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Autore: crazy lion    28/08/2018    5 recensioni
Avrei voluto pubblicare questa FanFiction il 20 agosto, ma purtroppo non ci sono riuscita.
Demi non è affatto felice di compiere dodici anni. Non capisce perché, con tutti i problemi che ha, dovrebbe considerare quel giorno tanto speciale come invece fa la sua famiglia. C'è solo una persona che si accorge del dolore della ragazzina: Andrew, il suo migliore amico. Proprio lui viene a prenderla per provare a farle passare un po' di tempo in tranquillità. Dove la porterà? Cosa faranno insieme? Riuscirà, Demi, a dire che a dispetto di quanto pensava quello è un buon compleanno?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lubro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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                     BUON COMPLEANNO!

Demi era a letto, ma non dormiva. Non l'aveva fatto quella notte, a parte forse per un paio d'ore. Non che fosse una novità. Le capitava spesso di non riposare e di fermarsi a pensare a quanto i bulli che la prendevano in giro avessero ragione. Ciò che la feriva di più era quanto le dicevano e il fatto che era anche a causa loro se lei adesso odiava il suo corpo, se aveva iniziato ad avere problemi alimentari e se si tagliava per cercare di far diminuire il dolore psicologico almeno per un po'.
Sapendo che non sarebbe più riuscita a prendere sonno Demi si alzò sbuffando, rifece il letto, aprì imposte e finestre e scese in salotto. Non si vestì nemmeno. Non ne aveva voglia e sperò che, almeno per quel giorno, non avrebbe dovuto cantare o recitare. Era così sfinita che non rammentava neanche se aveva impegni.
Dio, faccio proprio schifo.
Una volta in salotto vide che Madison, Dallas e i suoi genitori erano già in piedi. Non considerava Eddie un vero papà, ma poco importava. Era lui che l'aveva cresciuta, non Patrick.
"Demiiiiii!" esclamò Maddie correndole incontro e abbracciandole le gambe. "Auguri!"
Aveva due anni e mezzo ed era bellissima.
"Ciao, piccola!"
La ragazza la prese in braccio e la riempì di baci. Era impossibile non voler bene a quell'angioletto.
"Non so se essere offesa oppure no" disse la sorella più grande. "Non mi abbracci quasi più, Demi."
"Dallas" la rimbeccò Eddie, che ora si era seduto sul divano a leggere il giornale.
"Beh, che ho detto di tanto sbagliato? È vero! Io e lei non facciamo altro che litigare ultimamente."
La ragazzina si sentì stringere il cuore in una morsa. Non avrebbe saputo contare le volte in cui aveva urlato contro Dallas per i motivi più assurdi. Stava iniziando a mangiare meno, a pesarsi spesso ma solo quando nessuno poteva vederla e a vomitare il più possibile, senza però farsi scoprire. Temeva di essere scoperta più di ogni altra cosa e tutto questo la rendeva nervosa e se la prendeva con chi non c'entrava nulla.
"Scusami, Dal" sussurrò, non riuscendo quasi a trovare la propria voce. "Mi sto comportando malissimo con te in questo periodo."
L'altra sospirò e le andò incontro, poi le sorrise.
"Oggi è un giorno speciale, quindi ti perdono."
Detto questo abbracciò entrambe le sorelle.
"Che giorno sarebbe?" domandò Demetria quando ebbero sciolto l'abbraccio e tutti la guardarono come se fosse appena arrivata da un altro pianeta.
"Madison ti ha fatto gli auguri, ricordi? Dem, è il tuo compleanno!" esclamò Dianna.
"Il mio cosa? È già il 20 agosto?"
"Sì."
"Oh, merda."
Sperò che nessuno avesse sentito, ma Madison udì quella parolaccia perché scoppiò a ridere.
"Non dirlo a nessuno, okay?" le fece promettere la sorella arruffandole i capelli.
"Okay."
"Che c'è di divertente?"
"Niente mamma, è che non ho idea di come io abbia fatto a dimenticarmelo."
"Ultimamente sei molto stanca. Riesci a dormire?"
Ecco, ora iniziava di nuovo a preoccuparsi per lei come accadeva spesso in quel periodo. Da una parte la ragazza ne era contenta, dall'altra non lo sopportava perché a volte sua mamma le stava davvero troppo addosso.
"Sì, tranquilla."
Brava, hai appena detto una bugia pensò. Vergognati. Oltre ad essere cicciona sei anche brutta, sbagliata e menzognera.
Cercò di scacciare quel pensiero, sperando che le voci non sarebbero tornate almeno per un po'. Non l'avrebbe sopportato.
A colazione Demi mangiò un paio di biscotti secchi e integrali con una tazzina di latte, anche se disse alla mamma di averne presi quattro così non si sarebbe allarmata. Faceva spesso colazione in quel modo, quindi nessuno si preoccupò.
"Tesoro, per un paio di settimane non hai nessun impegno. Penso sia meglio così, visto che hai bisogno di rilassarti."
"Davvero mamma? Non ho nulla?"
"Già."
Demi avrebbe voluto fare i salti di gioia. Adorava cantare ancor più che recitare, ma avere tempo per lei stessa era importante. Le avrebbe permesso di scrivere canzoni, la cosa che amava fare di più quando era sola oltre a suonare il piano e la chitarra.
"E per il compleanno che pensi di fare?" le chiese Eddie.
"Uhm… niente."
"Eh?"
"Come niente?"
"Amore, è il tuo giorno speciale, dovrai pur festeggiarlo in qualche modo."
Questo fu ciò che le dissero i suoi familiari l'uno dopo l'altro, tranne Madison che rimase in silenzio per un attimo salvo poi domandare in maniera innocente:
"Non ti piacciono i compleanni?"
Era piccola, ma sapeva parlare già molto bene.
"Capisco che per te siano bellissimi, Maddie, ma quando cresci non lo sono più così tanto. Ora scusatemi."
Detto ciò si alzò da tavola e andò di sopra, chiuse la porta della sua camera, si infilò in bagno e vomitò aprendo prima l'acqua del lavandino in modo che nessuno la sentisse. Doveva buttar fuori tutte quelle disgustose calorie prima che fosse troppo tardi. Una volta finito si guardò allo specchio. La sua pancia era sempre troppo grossa così come le gambe. Andò nella stanza dei suoi genitori e si pesò.
"Quarantasette chili?" mormorò. "Devi fare meglio di così, grassona che non sei altro."
