Ciao a tutti.
Prima di lasciarvi alla lettura di questo primo
capitolo vorrei fare solo una precisazione.
Il racconto che state per iniziare è quello che a me
piace definire una “storia con colonna sonora”. Ogni capitolo, infatti, ruota
attorno a una canzone che, se vi va, potete anche ascoltare durante la lettura.
Spero l'idea possa piacervi – così come il capitolo,
ovvio xD
Intanto vi ringrazio.
Buona lettura.
“You’re the song I sing again and again | All the
time, all the time
| I think of you all the time”
Bastille. The Anchor.
The
SSE Hydro, Glasgow, 7 febbraio
Ore
11:07 PM
Gli sembrava di sentire ancora
distintamente nelle orecchie le urla del pubblico, le voci che si accavallavano
una sull’altra cantando le parole delle canzoni in un coro grandioso e in grado
di far venire la pelle d’oca per la sua bellezza. Alla fine di un concerto gli
rimaneva sempre una riserva di adrenalina sufficiente per farlo sentire felice
e appagato per ore e, quando questa spariva completamente, la prospettiva di
esibirsi su un nuovo palcoscenico nel giro di alcune ore – o pochi giorni al
massimo – gli consentiva di rimanere di ottimo umore.
Camminando lungo il corridoio che lo
avrebbe ricondotto al camerino, i compagni – Chase, Chris e Trent – alle
spalle, Ewan si stava asciugando il sudore dal collo, tamponandolo con un
morbido asciugamano. Sentiva gli altri ridere, chiacchierando del concerto
appena concluso, commentando le esultanze del pubblico, la loro energia. Di
tanto in tanto il cantante si voltava verso di loro e annuiva, aggiungendo
dettagli sfuggiti agli atri.
Raggiunto il camerino si diresse subito
verso il suo borsone, da cui estrasse una t-shirt pulita, l’orecchio sempre
teso alla conversazione dei suoi amici e un sorriso inestinguibile dipinto in
volto. Si sfilò la maglietta che aveva portato al concerto e si sistemò meglio
gli stretti jeans a sigaretta. Compiendo quel gesto, però, si accorse di avere
qualcosa in una delle tasche, qualcosa che era sicuro non avrebbe dovuto
esserci. Fattosi improvvisamente serio, Ewan estrasse dalla tasca l’oggetto
incriminato, che riconobbe subito come un foglietto di carta ripiegato su se
stesso tante volte, così da risultare uno stretto e compatto cubetto. Cercò di
fare mente locale, pensando se si potesse trattare di qualcosa – forse uno
scontrino o un appunto – che lui stesso si era infilato in tasca per poi
dimenticare di averlo fatto, tuttavia l’unico modo per averne la conferma era
quello di aprirlo e osservarne il contenuto.
Districò i vari lembi ripiegati su se
stessi con calma, nonostante la curiosità che gli urlava di fare in fretta. Più
apriva il foglietto di carta, però, più si rendeva conto che quello che aveva
fra le mani non ere nulla di suo; non si trattava di uno scontrino, non di un
appunto, né di un banale pezzo di carta bianca.
Era un disegno. Un piccolo disegno a
tratto-pen meravigliosamente eseguito. Il soggetto di
quella piccola opera erano due ragazzi, un maschio e una femmina, raffigurati
nell’atto di scattarsi un selfie insieme. Ewan lo
analizzò meglio, avvicinando il foglietto al viso. La qualità del tratto, per
quanto rapido e sintetico, era tale da fornire alle due figure tratti somatici
ben definiti, evidenziati maggiormente dal sapiente uso di pochi e calcolati
tratti di colore. Si rese conto che il ragazzo del disegno era lui. Era
evidente; aveva gli stessi capelli scuri, lo stesso sguardo, il modo di
vestire, perfino lo stesso sorriso.
La cosa lo lasciò di stucco ma, superata
la sorpresa iniziale, gli fece anche molto piacere. Quel piccolo disegno era
stato fatto certamente da una fan della band e lei altri non poteva essere se
non la ragazza raffigurata lì accanto a lui, dal viso dolce e dal caschetto di
capelli ramati, come i colori e il tratto evidenziavano sulla carta. Non poteva
essere altrimenti.
