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Autore: kurojulia_    24/09/2018    0 recensioni
Takeshi era un guerriero. Un distruttore senza patria e senza scrupoli. Quelle sillabe... quel nome le apparve a dimensioni piccole piccole nella sua testa, fra tantissimi altri scritti più grandi, in modo quasi ingombrante.
Eppure, anche se era così minuscolo, era il primo che gli occhi della sua mente leggevano all'istante – fulgido.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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18.




«Yuki-chan?».

L'albina continuò a salire lentamente le scale, un gradino dopo l'altro.
Era stanca morta. Tutto quel sole e il pellegrinaggio per Kyoto le avevano risucchiato le energie. Aveva tutta l'intenzione di sdraiarsi su un letto e non alzarsi per un po'... almeno fino a notte fonda, quando sarebbe uscita di nuovo, insieme a Tetsuya.

Era così distratta e assorbita dalla spossatezza da non sentire la voce dell'amica.

«Ehy, non mi ignorare!». Yuki fermò un piede a mezz'aria, tentennando. Qualcuno la stava chiamando – si girò, appoggiandosi al corrimano per non perdere l'equilibrio: Sayumi era dietro di lei, appena qualche scalino, con la fronte aggrottata. Stringeva l'orlo della gonna come un salvagente – era nervosa? La vide raggiungerla, fino a che non si trovarono faccia a faccia. «Volevo... », s'interruppe, sospirando. «Volevo parlare con te».

Al suo contrario, la mezzosangue aveva una calma zen invidiabile. «Ti ascolto».

Sayumi sospirò. «Ecco, beh... Capisco di essere stata esagerata, prima. Brusca. Non voglio dirti che mi dispiace perché, se devo dirla tutta, non è così. Ho usato le parole sbagliate e mi sono arrabbiata quando potevo parlartene con calma, ma il concetto è sempre lo stesso. Mi pesa, questa cosa. Fa sembrare la nostra amicizia... una messinscena».

«Hai finito?».

«Ehm, s-sì».

«Tu vuoi che io ti parli di ciò che succede. Vuoi che io mi confidi con te. Ma ti rendi conto che questo vuol dire mettere in pericolo la tua vita? Mi stai chiedendo di farti correre rischi, anche se non voglio, anche se odio l'idea». Il suo tono era troppo freddo. Non era così che avrebbe voluto risponderle. «Eppure, sin dall'inizio... tu sei stata in grado di capirmi senza che ti rivelassi chissà che cosa».

 

Sayumi sapeva che non poteva darle torto, almeno in parte. Certo, ricordava il loro incontro, la loro reciproca simpatia, l'intesa che avevano stabilito fin da subito. Si erano capite ed incastrate come amanti.
Adesso sembrava così impossibile.

Vide l'amica passarsi la mano dal punto fra le sopracciglia fino alla radice dei capelli, scuotendo piano la testa. A guardarla meglio, sembrava stremata. «... va tutto bene?», sussurrò Sayumi, scrutandola di sottecchi.
Yuki guardò di lato, lasciando scivolare il braccio lungo il fianco, meccanica come un automa. Beh, no, non andava affatto bene. Ma poteva raccontarle quella storia senza che l'amica cercasse di ficcare il naso? Ma d'altro canto, Sayumi non poteva continuare a capirla solo con l'intuito o l'esperienza. Aveva bisogno che lei esprimesse a parole i suoi stati d'animo.

«Una ragazza», esordì a quel punto. «Ho conosciuto una ragazza ieri sera e stamani, quando l'ho rivista, io e Tetsuya abbiamo capito che è in realtà un demone. Solo che lei non lo sapeva».

 

Quella rampa di scale era vuota. L'unico suono era il lontano scalpitare dei camerieri mentre facevano su e giù, avanti e indietro. C'era anche il suono di posate e piatti di ceramica, forse qualcuno stava pranzando. Tintinni di bicchieri e passi veloci.

Sotto i suoi piedi, i gradini di legno scricchiolarono sinistri. «Sono preoccupata per lei. Non so dov'è, come sta... beh, sicuramente starà da cani».

«Capisco», rispose Sayumi abbassando appena le palpebre. Ci fu un attimo di silenzio in cui anche i rumori più lontani tacquero. «Cosa pensi di fare con lei? Devi... ».

«Devo aiutarla. Su questo non ci piove. Stanotte andremo a cercarla e le parleremo. Ecco tutto».