Ritornò in camera e si mise a scrivere. Da anni teneva un diario segreto. Sfogò in quelle pagine tutta la sua frustrazione e il disgusto che provava nei confronti di se stessa e poi aggiunse che non capiva come mai tante persone considerassero il giorno del compleanno una data tanto speciale. Cosa c'era di particolare nel diventare più vecchie? Perché per lei il 20 agosto avrebbe dovuto essere diverso dagli altri?
Stessa merda, giorno differente scrisse infatti.
Per lei era così. Non era solo per ciò che le facevano i bulli e per i segni che le lasciavano dentro. Non era nemmeno soltanto per come si vedeva e per l'autolesionismo. Era che si sentiva sola. Non aveva altri amici oltre a Selena e ad Andrew, un ragazzo che abitava vicino a lei e che conosceva da sempre. Avevano sei anni di differenza ma questo non aveva impedito ai due di diventare amici fin da piccoli. Da tempo lo considerava il suo migliore amico, l'unico su cui poter contare davvero. In quel momento suonò il campanello e lei fece letteralmente un salto. Scese e andò ad aprire perché non c'era più nessuno in casa. I suoi lavoravano, Dallas era andata a studiare in biblioteca e Madison era da un'amichetta. Quando guardò dallo spioncino vide un ragazzo che le sorrideva e aprì.
"Andrew!" esclamò, felice di vederlo.
Gli regalò un vero sorriso, uno di quelli che mostrava soltanto a Madison.
"Tanti auguri, Demi" disse lui.
Aveva una voce calda e profonda che lei adorava.
Guardandolo meglio, la ragazza si mise a ridacchiare.
"Che c'è?"
Andrew era confuso, non riusciva a capire il motivo di quell'ilarità.
"I jeans ti stanno troppo larghi, ma è una cosa che mi fa tenerezza, non so perché."
Le sue gambe sembravano ballare dentro quei pantaloni quando si muoveva.
"Lo so, sono di mio padre. Li ho trovati nel mio armadio e li ho infilati. Non ho pensato a come vestirmi, volevo solo venire da te."
Demi si soffermò ad osservarlo. L'amico era perfetto: magro, alto, con i capelli castani e gli occhi verdi. Era bello, non come lei. Ma non le importava che aspetto fisico avesse e non sapeva nemmeno perché si fosse soffermata sul suo corpo un po' troppo a lungo.
"Scusa." Imbarazzata, distolse lo sguardo. "È solo che a volte mi capita di osservare le persone per… niente."
Era meglio concludere quel discorso. Ad ogni modo lo faceva per confrontarsi con loro e per trovarsi sempre più difetti. Per fortuna lui sembrò non farci caso.
"Ti ho fatto gli auguri, comunque" le ricordò Andrew.
"Oh, non ti ci mettere anche tu!" sbottò Demi, infastidita. "Grazie" concluse raddolcendo il tono.
Non voleva arrabbiarsi con lui, né tantomeno litigare.
"Senti." L’amico le prese le mani. "So cosa pensi sui compleanni, me l'hai già detto. Non sei costretta a festeggiare, se non vuoi."
"Tanto i miei faranno comunque qualcosa come ogni anno. Forse andremo tutti fuori a cena visto che non voglio una vera festa. Se ne fregano di quel che penso io."
"Hai provato a dirlo loro?"
"Sì, ma mi hanno guardata e trattata come se fossi pazza."
"Mi dispiace. Vuoi che ne discutiamo entrambi insieme a loro?"
"No, lascia stare" rispose guardandolo tristemente.
"Devi importi, Demetria, altrimenti non capiranno mai come la pensi!" cercò di incoraggiarla.
"Forse non vogliono farlo. Possiamo cambiare argomento, per favore?"
Andrew sospirò.
"Va bene. Io ho intenzione di rapirti per tutta la mattina. L'ho già detto ai tuoi, non preoccuparti."
"Ah, non ne ho voglia" sbuffò. "Sono stanca."
Desiderava solo tornare a letto e stare lì tutto il giorno, o comunque il più possibile.
"Lo sei sempre perché non dormi. Tuttavia, accetto solo risposte positive. E poi, Dem, ti assicuro che se verrai fuori all'aria aperta ti sentirai meglio. So che certi giorni per te sono più difficili di altri e che non è facile non abbattersi, ma mi piacerebbe che per un attimo tu non pensassi ai problemi che hai."
Andrew non conosceva tutti i motivi per i quali stava male, lei non glieli aveva detti. Tuttavia, lui era l'unico ad accorgersi del suo dolore.
La ragazzina sospirò.
"Non voglio mancarti di rispetto, Andrew. Sei stato molto gentile a venire fin qui e a propormi questa cosa e ti ringrazio di cuore, ma devo proprio?"
"Sì e ti assicuro che non te ne pentirai."
Le pareva scortese rifiutare e poi le piaceva stare con lui. Forse aveva ragione, si sarebbe sentita meglio uscendo.
"Va bene" si arrese.
"Evviva!"
Il ragazzo le saltò praticamente al collo e la strinse in un fortissimo abbraccio.
"Come devo vestirmi?"
"Indossa una tuta e delle scarpe da ginnastica e porta uno zaino con una felpa, una bottiglietta d'acqua e qualcosa da mangiare."
La curiosità le stava salendo alle stelle. Provò a fare domande per capire dove sarebbero andati ma lui non rispose mai e fu irremovibile.
Dopo essersi preparata e non aver messo nulla di commestibile nello zaino ma senza farsi vedere dall’amico, Demi uscì con lui. Salirono nella sua auto e partirono. Dopo un po' Andrew si fermò ad un semaforo e tirò fuori qualcosa dalla tasca dei pantaloni, poi gliela avvolse attorno agli occhi.
"Che fai?"
"Ti bendo, così non vedi dove stiamo andando."
Lei non rispose ma pensò che a volte il suo migliore amico era proprio matto. Tuttavia le piaceva anche quel lato di lui, soprattutto perché Andrew riusciva sempre a farla stare meglio, a farla sentire viva quando pensava di essere morta dentro. Glielo disse anche se lui lo sapeva perché ne avevano già parlato altre volte e il ragazzo le appoggiò una mano su una spalla.
"Andrà tutto bene, Demetria" mormorò con dolcezza. "Credimi."
"Spero che sia così, almeno per oggi."
"Faremo in modo che lo sia."
Parlarono del più e del meno per tutto il tragitto. Più andavano avanti più Demi, ascoltando i rumori, si rendeva conto che c'erano sempre meno macchine sulla strada. Forse erano alla periferia della città o ne erano già usciti. La curiosità la divorava e non vedeva l'ora di togliersi quel fazzoletto dagli occhi. Dopo mezzora di viaggio Andrew si fermò.
