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Autore: Pendragon_97    04/09/2018    2 recensioni
Nulla più della battaglia di Angmar ebbe il potere di segnare la storia del Reame Boscoso. Tutti ne conosciamo l'esito, tutti abbiamo la facoltà di immaginarla nella sua più vivida crudezza.
Ma cosa cambierebbe se le stesse vicende fossero presentate in prima persona secondo i punti di vista di Legolas e Thranduil?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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THRANDUIL

La battaglia nel Regno di Angmar era finita da poco tempo.
Gli elfi erano riusciti a cacciare il male dalle loro lande, combattendolo direttamente alla fonte.
Tra questi c'era Thranduil, il loro Re, che aveva combattuto valorosamente.
In quel momento stava cercando il piccolo Legolas, a passi veloci perlustrava il campo di battaglia disseminato di orchi e di Númenóreani Neri, morti.
Lo sguardo del Re era deturpato da tale orrore. Un quinto dell'esercito con cui era partito stava arrancando, per riprendere le forze. Il resto si perdeva tra i cadaveri.
Il campo era irrorato di sangue: rosso e nero, raccolto in piccole pozze o sparso.
Il cielo presto avrebbe pianto con loro, perché l'acqua purificatrice era forse l'unica soluzione per lavare via tutto quel male, quel dolore.
Avevano vinto, ma a caro prezzo, ed il Re degli Elfi se ne sarebbe reso conto in seguito.
«Legolas!» gridava, cercando di farsi sentire, anche se ormai non aveva più voce.
Doveva trovarlo, aveva promesso alla sua sposa che il piccolo sarebbe tornato a casa incolume, assieme a loro. Ma non aveva di certo potuto prevedere l'indescrivibile portata degli orrori di Angmar.
Dopo ore di ricerca, si sedette su un masso, controvoglia, obbligato dalla stanchezza incombente. I suoi piedi si erano fatti sempre più pesanti e meno inclini a dargli ascolto.
Un raggio di luce filtrò tra le nuvole, facendo brillare la sua armatura argentea. Sarebbe stata la migliore rappresentazione della perfezione elfica in battaglia, se non fosse stata ammaccata ed insanguinata. Il suo mantello era imbevuto di sangue nemico, e strappato per metà della sua lunghezza, ridotto ad uno straccio rovinato che pendeva dalle spalle del condottiero.
Chiuse gli occhi, cercando di alzarsi. La ferita alla gamba gli faceva male, ma doveva trovare il suo bambino. Il loro figlio.
Si girò dall'altro lato del masso su cui era stato seduto, per trovare la forza ma le pupille si ridussero a due fessure molto piccole, e sentì il sangue gelare quando il suo sguardo si posò ad un metro dal masso.
Ciò che vide fu la sua rovina. Accartocciato come una foglia autunnale, là giaceva il corpo della sua Regina. La pelle cerea di lei era ricoperta di tagli e graffi, un orrendo squarcio si apriva nell'armatura, in corrispondenza del cuore. Lo sguardo che un tempo era stato il più dolce, l'unico in grado di sciogliergli il cuore, ora glielo raggelava: le pupille perse nel vuoto, l'ombra dell'ultimo grido sulle labbra.
Corse da lei, cadendo in ginocchio. Delle lacrime scivolavano lungo la tempia, ormai asciutte. Si erano mescolate con il sangue, lungo la folta chioma e fino a terra.
Thranduil fu travolto dalla disperazione, tanto che non riuscì a pensare a niente di logico e razionale. Vicino a lei c'era un imponente orco, ed il pugnale della regina incastrato nel suo collo. Il corpo del nemico era più martoriato di quello di lei, tagli profondi emergevano sulla pelle grigio-nera, per terra c'erano spruzzi color pece che andavano unendosi alle scie del sangue puro della donna.
Aveva combattuto bene, ma a quale prezzo?
In quel momento Thranduil realizzò che affrontare l'immortalità da solo era stata la punizione per aver portato in battaglia anche la sua famiglia. Abbracciò forte il cadavere pallido. Anche da morta la sua bellezza risplendeva nel vuoto della desolazione. Il respiro dell'elfo si stava rompendo dai singhiozzi bloccati in gola. Un dolore che non riuscì più a trattenere. Gridò il nome della sua signora, e fu un grido tagliente e devastante, tanto che dalla bocca gli uscirono molti rivoli di sangue. Perse la voce, ma a che gli serviva se non poteva più accarezzarla con dolci parole al mattino? La prese in braccio, alzandosi molto faticosamente e la portò verso un luogo più asciutto, raccolse della legna per fare una pira, perché nessuna bara avrebbe osato nascondere la sua bellezza alla luce del sole, il Re degli Elfi avrebbe preferito spargerla per il mondo sotto forma di cenere argentea perché tutti godessero della sua impercettibile perfezione.
Distese il corpo di lei sulla piccola catasta di legna, gli tremavano le braccia. Non aveva la forza di farlo, di lasciare che il suo amore bruciasse. Quando accese il fuoco chiuse gli occhi, e li tenne chiusi finché esso iniziò a bruciare. Le lacrime trattenute troppo a lungo iniziavano a scorrere lungo il suo regale viso come fiumi in piena. Una piena di dolore, che accompagnava una leggera pioggerella.
Le gocce d'acqua, che cadendo dal cielo piangevano su tutti i morti, come il figlio di Oropher piangeva sulla sua amata.
In quel dolore delirante gli venne in mente la promessa, doveva trovare Legolas. Mentre il fuoco finiva di ardere, e combatteva per non farsi spegnere dalla pioggia, Thranduil iniziò a correre. Ferite o no, doveva trovare il bambino, anche a costo di passare l'intera esistenza a cercarlo.
Non aveva più la forza di parlare. Dentro di sé qualcosa si ruppe. Dentro di sé nere nuvole si stavano addensando, ed il sole piano piano stava diventando di ghiaccio.
Là dove il fuoco aveva bruciato ogni traccia della regina di Boscoverde il Grande, rimasero solo i gioielli della luce pallida, stellare, che ella aveva indossato. Erano stati il dono di nozze.
 

