CAPITOLO
1°_ MORTE O SALVEZZA?
Edward
mi stava dando qualche problema: non riusciva ad accettare il mio stile di vita
“vegetariano”. Mi chiedeva sempre più spesso perché dovevamo andare contro
natura, perché dovevamo fare tanto sforzo per resistere al sangue umano. E non
serviva a nulla spiegargli che un tempo eravamo stati anche noi umani, che si
trattava di una questione morale e che col tempo si sarebbe sentito male con
l’uccidere. Non mi credeva a controbatteva dicendo che non potevo sapere come sarebbe
stato uccidere qualcuno come se l’unica cosa di cui andavo fiero in questa
“nuova vita” fosse una colpa. Ma come contraddirlo?
Allora
restavo fermo consapevole che ogni sua uscita equivaleva a uno o più omicidi.
“Malviventi” diceva lui. “Esseri umani” sostenevo io.
Quella
mattina ero fuori a caccia. I miei occhi neri esprimevano la mia sete di sangue,
ma dopo quasi tre secoli ero in grado di controllarla alla perfezione. Non mi
accorsi di lei, almeno non subito. Ero intento a seguire un cervo quando mi
accorsi di una donna che lenta si avviava verso un precipizio poco distante.
Rimasi a guardarla come incantato: era bellissima; probabilmente il cervo tiro
un respiro di sollievo. Non capii subito le intenzioni della donna i cui
capelli bruni, mossi dal vento, facevo giungere fino a me un invitante odore;
solo quando fu ormai a pochi passi dal precipizio capii che voleva gettarsi di
sotto.
Corsi
senza neanche sapere il perché, mosso da quell’istinto di salvezza che da
sempre mi aveva contraddistinto. Credo di averla presa, ma quando giunsi lei
era già volata di sotto. Fu terribile: il precipizio era altro circa trenta
metri e quando la donna si schiantò al suolo credevo che ormai fosse morta. Mi
affrettai a raggiungerla respirando affannosamente nonostante non ne avessi
bisogno: era ancora viva. I suoi occhi castano scuri erano persi nel vuoto di
quell’agonia; non si accorse subito di me, nonostante occupassi tutto il suo
campo visivo. Aveva una ferita alla testa, ma dalla smorfia di dolore sul suo volto
doveva avere molte altre ferite interne: non sarebbe giunta in ospedale.
Fu
allora che ci pensai e con quel pensiero ne vennero altri, inevitabili.
Quanta
voglia di viverre aveva ancora quella
donna? Che diritto avevo io per decidere per lei “quella vita”? Sarei riuscito
a lasciarla morire, così? Mi avrebbe
odiato come io avevo odiato “l’essere” che mi aveva trasformato?
Un
lieve gemito di dolore uscì dalla sua bocca e mi riportò alla realtà: stava
morendo. All’improvviso mi tornò in mente il volto di Elisabeth, la madre
naturale di Edward; i suoi occhi rassegnati al destino somigliavano molto a
quelli di questa donna e allora decisi: non
sarebbe morta.
La
prima e unica volta che avevo assaggiato il sangue umano era stato per la
trasformazione di Edward e nonostante fossero passati alcuni anni ne avevo il
ricordo fisso nella memoria, indelebile.
Il calore del liquido che fluiva nella mia bocca lento, la paura di non
riuscire a fermarmi, di fare quella prima, temutissima vittima.
Fu
diverso, stranamente diverso: come se insieme al sangue stessi prendendo anche
il dolore che l’aveva spinta a quel gesto estremo. Chiusi gli occhi e mi
staccai lentamente dal suo collo. Silenzio.
Forse è troppo
tardi pensai
tristemente, ma un fremito di dolore m smentì. La presi tra le braccia e
cominciai a correre: non mi ero accorto che pioveva, in quel momento c’era solo lei.
Quando
giunsi a casa diluviava. La pioggia la rendeva ancora più bella e fragile.
«Edward!
Edward!»
Non
mi sentiva: dov’era? Lo chiamai ancora, questa volta con il pensiero. Poi
adagiai la donna sul divano. Per la prima volta mi sentivo ansioso come se
tutta la calma che c’era in me fosse sparita e nell’attesa mi scoprii a
constatare che non conoscevo neanche il nome della donna che avevo condannato.