"Ora facciamo qualche centinaio di metri a piedi e ci siamo."
"Posso aprire gli occhi?"
"Non ancora."
“Uffa!” si lamentò, come una bambina capricciosa.
“Tra un po’ potrai. Porta pazienza.”
Le sorrise e lei lo notò dalla sua voce.
Demi si sentiva insicura lì, in piedi, non vedendo altro che il buio. Nonostante fosse con il suo migliore amico, quell'oscurità la spaventava. Il cuore iniziò a batterle all'impazzata e cominciò ad alzare la testa muovendola a destra e a sinistra e mise le mani in avanti. Il ragazzo le prese la destra stringendogliela piano. Lei si rilassò e si sentì più tranquilla. Mentre camminavano, una macchina sfrecciò come un bolide alla loro destra. Passò così vicina ai due che entrambi poterono sentire la folata d’aria prodotta dal veicolo. Istintivamente si gettarono a sinistra finendo a terra, distesi sul selciato.
“Oh mio Dio, Demi stai bene?” le chiese Andrew con il fiato corto.
La ragazza non rispose subito. Per qualche secondo le mancò il respiro. Non vedendo niente, tutto le era sembrato ancora più spaventoso.
“Sì ma… che cos’era?”
“Un’auto. È sbucata all’improvviso e il conducente correva come un pazzo.”
Dio mio, pensò Andrew, se le fosse successo qualcosa…
Non se lo sarebbe mai perdonato, ma per fortuna non era stato così. La aiutò a rimettersi in piedi. Demi era sudata e pallidissima.
“Vuoi dell’acqua?”
“Sì, prendi la mia.”
La voce le tremava tanta era stata la paura e Andrew decise di toglierle la benda per farla sentire più a suo agio, poi la fece sedere su un muretto lì vicino. Demi si tolse lo zaino dalle spalle, ma le sue mani tremavano così tanto che non riuscì nemmeno ad aprire la cerniera e lui le diede una mano.
“Tieni.”
“G-grazie.”
“Scusami per quel che è accaduto, io…”
“Non è colpa tua! Non potevi sapere quello che sarebbe successo.”
“Vuoi tornare a casa? Possiamo fare qualcosa anche lì, se ti senti più sicura.”
“No, perché? La nostra mattinata insieme è appena iniziata!” esclamò lei, più allegra, mentre riprendeva colore.
“D’accordo, allora andiamo quando vuoi.”
Dopo aver bevuto e ripreso fiato Demi si alzò. Fu solo in quel momento che riuscì a guardarsi intorno. Stavano camminando su una strada sconnessa e ricoperta di ghiaia. Faceva un po’ più fresco che in città.
“Siamo in collina, vero?”
“Sì.”
Poco dopo si addentrarono nel bosco. Continuavano a tenersi per mano anche se ora lei vedeva. L’avevano sempre fatto fin da piccoli. Quel contatto era un modo per sentirsi ancora più vicini. Passeggiarono senza quasi parlare, godendosi l’aria fresca e il silenzio. Si udiva solo qualche uccellino cantare. Gli altri animali diurni si erano sicuramente nascosti nelle loro tane, spaventati dal passaggio degli umani.
“Fragole!” trillò Demi quando vide alcune piante di fragoline di bosco.
Si piegò e cominciò a raccoglierle assieme ad Andrew, poi le misero dentro una scatola che lui aveva portato apposta. Trovarono anche delle more.
“Tornati a casa le laveremo e ce le mangeremo tutte” disse il ragazzo con l’acquolina in bocca.
“Non ne offriamo agli altri?”
“Sì, sì, scherzavo.”
“Mmm, secondo me non tanto.”
“Ehi!” Andrew le diede un piccolo schiaffo sul braccio. “Comunque io alla tua età non ero così altruista. Anzi, ero piuttosto tirchio tanto che i miei, a ragione, mi sgridavano spesso.”
Arrivarono nei pressi di un'altra, piccola collinetta e fu lì che Andrew riuscì a scorgere dei funghi. Alcuni erano ben nascosti, altri più visibili. Insegnò a Demi quali erano velenosi e quelli che invece avrebbe potuto raccogliere. Trovarono principalmente porcini, alcuni piccoli e altri molto grandi e chiodini. Il papà di Andrew era un esperto di funghi e aveva portato il figlio con sé da quando aveva cinque anni. Una volta cresciuta era andata con loro anche sua sorella Carlie. La mamma rimaneva a casa ad aspettarli e con i funghi raccolti preparava una buonissima zuppa che anche Demi adorava. Alla fine raccolsero una trentina di funghi e si stupirono del fatto che nessun altro li avesse trovati prima di loro. Di solito le persone alle quali piaceva andare a funghi partivano la mattina presto per prenderne il più possibile.
"Sono stato ammesso al college" disse Andrew ad un certo punto, con una chiara nota di entusiasmo nella voce.
"Davvero? Wow!"
Demi lo abbracciò, ma comunque non aveva dubbi in merito: il suo amico aveva sempre avuto buonissimi voti anche al liceo. Dal canto suo, Andrew aveva sempre detto di voler diventare un avvocato e non aveva cambiato idea nemmeno per un secondo, rimanendo legato a quel sogno di bambino che, sperava, sarebbe diventato realtà.
"Non vedo l'ora di iniziare!"
"Immagino. Chissà cosa farò io al liceo."
Viveva la giornata e non si azzardava neanche a riflettere su quello che avrebbe fatto il giorno dopo, figurarsi pensare al proprio futuro. Se qualcuno le avesse chiesto come si immaginava tra un anno non avrebbe saputo cosa rispondere. Ad ogni modo, era sicura di non voler andare al college: desiderava cantare, almeno di questo era convinta. Era molto fiera di Andrew perché lui, almeno, aveva le idee chiare sul proprio futuro. Doveva essere una bella sensazione.
"Avrai tempo, lo capirai" fu la risposta al suo commento.
"Lo spero" sospirò la ragazza e fu allora che Andrew si accorse che qualcosa non andava.
"Possiamo sederci?" gli chiese.
"Certo, ma stai bene?"
"Sì, sono solo stanca."
Dubitava che fosse soltanto per questo, ma non disse nulla.
Arrivarono nei pressi di un ruscelletto e si misero in piedi sul piccolo ponticello ad ascoltare l'acqua che scorreva, un rumore che li aiutò a rilassarsi.
"Attento!"
