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Autore: The Custodian ofthe Doors    04/09/2018    3 recensioni
Questa cosa dei tatuaggi lui non l'ha mai accettata fin in fondo: la trova molto romantica, certo, essere destinati a qualcuno che è lì fuori nel mondo e aspetta solo te, te e nessun altro, avere un costante conto alla rovescia che ti dice quanto ti stai avvicinando, quanto gli sei vicino, ti fa venire la pelle d'oca. Il momento giusto non lo si crea, è già inciso nelle pagine dell'universo e a te non resta che aspettare la persona a cui sei predestinato.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I numeri impressi a fuoco sulla pelle di Alec scorrono fin troppo lentamente, sembra quasi che un giorno duri secoli, che lo scandire del tempo per lui sia una cosa a parte, distaccata dal vero tempo in cui vive.
Questa cosa dei tatuaggi lui non l'ha mai accettata fin in fondo: la trova molto romantica, certo, essere destinati a qualcuno che è lì fuori nel mondo e aspetta solo te, te e nessun altro, avere un costante conto alla rovescia che ti dice quanto ti stai avvicinando, quanto gli sei vicino, ti fa venire la pelle d'oca. Il momento giusto non lo si crea, è già inciso nelle pagine dell'universo e a te non resta che aspettare la persona a cui sei predestinato.
Romantico, davvero molto, troppo, romantico. Per Alec era come una favola la leggenda dei soulmate, ma crescendo si è reso conto di quanto questa sia solo una terribile condanna, un'amara menzogna portata per natura a mostrare i fiori più rigogliosi solo ai suoi figli più belli e a lasciar gli altri come lui solo con un ramo contorto pieno di spine.
La favola si era trasformata in orrore quando Alec si era reso conto di chi si fosse innamorato. Ne era così sorpreso, così terrorizzato all'inizio che non aveva neanche sprecato tempo a guardare il suo tatuaggio, quelle migliaia di ore che lo separavano da colui a cui era destinato. Oh, perché lo sgomento era stato tanto ma gli aveva di certo lasciato la certezza che là fuori, per lui, ci fosse un qualcuno, non certo una qualcuna.
Era successo quando aveva all'incirca quattordici anni, forse anche prima se si metteva a riflettere con freddezza, si potevano scorgere le avvisaglie di un sentimento sterile sotto fin troppi punti di vista, che si era infiltrato nel suo cuore e stava cominciando a piantarvi le radici.
Si era detto più di una volta che se solo si fosse fermato un attimo a guardare il suo tatuaggio, a guardare quel numero, si sarebbe subito reso conto che no, non poteva essere lui. E lo aveva fatto: aveva fissato quel numero dal riflesso dello specchio, perché non bastava il fatto che la sua metà fosse un uomo, che lui fosse così diverso dalla normalità, assolutamente no, Alec doveva avere il suo timer tatuato a fuoco sul petto, esattamente sopra al cuore.
Era un'ironia sottile e crudele, si ripeteva spesso, non poter tenere quei numeri sotto controllo sul suo polso o sul braccio come faceva ogni comune mortale ma essere condannato ad aver una bomba ad orologeria proprio sul cuore, dove quella pianta velenosa stava facendo crescere i suoi rami spinosi.
Rami che non avrebbero mai fiorito, per quanto lui potesse amare Jace, il suo timer non accelerava.
Si era detto anche che sarebbe successo quando Jace stesso avrebbe capito di amarlo davvero, che il suo di timer scorreva così veloce perché Alec si stava accorgendo ogni giorno di più di amarlo e che ben presto, quando anche il fratellastro avrebbe aperto gli occhi, anche i suoi numeri -migliaia di ore- avrebbero cominciato a scorrere.
Così ovviamente non era stato.
Il tatuaggio sul polso di Jace correva all'impazzata verso la sua meta, mettendolo sempre più a disagio all'idea che quando quei numeri avrebbero puntato lo zero qualcuno gli avrebbe strappato via dalle braccia il suo Jace.
E Alec lo sapeva che non era lui la sua anima gemella, ma faceva male lo stesso.
Le cose erano peggiorate quando il “fratello” gli aveva rivelato di voler diventare un poliziotto come loro padre, proprio come aveva sempre pensato di fare lui, perché non appena aveva pronunciato quella sua intenzione, non appena aveva fatto sì che diventasse vera, il suo timer era letteralmente impazzito.
Forse fu per quello che Alec decise che no, non sarebbe stato in polizia con lui, non avrebbe mai sopportato l'idea di veder quel timer arrivare a zero, perché era ovvio che più si avvicinava l'inizio dell'accademia più il tempo sul polso di Jace si velocizzava. Quindi no, Alec non sarebbe stato presente nel momento in cui quei numeri si sarebbero arrestati sullo zero perenne, non avrebbe assistito al momento in cui la recluta Herondale sarebbe andato a consegnare dei documenti al Capitano Garroway e si sarebbe scontrato con la figlioccia di questo, venuta a trovare il padre, non avrebbe visto quei numeri mutare così in fretta da non riuscire a capirne l'ordine, non sarebbe stato lì quando i due si sarebbero guardati shockati negli occhi e poi, timidamente si sarebbero presentati.
Non l'aveva fatto, ma glielo avevano comunque raccontato.

