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Autore: Ofeliet    02/09/2018    0 recensioni
Stanley sapeva bene che suo fratello era un caso senza speranza, un nerd senza ritorno, un folle scienziato senza cura. Insomma, lo conosceva da una vita – letteralmente – e ne era ben consapevole. Stanley adorava suo fratello, ed era disposto anche ad andare a riprenderselo in altre dimensioni, ma era consapevole di quanto il gemello fosse un disadattato sociale senza alcuna riabilitazione. Insomma, Stanford Pines poteva essere un gemello fraterno e, addirittura, affettuoso ma a livello di rapporti interpersonali al di fuori di lui era davvero un disastro. Era ancora un mistero il come sia riuscito a fare amicizia con uno come Fiddleford, ma i nerd si capivano a vicenda e quella spiegazione se l’era fatta bastare.
{ WhatIfAU | implied!Stancest }
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Stanford Pines, Stanley Pines
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
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E rieccoci su questi lidi.
Questa storia è una di quelle whatif dove Stanley non ha rotto il progetto di Stanford e sono rimasti best buddies. E non so che altro dire, se non che di nuovo amo il rapporto tra questi due e che ne vorrei scrivere all'infinito.

★ Iniziativa: Questa storia partecipa al “Back to Office” a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 1859
★ Prompt/Traccia:  A è il classico stereotipo del contabile occhialuto, silenzioso e immerso nei numeri. B dopo le vacanze è deciso a fargli un makeover. BONUS “Ma come ti vesti??”


Stanley sapeva bene che suo fratello era un caso senza speranza, un nerd senza ritorno, un folle scienziato senza cura. Insomma, lo conosceva da una vita – letteralmente – e ne era ben consapevole. Stanley adorava suo fratello, ed era disposto anche ad andare a riprenderselo in altre dimensioni, ma era consapevole di quanto il gemello fosse un disadattato sociale senza alcuna riabilitazione. Insomma, Stanford Pines poteva essere un gemello fraterno e, addirittura, affettuoso ma a livello di rapporti interpersonali al di fuori di lui era davvero un disastro. Era ancora un mistero il come sia riuscito a fare amicizia con uno come Fiddleford, ma i nerd si capivano a vicenda e quella spiegazione se l’era fatta bastare.
Con questo, Stanley voleva dire che conosceva suo fratello. Fin da bambini non avevano mai abbandonato il fianco dell’altro e non sembrava che sarebbe successo tanto presto. Certo, quando erano venuti gli esaminatori della West Coast Tech e avevano riempito la testa della sua famiglia con l’idea di ricchezza e fama Stanley aveva temuto tanto di essere lasciato dietro, ma aveva deciso di fare un passo indietro. Stanford sembrava così felice di poter entrare in quella scuola per ricconi – una delle migliori dello stato, mica la prima che capitava – e lui aveva ingoiato il suo rospo, sorridendo.
Non era promettente, ne era consapevole. A malapena stava dietro allo studio obbligatorio, figurarsi l’essere portato per tutta quella stranezza che tanto sembrava appassionare suo fratello. Nessuno contava su di lui, capace solo di sferrare un possente gancio sinistro alla giusta occasione. Stanford, in simile occasione, non aveva bisogno di lui.
Era riuscito ad ottenere il posto in quella stramaledettissima scuola. Lui aveva sorriso, si era congratulato e aveva scherzosamente affermato che sarebbe venuto a trovarlo di tanto in tanto. Stanford, allora, aveva sgranato gli occhi.
« Tu vieni con me. » aveva detto, serio, ma Stanley l’aveva presa sul ridere.
« Certo, come no. » Stanford aveva scosso la testa, avvicinandosi serio.
« Stanley, pensi che io me ne stessi andando da solo? » avrebbe voluto rispondere di sì, ma aveva taciuto. Non sembrava una battuta, il gemello sembrava maledettamente serio. L’emozione del momento gli stringeva il cuore e se simile affermazione si fosse rivelata uno scherzo ne sarebbe certamente morto. « Stanley! » Stanford gli era apparso piccato da quel momento di sfiducia.
Ma lo aveva davvero seguito fino alla costa ovest, in quel posto così lontano da tutto e tutti.
La vita lì non era facile, i loro genitori non avevano dato molti soldi per mantenerli. O meglio, mantenerlo, visto che Stanford aveva rifiutato un posto nel dormitorio. Ma stavano andando bene, riuscivano a racimolare abbastanza denaro per cibo e bollette, ma dovevano condividere il letto. Stanford si era laureato in anticipo di tre anni e aveva iniziato a lavorare a casa, mentre lui continuava a fare lavoretti saltuari ovunque. Non riusciva a trovare un qualcosa che lo soddisfacesse appieno.
