bevve l'acqua della ciotola mentre la scrutava da dietro di essa: non aveva ancora capito se poteva fidarsi di lei o meno.

La ragazzina incrociò distrattamente il suo sguardo, distogliendolo subito per andarlo a fissare su un angolo buio della cella mentre un tenue rossore le tingeva le guance puntellate da qualche lentiggine.

“Come sono finita qui?” tagliò corto Lexa.

“Non ricordi niente?” domandò Melanippe tornando a guardarla in viso ma evitando accuratamente di incrociare i suoi occhi.

La Heda non disse niente, continuando a scrutarla con diffidenza.

“Evidentemente no...” si rispose da sola l'altra che cominciava a mostrare i segni di un certo nervosismo. “Non so cosa sia successo di preciso. Ho solo sentito le guardie commentare tra di loro... A quanto pare sei piombata giù dal soffitto nella Sala dei Rituali e i Sacerdoti di Ira hanno pensato si trattasse di un maleficio o roba del genere. Hanno provato a risvegliarti ma non facevi altro che borbottare qualcosa come “Clork, Clork”. Sembrava un'invocazione a qualche strano Dio e hanno pensato bene di sbatterti quaggiù, per sicurezza.”

Quindi la vista dall'alto corrispondeva effettivamente a un ingresso dall'alto in quel... posto. Per quanto si sentisse veramente, visceralmente stanca, tutte le domande che le vorticavano in testa necessitavano di una risposta, ma doveva cercare un modo per farle apparire meno strane.

“In che anno siamo?” chiese Lexa e sì, in effetti sarebbe suonato strano comunque.

Melanippe le rivolse uno sguardo preoccupato, percorrendo con esso la superficie della sua testa, probabilmente sospettando che avesse preso qualche botta nella caduta.

“Ventisettesimo della quinta era.” si decise infine a risponderle.

“Perfetto.” pensò Lexa, “Non ho la più pallida idea di cosa diavolo voglia dire. O meglio, sicuramente significa che non siamo a Polis. La Polis che conosco io, almeno.” Si strinse la testa tra le mani, guadagnandosi un'ulteriore occhiata preoccupata della ragazzina. Tutte le altre domande che sarebbe stato opportuno fare non avrebbero fatto altro che peggiorare la sua posizione e non sapeva fino a che punto fosse al sicuro. Tale pensiero le suscitò immediatamente una domanda che poteva fare.

“Dove sono le mie spade?” sperò che la risposta non fosse qualcosa del tipo che era piombata in quel posto senza di esse e vestita in quello stato.

“Sequestrate. Sai com'è in prigione non si fidano a lasciarti quel genere di cose.” spiegò Melanippe come se parlasse a una bambina. La cosa irritò considerevolmente Lexa che si spostò mettendosi a sedere con la schiena contro il muro per mascherare la sua impazienza.

“E i miei vestiti? Non ricordo di essere arrivata in città vestita in questo modo.” mentì la Heda, cercando di carpire qualche informazione anche dalla reazione della ragazza.

Inaspettatamente Melanippe abbassò lo sguardo diventando rossa e cominciò a torturarsi le mani. Poi farfugliò:

“Tu eri incosciente... Non riuscivano a risvegliarti... Così hanno chiesto a me di farlo...”

Lexa guardò la ragazzina con curiosità. Era evidentemente in difficoltà e in imbarazzo ma non riusciva a capire perché.

La sua compagna di cella si sistemò dietro l'orecchio un ciuffo di cappelli che le era ricaduto davanti agli occhi quando aveva abbassato la testa, poi prese un'ampia boccata d'aria ed espirando confessò quanto era successo.

“Hanno chiesto a me di metterti addosso quei vestiti. Non potevano lasciarti l'armatura... E i Sacerdoti di Ira sono un culto piuttosto tradizionale perciò ci ritroviamo vestite con questa roba...”

A Lexa veniva quasi da ridere: quindi era questo che metteva tanto a disagio la ragazzina. Appoggiò la testa contro il muro e fissò il soffitto. Umido, pieno di ragnatele, spesso: se il semplice fatto di trovarsi in una cella non fosse di per sé bastato a chiarire l'impossibilità di una fuga ci aveva pensato la visione dell'insondabilità di quelle mura.

“Perché ti hanno rinchiusa qui dentro?” la Heda tornò a guardare la sua compagna di prigionia: la visione di quegli strani occhi aveva qualcosa di ammaliante.

Se possibile Melanippe diventò ancora più rossa.

“Fondamentalmente si tratta di un equivoco...” si affrettò a giustificarsi nascondendosi le mani sotto le cosce.