Demetria non fece in tempo ad avvisare Andrew che, muovendosi, scivolò dal ponte ma per fortuna non dalla parte dell'acqua, anche perché c'era un parapetto a protezione.
Il ragazzo si spaventò, mise male il piede ma per fortuna non si fece nulla e si affrettò a rassicurare Demi che lo guardava preoccupata.
Si sedettero su un grande masso lì vicino e, per qualche minuto, nessuno disse una parola. Era semplicemente bello stare così, in silenzio, ad ascoltare il suono del vento tra le fronde degli alberi mescolarsi a quello, più forte ma al contempo dolce, dell’acqua. Aria e acqua, due elementi naturali che si fondevano in un'armonia perfetta e sembravano parlarsi e dirsi cose che i due ragazzi non potevano capire.
“Che bello stare in pace” disse Demi in un sussurro quasi impercettibile, ma Andrew la udì.
“Già.”
Eppure, osservandola, immaginò che volesse dire molto di più con quella frase. Non si stava riferendo solo al fatto che erano in mezzo alla natura. Aveva pronunciato la parola “pace” con più enfasi delle altre, come se la bramasse e se per tutto il resto del tempo dentro di lei ci fosse una tempesta. Le prese una mano, poi gliela lasciò per circondarle le spalle con un braccio in un istintivo gesto di protezione. Fu lei, allora, ad allungare la mano per afferrare quella di lui.
“Mi piace quando mi tieni così.”
“Sei gelata. Hai freddo? Vuoi una felpa?”
“No, me la sono portata ma non ne ho bisogno. Non è fuori il freddo che sento. È dentro.”
Andrew non avrebbe voluto porre quella domanda perché sapeva che la ragazzina si sarebbe arrabbiata. Era già accaduto ed ora non sarebbe andata in modo diverso. Eppure,  qualcosa gli disse che era suo dovere saperlo.
“Demi, che ti succede? Sembri assente. Cos’è che ti fa soffrire così tanto?”
Il ragazzo sospettava che non si trattasse solo del fatto che aveva problemi con il suo corpo, che non si accettava per ciò che era.
Lei deglutì a vuoto. Prima o poi avrebbe dovuto parlargliene, ma ci sono cose che non si riescono a raccontare nemmeno alle persone delle quali ci si fida di più; e non era pronta, non ancora. Forse non lo sarebbe stata per anni.
“Io… è che…” balbettò, alla ricerca delle parole giuste per fargli capire almeno un po’. “Tra un po’ ricomincia la scuola e la cosa non mi entusiasma. Certo, nessuno è felice di riprendere, ma io ho paura. Sto male lì.”
Andrew non riuscì a capire se aveva ragione o torto, ma immaginò che i compagni di Demi non dovessero farla sentire a proprio agio. Chissà, forse la escludevano, la isolavano o peggio.
Ho paura.
Era forse vittima di bullismo? Non ne era certo, ma intuì che fosse così. Demi avrebbe voluto parlare, dire qualcosa, ma proprio non ce la faceva. Era talmente difficile! Siccome usare la sua voce in quel modo le risultava addirittura impossibile, decise di cantare. Le veniva più semplice e spontaneo buttar fuori le sue emozioni in quella maniera. Aprì la bocca e le parole uscirono da sole, quasi senza che lei le pensasse.
I wanna scream
It makes me feel alive
 
Is it enough to love?
Is it enough to breathe?
Somebody rip my heart out
And leave me here to bleed
Is it enough to die?
Somebody save my life
Aveva cominciato a cantare la fine della prima strofa e si era fermata prima del termine del ritornello per una ragione precisa. Andrew l’aveva ascoltata attentamente ed era rimasto sorpreso, all’inizio, dato che non l’aveva cantata per intero. Ma poi ci rifletté. C’era qualcosa nel modo in cui la ragazza si era espressa che lo aveva catturato sin da subito. Sì, era una bella canzone, ma non si trattava di ciò. Demi aveva messo una passione particolare in ogni singola nota, una potenza nella voce che il ragazzo non le aveva mai sentito, e tutto questo unito all’aura di tristezza che le aleggiava intorno gli aveva fatto provare un’emozione tanto intensa da fargli venire la pelle d’oca. Tremò. Demi doveva sentire quella canzone, e in particolare la parte che aveva appena cantato, molto sua.
“Parla di te?” le domandò.
Lei si limitò ad annuire.
L’ultimo verso l’aveva colpito più degli altri:
Somebody save my life.
Era una richiesta d’aiuto. Certo, Demi era autolesionista e una volta gli aveva detto che spesso pensava a come sarebbe stato il suo funerale e che non si spiegava il motivo per cui, a soli sette anni, aveva pensieri così oscuri. Ma nonostante questo, lei non voleva morire. Glielo aveva suggerito il verso di quella canzone che implorava che qualcuno le salvasse la vita. Glielo dicevano i suoi occhi, tristi ma con un barlume di speranza nelle loro profondità. A lei bastò un solo sguardo per essere certa che lui avesse compreso.
“Come hai fatto? Come riesci a leggermi così tanto nell’anima?”
“Non lo so… forse è quello che fanno i migliori amici.”
Sorrisero entrambi, anche se quello di Demi fu un sorriso spento, senza gioia.
“Perché non mi spieghi meglio che cosa ti succede? Posso provare ad aiutarti!” insistette.
Lei sospirò, mentre una grossa lacrima le rigava il viso.
Ecco, si disse Andrew, l’aveva fatta piangere il giorno del suo compleanno. Era un idiota! Sapeva che la ragazza era molto sensibile, che stava male, che bisognava andarci molto piano con lei, eppure non era stato attento.
“Non è per colpa tua che sto piangendo” gli disse, come leggendogli nel pensiero. “È per colpa mia. Siamo amici, dovrei dirti tutto ma non ci riesco, non ancora almeno. Per fugare i tuoi dubbi… dammi un minuto, okay?” gli chiese, cercando di regolarizzare il respiro affannoso. Doveva stare calma, altrimenti chissù cosa sarebbe accaduto. “A volte vengo presa in giro, ma non è niente di grave, davvero" disse poi. "Sono le solite cose che certi stupidi dicono per far stare male, ma non accade spesso e la cosa non mi tocca poi tanto.”