LEGOLAS

Dense nuvole color della notte oscuravano quel dì la tetra fortezza di Angmar, teatro dell'imminente scontro tra Elfi ed Orchi. Mai il sole osò fare capolino tra di esse, tanto era grande la crudeltà che per sempre sarebbe stata associata al ricordo di cotale scontro.
Interamente ricoperti di metallo, impugnando lunghi bastoni di ferro fu come Legolas vide per l'ultima volta i propri genitori prima di rimanere solo, circondato da un taciturno drappello d'uomini, in una grande tenda color dell'estate. Sarebbero tornati. Insieme, così come erano partiti, mamma e papà sarebbero tornati da lui. Questa fu l'unica promessa -nonché il solo pensiero- che in quelle lunghe ore d'assedio scaldò il cuore del piccolo Legolas.
Come poteva un bambino comprendere che là fuori, ad ogni secondo che trascorreva, i propri genitori rischiavano di morire? Come poteva un infante capire per quali nobili motivi un simile spreco di vite era tollerato? La guerra era indispensabile alla sopravvivenza di un popolo, il solo strumento -forse il più immediato- per dimostrare la potenza -o la follia- di un sovrano. Con parole povere, spoglie dell'antico orgoglio di regnante, Thranduil spiegò al figlioletto per quale motivo si fossero spinti tanto lontano dalla quieta foresta e dai vivaci ruscelli che la attraversavano. Eppure, sebbene il monologo del padre potesse sembrare per certi versi incoraggiante, Legolas non comprese, né osò domandarlo, perché molti degli uomini che quel mattino vide non sarebbero più tornati.
Freddo era lo sguardo del sovrano, teso e preoccupato come raramente gli era dato vederlo. La stessa genitrice, calda e materna, aveva tentato di risollevare lo spirito del consorte poco prima di partire, insieme, per quel loro ultimo viaggio.
Fu con quell'immagine nella mente, dei due genitori stretti l'uno all'altra, che Legolas alzò i propri occhi color del cielo verso l'entrata della tenda quand'essa improvvisamente si spalancò.
Grugniti, sbuffi, ruggiti accompagnarono la marcia di quelle strane belve che al posto del suo papà erano giunte nel loro rifugio. Grosse anelle di metallo portavano lungo il perimetro di quelle che un tempo dovevano essere state delle orecchie e una fila di denti gialli, storti e sbilenchi, si aprivano in quel volto totalmente nero così come il resto del corpo. Del loro tanfo prestò s'impregnò l'intero accampamento tanto che Legolas -impressionato da una tale visione- si costrinse a fuggire. Oltre la tenda, superando le postazioni elfiche oramai prese d'assedio dal nemico, il piccolo elfo corse per miglia e miglia senza mai trovare il coraggio di arrestarsi. Doveva trovare il suo papà, soltanto lui lo avrebbe salvato da un simile orrore.