“Faccio parte di un gruppo di combattenti. Dovevamo recuperare un oggetto per una personalità importante e sono stata accusata di furto...”

“Sei una guerriera?” le chiese Lexa, con più stupore di quanto non avrebbe voluto far trapelare.

Melanippe rise, aveva una risata fresca e controllata che le ricordava qualcosa.

“Quaggiù e vestita in questo modo, nemmeno tu sembri una guerriera!” aveva esclamato la ragazzina ritrovando sicurezza. Era anche tornata finalmente a guardarla. “Certo non sono proprio il tipo da spada, o da spade, come nel tuo caso. La mia specialità è il tiro con l'arco. Questi due occhi, per quanto strani, mi conferiscono una vista invidiabile e una mira eccezionale.” le disse alzando orgogliosamente il mento e assumendo un'espressione fiera che sapeva di nobili origini. Poi aveva sorriso di nuovo e aveva recuperato una postura più rilassata.

“Sono anche piuttosto brava con il pugnale, ma l'altra mia specialità, a dire il vero, è aprire le cose molto ben chiuse...” aveva concluso morsicandosi l'interno della guancia sinistra.

“Scassinare... Quindi è vero che sei una ladra.” aveva ribattuto Lexa incrociando le braccia sul petto. Non aveva mai amato i ladruncoli che infestavano i territori tra un villaggio e l'altro. “Dalle mie parti ti avrei esiliata.” le disse con disprezzo, immobilizzandosi non appena si rese conto di aver detto troppo.

Melanippe la guardò seria e una strana luce le attraverso per un attimo gli iridi multicolore.

“Non sono una ladra. Sì, scassino porte e serrature, ma io e i miei compagni non siamo criminali. Talvolta recuperiamo cose che sono state rubate ad altre persone, altre volte liberiamo coloro che sono stati imprigionati ingiustamente. Dimmi un po', da dov'è che vieni di preciso?”

Quell'ultima frase di Lexa era evidentemente riuscita a suscitare l'ostilità o quantomeno la diffidenza, della ragazza. Adesso come avrebbe fatto a uscire dall'impiccio in cui quella domanda la ficcava? Era il caso di dirle la verità facendosi prendere per matta? Quella ragazzina non sapeva veramente niente di lei e del luogo da dove proveniva? Chi le diceva che non fosse tutto un trucco di A.L.I.E?

“Vengo da Polis.” provò a testare la reazione della sua interlocutrice che smise di studiarla e la guardò con sincero stupore.

“Non ho mai sentito di un luogo con quel nome...” borbottò pensierosa Melanippe riducendo gli occhi a delle sottili fessure.

Le peggiori paure di Lexa erano state confermate. Ovunque si trovasse, in quel luogo o in quel tempo, era terribilmente lontana da Polis... e da Clarke.

“Sì trova a est? A sud?” incalzò l'altra prigioniera.

“Dipende da dove siamo adesso.” si lasciò andare scoraggiata Lexa tornando a guardare il soffitto.

Melanippe spostò il peso del proprio corpo all'indietro allungando, se pur di pochi centimetri la distanza tra lei e la sua interlocutrice.

“Non sai dove siamo.” sentenziò, come assaporando il significato mentale di quelle parole.

La Heda annuì lentamente soppesando la reazione dell'altra.

La ragazzina si guardò intorno. Stava combattendo internamente con qualche pensiero che la rendeva indecisa su quale strada intraprendere.

Alla fine sbottò:

“E come te lo spieghi?”

“Non me lo spiego... Non ricordo niente di come sono arrivata qui...” mentì Lexa mantenendo perfettamente impassibile la sua espressione. Solo il respiro si era fatto leggermente più pesante.

Melanippe inclinò la testa di lato, le pupille si dilatarono rendendo dolorosamente più accennata la differenza di colore tra gli occhi, le labbra tese in una specie di incredulo sorriso. Adesso era chiaro che ognuna delle due stava studiando l'altra per valutare fino a che punto poteva fidarsi e fino a che punto valesse la pena avere a che fare l'una con l'altra.

“Sembri piuttosto tranquilla per una che si ritrova improvvisamente in una cella, con una completa sconosciuta, in un luogo completamente diverso da quello in cui era fino a... Prima.” la provocò la ragazzina.

“Ho passato momenti peggiori.” “Tipo quando sono morta.” pensò Lexa e mantenne il contatto oculare senza esitazione.

L'altra accentuò l'espressione di incredulità sfottente del volto. “Però... Devi averne di storie interessanti da raccontare allora.” esitò un attimo poi proseguì. “E qual è l'ultima cosa che ricordi?”