Si chiese quando la ragazza fosse
riuscita a infilargli quel foglietto in tasca e capì che l’unico momento
possibile era stato durante Chalk quando, come faceva spesso, era sceso dal palco per
camminare cantando in mezzo al suo pubblico. Non poteva essere avvenuto
diversamente, il che voleva dire che chiunque gli avesse fatto quel piccolo
ritratto era stato al concerto quella sera e che lui gli era passato accanto,
forse l’aveva addirittura guardato.
Continuò a far scorrere a lungo gli
occhi sulla sua versione cartacea, portandoli sulla giovane che era raffigurata
al suo fianco, sentendo dentro una sensazione curiosa, calda. Quel disegno gli stava
trasmettendo delle piacevoli sensazioni, gli comunicava qualcosa; gli faceva
venire voglia di vivere il momento che lì, su carta, era così sapientemente
registrato.
«Che stai guardando?»
La voce di Trent lo riportò alla realtà.
Sollevò la testa, voltandosi verso il suo amico e lo guardò un momento. Si rese
conto che si era estraniato, che si era allontanato dal resto degli Shards, dal
camerino e dal luogo in cui avevano appena suonato. La sua mente aveva vagato,
immaginato, catturata da quel piccolo disegno.
«Ho trovato questo in tasca» rispose il
cantante, tendendo a Trent il disegno.
A sentire quelle parole anche gli altri
due lo raggiunsero, incuriositi. Guardarono il disegno, i due soggetti posti
uno accanto all’altra.
«Ehi, questo sei tu» esclamò Chase,
divertito.
«È fatto bene» commentò Chris.
«Non ho idea di chi lo abbia fatto»
disse poi Ewan, passandosi una mano fra i capelli scuri che avevano ormai perso
la piega. «Non è firmato, non c’è scritto nulla.»
«Beh, l’ha fatto senz’altro una fan»
osservò Chris, ricevendo consenso unanime.
Il cantante riprese in mano il piccolo
disegno, tornando a osservarlo. Dentro provava uno strano senso di malinconia.
Quel lavoro gli piaceva, gli piaceva tantissimo e l’idea di non sapere chi lo
avesse realizzato gli procurava dispiacere. Era sicuro che fosse opera di una
ragazza e che probabilmente doveva esseri autoritratta al suo fianco. Da quel
piccolo insieme di linee e colori era nato quel volto femminile in grado di
trasmettergli qualcosa; gli sembrava quasi di conoscerla, di saperla simpatica,
di trovarla bellissima. Aveva visto un’infinità di disegni ma nessuno gli aveva
fatto provare così in fretta simili sensazioni.
«Forse,» esordì Trent, vagamente
perplesso dall’atteggiamento del suo cantante, «può essere che chiunque ha
fatto questo disegno sia là fuori insieme a tutti quei fan che di solito
aspettano il nostro rientro nel tourbus.»
Ewan lo guardò, sorridendo leggermente.
Diede ragione all’amico, sentendo animare in sé la speranza. Desiderò come non
gli capitava da tanto di riuscire a incontrare quella ragazza che si era
ritratta insieme a lui, di parlarle, di vedere se l’idea che si era fatto di
lei – così immediata e impossibile da ignorare – era esatta.
Posò il piccolo foglietto in carta, ciò
che era appena e con estrema rapidità diventata la sua prima preoccupazione e
ultimò di cambiarsi i vestiti; si ritrovò presto pronto per tornare insieme
alla band e ai roadie verso il tourbus che li avrebbe condotti alla prossima
destinazione, consapevole che prima di varcarne la soglia avrebbe incontrato un
gruppo dei propri fan – come capitava sempre a fine concerto – e che forse, in
mezzo a loro, poteva anche esserci quella ragazza.