Non ce l’aveva fatta a raccontargli che era vittima di bullismo, che i suoi compagni le dicevano che era grassa e brutta, che faceva schifo, che era un rifiuto umano, una troia, una persona inutile e tante altre offese che non voleva ricordare. Odiava mentirgli e si sentì una merda per questo. Tra amici non ci dovrebbero essere segreti. Ma se era stato difficile convincere Andrew a non dire nulla riguardo l’autolesionismo, lo sarebbe stato ancora di più imporgli di non raccontare niente del bullismo che subiva. Lei non sarebbe mai riuscita a dire una parola a riguardo con nessuno, né con la sua famiglia, né con lui. Aveva paura, temeva che se avesse parlato i bulli gliel’avrebbero fatta pagare, che le conseguenze sarebbero state peggiori. Chissà, forse i professori e il Preside non le avrebbero creduto, o nessuno sarebbe stato punito. E poi iniziava a pensare che quei ragazzi avessero ragione a dire tali cose.
“Sicura che sia solo questo? O c’è dell’altro?”
Il tono dell’amico era così dolce e rassicurante! In parte Demi avrebbe davvero voluto raccontargli tutto, ma c’era una voce nella sua testa che le diceva di non farlo perché altrimenti avrebbe commesso un madornale errore.
“Ma no!” esclamò sorridendo e cercando di essere il più convincente possibile. “Dicevo che mi trovo male solo perché a volte mi vengono rivolti commenti spiacevoli, ma ripeto non è un fatto abituale, anzi. Qualche presa in giro capita a tutti, prima o poi.” Gli parlò ancora un po’ facendo di tutto per risultare credibile. “Che cosa sei andato a pensare?”
“Che fossi vittima di bullismo. Che la situazione fosse molto seria e grave. Hai detto di avere paura. Ascolta, queste non sono cose di cui vergognarsi. Se c’è qualche problema, ti prego, parlane. So che è difficile, ma per favore non chiuderti in te stessa.”
Lei rise forte.
“Vittima di bullismo?” ripeté, fingendo di essere quasi scandalizzata. “No! Per fortuna non lo sono. Non accade quello che pensi tu, Andrew. Se ho detto di avere paura sarà perché ho esagerato con le parole, mi sono spiegata male e mi dispiace. Calmati, stai facendo tanto rumore per nulla.”
Andrew voleva crederle con tutto se stesso. Era sua amica, perché avrebbe dovuto mentirgli? Eppure gli aveva nascosto di essere autolesionista per un anno, gli aveva già detto una bugia.
“Potrebbe rifarlo” disse una voce dentro di lui.
No, non poteva essere. Era dibattuto, non sapeva cosa credere ed era come se stesse combattendo una battaglia i cui soldati erano due parti di se stesso. Di solito chi è vittima di bullismo non riesce a nasconderlo per sempre. Parlando lei avrebbe dovuto tremare almeno un po’, rattristarsi o avere uno sguardo spaventato, insomma mandare anche inconsapevolmente qualche segnale, giusto? Ma non l’aveva fatto. Anzi, gli era parsa tranquilla mentre parlava.
“Se ci fosse qualcosa me lo diresti, vero?”
“Certo!”
Volle fidarsi di lei. Gli restò qualche sospetto ma pensò di star esagerando. E quando, l’anno successivo, Demi si sarebbe ritirata da scuola proprio a causa dei bulli e lui avrebbe scoperto che aveva avuto ragione si sarebbe sentito uno stupido coglione per non aver dato ascolto a quella voce interna, per non aver capito che alcune persone possono nascondere i loro problemi molto bene, come in effetti lei aveva già fatto con l’autolesionismo. Non si sarebbe dato pace per tantissimo tempo. Tuttavia in quel momento non aveva motivo di dubitare di lei. Era una ragazzina tormentata, complessa, ma sapere che non aveva nessuno che le rendeva la vita un inferno fu per Andrew un enorme sollievo.
“E allora quella canzone? Perché l’hai cantata? Chiedevi aiuto, ma per cosa?”
“Per l’autolesionismo. Non è facile vivere così ogni singolo giorno.”
“Perché hai iniziato proprio da quel punto?”
“Spesso mi sento morta dentro.”
A quelle parole, Andrew sentì il suo cuore andare in mille pezzi. Le avrebbe chiesto:
“È colpa mia? Posso fare qualcosa perché non sia più così?”
se non ne avessero già parlato in precedenza. Lei gli aveva risposto di no e si era data tutte le colpe, come sempre.
“Quando sono sola, gridare è l’unico modo che ho per ricordarmi che sono viva. Lo è anche sentire dolore, in verità, ma ogni tanto devo usare la mia voce.”
“Hai ricominciato a farti del male tutti i giorni?”
Demi non ne poté più. Non si preoccupò di controllare la respirazione che accelerò di colpo mentre il cuore sembrava volerle saltare fuori dal petto. Stava avendo un attacco di panico, o almeno credeva che fosse così. La prima volta che le era venuto, un anno prima, Andrew le aveva detto quelle parole e le aveva descritto i sintomi, anche se non se ne intendeva molto. Tuttavia quegli attacchi erano così rari che la ragazza non aveva mai sentito la necessità di parlarne con i suoi o di andare dal medico. La testa le girava,  ogni cosa vorticava senza mai fermarsi, aveva la vista annebbiata e respirava talmente a fatica che le pareva di morire.
“Non c’è aria” riuscì a dire. “Sto soffocando.”
“Ce n’è, Demi, tranquilla. Stringi forte le mani a pugno e poi riaprile.”
Lo fece svariate volte. Di solito ocncentrarsi su quell’azione la tranquillizzava. Prese le mani di Andrew e gliele strinse mentre scoppiava in un pianto quasi convulso.
“Shhh, Demi sono qui, non ti lascio. Ti prometto che andrà tutto bene, passerà anche stavolta vedrai.”
Appoggiò una delle mani di lei sul suo petto per farle sentire che respirava in modo calmo e regolare. Era in ansia per l'amica, ma non voleva mostrarlo per non farla star peggio. Continuò a stringerle le mani e a parlarle, sapendo che questo era l’unico modo per aiutarla, oltre a non interrompere mai il contatto visivo.
“Sì” mormorò quando si fu calmata e poi abbassò gli occhi per la vergogna. “Sì, ho ricominciato a tagliarmi ogni giorno.”
“Non fare così. Lo sai che non ti giudico. Guardami.”
Le mise un dito sotto il mento per costringerla ad alzare il volto ora rigato di lacrime.