«Nana! Ada!»
[Mamma! Papà!]

Gridava a pieni polmoni, scavalcando e pestando distese di cadaveri d'Elfi ed Orchi ammassati a terra in modo convulso. Nulla. Di Thranduil alcuna traccia egli trovò nel raggio di miglia e miglia. Era solo, completamente solo dopo la sua fuga dall'accampamento in cui aveva promesso di restare. Forse era là ch'erano tornati i due regnanti per salvare il loro bambino, combattendo fianco a fianco. O forse, essi non erano che una singola massa di corpi informi, magari una di quelle che Legolas aveva pestato in preda al panico.
Esausto infine si fermò, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato. In petto i polmoni ardevano, così come i muscoli lungo tutte le gambe. Per quanto aveva corso? Dove lo aveva condotto la paura? In quale luogo si era perduto? Con le lacrime agli occhi, esasperato, egli si lasciò cadere a terra, non troppo lontano da un altro Elfo del cui sangue la terra tutt'intorto era inzuppata.

«Ada! Ada!»
[Papà! Papà!]

Chiamò ancora, sempre più piano, affievolendosi ad ogni nuovo grido. Non sarebbe mai più tornato a casa, presto l'oscurità lo avrebbe avvolto e con essa, la morte avrebbe posto fine alle sue sofferenze.
Ma Legolas non poteva ancora sapere che mai, durante una battaglia, v'era il tempo per disperare. Perché, anche se sconfitto, il nemico sempre continuava a rappresentare una minaccia. Questo egli imparò quel dì quando, tra un singhiozzo e l'altro, udì un grugnito spezzare il silenzio di quell'infinita landa punteggiata di cadaveri. Pietrificato dalla paura, Legolas non trovò la forza di fuggire fino a quando una mano, tetra come gli sguardi vuoti di quei corpi senza vita, non si posò sulla sua spalla.
Fu allora che scappò, sfuggendo alla nera lama portatrice di morte.

«Ada! Ada! Ada!»
[Papà! Papà! Papà!]

Riprese a gridare, questa volta più forte a causa della minaccia che non pareva intenzionata ad arrendersi.
Un denso fumo grigio spezzò la continuità dell'orizzonte qualche miglio a Nord. Forse gli Elfi stavano tenendo un banchetto per festeggiare la vittoria! O forse era il nemico a brindare sopra i cadaveri dei suoi genitori...
Con le lacrime agli occhi che, per lo sforzo, gli impedivano di vedere nitidamente dinanzi a sé, Legolas corse per diversi minuti verso quell'unico punto che nel silenzio della radura pareva possedere vita. E fu là che notò una figura, alta e argentata, avvolta in un panno un tempo color porpora. Possibile che fosse il suo papà? Possibile che finalmente lo avesse trovato?!
Avvertendo il fiato dell'Orco avvicinarsi improvvisamente alle proprie spalle, Legolas scattò nuovamente verso la salvezza ma le sue giovani gambe, non abituate ad un simile sforzo, crollarono sfinite.
Rovinosamente egli cadde a terra, sbucciandosi entrambe le ginocchia e gran parte del volto. Fu la sua fortuna giacché l'Orco, invaghito dell'odore d'un sangue tanto giovane e fresco, subito si chinò verso le rocce di cui si erano macchiate, permettendo a Legolas di gattonare verso le gambe del genitore che pareva averlo riconosciuto.

«Ada, aiutami…»

Lo implorò, strisciando oltre la fiera figura ricoperta d'argento del Re degli Elfi.

 
   
 
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