Finalmente, dopo anni, erano riusciti ad andare in vacanza. La California era uno spettacolo, e fare un road trip rendeva il tutto ancora più magico. La sua macchina, sorprendentemente, era riuscita ad accompagnargli per tutto il tragitto senza guastarsi. Era un fatto miracoloso quanto quello di Stanford che aveva accettato di fare quel viaggio, ma soprattutto che avesse accettato la loro breve deviazione a Disneyland.
Era dopo simile tappa che era apparso un problema, nonostante Stanford cercasse di nasconderglielo.
Stanford frequentava poca gente, legava con difficoltà, e con persone a cui importava poco del suo aspetto esteriore. Stanley non si era mai fatto nessun problema, e si fregiava di tanto in tanto del titolo di gemello belloccio tra i due, scatenando spesso le risate dell’altro. Non gli importava molto di come il fratello andasse vestito in giro, almeno finché non aveva tentato di rimorchiare qualche ragazza dalle parti del parco Yosemite. Stava andando così bene, finché quella triglia non aveva commentato ridacchiando il vestiario di suo fratello che era interessato ai opuscoli turistici. Lo aveva detto con un tono di voce abbastanza alto, per farsi volontariamente sentire, e Stanford probabilmente l’aveva recepito dato che era scivolato in fretta fuori dal negozio di souvenir. Gli era salito il sangue alla testa e aveva malamente liquidato quella oca – gli era persino passata la voglia di rivolgerle la parola – ma un lato di sé gli dava ragione.
Stanford non aveva molto gusto di vestire, o almeno non stava affatto al passo con la moda. Ogni giorno era camicia e maglione, persino d’estate mentre lui sudava da parti del corpo che nemmeno sapeva potessero. Ma era sinceramente interessato ad aiutarlo, non poteva sopportare l’idea che qualcun altro ridesse del suo gemello – a parte forse Fidds, che aveva la sua personale concessione di farlo –.
Per questo aveva chiesto a suo fratello di accompagnarlo a fare delle spese, una volta tornati dal loro viaggio. Stanford aveva sbuffato, perché si annoiava parecchio ad aspettare Stanley che si provava l’intero negozio, ma gli era apparso inconsapevole dell’idea che aveva per lui. Era ancora capace di mentire al fratello, e un lato di sé ne era segretamente compiaciuto.
Aveva adocchiato un negozio non troppo vistoso, con vestiti che potessero andare bene su uno come Stanford ma senza essere troppo sgargianti o eccentrici. Quella era più il suo campo. Suo fratello lo seguiva, come un’ingenua pecora condotta al macello. Doveva trattenersi dallo scoppiare a ridere, perché già si stava pregustando il divertimento.
« Io vado a sedermi in là, dimmi quando hai finito. » classico Sixer, sempre a svignarsela nascondendosi nei suoi tomi pieni di paroloni complicati. Ma non stavolta. Questa volta Stanley lo afferra per un braccio, un sorriso quasi mefistofelico che appare sulle sue labbra.
« No, Ford, oggi sei tu il protagonista. » esclama, prima di buttarlo senza troppa grazia nel camerino. Stanford all’inizio non capisce, incespica nella tendina e boccheggia confuso.
« Cosa? » mormora, non capente. Stanley sorride.
« Stanford. » sussurra, avvicinandosi. « Inizia a spogliarti o lo farò io. » il fratello emette un verso e arrossisce, nascondendosi nel camerino, mentre Stanley cerca di reprimere delle grasse risate. Prendere in giro il proprio gemello gli provocava fin troppo divertimento.
Certo, provocava anche qualcos’altro ma per quel momento aveva giurato a se stesso di non indagare affatto i sentimenti che nutriva per il suo consanguineo. Analizzare i propri sentimenti portava guai.
Afferra qualche pantalone e felpa, valutandole con un occhio così critico che avrebbe fatto sentire in imbarazzo persino i grandi marchi della moda, e si dirige il camerino, aprendo la tendina senza troppa grazia. Stanford caccia un urlo che Stanley non sapeva nemmeno fosse in grado di fare.
« Stanley! » sibila allora, e lui chiude un poco per schermarlo da sguardi indiscreti. Suo fratello gli aveva dato retta e si era già levato i vestiti superiori. Era di un pallore surreale, ma era comunque molto magro – probabilmente stava di nuovo saltando i pasti mentre lui era al lavoro – ma piacevole da guardare. Aveva ancora i pantaloni allacciati.
