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Autore: Mel_mel98    30/08/2018    1 recensioni
| Minho + memory theme. What else? |
Ho letto Maze Runner “The Fever Code” e niente, come sempre, questa fanfiction è ciò che il mio cervello ha elaborato. Trasportata dalla descrizione della vita dentro W.C.K.D (che non riesco a chiamare C.A.T.T.I.V.O. perché è qualcosa di troppo ridicolo) e da un prompt delle Lontre Templari - link nelle note a fine fic – ho cercato di esplorare il rapporto che si è andato a creare tra Minho e Newt, in assoluto i miei cuori di panna preferiti.
Il prompt è “-Credi nelle fate? -Solo quelle verdi.” e da metà in poi diventa un Movieverse rivisitato, perché, lo ammetto, non saprei dire come procede la trama del terzo libro, dopo aver visto il terzo film. Occhio a possibili spoiler, anche se ho visto che The Fever Code è del 2016, quindi come sempre sono io ad essere indietro.
Buona lettura e lasciate un commento se avete un po’ di tempo, fa sempre piacere!
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alby, Minho, Newt
Note: Movieverse, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Credi nelle fate?

 


C’era un passato lontano che ricordava appena, e che mai avrebbe dimenticato.

Popolato da fantasmi e fate ubriache.

 

 

Ennesima giornata uguale alle altre, ennesima lezione di rompicapo o, come la chiamavano loro, ennesima lezione stanca-cervello.

Tutti i ragazzi del turno pomeridiano del Gruppo A sedevano ai banchi bianchi, inutili come poche cose al mondo, visto che non era permesso loro usare carta e penna per risolvere i rompicapo, ma solo le loro meningi.

Divisi a gruppi di tre, discutevano, chi più chi meno appassionatamente, sull’ennesima questione proposta dalla professoressa.

Minho, Newt e Alby, che avevano sempre affrontato insieme quelle lezioni da che avessero memoria, parlavano piano, concentrati sul problema.

“Allora” cercò di ricapitolare Newt, che era sempre stato incaricato di ricordare il testo, che la professoressa leggeva ad inizio lezione, per poi non ripeterlo più “alla festa di compleanno della principessa si presentano tre fate, ognuna con una bottiglia.
Nelle bottiglie può esserci o elisir di lunga vita, o veleno mortale. La fata vestita di rosso si presenta dicendo Uno dei flaconi delle mie compagne contiene l’elisir, l’altro il veleno.
La fata verde invece dice che il flacone della fata rossa contiene veleno, mentre la fata blu, che arriva di corsa e tutta trafelata-”

“Perché, fosse arrivata in anticipo alla festa sarebbe cambiato qualcosa?” lo interruppe Minho.

“Non si sa mai, potrebbe essere un dettaglio rilevante invece” ribatté Alby, che sapeva che certi di quei problemi avevano la loro soluzione dei dettagli più impensabili.

“Stavo dicendo...” Newt ripresa la parola, zittendo gli altri due “la fata blu, quando arriva, in ritardo, dice il mio flacone contiene lo stesso liquido che c’è in quello della fata rossa. Ora, sappiamo che la fata o le fate che hanno l’elisir dicono il vero, mentre quella o quelle che hanno il veleno dicono una bugia...”

“Perché evidentemente lungo lo strada il veleno se lo devono essere sniffato. Io dico che la fata blu è una drogata di veleno ed è per questo che è arrivata in ritardo” disse Minho, allungandosi sulla sedia come se elaborare quella teoria lo avesse stancato tantissimo e dovesse fare un riposino per riprendersi.

Alby non mancò l’occasione di pizzicargli la pancia, facendolo ritrarre immediatamente e quindi cadere quasi dalla sedia.

“Scemo” fece l’orientale, rimettendosi composto.

“Scemo sei tu e la tua fata blu” rispose Alby sghignazzando.

Newt sospirò, roteando gli occhi “Evitate di ammazzarvi l’un l’altro e cerchiamo di capire da quale flacone dovrebbe bere la principessa mentre mangia la torta senza schiattare, va’.”