 

Accantonato il servizio d'ordine Alec si era ritrovato senza un obbiettivo ma ancora con quel prurito insopportabile che gli procurava quella sua inutilità costante. Il suo desiderio di aiutare la gente era sempre stato grande e sebbene in quel momento la sua più grande voglia era quella di lanciare la figlia del Capitano dal palazzo più alto della città e vederla precipitare al suolo tra urla terrorizzate, rendersi utile, per una volta nella sua vita, essere all'altezza degli altri, di tutti gli altri, rimase comunque un suo chiodo fisso.
Così, se non poteva fare il poliziotto, decise che salvare la vita delle persone in quel modo- rischiando la propria che non era poi così importante per lui- era la cosa giusta da fare.

Per sua grande fortuna quello a cui mancava il filtro cervello-bocca in famiglia non era lui ma Jace, e non si ritrovò mai a dire a sua madre che non era entrato nei pompieri per spirito d'iniziativa ma solo ed unicamente perché voleva sentirsi utile e il fratellastro gli aveva soffiato il posto che aveva pensato di prendere per tutta la vita.

Il corpo dei pompieri di New York aveva sempre un bel po' da fare e negli ultimi tempi la cosa era peggiorata anche, sembrava che quell'anno qualche criminale avesse deciso di dar fuoco alla città.
Era successo qualche mese prima, quando un suo collega lo aveva chiamato dalla scena di un incendio dicendogli che non avevano neanche fatto in tempo a trovare un cadavere che era arrivata la polizia, e nello specifico suo fratello Jace, ciarlando di assassini e dannati bastardi che preferivano farsi bruciare piuttosto che mettere al fresco.
Alec aveva evitato di fargli notare quanto facesse schifo quella battuta.

Fu così che tutte le successive chiamate per incendi in luoghi abbandonati ma vicini a centri abitati videro non solo l'arrivo dei camion rossi ma anche delle vetture del dipartimento di polizia di New York City e ciò non avrebbe neanche tanto infastidito Alec o i suoi compagni se solo quei deficienti dei detective – ergo suo fratello e la sua squadra- fossero convintissimi che il piromane fosse uno solo e non due come l'intero corpo dei pompieri ripeteva. Ma no, per carità, erano loro gli esperti, la capivano loro la differenza tra i metodi di accezione ritrovati su ogni sito, certo.

Alec aveva lanciano uno sguardo distratto alla lista dei nomi dei possibili piromani implicati in quel rogo continuo che stava diventando la sua città, la sirena era appena scattata e lui aveva avuto solo il tempo di leggere un paio di nomi, un certo Morgenstern - << Ma non era il cognome della tua ragazza, Jace? >>, << No, è il nome di suo padre, lei ha quello della madre.>> - Belcourt, Ban- e gli altri li avrebbe controllati dopo. La chiamata arrivava da un palazzo a Brooklyn, a quanto pare un loft era andato a fuoco e stava minacciando la stabilità di tutta la struttura, l'ordine era di evacuare i civili e spegnere l'incendio, dividendosi in due squadre per eseguire i compiti nel minor tempo possibile.
La polizia era già stata avvisata e stava andando sul luogo.

Non fu una sorpresa trovare Jace davanti all'edificio in fiamme, Alec si spostò la bombola sulle spalle per assicurare le cinghie tra loro e sistemare la maschera sul viso per poi entrare in quell'inferno, chiunque fosse il responsabile non era un pivello.

<< Non è lo stesso piromane dell'ultima volta, accettalo Jace, non c'è nessun serial killer, è una lotta tra esaltati.>>
Non attese neanche la risposta del fratello, chiuse il bavero della giacca ignifuga ed entrò nell'edifico.

