Sono qui, al lavoro. Al mio
nuovo lavoro. Sto
pestando sui tasti con tanta di quella forza e rapidita’ che
fra un po’ la
tastiera del PC fumera’, ne sono quasi sicura.
Il mio sguardo passa da un
monitor all’altro, da una
videata all’altra con altrettanta velocita’. Non
devo perdermi nessun dettaglio.
Come ho sempre fatto. Come devo fare. E’ troppo importante .
I miei occhi volano dal
monitor di destra a quello
di sinistra, da sinistra a destra, di nuovo da destra a sinistra.
Processo
informazioni e agisco subito. Vedo. Processo. Nessuna esitazione.
L’esitazione
e’ per i deboli. E nel mondo degli hacker non
c’e’ posto per la debolezza. La
mia mente e’ iperattiva, ogni cosa deve essere esaminata,
considerata da ogni
angolo, sezionata come con un laser e incasellata al suo posto. Non
sono
permessi sbagli. O forse e’ una scusa per far tacere il
fragore che sento nel
cervello? Quel turbinio di pensieri che che non mi abbandona mai?
Ho finito il programma al
cui sto lavorando da
tempo, sta girando
adesso. Devo
controllarne solo l’esito positivo. Il sistema in cui mi devo
infiltrarmi e’ il
non plus ultra della modernita’ e della sicurezza. Non devo
sbagliare.
E come al solito quando la
mia mente non e’
impegnata sul lavoro mi assale la malinconia. La tristezza. Non
c’e’ quasi piu’
rabbia in me. C’e’ il vuoto. Il vuoto desolante
della delusione.
Avrei dovuto saperlo. Avrei
dovuto accorgermene.
Tutti quei colloqui a bassa voce a quattro occhi, lontani da me, quel
parlottare. John. Dinah. Rene’. A me hai solo detto che ne
avremmo riparlato. E
io mi sono fidata. Ancora una volta. Nonostante le apparenze.
Nonostante il mio
sesto senso mi dicesse che c’era qualcosa che non andava. Mi
dicevo mi ha
promesso niente piu’ bugie. Siamo sposati. Non
c’e’ piu’ fare da solo. Essere
da solo. Sei mio
marito, l’uomo che amo.
Ti conosco. Ti conosco meglio di te stesso. E invece. Invece ho capito
solo
quando la Watson si e’ presentata in ospedale a prenderti.
Non c’e’
stato tempo per spiegare la cosa a tutti, hai
detto. Ma se hai parlato con tutti. Tranne che con me. Tua moglie. La
tua
partner. La donna a cui hai detto quelle due parole tanto importanti.
La donna
che ti sei incaponito a voler proteggere, a voler estromettere dalla
tua lotta
come Green Arrow. Io che sono stata con te fin dal giorno in cui sei
strisciato
nella mia Mini supplicandomi di aiutarti.
Mi hai messo da parte. Non
mi hai detto niente, solo
quel To be continued. Come quella frase che mettono nei telefilm alla
fine di
una stagione quando l’episodio termina sul piu’
bello.
Mi hai escluso. Di nuovo.
Mi fa male solo ricordarlo.
Mi sei passato davanti,
mi sono alzata cercando di prenderti la mano
“Non c’e
stato tempo per spiegare cosa?”
Ti ho chiesto
Ma tu non hai risposto e hai
lasciato andare la
mano, quasi scansando la mia. Un gesto quasi impercettibile. Sono
sicura che
gli altri in quel corridoio nemmeno se ne sono accorti. Ma io si,
l’ho sentito.
Solo allora ho sentito che ti stavo perdendo.
La Watson che dice che tutti
noi abbiamo l’immunita’
solo perche tu ti sei consegnato. Tu che respiri a fondo, mi guardi
dolente e
dici che non c’era altro modo.
Odio quelle parole. Le odio.
In quel momento credo
di aver odiato anche te. Che diamine, quello non era l’unico
modo! Ce n’erano
milioni di altri modi. Se solo tu me ne avessi parlato.
Se solo..
Ma no, eccoti ritornato il
supereroe da solo, che
porta il peso del mondo sulle spalle, schiacciato da tutte le sue
responsabilita’ nei confronti della citta’.