 

 

Non era poi così male la vita dentro la W.C.K.D., ad essere sinceri.
C’era cibo, c’erano persone con cui parlare, con cui scherzare e, ogni tanto, anche ridere.
E anche frequentare le lezioni, organizzate appositamente per studiare i loro cervelli da ogni punto di vista possibile, non era brutto, in fondo.

Ma la sera, quando arrivava l’ora di coricarsi, era senza dubbio il momento peggiore.

Era allora, quando la luce si spegneva e i ragazzi erano costretti nell’immobilità dei loro letti, che venivano fuori tutte le paure, le incertezze, tutti i vuoti lasciati dalla W.C.K.D. nei loro cuori.

Era per evitare di rimanere immobile con il cervello in movimento, che Newt aveva cominciato a disubbidire alle regole e a esplorare di notte l’edificio in cui li avevano rinchiusi.

Camminare, o meglio, sgattaiolare solo tra i corridoi bui, lo aiutava a non pensare a ciò che lo faceva stare male. Così come risolvere rompicapo. Trovarne la soluzione gli dava la speranza che un giorno sarebbe riuscito a risolvere quello che stava nella sua testa.

Era camminando di notte che aveva scoperto lo scantinato, che sarebbe poi diventato il rifugio dei tre amici. E sempre di notte, aveva scoperto che il dormitorio del Gruppo B era più vicino di quanto pensasse.

Sapere che sua sorella non era poi così lontana, che sebbene avesse un altro nome, e un altra luce negli occhi, lei era lì, a loro qualche porta di distanza, lo faceva sentire meglio quando tutto il resto sembrava inghiottirlo in un enorme buco nero. Si aggrappava al suo ricordo, alla sua immagine e la stringeva forte, impaurito come non avrebbe mai dovuto essere.

Dopotutto, sono i fratelli maggiori che devono proteggere le sorelle minori, no?

Era riuscito a proteggerla, in qualche modo. Vero o falso?

 

Vero, falso. I suoi pensieri finivano sempre tutti lì.

Era vivo, vero. Era sano, vero. Era solo, falso. Era felice… falso.

Era utile alla causa? Ne dubitava seriamente. Non era un Mune, ci tenevano a ripeterglielo ogni volta che venivano a prelevargli il sangue.

Era indispensabile a qualcuno, là dentro? No, ma non gli importava. Le ultime persone che era certo avessero tenuto a lui erano morte con una pallottola in testa.

Tutto quello che gli stavano facendo sarebbe servito a qualcosa un giorno. Certi giorni, quelli che nel suo cervello chiamava i giorni sì, gli sembrava fosse vero. Ma durante i giorni no, si sentiva convinto del contrario. Falso, falso, falso.

Quella gente aveva ucciso per prendere Lizzy. Avevano ucciso i suoi genitori.

Ma avevano anche avuto cura di portare lì lui, che non era immune all’Eruzione.

Meglio morire.

Meglio continuare a vedere sua sorella dalla grata di un condotto di ventilazione.

Meglio, vero o falso. Peggio.

Si sentiva peggio, quando non riusciva ad uscire dalla camerata e rimaneva a letto tutta la notte senza dormire. Sapendo che lo stavano osservando, sapendo che stavano registrando tutti i suoi movimenti, i suoi respiri.

Lo vedevano, cosa gli passava per la testa?
Lo vedevano, quando pensava allo scantinato dove erano venuti a prenderlo, dove immaginava il corpo di suo padre in putrefazione sul pavimento delle scale, e quello di sua madre accasciato in un angolo?
Lo capivano, quando era sul punto di urlare, ma si mordeva la lingua fino a sentire il sapore del sangue, così da avere la certezza di essere sveglio, di essere vivo?

Odiava quel posto, vero.

Era completamente inutile e lo era sempre stato, vero.

 

“Ehi, amico.”

Minho era appoggiato al suo letto, e con una spinta si fece spazio sul materasso, per finire così accanto a lui, in una posa plastica che neppure i modelli nelle foto sulle riviste di moda sarebbero stati capaci di mantenere per più di cinque secondi.

“Minho...” boccheggiò Newt, senza fiato.

“Stavi iperventilando. Ho pensato ti servisse una dose di pensieri se non felici, quantomeno non depressi.”

“Accomodati” sorrise appena il biondo, chiudendo gli occhi e affondando la testa nel cuscino.