Alle volte Alec si domandava cosa avesse fatto di tanto brutto in una vita precedente per meritarsi tutto ciò: un tatuaggio anomalo, un timer lento, una posizione sconveniente, un amore sbagliato e mai ricambiato, quei rami, quei dannatissimi rami di rovi che gli stringevano il cuore ma non s'azzardavano a fiorire e dar quei dolci frutti neri che rendevano sopportabili i graffi delle spine per coglierli; suo fratello che gli fregava il lavoro e gli sbatteva in faccia quanto fosse schifosamente felice con la sua anima gemella e ora quella grandissima, enorme, fortuna di essere il vincitore di quel giro di ruota: tra ben diciotto vigili del fuoco accorsi alla chiamata, chi si era ritrovato ad arrampicarsi per la scala precaria, sino a giungere al loft, epicentro dell'incendio, perché aveva avuto la disgraziata sensazione di sentir gridare qualcuno?
Din din din! Risposta esatta!

Il fuoco era stato gestito fin troppo bene, si era propagato per le mura ed i piani con una scadenza quasi maniacale. Sembrava che le fiamme mangiassero una nuova stanza con la precisa cadenza dello scorrere di un minuto, era decisamente un esperto.
Prese un respiro profondo dalla maschera d'ossigeno, sentiva il cuore accelerato, gli sembrava di star correndo una maratona, ma probabilmente far su e giù per un edificio in fiamme con i bei 25 kg dell'attrezzatura sulle spalle non era la cosa più tranquilla da fare, soprattutto con l'ansia di un possibile civile bloccato tra le macerie ardenti.
Si ritrovò davanti ad una porta annerita dal fumo ma che ad occhio e croce doveva essere viola un tempo, la sfondò con un calcio deciso senza neanche provare a forzare il pomello. La casa era completamente incandescente, il fuoco aveva mangiato gli arredi scarsi della stanza principale, le finestre erano esplose per il calore e delle travi erano cadute a terra, rendendo difficile il passaggio da una camera all'altra. Alle sue spalle dei rumori cadenzati gli fecero intuire che almeno uno dei suoi colleghi stava risalendo la rampa per venire in suo soccorso, la radio gracchiava comandi e parole disconnesse ma l'attenzione di Alec era catalizzata tutta su un mucchio di cenere che si muoveva. Avanzò con sicurezza e cautela, poggiando attentamente un piede sul pavimento per saggiarne la resistenza sino a giungere al suo obbiettivo ed abbassarsi per raccoglierlo.
Un minuscolo gattino tremava senza controllo, gli occhi semichiusi e la bocca aperta da cui colava un filo di bava; respirava male e aveva immediato bisogno di ossigeno, per fortuna nel camion avevano installato anche delle maschere abbastanza piccole per gli animali.
Non ci pensò due volte a passare il felino alla figura gialla e color cenere che aveva appena messo piede nel loft, gli gridò sopra alle grida del fuoco di scendere mentre lui controllava il resto dell'appartamento, anche se l'altro gli ripeteva che non era sicuro per la sua incolumità Alec aveva la sensazione schiacciante che se avesse lasciato morire chiunque fosse intrappolato in quel rogo la sua incolumità ne avrebbe risentito tanto quanto se fosse morto lì dentro.

