Un uomo biondo si volta. La guarda, gli occhi azzurri decisi.
“Il prossimo Comandante sarai tu, Hanji Zoe.”
Stringe dei fogli tra le mani. Ancora non lo sa, ma sente qualcosa scivolare lentamente sulle sue spalle.
                       
Una mano decisa si poggia sulla sua schiena. Spinge. È la fine. Un buco scuro e luce attorno. In ogni caso è la fine. Lo legge negli occhi nocciola disperati. E poi più niente.
 
Un paio di occhiali tondi. Corpi mutilati, poltiglia dove prima c’erano uomini e donne.
Gli zoccoli dei cavalli. Le urla. La pioggia di pietre. Non era lì, ma la sentiva. Sentiva la puzza della disperazione.
 
Un profilo pallido, capelli corvini e lo sguardo annacquato.
“Non possiamo lasciarlo riposare?”
Lo stesso uomo biondo. Squarciato, gli occhi vitrei. È già a riposo.
Spalle incurvate. Il peso è scivolato tutto addosso e pende verticale.
 
Un paio di libri, una porta verso l’oceano.
Acqua fresca, si muove tranquilla, si scontra sulla sabbia molle.
È velenosa?
No, ma non fa nemmeno bene. E oltre le onde calme…
 
La libertà?
 
Occhi verdi, selvaggi.
“Non c’è un altro modo?”
Le mani strette attorno al colletto, alito che si infrange contro il suo volto, rabbia che scalpita contro le sbarre.
“Erwin, è stato il tuo unico errore.”
 
La libertà? No.
 
Una catena al collo fatta di un laccio di cuoio e una pietra verde. Ali incise nel medaglione.
Sbarre alle finestre. Assi di legno sotto i piedi.
“Che stanchezza.”
Ma non è ancora ora di riposare.