Un'ombra si posò sul viso di Lexa. Nei suoi occhi rivedeva le immagini di quel mondo che crollava e andava in pezzi. Delle stanze, degli specchi, del buio che inghiottiva famelico ogni cosa. L'immagine, sfuggente, quasi mossa, dell'ultimo sguardo che aveva dato a Clarke prima di voltarsi per sempre. Era stato troppo rapido.

“Stavo combattendo. Mi sono rifugiata in una stanza per sfuggire ai miei nemici. Poi tutto è diventato nero e mi sono risvegliata qui.” mentì nuovamente, cosa altro poteva fare?

La ragazza di fronte a lei afferrò sovrappensiero alcuni fili di paglia dal giaciglio della Heda e cominciò a intrecciarli con le dita sottili, senza smettere di guardarla.

“Perché combattevi?” chiese Melanippe.

Lexa rise amaramente aggiustando la propria posizione contro il muro con impazienza. “Sarebbe una storia troppo lunga e troppo complicata da raccontare.”

“Sto cercando di capire se posso fidarmi di te, Lexa.” si scoprì la ragazzina.

“Io non ti ho chiesto di fidarti di me.” sbottò la Heda che non era abituata a quel genere di interrogatorio: di solito era lei a fare le domande ed erano gli altri a doversi conquistare la sua fiducia. “Io non ti ho chiesto niente.”

Melanippe accusò il colpo come se fosse stata una freccia a colpirla nello stomaco. Si scostò, si alzò lentamente in piedi, si scosse i vestiti con le mani e fece per tornarsene dall'altra parte della cella, quando si sentirono dei rumori provenire dall'esterno. Una porta si apriva e un vociare di uomini tra di loro era accompagnato da un concitato scalpiccio. La ragazzina completò il suo percorso e andò a sedersi in un angolo.

Da fuori la porta si sentì una voce profonda intimare.

“La porta si apre. Prigionieri a distanza.”

Seguì un rumore di chiavistelli e di chiavi, poi la porta si aprì lentamente.

La luce, per quanto fioca, delle fiaccole colpì dolorosamente gli occhi di Lexa che sentì una nuova fitta alla testa. Melanippe invece sembrò quasi non percepire la variazione di luminosità.

Appena la vista si fu assestata e il dolore al capo si fu attenuato, la Heda notò che si trovava davanti tre guardie ben armate e quello che sembrava essere una sorta di sacerdote. Assomigliava un po' a Titus, ma non era Titus... Una nuova ondata di nostalgia increspò il mare delle sue emozioni, già piuttosto agitato.

“Ehi, tu! Alzati in piedi! Sei al cospetto del Custode di Ira!” le urlò una guardia.

Lexa valutò che avrebbe potuto facilmente impossessarsi di una spada di quelle guardie incaute e trafiggere tutti i presenti nel giro di pochi secondi. Ma a che pro? Dove sarebbe andata poi? Quanta strada avrebbe fatto? E in che direzione? Per quanto ne sapeva in quel mondo lei era sola, completamente sola.

Optò per un altro approccio. Assunse un'aria spaventata, si accostò al muro cercando di issarsi su per poi scivolare a terra rovinosamente accentuando il gridò e l'espressione di dolore dovuto alla caviglia malandata, sulla quale, per altro, non aveva nemmeno messo il peso.

Notò subito che Melanippe la osservava dal lato opposto della stanza e ridacchiava in silenzio.

“Non vedi che è ferita, Antiloco? Non può alzarsi in piedi.” era stato il sacerdote a parlare: la sua voce era incredibilmente calma e assomigliava a un'incessante litania.

“Come ti chiami, figliola?” le chiese squadrandola. Nonostante il tono di voce calmo, si notava che era un uomo abituato a veder esaudite le sue richieste.

“L-Lexa, signore...” rispose la Heda con voce tremante e facendosi ancora più piccola contro il muro.

Allora accadde qualcosa di inaspettato. Melanippe si tirò su di scatto, per un attimo Lexa temette che volesse attaccare le guardie. Poi la ragazzina urlò:

“LEXA? LEXA!” e si avvicinò al gruppo dei soldati guardandola come se l'avesse vista per la prima volta. Il suo viso si illuminò di sincero entusiasmo.

“Voi conoscete questa fanciulla?” le si rivolse il sacerdote dubbioso.

“Sì, incredibile che siamo state in cella tutto questo tempo e...”

La ragazza vide che l'uomo la guardava con impazienza aspettandosi una spiegazione, così cominciò:

“È una...” poi esitò come incerta sul termine più appropriato da usare o sulla balla da inventare. “...giocoliera! Lavorava con un gruppo di circensi che abbiamo incontrato qualche giorno fa. Stavano...” esitò di nuovo. “...provando una nuova catapulta! Per uno spettacolo, vedete... Credo proprio che qualcosa sia andato storto.” assunse un'espressione di sincero rammarico osservando la caviglia e poi lo stato in cui Lexa riversava. “Chi l'avrebbe mai detto che poteva sparar così lontano...”