Sorpassare le travi cadute per arrivare a quella che doveva essere la camera principale fu difficoltoso, ma uno dei primi insegnamenti che venivano dati all'accademia era di non liberarsi mai del peso a meno che non ci si stesse lanciando fuori dall'incendio.
Vicino alla finestra distrutta, intelligentemente addossato ad un muro maestro, un ragazzo sporco di fumo era rannicchiato su se stesso. Si fece strada tra i detriti fino a raggiungerlo, voltandolo di peso per potersi assicurare che respirasse ancora, seppur affannosamente.
Le fiamme erano partite proprio da quella casa, probabilmente dalla cucina, un innesco a tempo legato ai fuochi dei fornelli, una bomba ad orologeria che non avrebbe lasciato alcuno scampo al ragazzo se fosse stato addormentato.
Doveva portarlo fuori da lì, il più presto possibile o sarebbe morto intossicato.
Se la prima regola era non togliersi mai l'attrezzatura, cosa buona e giusta che Alec di solito rispettava come fosse un comandamento divino, c'era anche da tener conto un'altra regola importantissima: seguire il proprio istinto e in quel momento l'istinto gli diceva che il ragazzo stava soffocando. Una spiacevole contrazione nel petto gli fece aumentare il respiro, un peso opprimente che gli schiacciava i polmoni, come se il fumo gli stesse mangiando una cellula alla volta. Non avevano molto tempo, lo sentiva sgusciare via dalle proprie mani come fosse acqua.
Si tolse la maschera d'ossigeno e le bombole dalle spalle, gli bloccò l'inalatore sul volto e si tolse anche la giacca ignifuga per avvolgergliela attorno. La maschera scivolò dal viso sudato ed arrossato del giovane, un rivolo scuro gli colava dalla testa e ad Alec si bloccò il cuore.
No, non poteva essere anche ferito, per favore, non poteva essere così sfortunato.
Senza pensare si tolse la maglia nera e la strappò, avvolgendogliela attorno alla testa e rimettendogli di nuovo la maschera. Sentiva il capo farsi leggero, stordendolo come se quella botta l'avesse presa lui, ma Alec sapeva fin troppo bene che quelli erano i primi cenni che il suo corpo gli lanciava per informarlo che quella non era l'aria giusta da respirare.
Si rimise le bombole sulle spalle e poi prese in braccio il ragazzo, l'ossigeno doveva cominciar a far effetto perché vide le palpebre scure dell'altro fremere e socchiudersi, forse stava riprendendo i sensi.
<< Resisti, okay? Sono un vigile del fuoco, ti sto portando in salvo. Tu respira e stringi i denti.>>
Non sapeva se lo avesse sentito o meno, ma sperava vivamente che fosse svenuto di nuovo perché non voleva vedere il suo volto terrorizzato nel caso non ce l'avessero fatta.
Il fiato gli si fece sempre più corto, gli stava girando la testa per colpa di tutto quel monossido che stava inalando e anche per il calore cocente delle fiamme sulla pelle esposta.
Se fosse sopravvissuto avrebbe sempre messo una maglia a maniche lunghe sotto alla divisa e si sarebbe portato un qualche straccio di scorta per tamponare eventuali ferite. Sicuramente ne sarebbe uscito pieno di bruciature e neanche voleva immaginarsi le prese in giro dei fratelli, Jace doveva solo provarci a chiamarlo Freddy o DeathPool, lo avrebbe lanciato di peso tra le fiamme con quelle stesse mani che tante volte lo avevano ripreso al volo.

Le scale lanciarono un lamento sinistro, sentiva, più che vedere, la struttura gemere sotto la morsa delle fiamme così come sentiva la sua pelle ricoprirsi di brividi, il calore stava diventando così forse da sembrare una lama tagliente che gli pungolava l'epidermide senza fine, la cassa toracica tremava sotto lo sforzo dei polmoni di incamerare ossigeno senza posa, venendo ripagati con la sottile polvere che impregnava l'arai. Prender boccate di cenere e vapore incandescente gli stava facendo perdere i sensi ma Alec si ripeté che doveva farcela, era essenziale che riuscisse ad uscire di lì, che portasse quel ragazzo al sicuro e che si assicurasse che fosse sano e salvo.
Fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto.


 


 

A sentire i suoi colleghi e quelli di suo fratello, la sua entrata in scena, o uscita visto che si ritrovò a dover di nuovo sfondare una trave di legno a calci per venir fuori da quell'inferno, fu da Oscar.
Scese le scale che lo separavano dall'asfalto attorniato da fumo, fiamme e schizzi d'acqua provenienti dagli idranti che gli diedero un minimo di sollievo illusorio e passeggero sulla pelle cotta. Sul petto lucido di sudore le cinghie delle bombole mettevano particolarmente in mostra i suoi pettorali; i bicipiti contratti dallo sforzo di reggere il ragazzo avvolto nella sua pesante giacca, la testa fasciata alla ben e meglio con la t-short e la maschera piazzata sul viso.

L'espressione fiera anche se affaticata, il portamento da vero combattente, il casco che lasciava intravedere i capelli mediti di sudore, il volto sporco di fuliggine su cui brillavano gli occhi di un azzurro accecante. Alexander Lightwood, vigile del fuoco del dipartimento di New York City era l'eroe della giornata, che aveva affrontato le fiamme per salvare una vita innocente anche a costo di rimanere ferito.