 

Avrebbe voluto aggiungere, acidamente, col tono di chi era stufo marcio, “sei contenta adesso?”, ma le si erano incollate le labbra. Si era sentita così tesa e a disagio a parlarne, ma probabilmente... era lei quella strana – che stava sbagliando.
Le diede le spalle, con l'ombra del pentimento in viso. «Vado in stanza», disse, per poi sparire per le scale.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Alle 23.43, Yuki fu svegliata dal suono di un sassolino contro la finestra.

 

Dopo pranzo – nel tardo pomeriggio – si era addormentata per racimolare un po' di forze, ma non credeva che si sarebbe svegliata così tardi. Quando si risvegliò, i suoi occhi videro il buio della notte, storditi dal risveglio improvviso. Nel futon accanto, Sayumi dormiva. Sollevò la schiena e si guardò intorno, come se non riconoscesse la stanza in cui si trovava, dove aveva appena dormito per ore. Provava una strana... sensazione. Si voltò lentamente, ancora un po' intontita dal risveglio, e si girò in direzione della finestra – alle loro spalle.
Ma certo, era Tetsuya, che sicuramente pregustava il rimprovero che le avrebbe fatto per aver dormito così tanto.
L'albina si mise quindi in piedi, stirandosi in fretta la gonna della divisa – non si era nemmeno cambiata d'abito, era letteralmente svenuta – e andò alla finestra, aprendola.

Alle sue spalle, un mugolio. Sayumi si era svegliata, borbottando confusamente. Sollevò la testa dal cuscino, scorgendo con la coda dell'occhio l'amica albina salire sul davanzale del balcone, vestita della divisa e con gli stivali ai piedi. «Che diamine stai facendo... ?», riuscì a biascicare.

Ma Yuki non rispose. Il piede e le mani sul davanzale, sembrava sul punto di spiccare un balzo – sembrava, perché era rimasta pietrificata. Allora Sayumi si mise a sedere, con aria preoccupata. «Ehy, che ti pre-».
All'improvviso, come un gatto spaventato, la mezzosangue si buttò di sotto. Sayumi saltò dal letto e corse verso il balcone, quasi inciampando, facendo in tempo a vederla atterrare sull'asfalto come se avesse appena superato un metro o due. Le era venuto un infarto.
Ma c'era qualcuno lì, oltre all'amica, e non sembrava proprio per niente il vampiro dai capelli biondi – era molto più bassa e aveva una figura femminile; portava un capello con visiera arancione e stava in piedi con le mani nelle tasche della sua felpa, spostando il peso da una gamba all'altra. Sembrava in attesa?

Sayumi si spostò dalla finestra, sedendosi sul futon, con un brutto presentimento addosso. Forse era quella Makoto di cui aveva parlato. Allora non doveva essere un problema.

 


«Makoto!!», urlò Yuki.

 

Makoto sollevò la testa.
Ah, eccola, l'aveva davvero raggiunta. Non ci aveva sperato molto. La ragazza aveva fatto qualche passo verso di lei, attraversando una manciata di asfalto.

«Makoto... finalmente. Ti fai desiderare, eh?». L'albina si passò la mano fra i capelli, scostandoli dalla fronte, respirando. Era così felice di vederla! «Allora, stai... », si fermò un attimo, titubante. «Stai bene?».

 

Stava bene?

Le era stata fatta una domanda semplice. Doveva dirle sinceramente come stava. Sentiva dolore? Sentiva gioia? Cosa accidenti sentiva? A questo punto, ogni sua sensazione avrebbe potuto essere una stupida farsa, ogni suo ricordo da essere umana era sparito nell'istante in cui aveva conosciuto Yuki Akawa. Ah... era colpa sua, evidentemente. Lei avrebbe potuto continuare la sua vita da ragazza qualunque, continuando a guardarsi allo specchio e a infondersi coraggio.
Avrebbe tanto voluto.

Makoto fissava Yuki con occhi duri, senza quella luce che animava il suo sguardo. «Come faccio a sapere che sono davvero... », la sua voce era trattenuta da una corda. «... un mostro? E tu come fai a saperlo?».

«Makoto, non sei un mostro. Sei tu che decidi come comportarti e che ruolo avere come... come un demone, è così per ognuno di noi», ribatté l'altra. «Io stessa sono per metà demone, per questo lo so».

«Ah», fece Makoto.

 

Sì, la cosa aveva un senso. E lei poteva ancora decidere. Non doveva essere per forza disumana, poteva ancora conservare qualche frammento della vecchia e buona Makoto.
Non doveva per forza mangiare le persone. Lacerare le carni altrui con le unghie e i denti, accarezzare con l'acquolina in bocca le pelle morbida, tenera... noLei voleva fare l'attrice. Partecipare a quegli spettacoli. Non era una bestia – un demone.