Whitehall Rd., Leeds,
10 febbraio
Ore
2:33 AM
Stare seduto al bancone del bar di un
hotel a notte fonda era una di quelle cose che aveva visto fare spesso nei
film, ma che non aveva mai sperimentato prima. Eppure in quel momento stava
facendo esattamente quello. Ewan era seduto proprio al bancone dell’hotel in
cui avrebbe dovuto dormire, un bicchiere vuoto davanti – che aveva contenuto
acqua tonica al limone, a differenza di quanto succedeva nelle pellicole – con
cui giocava distrattamente, i gomiti appoggiati al piano, la testa bassa e
sporadiche parole di The Anchor dei
Bastille in testa.
Leeds era stata la loro ultima meta; ora
per gli Shards si prospettava un periodo di riposo di circa due mesi, prima di
ripartire per la seconda metà del tour europeo. L’adrenalina che lo aveva
inondato durante il concerto era scesa completamente e non c’era alcuna
prospettiva di un nuovo live ad alimentare il suo buonumore. Si sentiva stanco,
ma non aveva sonno. Era soddisfatto, ma anche dispiaciuto.
Con la mente stava vagando da tutt’altra
parte mentre gli occhi blu scorrevano assenti sulle iridescenze vitree del bicchiere. Da ormai due giorni non faceva
altro che tormentarsi continuamente domandandosi chi fosse – e dove fosse – la
ragazza che gli aveva fatto il disegno che si era trovato in tasca dopo il
concerto di Glasgow. Quella sera lei non era in mezzo ai fan che avevano atteso
il ritorno degli Shards al tourbus; in mezzo a quel gruppetto che li aveva
tanto calorosamente accolti nessuna aveva fatto allusioni a un disegno, nessuna
aveva un caschetto di capelli color rame. Lei non era fra loro. Quando Ewan si
era allontanato dai fan e li aveva salutati un’ultima volta si era reso conto,
con sua enorme sorpresa, di essere profondamente amareggiato per non aver
potuto incontrare quella ragazza, anche solo per ringraziarla di quel piccolo e
inaspettato regalo.
Non riusciva a capire perché il pensiero
di lei continuava a tornargli alla mente, perché di tanto in tanto cedeva al
desiderio di andare a guardare quel disegno ancora una volta. Lo aveva
conservato insieme a molti altri regali che i fan gli avevano fatto, ma per
quel piccolo lavoro aveva riservato un posto speciale, unendolo con una
graffetta a quelle carte che lui teneva sempre con sé, su cui abbozzava
pensieri, parole e note e da cui spesso nascevano canzoni. Quel disegno, per
quanto banale in apparenza, non gli dava pace; tutto quello che lo riguardava
non gli dava pace.
Abbandonò il bicchiere, portandosi le
mani al volto e respirando profondamente alcune volte. Si sforzò di farsi una
ragione del modo in cui le cose era andate, si disse che le possibilità di
incontrare quella ragazza erano – e sarebbero rimaste – talmente basse che non
avrebbe dovuto né sorprendersi né rimanere deluso dal modo in cui si erano
svolte le cose.
Si tolse le mani da davanti al viso e
prese irrequieto a ticchettare con le dita sul piano del bancone.
Improvvisamente si concentrò sul ritmo che stava battendo. Qualcosa in lui si
animò. Insieme a quel ritmo nuovo, che non aveva ancora sperimentato in nessuno
dei suoi pezzi, si fecero largo nella sua testa tutta una serie di parole. Si
affacciarono confuse, per poi prendere ordine spontaneamente, seguendo il ritmo
che lui stava componendo, in parte in quel bar, in parte nella sua testa, dove
si proponeva ben più articolato e complesso.
Si alzò dallo sgabello su cui era
seduto, avviandosi in gran fretta verso la sua stanza, canticchiando fra sé
quello che continuava a nascergli in mente con semplicità sorprendente,
sforzandosi di non dimenticare nulla prima di poter afferrare carta e penna.