Isabelle doveva avergli letto quel dannatissimo articolo di giornale almeno una ventina di volte e lo rileggeva a tutte le infermiere che si affacciavano per fare un saluto al giovane pompiere.
<< Senza contare, Alec, che a torso nudo, con il cappello e le bombole, tutto lucido, sudato e arrossato, sembravi uno spogliarellista. E non fare quella faccia, te lo dico io che sono tua sorella e dovrei essere immune al fascino dei tuoi muscoli, tutte le signore che vengono a farti visita concordano con me nel dire che sei proprio un gran- >>
<< Casco. Elmetto. Ci sono mille modi per chiamare quel coso che porto in testa per non farmela spaccare, perché devi ridurre tutto a “cappello”?>> aveva sospirato affranto interrompendola.
<< Fammi capire tesoro, di tutto quello che ha detto tu hai sentito solo quello?>>
Sdraiato sul letto affianco al suo se ne stava il ragazzo che aveva salvato dall'incendio.
Magnus, così si chiamava, se ne stava voltato su un fianco neanche fosse un antico romano su un triclino, Izzy gli dava le spalle solo per permettergli di leggere con lei i commenti sul suo giornale di gossip che aveva dedicato un intero paragrafo ai “pompieri” di NYC, nello specifico al sexy e bollente Occhi Blu che era venuto alla luce e mandato in tilt la popolazione femminile di mezzo mondo e non solo. Ad Alec quasi inquietava quanto il giovane e sua sorella fossero subito diventati amici, accomunati da una sintonia imbarazzante che lo aveva fatto interrogare sul fatto che forse potesse essere proprio quello strano individuo l'anima gemella di Isabelle.

 

<< Avrebbero dovuto menzionare anche te però, insomma, sexy il salvatore ma sexy anche il salvato!>>
<< Oh, grazie dolcezza, sei troppo buona con me!>>

Alexander sospirò stanco, lasciandosi cadere lentamente verso la marea di cuscini che fin troppe infermiere -e infermieri- premurose gli avevano sistemato dietro alla schiena, insistendo perché prestasse la massima attenzione per quel suo povero busto bruciato, lanciandogli sguardi lascivi.
Fortuna che aveva le bombole a schermarlo dalle lingue di fuoco.
Si passò una mano sul torace, la sensazione morbida ma ruvida al contempo delle garze che lo coprivano per intero - “<< Come una cazzo di mummia, bro!>>”- e allungò un braccio per prendere il suo libro e continuare a leggere.

Magnus alzò lo sguardo dalla rivista per posarlo sul giovane davanti a lui, la voce di Izzy che veniva registrata in separata sede dai suoi pensieri, tutti rivolti al suo “salvatore”, ora intento nella stessa azione in cui era impegnato quando aveva aperto gli occhi la prima volta dopo quella maledetta mattinata. Ritrovarsi nel letto vicino ad una sottospecie di adone bianco come la luna, con i capelli nerissimi e gli occhi di un blu accecante -si, le signore del Times avevano avuto ragione da vendere nello scriverlo- sarebbe potuto tranquillamente rientrare tra le diciotto motivazioni per cui era felice di essere confinato in una camera d'ospedale. I poliziotti che piantonavano la porta della suddetta camera, strappando a qualunque suo amico la voglia oltre che la possibilità di andarlo a trovare – e come dargli torto, chi era della sua cerchia che sarebbe spontaneamente entrato in un posto strapieno di polizia e vigili del fuoco? Lui no di certo, figurarsi gli altri!- , rendevano il tutto un po' meno magnifico ecco. Per sua fortuna quell'angelo al suo fianco aveva una bella e anche divertente sorella che gli portava il giornale e le riviste di gossip, ma il fatto di condividere la stanza solo perché il fratello dei due mori – lo aveva capito subito che era adottato quel Jaficente di un piedi piatti- non si fidava di lui, a sua detta aveva “una faccia poco raccomandabile”, lo innervosiva e basta.
In sunto, Magnus non aveva la più pallida idea se esser felice o profondamente incazzato per quella situazione.

Si grattò il petto senza pensarci troppo, quel gesto automatico che gli veniva fuori ogni volta che pensava o era nervoso, continuando a studiare il bel moro del tutto ignaro del suo sguardo.
Erano ben due settimane che erano “coinquilini ospedalieri”, come diceva lui, e aveva imparato abbastanza sul conto del pompiere da decidere che era proprio il suo tipo e che appena uscito di lì gli avrebbe chiesto un appuntamento, anche se aveva un padre e un fratello in polizia, e se non era amore quello!
Certo, a meno che il giovanotto non avesse già incontrato la sua anima gemella… eppure non vedeva nessuna sequenza di numeri sui suoi polsi o sulle braccia, quel poco che riusciva ad intravedere dalle bende almeno.

Riportò la sua completa attenzione su Isabelle quando questa tirò fuori l'ultimo numero di Elle, i suoi piani per abbordare e concupire il pompiere – dio come si divertiva a chiamarlo così, Alexander arrossiva sempre tantissimo quando si rendeva conto dello spiccato doppiosenso!- potevano attendere la presentazione della nuova collezione primaverile.


