L'ultima
notte d'estate
"Willkommen,
o silbernen Mond,
Schöner,
stiller Gefährt der Nacht!
Du
entfliehst? Eile nicht, bleib, Gendankenfreund!
Sehet,
er bleibt, das Gewölk wallet nur hin.
Das
Mayes Erwachen ist nur
Schöner
noch, wie die Sommernacht,
Wenn
ihm Thau, hell wie Licht, aus der Locke träuft,
Und
zu dem Hügel herauf röthlich er kömt."
– Friedrich Gottlieb
Klopstock –
Gellert
era dorato e forte, come la giunchiglia; biondo, abbondante,
messe di campi
pingui, giù sul Continente; ampio e selvaggio, una steppa
ventosa. I baci di
Gellert ferivano come il freddo d'inverno; aveva un cuore più oscuro della notte
nella Foresta Nera – ed
Albus lo sapeva.
"È
quasi mattina", Gellert mormorava sulla pelle di Albus, sulla
sua gola
liscia, palpitante, sul petto che si sollevava col sole che
sorgeva.
"Mi
mancherai", Albus confessava colla luna calante, mentre i
pianeti
assumevano assetti misteriosi, allineamenti asimmetrici, cerchi
segreti come
quelli che Gellert tracciava sul suo cuore.
Ma
per entrambi non era abbastanza.