Sala
prove degli Shards, Shaftesbury Ave., Londra, 18
febbraio
Ore
11:15 AM
Quando Ewan raggiunse la sala prove
sapeva perfettamente di essere in ritardo, sebbene di poco, ma aveva avuto una
serie continua di contrattempi che lo avevano rallentato, primo fra tutti il
fatto che la sua sveglia aveva deciso di ammutinarsi. Quando si era reso conto
dell’orario era sceso in tutta fretta dal letto, si era lavato, vestito ed era
uscito di casa prendendo con sé la bicicletta, decidendo di fermarsi a metà strada
per prendere qualcosa da mangiare. Un nuovo contrattempo gli si era presentato
lì, quando il locale scelto si era dimostrato pieno e lui era ormai troppo
incastrato fra la folla per decidere di andarsene.
Era una mattina particolarmente
piacevole, nonostante fosse febbraio. Il cielo era terso, limpido e la brezza
saliva solo delicatamente fino al cuore della città. Quest’ultima appariva viva
come sempre, piena del suo caratteristico via e vai di persone, ricca di
cittadini, lavoratori e turisti.
Ewan lasciò la bicicletta dove la
metteva abitualmente, chiudendola con un catenaccio. Corse letteralmente dentro
l’edificio, proseguendo lungo i corridoi e salutando chi incontrava nel
tragitto con un rapido saluto e un gesto della mano. Mentalmente si fece forza,
ripetendo fra sé quello che avrebbe dovuto dire ai suoi compagni. Non sapeva se
lo avrebbero capito, ma sapeva per certo che avrebbe comunque potuto contare su
di loro e tanto gli bastò per motivarsi.
Varcò l’ingresso della sala prove che
avevano affittato, controllò l’orario e prese effettivamente nota del suo
ritardo. Più di venti minuti. Imprecò mentalmente contro la sveglia, il caos e
perfino contro il caffè, mentre Chris, Trent e Chase si voltavano a guardarlo
sentendolo entrare.
«Alla buon’ora» gli diede il benvenuto Trent.
«Scusatemi» disse Ewan recuperando
fiato.
Entrò nella sala prove già perfettamente
organizzata e si sfilò lo zaino e la giacca, dopodiché si voltò verso gli
amici. Erano lì, tutti e tre, fermi a guardarlo in attesa, curiosi di sapere
per quale motivo Ewan avesse chiesto loro di trovarsi in sala prove quella
mattina nonostante avessero concordato di provare il giorno successivo.
Il cantante li guardò uno a uno, infine
respirò a fondo e si fece forza; quello che voleva dire loro lo imbarazzava, in
un certo senso, e non sapeva se i suoi amici avrebbero assecondato o meno la
bizzarra idea che si era impossessata di lui il pomeriggio precedente, quando
aveva chiamato gli altri per pregarli di trovarsi in sala prove.
Non partì dal principio per cercare di
ottenere la loro collaborazione, partì dal risultato. «Ho scritto una canzone»
disse, estraendo dalla tasca dei jeans il telefono cellulare.
Gli altri tre commentarono entusiasti la
notizia, sistemandosi sul divano della sala, in attesa di ascoltare il nuovo
lavoro composto dal loro cantante.
Come faceva sempre ogni volta che
sottoponeva agli amici una canzone nuova a cui stava lavorando, Ewan collegò il
cellulare al computer, copiò la canzone sul desktop e premette play,
lasciandola libera di riempire tutta l’aria della stanza. In quel momento,
però, si sentiva più agitato del solito. La canzone che stava scorrendo,
registrata con il telefono e composta solo dalla sua voce, dal piano e da una
base ripetitiva trovata fra gli effetti della tastiera, era la stessa che gli
era comparsa in mente a Leeds, mentre, a sedere al bancone del bar dell’hotel,
aveva continuato a pensare alla ragazza che gli aveva fatto il disegno. Sebbene
l’avesse arricchita, decorata e articolata sapeva che quella canzone parlava di
lei, di una ragazza che non aveva mai realmente incontrato. L’aveva intitolata Penelope e racchiudeva dentro di sé una
metafora della storia di Penelope e Ulisse. Per quanto sottili, le allusioni a
quello che gli era accaduto dopo Glasgow vi erano tutte. Poiché Ewan era
convinto che ai suoi amici non sarebbero sfuggite, pensò fin da subito a cosa
poter dire per giustificarsi, sebbene continuasse ad ascoltare la sua
composizione, scoprendosi piuttosto soddisfatto di quanto aveva scritto.