 


 

L'infermiera era appena uscita dalla camera assieme alla dottoressa, se per una vita intera Alec aveva preferito aver medici donne piuttosto che uomini, ora rimpiangeva seriamente la sua “sfacciata” fortuna. Magnus era chiuso in bagno da almeno mezz'ora, avevano dato il permesso alle dimissioni ad entrambi nello stesso giorno e a quanto pareva il ragazzo voleva-
<< Finalmente sono tornato al mio antico splendore!>>
Magnus spalancò la porta con far teatrale, con i capelli sparati verso l'alto e cosparsi di quello che Alec sperava fosse gel per capelli e non brillantini.
<< Ti senti meglio ora?>> chiese comunque gentilmente vedendo l'entusiasmo di quello che alla fine poteva chiamare amico, dopotutto aveva sopportato le visite dei suoi famigliari e amici, quindi era automaticamente apposto. Certo, se solo Jace avesse smesso di guardarlo come fosse un criminale- e si fosse degnato di spiegargli cosa c'era sotto senza costringerlo a giocare all'impiccato- la storia sarebbe tutta più semplice.

<< Mi stai ascoltando dolcezza?>>
Riportò l'attenzione su di lui arrossendo, quasi un mese e mezzo di convivenza forzata non lo avevano fatto ancora abituare a quegli improbabili soprannomi, però in fondo gli piacevano, gli sapevano di intimo. Arrossì ancor di più a quel suo pensiero, dandosi del completo idiota: un ragazzo bello, spiritoso e arguto come Magnus di certo doveva aver già incontrato la sua anima gemella.

<< Fiorellino, è davvero emozionante il modo in cui mi fissi con sguardo perso, ma non credo che questo sia il luogo giuso per quel genere di cose. Anche se, detto tra me e te, sono sempre stato un po' esibizionista!>> gli fece l'occhiolino e per un attimo Alec credette di essere tornato sul campo, nel mezzo di un incendio da spegnere.

<< Non stavo pensando a nulla di tutto ciò e non ti stavo fissando. >> rispose subito sulla difensiva, incrociando le braccia al petto e incassando la testa nelle spalle curve.
Maguns dal canto suo si lasciò sfuggire un verso infastidito, scrutandolo con occhio clinico.
<< Oh, scusa tanto tesoro, non volevo insinuare nulla, non vorrei mai che la tua anima gemella pensasse che fai pensieri sconci su un estraneo.>>

Fu il turno di Alec di fissarlo, senza capire: che diamine c'entrava la sua metà ora?
Focalizzò l'attenzione sul petto liscio e bronzeo del ragazzo, imitando il verso che gli aveva fatto poco prima, << E la tua invece? Non gli da fastidio che flirti con chiunque ti capiti sotto tiro?>> gli rispose piccato, una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco, come se qualcuno gli avesse appena sottratto e distrutto qualcosa di suo e di importante.

Maguns dal canto suo alzò le braccia al cielo, l'espressione beffarda e se solo lo avesse conosciuto un po' meglio, avrebbe detto arrabbiata.
<< Non ne ho la più pallida idea Alexander, non l'ho ancora trovata!>>
Oh, decisamente arrabbiata e anche...triste?
Ma non aveva senso, quello che diceva era falso, Alec poteva tranquillamente vederlo,
<< Ma se il tuo tatuaggio è a zero.>>

Tutti quei sentimenti strani a cui il moro cercava di dare un nome, un nome con una logica almeno, svanirono inghiottiti dalla confusione. Magnus abbassò lo sguardo sul suo petto, tra il cuore e la clavicola e si lasciò sfuggire un grido sorpreso quando vide quelle sei cifre tutte concordi tra loro sulla stessa risposta: “00 00 00”.
La mano tremante sfiorò i numeri neri e ormai fermi, i minuti non scorrevano più e con loro neanche più le ore, che si sottraevano pigre ai giorni che gli marchiavano il torace. Sbigottito il ragazzo avanzò con passo malfermo fino a giungere al letto e lasciarvisi cadere sopra. Contemplò quei segni come se fossero la cosa più bella del mondo e controllò l'orologio per vedere se allo scattare di un altro minuto i numeri non si sarebbero rimessi in moto.
Ma nulla. Il suo timer era fermo.

Alzando lo sguardo Magnus deglutì a vuoto, con la mano ancora pressata sul pettorale lo guardava con gli occhi sgranati senza riuscire a proferir parola.