«Makoto», la voce di Yuki era lontana alle sue orecchie. «c'è una cosa che devi sapere».

L'altra la guardò, turbata. Leggeva nel suo sguardo che avrebbe preferito tagliarsi la lingua piuttosto che continuare a fare quel discorso.

«I demoni. Ognuno di loro nasce con una dote e questa viene chiamata “potere” o “abilità”. Sono potenti, enormi, e qualche volta ti aiutano in brutte situazioni, ma tu... devi promettermi che se imparerai a padroneggiarli, non li userai. Mai».

«Perché?», chiese, secca.

«Perché i poteri di un demone, se usati per un tempo continuato, finiscono per privarti della... sanità mentale. Finiresti per impazzire».

 

Razionalità.

Perdere il privilegio di poter pensare e arrivare ad una conclusione. La logica.

Dentro di lei, questi concetti rimbalzavano e producevano echi distanti. Conosceva il loro significato, non aveva nemmeno bisogno di cercarli sul dizionario, eppure... non capiva a cosa servisse. 
I suoi occhi brillavano, guizzavano da un punto all'altro. «Perdere la razionalità», mormorò. «Perdere. Perdere tutto. Il lume della ragione. Impazzire. Razionalità».

 

«No». Con uno scatto, le mani della mezzosangue afferrarono il viso di Makoto dalle guance, costringendola a guardarla dritta nelle pupille affilate. «Makoto. Smettila, basta. Devi stare calma. Hai tempo, è ancora presto. Andrà tutto bene, devi solo fidarti di me, vabbene? Se mi darai retta, se mi ascolterai, non sentirai nessuna differenza da prima, come se non fosse successo niente... Makoto? Mi stai ascolt-».

«AAAAAAAHHH!!». La testa di Makoto fece uno scatto repentino e i suoi denti agguantarono la mano sinistra dell'albina. Il sangue di quest'ultima schizzò dalla bocca di Makoto, imbrattando i canini e gli incisivi, il naso, gli zigomi, i capelli.

«AH--». Yuki alzò la gamba sinistra, sferrandola verso Makoto mentre le stava masticando la mano – quest'ultima fece un balzo indietro schivando il calcio laterale. Il sangue colava copioso dal suo mento mentre ci passava la lingua. Non ricordava che il sangue avesse un così buon sapore.
Aprì la bocca, avvolgendo l'indice per recuperare il sangue che le era sfuggito, e fece lo stesso con il medio e l'anulare. Poi si fermò, parzialmente sazia.

«Sai, io non penso proprio che esiste», disse lentamente. «Quella cosa. La razionalità». La sua voce era instabile. Picchi e ricadute continue. Il tono era sdoppiato. «La notte faccio dei sogni. Sogno che tutto si distrugge. Un vento strano distrugge la mia camera. E poi... e poi... ». Di nuovo, sembrò spegnere i suoi movimenti. La sua espressione si fece malinconica, per un attimo riaffiorò un po' di Makoto. «Tu cosa pensi?», ma fu solo un attimo. «Di sapere tutto? Di conoscermi? Pensi che io sia debole. Disperata, o che ne so».

La bocca si strinse in una linea tremolante e le sopracciglia si inarcarono. Una piccola vena comparve sul suo collo, disegnando una scia di rabbia. «... ma cosa vuoi saperne, tu che sei solo un MOSTRO!».

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Makoto non era più Makoto.

Ed era stato solo a causa del suo sonnambulismo. Senza genitori, Makoto viveva con i suoi nonni e poi, una volta che aveva trovato un lavoro, aveva lasciato la scuola per mantenersi e andare a vivere da sola. E così, in cuor suo, sperava di aver ripagato i suoi nonni per tutti quegli anni.
Ma gli dei non erano ancora soddisfatti. Agli dei non bastava solo questo, evidentemente – allora, scontenti, l'avevano fatta sofferente di sonnambulismo.

Ogni notte, intorno alle tre, Makoto si alzava dal suo letto con gli occhi chiusi e raggiungeva il centro della sua piccola camera da letto. A quel punto alzava le braccia e un violento vento si sollevava.
Quel vento aveva consumato, pian piano, la corteccia cerebrale di Makoto Aozawa.

 


Yuki la guardò, pregando silenziosamente.

 

Sussurrava il suo nome ad intermittenza, come una trasmissione distorta, mentre gli occhi scuri di quella ragazza si screziavano di rosso e rosa, tagliati da una pupilla affilata come una lama e una sclera nera come il petrolio. La sua pelle scendeva di vari toni per diventare grigia, ombre nere circondavano le sue palpebre, le unghie si allungavano come gli artigli di un'arpia.
Quando i loro sguardi si incrociarono, Yuki si sentì trafitta da quello sguardo familiare – quello di un demone che, ormai, aveva raggiunto il suo dannato limite.

