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Autore: Ladyally    10/07/2009    2 recensioni
Questa storia è una lunga metafora riguardante la vita di Remus e Sirius
Genere: Triste, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: il protagonista è Remus e volutamente non ho inserito il suo nome ma ho usato solo "egli".

 

Ricordi Aurei

 

Il suo cuore era un aureo castello, un tempo.
Era enorme, traboccante di gente onesta e di amore, e si affacciava su una valle che era culla di un regno rigoglioso, che egli governava insieme al suo re, l’uomo dei suoi sogni, l’uomo della sua vita.  Regnavano all’unisono, come se fossero una sola persona, felici, debellando attacchi improvvisi e crescendo, in forza, grazie a quelle vittorie, sempre più uniti col passare degli anni. Sì, erano un tutt’uno, egli e il suo re.
Poi la Morte era giunta. Aveva trascinato seco le persone che gli erano accanto, gli aveva svelato il vero volto del non più suo re, facendogli scoprire di aver amato un’illusione, e lo aveva poi trascinato lontano, imprigionato, lasciandolo, solo, a regnare in un castello spopolato, spogliato di ogni certezza e affetto.

Gli anni gli camminarono sulla pelle, gli bagnarono il viso di lacrime salate, gli sparsero neve amara sui crini e gli divorarono le ossa, rendendolo più somigliante a un fantasma che al dolce re che un tempo era stato. Quando ormai rassegnato a quell’autarchia, Aurora giunse, guidata dal re imprigionato e con i raggi splendidi gli mostrò  come e quanto si era ingannato, rischiarando il volto dell’uomo che all’istante aveva ripreso ad amare (poiché mai, nel profondo, aveva smesso) e tutte le ombre malvagie della notte che lo avevano deformato svanirono. Era ancora il suo re, l’uomo che aveva da sempre amato, che con lui  aveva governato. E lo sarebbe stato di nuovo, poiché glielo giurò: per sempre.
Egli gli credette e furono ancora un tutt’uno.

Tuttavia la Morte, che di amore si nutre, tornò, galoppando su destrieri innaturali, razziando ciò che lungo la via incontrava e lasciando solo cenere e dolore, desolazione. I due si armarono e si convinsero di poterla sconfiggere; così l’affrontarono, l’uno al fianco dell’altro, proteggendosi vicendevolmente. Egli lottò fino a che gli fu possibile, fino a che la Morte sul suo re prevalse.
Non poté offrire il proprio cuore al posto dell’altro, né sacrificare la propria vita, nemmeno vendicarsi. Non poté fare nulla: la Morte, infatti, si era portata con sé il suo amato, nel balenio di un attimo, e non gli aveva lasciato nulla su cui piangere, neanche le ceneri.

Allora osservò il bellissimo castello cadere in pezzi, la roccia sgretolarsi, i resti venir soffocati dall’edera insaziabile. Anche il sole lo abbandonò: il regno venne violato da una coltre perenne, attraverso la quale si intravedeva, di tanto in tanto, una malefica luna, dal viso pingue e tondeggiante. Ombre gli danzarono attorno, circondandolo, ergendosi alte, fin quasi a toccare il cielo, divenendo così spaventose da indurlo a fuggire, troppo terrorizzato e stremato.
Così raccolse i pochi ricordi sopravvissuti e lasciò il suo castello, dandogli le spalle, col timore di scorgere l’ennesima pietra staccarsi e piombare a terra, con un tonfo tacito, priva come della forza di produrre ogni sorta di rumore.

Quando fu alla fine della valle, sulla quale troneggiava l’altura che la regale dimora ospitava, non riuscì a resistere al venefico impulso e si volse: fece saettare gli occhi in ogni dove, tese le mani con l’illusione di poter toccare ciò che più, in lontananza, non vi era, e le grida accarezzarono il nulla, vagarono tetre tutt’intorno, poiché il suo castello era scomparso, il suo cuore si era estinto.

   
 
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