In quel momento Alec lo invidiò tantissimo: dunque era quella la sensazione che si provava quando si raggiungeva la fine del conto? Quando si trovava quell'anima che era gemella alla tua e che la completava in tutto? La gelosia gli colò silenziosa nelle vene, montando una rabbia sorda che non credeva di possedere sino a quando non si rese conto che questa era dovuta non tanto alla realizzazione che un'ennesima persona a questo mondo aveva trovato chi l'avrebbe amata più della sua stessa vita, ma che quella persona era Magnus.
La sconcertante realizzazione che l'unica persona con cui Magnus aveva interagito e che lui sapeva per certo non aver ancora trovato la sua anima gemella, fosse sua sorella Izzy gli spense il fuoco che gli si era acceso nel petto, lasciandolo debole e sconfitto.
No, non poteva succedere di nuovo, non poteva sopportare di vedere una persona per cui aveva una cotta -perché era ovvio che gli piacesse Magnus- trovare l'amore in qualcuno che non era lui. Non ce la poteva fare. Non aveva un cuore abbastanza forte… forse non lo era perché qualcuno l'aveva bucato con un ago affilato quando gli aveva tatuato sopra quelle cifre.

Rimasero in silenzio, uno shockato e l'altro semplicemente svuotato di ogni energia, gli occhi blu di Alec fissi sulla sottile linea nera sotto la clavicola di Magnus, senza sapere cosa fare. Ci si congratulava con il fortunato in quei casi? Beh, lui non lo avrebbe fatto, nossignore, poteva essere poco maturo, poteva essere decisamente infantile e scorretto e Magnus aveva quell'espressione persa e lui nessun diritto di rovinargli il momento più bello della sua vita, dopotutto non li legava che uno stupido incendio ed una camera d'ospedale.

<< Congratulazioni. >> lo soffiò fuori piano come se fosse un segreto, come se dirlo ad alta voce gli avrebbe fatto male e forse era davvero così.
Gli occhi da gatto di Magnus tornarono a fuoco al suono della sua voce, batté le palpebre truccate e lo fissò come se lo vedesse per la prima volta.

<< Non so quando sia successo… non so chi sia, potrebbe essersene andato e io non l'ho visto, potrebbe essere stato al loft e io ero svenuto, magari era il paramedico e io- >> tentennò quasi spaventato, lo sguardo smarrito di chi non sa cosa fare e per Alec fu naturale alzarsi dal letto ed inginocchiarsi davanti a lui prendendogli le mani e stringendole gentilmente,
<< Ehi, non ti preoccupare, okay? Lo troveremo, o la troveremo, basterà chiedere i nomi dei paramedici e delle infermiere, sono abbastanza sicuro che tutti i dottori che ci hanno visitato avessero la fede, quindi li escluderei. E poi posso chiedere a Jace se a qualche suo collega si è azzerato il timer. Di certo non è uno dei miei, io ero l'unico quella mattina ad aver ancora del tempo.>> proferì quel fiume di parole che non era per nulla da lui, ma lo voleva rassicurare, fargli sapere che lui lo avrebbe aiutato con tutti i mezzi a sua disposizione, che ci sarebbe stato, forse per puro egoismo, per godere ancora di quella stella impazzita che gli aveva illuminato quelle grigie settimane di ospedale, ma questo non era necessario che Magnus lo sapesse.

La sua espressione parve perdersi nei meandri di chissà quale ricordo, magari sforzandosi di ripescare volti e voci delle persone che aveva incontrato, finché non sgranò gli occhi, il flash di un'immagine marchiata a fuoco nelle retine come il tatuaggio sulla sua pelle.
Si bloccò e lo fissò ancora e ad Alec gli ci volle un poco per rendersi conto che fissava il suo torace, trapassandogli la carne con le iridi gialle e puntando dritto al suo cuore.

Un brivido di terrore gli carezzò la schiena, facendolo irrigidire e portandolo ad abbassare lentamente gli occhi dai suoi, sfiorando il naso e gli zigomi alti, le labbra carnose lucide, il mento aristocratico, il collo fine ed elegante e le spalle leggermente incurvate dal peso della realizzazione appena fatta, per fermarsi sulle clavicole sporgenti e sulla fila di zeri impressi poco sotto. Deglutì e si fece coraggio per scivolare sulle braccia del giovane, sulle mani stette nelle sue, risalendo poi i propri arti bianchi segnati da qualche cicatrice vecchia e dai segni che gli aveva regalato quell'ultimo falò. Vide senza vedere i pantaloni della tuta neri e realizzò solo in quel momento che dopo l'uscita della dottoressa che gli aveva tolto i bendaggi non si era rivestito. La pancia piatta e candida era colorata da macchie rosate delle bruciature più grandi, fiori dai petali arricciati e pistilli come lingue di fuoco, ma il pezzo forte, che spiccava sopra tutti, era la fine linea nera disegnata sul suo cuore.