Maledetto stupido testone
testardo! Ho pensato
questo, lo ammetto. Avrei quasi voluto picchiarti, schiaffeggiarti.
Dentro di
me era montata la rabbia. Ma poi era arrivata Sarah. La notizia della
morte di
Quentin. Il dolore ci ha assalito all’improvviso. E io sono
rimasta quasi
inerte. E tutto e’ precipitato.
Mi sono ripresa quel tanto
che serviva per chiamare
Raisa e far portare la’ William perche’ ti vedesse.
Sei suo padre. E volevo
affrontarti da solo nella stanzetta in cui aspettavi di essere
prelevato.
Sono partita in quarta
dicendoti del piano mio e di
John per farti evadere dalla prigione ma mi hai subito bloccato. Volevo
smuoverti. E invece non ti sei mosso. Mi ha parlato con quel tono basso
e
rassegnato. Mi rifiutavo di accettare quel che stava succedendo. Quando
hai
parlato di custodia protettiva sono crollata. Avrei dovuto combattere
di piu’ e
invece mi sono arresa. Mi sono messa a piangere. E vedevo che stavi
crollando
pure tu. Ti ho stretto le mani forte. Piu’ forte che potevo
per farti sentire
che ero li con te. Ma tu Mi hai detto di chiamare William. Hai salutato
e
spiegato a tuo figlio quel che non hai voluto dire e spiegare a me.
Piangevo
mentre ascoltavo quello che gli dicevi. Dentro di me solo una domanda
Perche’?
Non mi hai baciato. Non mi
hai abbracciato. Niente.
Allora lo desideravo tanto. Abbracciarti un’ultima volta
prima di vederti
andare via, sentire la forza delle tue braccia attorno a me, sentirmi
amata e
al sicuro. Ma forse e’ stato meglio cosi’. Non sono
sicura che ti avrei
lasciato andare via come sei andato. Ammanettato, tra quelle guardie,
scortato
dalla Watson che non ti mollava un solo secondo, come se avesse paura
che
saresti svanito se ti avesse perso di vista. Rassegnato
ma non domo. Fiero e a testa alta.
Hai combattuto per questa citta’. Hai detto chi sei. Hai
scagionato Roy. E hai
chiesto a noi tuoi amici e partner di continuare la lotta per salvare
la citta’
da Diaz.
Non ti ho guardato salire
sul furgone che ti portava
in prigione. Riuscivo solo a pensare
Perche’.
Perche’ non me l’hai detto? Perche’ non
ha voluto appoggiarti a me? perche’ non
ti fidi ancora di me? per te amare significa proteggere e sacrificarti.
Perche’
non hai ancora capito che non e’ questo il modo in cui voglio
che tu mi ami. Lo
capisco e lo posso anche apprezzare, ma non lo condivido. E’
questa la chiave,
quel che ho sempre cercato di farti capire. Amare significa condividere. Io ho condiviso tutto con
te. Quando ti ho
detto di si, dopo aver tentennato, dopo aver pensato che non volevo di
nuovo
sfidare il destino che tanto ci aveva fatto soffrire. Ma dopo aver
rischiato di
perderti ho capito che il nostro amore valeva la pena. E mi sono data a
te, per
intero. Mi sono impegnata con te. Anche se la mia paura piu’
grande rimaneva :
perderti. Tanto tempo fa mi avevi detto che non ti avrei perso mai. E
me l’hai
ripromesso, che saresti sempre tornato da me. La mia paura e’
diventata
realta’. Ti ho perso. Non perche’ sei rinchiuso a
vita in una prigione di
massima sicurezza. Il nostro amore potrebbe resistere a di peggio. Ma
perche’
mi hai allontanata, hai deciso tu per me, hai deciso tu per William,
per il
team, per la citta’.
Mi hai ferita, di nuovo. Mi
hai esclusa, di nuovo.
Fa troppo male. Troppo. Siamo divisi non tanto nel corpo e nello
spazio, ma ora
anche nel cuore.