Quando aveva iniziato a tagliarsi era stata sola con quelle voci nella testa che, ancora adesso, le dicevano che farlo era la cosa migliore, anzi l'unica soluzione e lei credeva loro come se fossero state persone reali e affidabili che volevano il suo bene. In effetti, dopo essersi fatta del male e aver visto il sangue scorrere sui suoi polsi, si sentiva sempre meglio. Certo il dolore fisico era forte, la paura di essere scoperta anche, ma faceva di tutto per nascondere ogni cosa. Indossava tanti bracciali per coprire i tagli dicendo ai suoi che lo faceva per moda, portava le maniche lunghe quando le ferite erano ancora aperte e non voleva far vedere le bende. Tuttavia era riuscita a parlarne con Andrew un mese prima. Quando aveva visto le sue cicatrici, alcune vecchie e rimarginate, altre più recenti e le aveva domandato, sconvolto e con le lacrime agli occhi, il motivo di tutte quelle ferite, lei non si era sentita di mentirgli e gli aveva detto, mentre la voce le tremava e lo guardava con gli occhi gonfi:
"Mi taglio, Andrew" e, vedendo la sua espressione scioccata, aveva continuato: "Sì, sono una cazzo di autolesionista, okay? Lo so che sto sbagliando, ma non riesco a comportarmi in altro modo e mi odio per questo. Mi faccio male per stare meglio. Tagliarmi è l'unica cosa che mi aiuta davvero, almeno per un po'."
Dopodiché era scoppiata in pianto. Lui l’aveva stretta a sé e in quel momento gli era sembrata così piccola e fragile. Sapeva benissimo che non lo era, ma aveva capito che il suo dolore era talmente intenso e grande che la stava schiacciando, così aveva cercato di mettere da parte la sofferenza e l'ansia che tutto ciò gli provocava; e l'aveva fatto per occuparsi di lei.
“Chiamami ogni volta che ne sentirai il bisogno. Il secondo in cui capirai che stai male prendi in mano il telefono o il cellulare e io prometto che risponderò sempre, okay?” le aveva chiesto quasi implorandola.
“Sì, te lo prometto.”
Grazie a Dio l’aveva chiamato, a volte quando doveva ancora farsi male e lui era corso a casa sua per starle accanto in modo che evitasse di pensarci, altre nelle quali era entrato in camera della ragazzina trovandola con i polsi tagliati e il sangue che da essi colava sul pavimento. Non ricordava più quante volte nel corso di quelle settimane l’aveva disinfettata e curata, soffiando sulle ferite per farle sentire meno dolore e asciugandole le lacrime causate dalla sofferenza sia interiore che esteriore. Non sapeva come Demi ci riuscisse, ma quasi non si lamentava nonostante tutto. Avrebbe dovuto urlare  ma stringeva i denti e quasi non lo faceva a meno che non fosse sola perché nessuno la scoprisse. Quando i suoi polsi erano stati curati, da lei o dall’amico, andava in camera e si gettava a peso morto sul letto iniziando a piangere contro il cuscino, mordendo la federa e urlando, tanto le grida venivano soffocate dalla
stoffa.
“Immagino sia difficile per te vivere sapendo che potrei farmi del male. Dio, mi dispiace!”
Si sentiva così male. Purtroppo però il desiderio di tagliarsi era più forte di lei, della sua volontà, del proprio giudizio. Non era una cosa che poteva smettere di fare così, dall’oggi al domani. Era una dipendenza.
“Non ti preoccupare, va tutto bene. Mi fa piacere che tu ti sia fidata tanto di me da dirmelo qualche tempo fa.”
Andrew non aggiunse che spesso la notte non dormiva pensando:
Come starà stasera? Si sarà fatta del male?
L’ansia era la sua compagna ogni istante di ogni giorno. Viveva con la costante paura che un taglio troppo profondo avrebbe potuto metterla ancora più in pericolo, che avrebbe rischiato di perderla o che sarebbe morta. Ma aveva promesso di rimanerle a fianco e l’avrebbe fatto. Chiamandolo nei momenti difficili Demi era riuscita a non tagliarsi prima per un giorno, poi per due, fino ad arrivare a una settimana senza mai farsi male. Era stato un traguardo incredibile! Eppure ora che quel breve lasso di tempo era terminato era al punto di partenza.
“Non so perché ho ricominciato a farlo” ammise ed era una mezza verità.
In parte era a causa del terrore che l’imminente inizio della scuola le provocava, ma per il resto era vero, non ne aveva la più pallida idea. Evidentemente non stava ancora bene, non era abbastanza forte per farcela. In fondo non poteva nemmeno pretendere di risolvere il problema nel giro di un mese.
“Oh, Demetria!”
Andrew le gettò le braccia al collo e i due piansero stretti l’uno all’altra, sfogando il loro immenso dolore e dandosi allo stesso tempo quel calore che solo gli amici veri si sanno trasmettere.
“Ma oggi sono sicura che non lo farò.”
Le spuntò un piccolo sorriso, diverso da quello di prima, luminoso.
“Perché?”
“È il mio compleanno e, anche se pensavo non potesse essere così ha ragione mia madre: è un giorno speciale. Hai deciso di portarmi via per un po’ e di questo ti ringrazio. Perciò è così bello: perché lo stiamo passando insieme.”
“Ma abbiamo parlato anche di cose molto tristi! Non dico che non avremmo dovuto, solo che speravo di non fartici pensare e invece ogni tanto ho iniziato io il discorso.”
“Shhh, non fa niente” mormorò Demi con dolcezza. “La cosa che conta per me è stare con te. Ora che facciamo?”
Si alzarono e ripresero a camminare per fare ritorno all’auto. Le ore erano passate senza che se ne rendessero conto ed era ormai mezzogiorno.
“Ferma” sussurrò Andrew a un tratto.
“Che c’è?”
Le indicò un punto a un metro e mezzo da loro. C’era un albero lì e uno scoiattolo stava scendendo da un ramo. Fece un verso stranissimo. Sembrava il cinguettio di un uccello, anche se era molto più forte e alcuni suoi simili gli risposero. Demi ed Andrew si stupirono. Non avevano mai sentito il verso di uno scoiattolo prima d'allora e non credevano fosse così. Era bello, aveva una sua musicalità. L'animale aveva il pelo marrone. Sembrava così soffice!  Doveva essere adulto perché era piuttosto lungo. Si mosse agilmente saltando giù dal ramo e zampettando fra l’erba alla ricerca di qualcosa. Si fermò un momento vedendo i due ragazzi che rimanevano immobili come statue per non spaventarlo. Demi avrebbe tanto voluto accarezzarlo. Le faceva una tenerezza incredibile, ma sapeva che se si fosse mossa lui sarebbe scappato e che, anche se così non fosse stato e l'avesse toccato l’avrebbe morsa trasmettendole chissà cosa. L’animaletto annusò l’aria come per capire se era in pericolo oppure no, poi sentendosi sicuro riprese ad affaccendarsi. Trovata quella che pareva una ghianda, risalì sull’albero e sparì fra le fronde.