Un verso strozzato lasciò le sue labbra screpolate, strinse più forte le mani di Magnus solo per assicurarsi di non cadere, non del tutto convinto della stabilità delle sue caviglie su cui poggiava tutto il peso del suo corpo.

Il fuoco aveva divorato il tempo, salendo le scale e correndo dietro alla fine scalino dopo scalino, seguendo la marcia dei piedi di Alec verso il loft incandescente.
Ogni passo tra quelle mura di fiamme era stato un giorno passato, bruciando l'ordine e accelerando i loro battiti. E ad Alec era mancato il respiro allora, come se il tempo gli stesse scivolando dalle mani e aveva capito che la sua salvezza sarebbe stata a rischio sia entrando in quell'appartamento che lasciando chi vi era dentro al suo destino.
Non gli sarebbe importato meno di niente che Magnus era un piromane in lotta contro un nemico storico, così come sarebbe stato inutile ricercare tutti gli incendi provocati dal primo in cui Alexander aveva rischiato la vita e spiegare ai suoi parenti che sì, Magnus era un criminale ma no, questa volta non c'entrava, lui era pulito, metaforicamente parlando.
Non sarebbe interessato a nessuno di loro, per nessun motivo.

Magnus ricordava il caldo soffocante ed il fumo asfissiante, ricordava il rumore di passi pesanti e sicuri che gli si avvicinavano tra le fiamme, ricordava un'improvvisa boccata d'aria mentre il suo sangue scorreva troppo veloce nelle vene dilatate dal calore come i numeri sulla sua sua clavicola; ricordava un giaccone pesante ed una piacevole costrizione alla testa, lì doveva aveva sbattuto per colpa dell'esplosione. Ricordava la sensazione delle palpebre pesanti che vibravano di debolezza, quando il suo unico pensiero era stato di non poter morire con l'immagine del suo amato fuoco che lo tradiva ma che preferiva di gran lunga vedere il volto di chi aveva attraversato l'inferno per salvarlo dalla sua stessa droga. Ricordava di non aver avuto abbastanza forze per alzare la testa e che mentre la voce sicura e affannata di un angelo, dolce e melodiosa nella sua fermezza, gli diceva di non mollare, si era ritrovato a fissare il torace ampio e bianco dell'uomo, una macchia candida in tutto quel rosso e fuliggine che era l'incendio, sporcata solo da una linea nera fluida e viva che mutava se stessa ad una velocità disarmante, sino a stabilizzarsi su sei puntini sfocati.

Alec sentii quei famosi rami fiorire e forse non avrebbero mai dato frutti, ma ora sapeva con certezza che ne era valsa la pena di allungare le mani tra i rovi e lasciarsi graffiare per tutti quegli anni. Ora che un rumore secco, come di un osso che scrocchia, gli si era diffuso nel petto, dicendogli che sì, lo ha trovato, era quello il senso di smarrimento e stupore che aveva segnato il volto di Magnus prima e che ora segnava il suo, mentre il ragazzo sorrise come se gli avessero fatto il dono più bello e lasciò le sue mani per prendergli il volto e baciarlo con trasporto, tirandolo a sé.


 

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Salve, questa storia nata quasi due anni fa è stata un po’ un punto di svolta.
Il prompt è stato gentilmente offerto da fanwriter.it e dal suo generatore di prompt sul “soulmate”.
Questa è un po’ la base che ha ispirato la prima long che ho scritto su Shadowhuner, dove si contrapponevano ancora un Alec dalla parte del bene ed un Magnus da quella del male, una versione “umana” dell’eterna lotta tra Cacciatori e Nascosti.
Rilegare però Alec solo nell’ambio delle competenze dei vigili del fuoco e Magnus solo a “semplice” piromane, non dava la possibilità di espandere troppo questo universo, non sarebbe stato credibile dal mio punto di vista.
Quello che ne è seguito è “Una pista che scotta”, tutte le OS dedicate ed il seguito della storia, creando una saga ampia e ramificata che non avevo previsto.
L’aiuto di un altro fortuito prompt, che proponeva un thriller ed una citazione su quanto facesse caldo, mi ha dato l’opportunità di mettermi alla prova con una storia lunga che ha riscosso un successo che, sinceramente, non mi aspettavo.
Tutto ciò per dirvi che la mia prima saga, quella che in molti hanno conosciuto e amato, è nata da un vigile del fuoco rassegnato, un timer mal posto ed un piromane fin troppo sicuro di sé.
Grazie a tutti coloro che hanno seguito la storia definitiva e anche a chi si è preso un attimo per leggere quella “originale”.

Yo!
TCotD.


 

   
 
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