Adesso, dopo tanti mesi
lontana da te, quasi non mi
chiedo piu’ perche’ tu ti sia comportato di nuovo
in questo modo. Non credo mi
interessi neanche piu’ di tanto. O forse me lo dico per
autoconvincermi? Ma adesso
ho qualcos’altro nella mia vita, un altro impegno, un nuovo
progetto. Un
impegno al quale ho deciso di dare la massima priorita’.
Eppure… so di amarti
ancora. Nel mio
cuore ci sei ancora. Il
tuo nome risuona ancora nella mia mente, il tuo volto mi appare nei
miei sogni
agitati. Di notte risento la forza delle tue braccia, la delicatezza
delle tue
mani, vedo i tuoi occhi azzurri che mi scavano nell’anima a
ogni tuo sguardo.
Il tuo sorriso. Rivivo situazioni, sogno di stare ancora nelle tue
braccia
mentre facciamo l’amore, occhi negli occhi, e che mi porti
sulle vette piu’
alte dell’estasi. Le nostre discussioni. I nostri colloqui.
La tua
preoccupazione di crescere bene William. Il bene della
citta’. Gli screzi con i
vari componenti del team. E io che penso amaramente che ti avevo detto
avrai
sempre me, non vado da nessuna parte. Quello che se
n’e’ andato sei stato tu,
immolandoti sull’altare di quel che sembra abnegazione,
sacrificio. nonostante
tutto non riesco a non pensarti rinchiuso a vita in quella fortezza,
lontano da
me, dalla tua famiglia, dai tuoi amici. In una cella, privo della
liberta’. Una
liberta’ di cui tu da solo hai deciso di privarti.
Sai a cosa penso? Penso
che quel che tu hai fatto per abnegazione, sacrificio, per proteggerci
e’ solo
egoismo. Puro egoismo. Hai pensato a cosa voleva dire per me e per
William
stare lontani da te? Alle conseguenze della tua scelta di consegnarti
per me, per
tuo figlio, per la mia vita, per la nostra vita? Alle
responsabilita’ che hai
caricato sulle mie spalle, dando tutto per scontato, tanto io al tuo
fianco ci
sono e ci sono sempre stata? Ci
hai
pensato? E se ci hai pensato, perche’ una citta’
ingrata come Star City e’ piu’
importante per te della tua famiglia? Che fine ha fatto la tua
volonta’ di non divulgare
la tua identita’ perche’ volevi una vita normale
dopo Green Arrow?
Io ho mentito per te. E lo
rifarei. Non una, non
dieci, ma mille volte. Non mi sono fermata quasi davanti a niente per
poter
stare con te. Solo tu mi hai allontanato. Per il mio bene dicevi. Fin
dall’inizio cercavi di allontanarmi. Ma non potevamo stare
lontani. Eri tu ad
avere paura dei sentimenti. Di stare con qualcuno a cui potevi tenere
veramente. Di quello che c’era tra noi. Ma ci amavamo troppo.
A volte mi sveglio, pensando
che e’ stato tutto solo
un’incubo, che sei nel letto a fianco a me, che dormi vicino
a me. E vorrei
solo girarmi ed abbracciarti e sentire che mi stringi e sentirti dire
che ti
dispiace. E invece mi volto e trovo solo il vuoto dall’altra
parte del letto.
Allora mi stringo nella
copertina verde, quella che
avevamo sul letto a Ivy Town, quella che avevamo nel letto al loft,
quella che
ho recuperato dal nostro appartamento distrutto dagli sgherri di Diaz.
L’unica
cosa che ho portato via con me, assieme a poche altre. E che ho messo
anche nel
letto dove dormo adesso, da sola.
Perche’ era simbolo di noi. Di quel che eravamo.
Di quello che ho
creduto potessimo sempre essere. Noi. Non piu’ me. Non
piu’ te. Noi.
Beh sai che ti dico
Oliver Queen? Non e’ vero che non sono piu’
arrabbiata con te. Sono arrabbiata.
Sono molto, molto arrabbiata! E vai al diavolo! Ti amo disperatamente,
accidenti a te. Non mai amato nessuno come te. E non amero’
mai nessun altro
come amo te. Ma vai al diavolo lo stesso!