Quando la canzone finì calò un breve
silenzio, che venne subito interrotto da Chase: «Mi piace, Ewan, davvero.»
Il cantante gli sorrise, sollevato.
«Come mai una canzone su Penelope e
Ulisse? » domandò Chris, interessato.
Ewan si strinse nelle spalle, rendendosi
conto che il momento era arrivato. Inspirò a fondo cercando di non farsi notare
dagli amici e si decise a dire loro come stavano le cose.
Non tralasciò nulla, raccontando tutto
quello che c’era da sapere. Disse loro della delusione provata dopo che si
erano allontanati da Glasgow, quando quella ragazza che aveva tanto sperato di
incontrare non era fra i fan rimasti ad attenderli. Spiegò quanto quel piccolo
disegno continuasse a essere un chiodo fisso nella sua testa. Raccontò agli
amici di quella notte a Leeds e di come la canzone era nata in fretta. Infine,
leggermente imbarazzato nel raccontare una storia che poteva avere dell’assurdo,
disse loro quanto la speranza di riuscire a conoscere la ragazza fosse tale da
averlo portato a scrivere Penelope e
di come fosse inestinguibile anche in quel momento per ragioni che, davvero,
sfuggivano completamente alla sua comprensione.
Si zittì di colpo quando non seppe che
altro dire, sentendosi sotto esame, squadrato da tre sguardi diversi.
«Certo» esordì infine Trent, rendendo
ulteriormente nervoso Ewan, «che questo genere di cose possono capitare solo a
uno come te.»
A quelle parole il cantante scoppiò a
ridere, seguito a ruota dal resto della band. «Lo so» disse poi, quando si
ricompose.
«E come speri di incontrare questa
fantomatica ragazza? Aver scritto una canzone non basta, soprattutto perché non
è così palese che tu stai parlando di lei e di quello che è successo a Glasgow»
gli fece notare Chris, ricevendo consensi in risposta.
Ewan sapeva che l’amico aveva ragione,
ma aveva pensato anche alla soluzione a quel problema nel suo continuo
pellegrinaggio mentale. Prima che potesse proporre agli altri il suo progetto –
che era la cosa che lo preoccupava maggiormente in quel momento – Chase lo
precedette: «Basta solo tornare a suonare a Glasgow» disse, con un’innocua
alzata di spalle.
Ewan lo guardò, sentendo un sorriso
formarsi sul suo viso. «Era quello che volevo proporre io» ammise poi.
Trent e Chris lo guardarono.
«Vorresti tornare a suonare a Glasgow? E
quando?» domandò Chris.
«Il prima possibile» rispose Ewan.
Guardò gli amici e sospirò. «Sentite, lo so che vi sto chiedendo molto e
capisco se non volete assecondarmi. È solo che... Non lo so, c’è qualcosa in
tutta questa faccenda che non mi dà pace. Sono addirittura arrivato a scriverci
una canzone. Ho pensato che, in fin dei conti, provare a fare qualcosa non mi
costasse nulla. Chi può dire che alla fine non otterrò niente?»
Di nuovo calò il silenzio e Ewan non ebbe
il coraggio di interromperlo. Sapeva che stava chiedendo ai suoi compagni di
seguirlo in quello che aveva tutte le sembianze di essere un banale capriccio,
ma il suo buonsenso e la sua ragione erano stati completamente sopraffatti dal
desiderio; il desiderio di incontrare quella ragazza, di vedere se era come
continuava a immaginarla, di capire come fosse possibile che quella situazione
potesse ossessionarlo a tal punto. Se Chris, Trent e Chase gli avessero detto
di lasciar perdere se ne sarebbe fatto una ragione, ma finché non avesse
sentito quelle parole lui avrebbe continuato a provarci.