Peccato. Stanley scuote la testa, rimproverandosi. Peccato cosa? Non doveva farsi certi pensieri, se li era proibito in maniera assolutamente categorica. Non voleva perdere suo fratello a causa loro.
Gli allunga le felpe. « Prova un paio di queste, sono sicuro ti stanno di-vi-na-men-te. » allunga volontariamente le sillabe dell’ultima parola, e nonostante Stanford lo stia fissando con disapprovazione prende i vestiti e li esamina. Stanley può vedere chiaramente i suoi pensieri, li legge chiaramente dai suoi occhi, da come sono corrucciate le sue sopracciglia, dall’angolazione della bocca. E’ certo che Stanford si stia sforzando di non mostrare troppo il suo apprezzamento per simile iniziativa.
Forse simile metodo ricorda loro madre, quando li portava nei negozi e sceglieva gli abiti per loro – Stanley ponderava se aveva preso da lei anche il buon gusto, oltre che la sorprendente abilità di mentire – e si ritrova a scacciare la nostalgia. Il New Jersey non gli mancava, il posto che chiamava casa non gli mancava. Ora aveva una sua casa, quella che condivideva con Ford, e si sentiva più accolto lì che dai suoi genitori.
« Ti do due minuti, Sixer, e poi aprirò la tenda. Farai bene ad essere vestito entro quel limite di tempo. » Stanford lo guarda male e Stanley gli sbatte la tendina dritta in faccia, ridendo.
Il tempo che trascorre con suo fratello è il tempo migliore in assoluto.
Nessuno lo rende felice come ci riesce Stanford.
Forse era quello il problema. Certo, non che non avesse buone conoscenze – era pieno di gente con cui uscire nelle serate dopo il lavoro – ma da quando avevano lasciato Glass Shard Beach si era sentito più leggero. Non aveva più nessun obbligo sociale, non doveva fare amicizia con i figli dei potenziali investitori del padre, non doveva corteggiare le ragazze. E se l’ultima cosa non gli dispiaceva più di tanto, quando era a casa anche l’avere una relazione era un obbligo al quale non era in grado di sottrarsi.
Da quando era lì si sentiva spontaneo, libero. E non avrebbe scambiato quella sensazione per nessuna al mondo.
La tendina che si scosta, rivelando uno Stanford decisamente meglio vestito. Stanley si compiace del suo occhio, aveva azzeccato le misure alla perfezione. Avrebbe decisamente dovuto congratularsi con se stesso, dopo.
« Stai una favola, Sixer! » suo fratello arrossisce lievemente, oppure se lo sta immaginando. Dovrebbe decisamente riprendere a portare gli occhiali, la sua visione sta iniziando a peggiorare, ma gli occhiali gli stanno male e la vanità ha sempre la meglio sul suo buonsenso.
« Davvero? »
« Sì. » annuisce, forse con troppa convinzione. Ora l’aspetto di Stanford è migliorato, più cinquanta punti al personaggio come nel suo nerdissimo gioco. Era molto più piacente allo sguardo, e di certo ora nessuna barbie della California avrebbe osato commentare il suo aspetto. Avrebbe difeso l’onore del gemello a pugni, se necessario. « Ora quando andrai a fare resoconto al tuo college, le ragazze stravedranno per te. »
Non era quello che voleva commentare, ma l’infelice uscita era causata ancora dalle parole di quella insulsa ragazzetta e non abbandonava ancora la sua mente. Stanford non sembra molto felice di simile affermazione, mentre si alliscia un maglione decisamente più cool. Guarda per terra, e sembra quasi chiudersi nei suoi pensieri. « Terra a nerd, terra a nerd. » esclama, cercando di attirare la sua attenzione. Lui lo guarda, un po’ deluso.
« C’è qualcosa che non va? » Stanford rimugina un poco, quasi indeciso sulla cosa migliore da dire.
« E’ che vorrei un’opinione onesta. »
« Te l’ho data. » risponde con perplessità e Stanford scuote la testa. « Intendi dire che vuoi un commento serio e argomentato come uno dei tuoi resoconti, con tanto di punti di forza e debolezza e pieno di termini così tecnici che mi viene il mal di testa per giorni? » l’altro reprime una lieve risata, ma non emette nessun diniego.
Lui, sinceramente, non sa che cosa dire. Ha solo un’unica frase in mente, e forse quella dovrebbe dire. Certo, non sarà complessa o articolata, ma è l’opinione più sincera che suo fratello potrebbe ottenere da lui in quel momento. Sorride.
« Sei fantastico, Stanford. »

   
 
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