“Oddioooooo!” trillò Demi. “Hai visto che carino?”
Ricominciò a camminare al fianco di Andrew canticchiando allegra. Era bello vederla sorridente e felice, davvero felice. Il ragazzo ringraziò mentalmente quello scoiattolo che, non sapendolo, aveva appena fatto una cosa bellissima.
“Sì, era molto bello! Non ne avevo mai visto uno così da vicino.”
“Nemmeno io e poi era stupendo sentire le sue zampette che si muovevano fra l’erba. Aww, che dolce!”
Che ci poteva fare se aveva il cuore tenero e se le bastava così poco per sciogliersi come neve al sole?
Prima di uscire dal bosco i due si fermarono a riposare su una collinetta. Avevano camminato senza quasi mai fermarsi sulla strada del ritorno ed erano stanchi. Si distesero all’ombra di un pino e guardarono il cielo. Il bosco non era fitto lì, quindi si vedeva abbastanza bene e, in quel punto, filtrava anche più luce. I raggi del sole scaldavano loro i piedi. Si persero a contemplare il cielo azzurro ma solcato da diverse nuvole bianche di differenti misure.
“Quella sembra un cagnolino!” esclamò Demi indicandone una con un dito.
Ad Andrew non pareva, anzi non si era nemmeno interrogato su che forma potesse avere.
“Secondo me assomiglia di più ad una chioma di un albero.”
“No, è un cagnolino ti dico” ribatté l’altra, convinta.
Si sollevò appena e vide che il ragazzo si era messo le mani sugli occhi come per schermarli dalla luce.
“Ti dà fastidio il sole? Non ci colpisce il viso. Qualcosa non va?”
“No, affatto.”
“Allora perché hai le mani lì?”
“Sto immaginando la nuvola a forma di cagnolino. Solo se chiudo gli occhi e li copro ci riesco, così sarò costretto a darti ragione anche se per farlo userò la fantasia.”
“E perché vuoi darmi ragione? Potrei anche sbagliarmi. Non mi offendo se me lo fai notare.”
“Ma se dirò che è vero quanto asserisci, tu sorriderai.”
Fu proprio quello che accadde.
“Eccolo” disse Andrew togliendosi le mani dagli occhi. “Questo è il sorriso che voglio vedere.”
Era giorno e ovviamente non c’erano stelle, ma il ragazzo espresse comunque un desiderio:
Fa’ che Demi sia felice e che quel sorriso non scompaia mai. Ti prego!
Lo rivolse al cielo e a Dio, sperando che prima o poi si sarebbe esaudito.
Rimasero lì ancora per un po’ a godersi l’aria fresca e l’odore dell’erba umida, socchiudendo gli occhi. Si stavano rilassando ancora di più, scaricando la tensione provata nel trattare argomenti tanto delicati poco prima. Si strinsero piano.
“Sai che non ti lascerò mai, vero Demi?”
“Nemmeno io. Anche se mi domando cosa ci faccia tu con una ragazzina. Insomma, abbiamo età molto diverse eppure, anziché rimanere con i tuoi coetanei, tu resti sempre con me. Perché?”
“Molti dei ragazzi della mia età mi sembrano stupidi. Non pensano altro che a uscire, alle ragazze, a divertirsi e a fare sesso. Certo, non tutti sono così, ma la verità è che a scuola non sono mai riuscito a farmi dei veri amici. Ho solo dei conoscenti con i quali parlo, ma nulla di più. Forse sono troppo pretenzioso io, non lo so.”
“Secondo me sei molto maturo per la tua età. È come se fossi già un adulto. Magari è proprio per questo che non riesci a farti degli amici. Gli altri ragazzi non riescono a vedere la vita come fai tu, prendono le cose un po’ alla leggera, non guardano in profondità, o forse alcuni lo fanno ma non lo lasciano vedere e seguono il gruppo. Tu, invece, sei diverso in positivo e va benissimo così.”
“Dici?”
“Per me sì.”
Nessuna persona gli aveva mai detto quelle cose. Alcuni ragazzi a scuola lo chiamavano “strano”, ma per il resto nessuno lo offendeva né faceva commenti né positivi né negativi sul suo comportamento.
“Beh, anche per me. Sono fiero di essere così. Probabilmente stare vicino a te mi ha fatto maturare più in fretta e di questo ti ringrazio. Ho capito cose che prima non comprendevo, ho riflettuto su fatti ai quali anni fa non davo importanza.”
“Per esempio?”
“Il fatto che essere famosi non sempre  rende felici, anche se recitare e cantare piace. Oppure che una persona può soffrire anche in giovane età, molto più di quanto tutti possano immaginare.”
Demi sorrise capendo che si stava riferendo a lei.
“Non ti senti mai solo avendo quelle conoscenze e soltanto me come vera amica?”
“Ogni tanto sì, lo ammetto.”
A lui non piaceva uscire la sera e andare a divertirsi. Preferiva stare a casa a leggere un libro. Era capace di rimanere anche otto ore fermo sul divano immerso nella lettura, un po’ come Demi che in essa cercava l’evasione, la fuga dai problemi. Andrew invece adorava semplicemente immergersi nelle vite di persone diverse anche se immaginarie. Lo faceva stare meglio, lo aiutava a calmare l’ansia e a riflettere. Eppure, ogni tanto invidiava i ragazzi che andavano fuori con gli amici. Qualche volta si era unito ad alcuni compagni che però erano andati in discoteca - e già questo a lui aveva causato qualche problema - e l’avevano costretto a bere una birra a stomaco vuoto. Lui, per paura che altrimenti sarebbe stato preso in giro anche se solo per scherzo, l'aveva fatto e poi si era sentito male tutta la notte. Da allora non si era più comportato in quel modo. Aveva capito che la cosa migliore era essere se stessi. Ogni tanto comunque andava ad assistere a qualche partita di basket o di calcio dei compagni con i quali si trovava meglio. Gli piaceva fare il tifo e vederli giocare.
“Mi dispiace.”
Le parole dell’amica lo riportarono alla realtà.
“Ah, non ti preoccupare. Parlare e messaggiare con  le poche persone che conosco è già qualcosa. E poi ho te e Carlie, che è un’amica per me oltreché una sorella. Voi mi date tutto quello che si possa desiderare da un amico: affetto, fiducia e vicinanza in ogni momento. Questo mi basta.”
Si strinsero più forte.