Vide gli altri scambiarsi un’occhiata d’intesa,
e trattenne il respiro sapendo che di lì a poco avrebbero dato il loro
personale giudizio. Come spesso accadeva uscì dalla bocca di Trent: «Ok,
facciamolo.»
Il cantante si convinse di aver capito
male e li guardò incredulo. «Dite sul serio?»
«Sì, diciamo sul serio. Ci hai
addirittura scritto una canzone sopra, Ewan, lo hai detto anche tu.
Probabilmente questa cosa ti sta davvero molto a cuore» rispose Chris.
«Grazie ragazzi» sorrise radioso Ewan,
passandosi una mano fra i capelli.
«Se vuoi tornare a Glasgow però dobbiamo
discuterne con Eddie e fare in modo che ci inseriscano la data nella seconda
parte della tournée» gli fece notare Chase, alludendo al loro manager.
«Mi occupo io di Eddie» replicò il
cantante.
Trent continuò a guardare l’amico in
silenzio, un leggere sorriso in volto. «Così torniamo a Glasgow per amore, eh?»
chiese.
«Per amore? Di che parli?» si intromise Chase.
«Oh, andiamo, non hai sentito le parole?
È chiaramente una canzone d’amore.»
Chris diede ragione a Trent quando quest’ultimo
pronunciò quelle parole, dopodiché tornò a guardare il suo cantante. Ewan rispose
allo sguardo di entrambi, senza dire nulla per alcuni secondi.
«Io… forse. Questa storia è assurda e
non so che mi sta succedendo. So solo che ci voglio provare, che solo così
potrò finalmente capire che diavolo mi prende.»
I suoi occhi avevano vagato per la
stanza mentre parlava, tormentandosi i capelli con la mano destra e la cerniera
della felpa con la sinistra. Quando tornò a posare lo sguardo sui suoi compagni
li trovò lì, fedeli.
Forse non c’era niente di sensato in
quello che voleva fare. Forse stava facendo perdere tempo a tutti – ai suoi
amici, al suo staff, al suo manager. Forse non avrebbe ottenuto niente da tutta
quella storia, ma non riusciva a desiderare altro se non fare un tentativo, quel tentativo. Voleva portare la sua
canzone per la prima volta a Glasgow nella speranza che potesse servire a
qualcosa, desiderando con tutto se stesso che le sue parole e la musica che
avrebbe perfettamente arricchito il testo potessero comunicare con la diretta
interessata. La musica era la sua arma più forte e l’unica che sapeva avrebbe
potuto funzionare in una simile circostanza. Niente poteva essere meglio di
quel tipo di messaggio per trovare qualcuno che lo aveva cercato proprio a un
suo concerto.
Non sapeva se avrebbe ottenuto o meno
dei risultati, ma in quel momento capì che Chris, Trent e Chase erano pronti ad
aiutarlo anche in quel assurdo tentativo.
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Rieccomi.
Innanzitutto vorrei ringraziare quanti di voi sono
arrivati a leggere fin qui. Spero che il capitolo possa essere stato di vostro
gradimento e che, magari, vi abbia anche incuriosito al punto di portarvi ad
avere voglia di continuare nella lettura.
Vorrei dire solo un'altra cosa – in aggiunta a quanto
ho scritto all’inizio. La storia in questione nasce come fan fiction sui
Bastille, ma dal momento che non mi piace molto pubblicare long su artisti
musicali – preferisco le one shot,
infatti – ho deciso di renderla un’originale e approfittarne per “manipolare”
un po’ i personaggi. Nonostante tutto, però, vi lascio immaginare chi sono i presta
volto dei quattro Shards.
Ok, chiudo. Come già detto vi ringrazio per aver letto
fin qui, spero davvero che questo capitolo vi abbia fatto venire voglia di
proseguire anche con i prossimi.
Nel caso vogliate lasciare un commento sentitevi
liberi, a me fa piacere :)
Alla prossima.
MadAka