Il
suo primo fremito di dolore per la trasformazione attirò la mia attenzione. Le
scostai i capelli dal volto sudato, le sfiorai la fronte con la mia mano gelida
e sembrò avvertire un momentaneo refrigerio. Era bollente.
Ricordai
i giorni interminabili della mia trasformazione: il dolore e quel calore
bruciante che non mi abbandonava neanche per un secondo, sempre intenso.
Edward
arrivò preoccupato.
«Cos’è
successo?» poi guardando la donna «Non l’avrai…»
La
mia mente completò automaticamente la frase: …attaccata?
«No!
Si è buttata da un precipizio, sotto i miei occhi… stava morendo e allora…
cos’altro avrei potuto fare?»
Gli
occhi di Edward si offuscarono di pietà. Li odiai: quanta pietà dovevo fargli?
Mi superò e si inginocchiò accanto alla donna esaminandola attento. Poi mi
guardò.
«Oramai
la trasformazione è cominciata…»
«Questo
lo so!»
Entrambi
fummo sorpresi dal tono alto della mia voce. Se non fossi stato già pallido
normalmente lo sarei diventato in quel momento, spaventato dalla mia stessa
improvvisa reazione.
«Scusami…
io… è solo che non so se è la cosa giusta. Edward… tu mi odi?»
Il
ragazzo mi guardò stupito. Forse pensò che fossi impazzito, ma non potevo
saperlo: io non ero come lui.
«No…
io non ti odio…»
«Però
non si può dire che mi adori per quello che ti
ho fatto. Del resto che può darti
torto? Anch’io ho odiato il vampiro che mi ha trasformato…»
Deliravo
e non sentivo ciò che dicevo in preda ad un flusso di coscienza che mi faceva
sembrare pazzo agli occhi di colui che ormai chiamavo figlio.
«Carlisle!
Carlisle! Ora basta!» mi scosse prendendomi per le spalle «Ora non serve a
niente chiederti se sia stato giusto o sbagliato. L’unica cosa da fare è starle
accanto, spiegarle ogni cosa, dirle che tutto passerà… Al resto penseremo
dopo».
Per
la prima volta i nostri ruoli si erano invertiti ed ora era lui a rassicurarmi
guidato da quella calma fuggita dal mio cuore e causa sua. Mi inginocchia davanti a lei e le presi la mano: la strinse
con forza.
«Riesci
a sentirmi?»
Attesi
che annuisse lievemente: sapevo che non era in grado di parlare.
«Il
mio nome è Carlisle, sono un medico e… un vampiro… Se conosci alcune delle
leggende a nostro riguardo saprai che quando qualcuno di noi morde un essere
umano possono accadere solo due cose: o l’umano muore, o diventa un vampiro. È
più o meno quello che è accaduto a te. Ti ho vista nel bosco, ferita e non sono
riuscito e far altro che a non farti morire…»
Nonostante
avesse gli occhi chiusi, sapevo che mi stava ascoltando: ad ogni nuova
informazione che le davo stringeva la mia mano con più o meno forza a seconda
di quanto questa avesse effetto su di lei. Continuai a parlare per ora di tutte
le mie teorie sui vampiri e quando non ci fu più nulla per saturare l’aria di
quella stanza calò il silenzio, disturbato solo dalle straziante grida della
donna.
In
quei tre giorni Edward fu una presenza silenziosa che compariva per alcuni
secondi e poi spariva per ricomparire
poche ore più tardi. La mattina del terzo giorno le chiesi il suo nome.
«Esme»
riuscì a sussurrare tra i gemiti.
Esme pensai ormai siamo quasi alla fine; eppure la
parte peggiore comincia solo ora: scoprirai che l’eternità può essere più
spaventosa della vita e che a volte desiderare la morte può sembrare così
bello…
***
LO
SPAZIO DELL’AUTRICE
Allora
che ve ne pare del primo capitolo? Spero che vi abbia incuriosito… So che in
realtà l’incontro tra Carlisle ed Esme non è andato proprio così, ma non sono
riuscita a resistere alla tentazione di scrivere la scema di lui che sotto la
pioggia la porta a casa impaurito per quello che ha fatto!
Che
altro dire? Posso solo assicurarvi che questo non è altro che l’inizio di vari
avvenimenti che coinvolgeranno i Cullen.
Prometto
di aggiornare tra massimo due giorni… mi raccomando recensite!