“Andrew” si lamentò Demi. “Mi fa male la schiena.”
Si mise a sedere e lui si stiracchiò e disse qualcosa di incomprensibile, poi mormorò:
“Mi sa che ci siamo addormentati.”
“Già.”
Entrambi tirarono fuori i cellulari dagli zaini. Come immaginavano, c’erano messaggi e chiamate a non finire da parte dei genitori. Telefonarono loro e gli adulti si dimostrarono arrabbiati e preoccupati. Spiegarono che avevano preso sonno sull’erba e che non avevano proprio sentito i telefonini squillare. Si scusarono mille e mille volte promettendo che non sarebbe successo mai più e alla fine i genitori li perdonarono, chiedendo ai ragazzi di tornare a casa. Andrew prese il telefono dalle mani di Demi e disse:
“Scusami Dianna. Io e Demi andiamo a mangiare qualcosa e poi te la riporterò sana e salva.”
“Ti conviene” ridacchiò la donna.
Rimessi i cellulari al loro posto i due si alzarono, ripulirono i vestiti dalla terra e tornarono all’auto.
Durante il tragitto il cielo si oscurò sempre di più e nuvole nere e minacciose lo ricoprirono. Iniziarono i tuoni e ben presto le prime gocce. Quando i due scesero diluviava, ma i ragazzi anziché correre dentro cominciarono a saltare nelle pozzanghere. Qualche volta passava una macchina e loro correvano via in fretta, salvo tornare a divertirsi quando la strada era di nuovo sicura. Fecero la gara a chi saltava in quella più grande, inzuppandosi i piedi di acqua e fango dato che portavano solo un paio di sandali. Le persone che passavano lanciavano loro sguardi torvi, ma i due se ne fregavano. Demi era una ragazzina ed Andrew ormai un uomo, eppure in quel momento nei loro occhi brillava il luccichio che hanno solo i bambini i quali, giustamente, pensano a giocare non badando al fatto che dovrebbero ripararsi dalla pioggia o che sicuramente si sporcheranno. Si lasciarono andare divertendosi e ridendo come pazzi.
Bagnati fradici entrarono in un bar dove la proprietaria, pensando che avessero corso per arrivare e che non avessero l’ombrello, fu così gentile da dare loro degli asciugamani perché si rimettessero almeno un po’ in sesto. Una volta tornati dal bagno ordinarono entrambi un panino con la salsiccia e una fetta di torta al cioccolato. La ragazza non pensò nemmeno che sarebbe ingrassata, che era già brutta, che non avrebbe dovuto mangiare cose piene di tutte quelle calorie, né che poi sarebbe scappata in bagno a vomitare. Stranamente, quel giorno fu diverso. Mangiò con gusto, assaporando il cibo come non faceva da tempo. Dio, com’era buono!
“Sono stata bene oggi. Grazie per questa giornata, Andrew.”
“Figurati, è stato un piacere. E comunque non è ancora finita. Dimentichi la festa che i tuoi organizzeranno stasera a casa tua. Ci saremo anch’io e i miei.”
“Cosa? Mi avevano chiesto come avrei voluto festeggiare. Non ne sapevo nulla.”
“Ci ha telefonato Eddie per invitarci l’altro giorno. Forse volevano farti una sorpresa. Ops.”
Arrossì per l’imbarazzo vista la figuraccia che aveva appena fatto.
“Non chiedermi scusa” lo precedette lei. “Non importa se me l’hai detto, anzi mi fa piacere.”
Adesso a Demi non dava più così tanto fastidio dover festeggiare, né compiere gli anni. Alla fine quello non era stato un giorno come tanti altri, come invece si sarebbe aspettata. Lei ed Andrew avevano parlato di cose tristi ma erano anche stati all’aria aperta per ore, avevano raccolto i funghi, le fragole e i lamponi, visto uno scoiattolo, sentito i profumi e i rumori del bosco e giocato sotto la pioggia e lei stava riuscendo a mangiare senza alcuna difficoltà. Sapeva che dal giorno seguente non sarebbe più stato così, che i problemi che aveva non erano scomparsi, ma per ora non voleva pensarci.
“Allora, di nuovo, buon compleanno!” esclamò Andrew sollevando il suo bicchiere di coca cola.
“Grazie! Ora posso dirlo: sono felice di aver compiuto gli anni.”
 
 
 
credits:
Avril Lavigne, Anything But Ordinary
 
 
 
 
NOTE:
1. mi sono informata molto sull’anoressia. So bene che non è solo un problema con il proprio corpo ma che parte tutto dalla mente e mi auguro di averne parlato con il giusto tatto e di aver fatto lo stesso con la tematica dell’autolesionismo e del bullismo.
2. Soffro da anni di attacchi di panico. Ognuno li sente in modo diverso, io ho spiegato quel che succede a me. Se qualcuno di voi ne è soggetto mi dispiace, sappiate che vi capisco.
3. Sono stata anch’io tanto vicina ad uno scoiattolo. Ero in Spagna. È stato bellissimo, un’esperienza che non dimenticherò mai!
4. Chi è o è stato vittima di bullismo come me sa bene che la persona che lo subisce tende a nascondere tutto a coloro che le vogliono bene e a dare ragione ai bulli. Sono questi ultimi ad innescare tale meccanismo per far sentire la vittima ancora più sottomessa, per questo Demi si comporta così. Per  quanto riguarda Andrew, il fatto che alla fine le creda non è poi tanto stupido come invece potrebbe sembrare: in fondo le persone brave a nascondere i propri problemi una volta ci possono riuscire anche una seconda e così via e quindi ingannano ripetutamente chi vorrebbe dare loro una mano. Io purtroppo ho fatto così e poi me ne sono pentita,  perché prima o poi tenere tutto dentro porta all’esasperazione, credetemi. Non commettete il mio stesso errore. Non abbiate paura. Se tra voi ci sono vittime di questo fenomeno orribile sappiate che vi sono vicina con il cuore e lo sono anche a chi ci è già passato. Sono esperienze che segnano a vita, ma la cosa importante è parlarne. Anche se è difficile, se si pensa di non averla, è necessario trovare dentro di sé la forza di parlare con qualcuno di fiducia. E ce l’abbiamo tutti! Magari non la vediamo perché è nascosta, ma c’è. La famiglia, gli amici, il Preside e i professori sono lì per voi, per aiutarvi e ascoltarvi. E, anche se nel mio caso non hanno fatto quasi nulla dopo che ho parlato, mi auguro con tutto il cuore che per voi sia diverso perché nessuno dovrebbe vivere un inferno del genere.
   
 
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