E non pensare che ti
scriva. Lo ha fatto William qualche giorno fa, sicuramente la sua
lettera ti
fara’ piacere. Ma io non ci riesco. Non e’ per
vendetta. E’ che non ce la
faccio proprio. Fra un po’ potrai anche ricevere visite. Non
ho ancora deciso
se e quando ti faro’ visita. Sempre se potro’
farlo. John ci ha detto che stai
bene. Ma io non ne ero tanto sicura. Non lo sentivo. E infatti.
Comunque non
so. Non lo so. Non voglio pensarci. Non adesso. Non dopo quello che
e’
successo. Tutto quello che non mi aspettavo.
Finisco questi amari
pensieri quando il PC manda il
segnale che il programma ha finito di girare. Mi rilasso un attimo
sulla sedia,
non mi ero accorta di essere cosi tesa.
Sento dei passi che si
avvicinano, alzo lo sguardo
allarmata. Sono nel bunker segreto ARGUS della localita’ dove
ci hanno
trasferito dopo che Oliver e’ stato incarcerato. Sono al
sicuro ma… sono davvero
al sicuro?
Dal buio del corridoio che
si apre davanti a me vedo
spuntare una figura conosciuta. Una donna. Una donna di cui conosco
bene la
forza e la personalita’.
“Lyla!!”
“Felicity!”
Che strano sentire il mio
nome, il mio vero nome. Da
mesi ormai nessuno mi chiama piu’ cosi’.
Mi alzo per farmi incontro a
lei, per abbracciarla.
Mi stringe tra le braccia con sicurezza, il sorriso sul volto risoluto
“Come
stai?”
“Bene,
compatibilmente con la situazione. Tu?”
“Sono qui come
vedi.”
“John? E
JJ?”
“Tutto bene con
gli uomini di casa, basta solo non
fare discorsi troppo complicati, rischiano di non capire.”
L’ironia di Lyla
Michaels Diggle non smette mai di
sorprendermi
Sorrido mio malgrado a
questa sua uscita.
“E tu, come va
l’ometto di casa?”
“Ometto, se
continua a crescere cosi presto sara’
alto come suo padre!”
Solo molto piu’
sottile, penso dentro di me. Nessuno
e’ come suo padre. Nessuno.
“Si sta adattando
alla nuova vita?”
“Si comporta bene,
non c’e’ dubbio. Pensavo avrebbe
fatto piu’ fatica, gia’ ha perso sua madre un anno
fa. Forse e’ per questo, ci
e’ gia’ passato. E poi ha gia’ vissuto
sotto copertura, un’altra citta’, un
altro nome.”
“Beh un conto
e’ una madre morta, suo padre non e’
morto.”
“Ed e’
peggio Lyla. E’ peggio.” Mormoro a bassa voce
“So che
e’ dura, Felicity.” Commenta con voce
comprensiva
“E’ dura
non avere speranza, Lyla. Ed e’ stato
Oliver a togliercela.”
Non volevo essere cosi
acida. Ma e’ la verita’. Lo sguardo
di Lyla si incupisce, mi mette una mano sulla spalla
“Meno male che non
sono da sola, seguire degli
adolescenti e’ impegnativo per una come me che non ha mai
fatto la madre prima.
Per fortuna c’e’ Raisa che fa da mamma a tutti e
tre.”
“Gia’,
adesso c’e’ anche Zoe con voi. Mi sembra una
ragazzina giudiziosa ma l’ho vista una volta sola.”
“C’e’
di buono che e’ meno impulsiva di suo padre,
questo si.”
Rene’ aveva
chiesto la custodia protettiva Argus
anche per la figlia. Non se la sentiva di lasciarla da sola. Memore di
quel che
e’ successo a Oliver, non vuole che la figlia rimanga senza
nessuno.
E Lyla mi aveva chiesto se
potevamo prenderla con
noi. Io sarei stata la zia dei due ragazzi, trasferitasi per lavoro,
assieme
alla loro tata. Questa era la nostra copertura.
Avevo deciso io di essere la
zia, non la madre. Non
me la sentivo, specialmente con William. Non volevo forzarlo a
chiamarmi mamma.