Il Custode di Ira la fissava con poca convinzione mentre le guardie si guardavano l'un l'altra con stupore.

Lexa, dal canto suo, aveva mantenuto l'espressione di spavento e sofferenza di poco prima, ma con i suoi profondi occhi verdi la scrutava attentamente pronta a cogliere ogni minimo segnale dell'altra.

“Credo bene che la botta l'abbia confusa e non ricordi più nulla!” esclamò, infine, Melanippe.

Tutti guardarono in direzione della giovane con la caviglia rotta.

“Non ricordate niente?” le chiese il sacerdote riducendo gli occhi a due piccole e subdole fessure. Lexa scosse la testa guardandosi intorno smarrita. Non era certa di capire a che gioco stessero giocando ma non le conveniva smascherare quella che in quel momento era la sua migliore, e unica, alleata.

“E come mai, di grazia, ella invocava C-L-O-R-K?” insistette l'uomo guardandola ancora più intensamente. Per un attimo la Heda temette che fosse in grado di leggerle nel pensiero, come tante volte aveva pensato di Titus quando era ancora una bambina.

“Oh, Clorky! Il buon vecchio Clorky!” esclamò energicamente Melanippe attirando nuovamente tutta l'attenzione su di sé. “È il giullare. Un simpatico gobbo con idee strampalate... È lui che ha avuto l'idea della catapulta. Probabilmente lo stava maledicendo... Vero, Lexa?”

Gli sguardi erano di nuovo puntati sulla ragazza a terra, i cui occhi si erano di nuovo adombrati di un fitto velo di tristezza. “Mh...” mugugnò distogliendo il viso e mettendosi a fissare un punto indefinito alle spalle dei presenti.

“È ancora confusa...” commentò Melanippe con mestizia. “Cara, dovresti valutare l'idea di cambiare mestiere e unirti piuttosto al nostro gruppo!” aveva rivolto a Lexa quell'invocazione sperando che lei in questo caso intervenisse, ma si accorse presto che si era persa in pensieri suoi insondabili.

“E, sempre di grazia, per quale ragione aveva spade e armatura?” insistette il sacerdote.

“Fa parte dello spettacolo. Ma con quella caviglia dubito che potrà fare alcunché...” la ragazzina aveva accentuato quelle ultime parole, portando di nuovo l'attenzione sullo stato innocuo di Lexa. Le guardie tornarono a scrutare la Heda, inconsapevoli di chi avevano di fronte e sicuramente incapaci di soppesare l'entità reale del pericolo che poteva costituire.

“Del resto,” proseguì Melanippe dando alla voce una cadenza particolarmente melliflua. “Archiloco, non appena confermerà la mia versione, vi sarà particolarmente riconoscente se non ostacolerete la nostra missione e ci darete anzi una mano a procurarci un aiutante in più.”

Il sacerdote, che aveva colto il senso di quelle parole la incalzò. “Quindi... garantirete voi per.. Lei?” disse indicando Lexa.

La giovane dagli occhi multicolore la guardò per qualche secondo come soppesando attentamente ciò che stava per fare.

“Sì...” cedette.

“Risponderete voi per lei?” insistette l'uomo.

Lo sguardo di Melanippe si incrociò con quello di Lexa. Le due strinsero impercettibilmente gli occhi come a sugellare un'intesa.

“Sì, verrà con noi. Penseremo noi a lei.”

“Bene.. In tal caso domani all'alba vi verranno portate le vostre cose e potrete andare. Archiloco ha mandato un messo a confermare la vostra versione.” disse rivolto alla bionda fanciulla. Poi, si produsse in un piccolo inchino, si voltò e se ne andò seguito dalle guardie ancora sorprese dall'esito della visita.

Quando anche gli ultimi rumori si furono spenti in lontananza Melanippe lanciò un'ultima occhiata a Lexa e si andò a distendere sopra al suo giaciglio, dall'altra parte della cella, avvolta nella piena oscurità.

Solo dopo quasi mezz'ora, tempo che la Heda aveva passato a rimuginare angosciosamente su quanto era successo, senza riuscire in alcun modo a prendere sonno, la ragazzina parlò ancora con la sua voce fruttata.

“Sai.. Puoi davvero venire con noi... Se vuoi...”

Lexa mantenne il silenzio per un bel po'.

“Buonanotte, Melanippe.” disse infine.

“Buonanotte, Lexa.” rispose l'altra.

   
 
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