“Com’è che stasera non sei a fare la tua solita passeggiata trasgressiva?” chiese Minho.

“Non ce la faccio. Credo mi abbiano preso più sangue del solito oggi e a cena ho mangiato poco.”

“Come si fa a rifiutare una prelibatezza come il polpettone di fine settimana della mensa? Ingrato” commentò l’altro “con tutta quella fantastica carne, le uova, il prezzemolo tagliato male che ti rimane sempre tra i denti… per non parlare di quella poltiglia rossa che ci mettono sopra e vogliono spacciarti per sugo di pomodoro!”

Newt fece una faccia schifata “Io lo trovo rivoltante, sinceramente.”

“Beh, però pensare al polpettone ti ha fatto smettere di avere il fiato corto. Dovresti benedirlo, quel concentrato di schifezze!”

“Già… effettivamente dovrei pensare più spesso al polpettone.”

“A cosa pensi, esattamente?”

“Non so spiegarlo, a dire la verità. Non credo sia tanto il cosa, comunque, ma più il come. Sono tanti, pensieri, concatenati, uno tira l’altro e-”

“E sono uno peggio dell’altro” concluse Minho, facendoglisi impercettibilmente più vicino.

Newt girò la testa per guardarlo negli occhi con i suoi che luccicavano di paura e sofferenza.
Il cuore gli scoppiava nel petto, e aveva un immenso bisogno di aggrapparsi a qualcosa di reale, a qualcosa di vivo. E Minho era venuto lì di sua spontanea volontà, quindi…

“Mettiamola così: se fossi la principessa del problema di oggi, mi scolerei volentieri la bottiglia della fata verde.”

 

 

“Newt, io voglio andarmene da qui.”

“Che vorresti dire?”

“Voglio dire che… ho intenzione di trovare il modo di levare le tende.”

“Perché?”

“Perché?! Che domanda del… del caspio è?”

“No, beh, scusa ma… cosa pensi di trovare là fuori? È tutta una vita che viviamo qua dentro, come farai a sopravvivere?”

“Cosa penso di trovare? Beh, non ne ho idea, ma so cosa non troverò: non troverò la CATTIVO, non troverò prelievi del sangue giornalieri o noiose lezioni di storia. Non mi hanno preso abbastanza presto da non permettermi di ricordare che nonostante tutto, quella era vita, questa no.”

“...”

“Newt, non fare quella faccia.”

“Non posso darti torto. Ma non posso neanche darti ragione. E questo… mi preoccupa.”

“Cerca di vederla dal mio punto di vista: io non ho legami di famiglia che mi tengano qua dentro. E ho una paura fottuta che si portino via quel poco che so di me stesso. Non voglio restare qui.”

“Sì, e poi soprattutto tu non rischi di morire semplicemente respirando l’aria là fuori… effettivamente vista così ha più senso.”

“Non era questo che volevo dire...”

“Ehi, tranquillo, non è un segreto che io sia qui per caso praticamente. Non sono molto coraggioso e sono a rischio di estinzione come la maggior parte della popolazione mondiale, quindi non ho molta scelta. Tu però ce l’hai.”

“Newt...”

“Qui si sopravvive, non lo si può negare Mihno. È un posto sicuro come pochi altri. Ma forse, vivere è un’altra cosa.”




Note dell'autrice
Ho diviso la storia in due capitoli, perché mi sono resa conto che forse era leggermente troppo lungo e non volevo penalizzarne la lettura.
Ringrazio come sempre chiunque sia arrivato fin qui, tutto ciò che ho scritto è stato direttamente ispirato da ciò che ho letto in The Fever Code, quindi siamo nell'ambito del Bookverse, mentre nel prossimo capitolo ci sarà la parte maggiormente Movieverse. Spero che questo passaggio da libro a film, che nella mia testa accade automaticamente, perché così è andato formandosi il mio hadcanon, non vi dia troppo fastidio!
Inserisco qui il link alla pagina doe ho trovato il prompt che mi è entrato come un tarlo nel cervelo e ha permesso la nascita di questa storia
https://it100.livejournal.com/429935.html
Al prossimo -ed ultimo- capitolo!
Mel

   
 
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