Oliver me l’ha affidato, gli voglio bene come se fosse
davvero mio figlio,
anche se non lo avrei mai creduto prima. Ma io non sono sua madre,
cerco di
tenerlo sempre bene a mente, anche per non offendere la memoria di
Samantha.
“Zia Felicity,
anzi Zia Catherine cerca di fare il
suo meglio.”
Catherine Richards
e’ il mio nuovo nome. William e’
diventato Nicholas e Zoe adesso si chiama Amy.
“Credimi Lyla ci
sono giorni...” e mi siedo sulla
mia poltroncina girevole, la schiena mi fa male. Mi tolgo gli occhiali,
mi
passo le mano sugli occhi quasi a volermeli schiarire.
“Lo so Felicity,
lo so.”
Giorni in cui sono
cosi’ stanca che quasi non riesco
ad alzarmi. Gioco distrattamente con gli occhiali che ho in mano. Ho
cambiato
modello, per la copertura. Non sono piu’ i miei soliti
occhiali neri e marrone.
Questi hanno una montatura lineare trasparente, quasi invisibile, senza
fronzoli, le lenti piu’ grandi e tondeggianti. Non so
perche’ me ne accorgo
solo adesso.
“Non ti devi
strapazzare.”
“Ma questo
progetto e’ troppo importante, Lyla. Non
posso fermarmi adesso. Non chiedermelo ti prego. Anche
se…”
“Anche
se?”
“Ho fatto un
errore.”
Lyla mi guarda
“Un grosso errore. Un
errore che non dovevo fare.”
“Quale errore?”
“Vieni” le faccio
segno di sedersi a fianco a me Lyla
afferra la poltroncina all’altro desk e si siede vicino a me.
Angolo lentamente uno dei monitors
verso Lyla, in modo che
possa vedere meglio da dove era seduta. Schiaccio uno dei tasti della
tastiera,
faccio partire un video
Lyla guarda attentamente il video, le
sopracciglia
aggrottate. Al termine faccio sparire
le
immagini dal monitor. So di avere gli occhi pieni di furia. E di
dispiacere
“Capisci cosa ho
fatto?”
Lyla rimane in silenzio. Passano
alcuni interminabili
secondi. Lyla continua a tacere, sembra che la sua mente stia ancora
processando quel che ha visto e sentito in quel video.
Mi ripasso le mani sul volto, con un
gesto di impotenza
abbastanza inusuale in me.
“Ho sbagliato lo so, e sono
pronta a pagarne le conseguenze.
Vorrei non averlo mai fatto, credimi. Ma non potevo. Non potevo restare
con le
mani in mano. Pensavo…”
Lyla non commenta
“Non lo so a cosa pensavo.
So solo che adesso e’ peggio di
prima. Non sapere mi faceva stare male. Ma adesso e’ molto
peggio di prima.
Molto peggio. Io…” mi porto le mani alla testa,
come sconfitta. Adesso ho gli
occhi pieni di lacrime. Non ho piu’ pianto da quel giorno.
Non me lo posso
permettere, visto tutto quello che
c’e’
in ballo. Ma adesso sento che sto per crollare.
Lyla si decide a parlare, infrangendo
quel pesante silenzio
rotto solo dal mio sproloquio, le mie parole piene di pena
“Pensi possano risalire a
te?” pratica, professionale
“No, non credo, penso di
essere stata abbastanza veloce da
abbandonare prima di essere tracciata.”
Lyla annuisce,
l’espressione ancora impenetrabile
“Ma questo non cambia
niente. Ti rendi conto, avrei potuto
rovinare tutto a causa di questo mio assurdo inpulso? Non avrei dovuto,
non
avrei dovuto nemmeno provare a…”
“Felicity.” Lyla
mi interrompe
Un altro interminabile minuto di
silenzio
“Forse non e’
stato un errore.”
------------------
Ciao SIS, buon re-inizio e buona
continuazione dopo le ferie
di agosto.
Scusate il ritardo. E a presto!
Citazioni:
-
Dove
Felicity lavora ai computer : libro Arrow
Fatal Legacies M. Guggenheim e J.R. Turck
-
“Sono
molto, molto arrabiata” da Lois & Clark
le nuove avventure di Superman quando
Lois
scopre che Clark e’ Superman