«Cosa devo fare?», urlò Makoto. «Ho fame, dannazione!!».

Si afferrava la testa fra le mani per scuoterla, grattandone la superficie con le unghie, cercando di insediarsi in quella poltiglia che era diventata il suo cervello.
Quest'ultimo non le permetteva nemmeno di vedere bene. Strizzava gli occhi, cercando inutilmente di focalizzare cosa avesse davanti; solo a stento riusciva a distinguere i filamenti bianchi smossi dal vento notturno.

 

Ma proprio quando l'immagine della mezzosangue tentava di farsi più nitida, un pensiero attraversò la mente di Makoto.
Si chiese se Yuki non fosse il Diavolo in persona. Se sotto quelle vesti, la sua pelle non fosse sporca e plumbea, se sotto gli occhi ambra non ci fosse che una luce perversa – orribile, da qualsiasi angolazione la si guardasse.

 

E se il suo compito fosse proprio quello di liberare il mondo da Yuki Akawa?

Sarebbe riuscita a rendersi utile, a quel punto.

 

«Makoto!», Yuki urlò il suo nome con rabbia.
Un attimo dopo, la sua figura schizzò in avanti, diventando una semplice macchia bianca. Saettò verso di lei, e Makoto abbassò lo sguardo in tempo per vedere il suo pugno destro colpire il suo stomaco – un dolore sordo la invase, lasciandola quasi senza fiato. «Ti farò tornare in te. A costo di romperti tutte le ossa», sussurrò la mezzosangue.

 

 

Tornare in lei? Ma... lei era lei.

Non si era mai sentita tanto se stessa. Quella sensazione che all'inizio tanto la ripugnava, adesso era la sua linfa vitale. L'adrenalina che affondava nel suo organismo, violenta e furente, che si propagava per tutto il corpo come una macchia d'olio, fino alla punta dei piedi e delle mani - adesso aveva capito.

Era il "potere".

Dal pugno chiuso di quel mostro albino, Makoto vide piccole scariche elettriche. A percorrere le sue nocche, il dorso della mano e il polso, c'erano delle scie elettriche.
Makoto le fissò con la bocca aperta e scoppiò a ridere, il collo reclinato, dando il viso alle stelle. «E quindi è questo che ci nascondevi? Cosa sei, Zeus?», disse il demone. A quel punto, Makoto sollevò il ginocchio di scatto affondandolo nel suo costato, con una tale forza che si udì un crack.

La mezzosangue barcollò indietro mentre anche l'altra si allontanava di qualche passo.

 

 

Dannazione. Questi demoni impazziti hanno sempre una forza assurda, pensò Yuki, premendosi una mano contro le costole. C'era l'alta possibilità che si fosse rotta qualcosa, forse il processo di guarigione sarebbe stato più lento. Inspirò profondamente e alzò gli occhi, scoprendo con un brivido che Makoto stava correndo verso la spiaggia. In men che non si dica, aveva già raggiunto l'angolo e l'aveva svoltato, sparendo come un'ombra– nello stesso momento, l'albina sentì il rumore di una finestra che veniva aperta.

Cavolo, pensò, avvicinandosi il più veloce possibile alla parete di fronte, qualcuno deve aver sentito.

Sopra la sua testa, qualcuno era uscito sul balcone e stava ispezionando il parcheggio. Ad occhio sembrava il professore della 2-C; rimase lì, a guardarsi intorno aguzzando la vista, e solo dopo infiniti secondi si decise a rientrare.
Yuki sospirò di sollievo – per pochissimo. Lentamente, si staccò dal muro e si piegò sulle ginocchia.

 

Non riusciva a reggersi in piedi. Ecco cosa significava nutrirsi solo quando si trovava al limite.

 

Cercò di fare mente locale, pensando ad un modo per raggiungerla – quando un tonfo pesante non squarciò il silenzio, e solo in quel momento si ricordò che doveva incontrarsi con Tetsuya.

Senza indugiare, iniziò a correre verso la spiaggia a perdifiato, mentre il dolore si faceva talmente intenso da toglierle la voce. Quando i suoi stivali affondarono nella sabbia, i suoi occhi avevano intercettato uno scenario agghiacciante.

Proprio a pochi metri di distanza, Makoto costringeva Takeshi a terra, con il suo peso, stringendogli i polsi con le mani impregnate di sangue. Il suo sguardo era disumano mentre quello del ragazzo arrabbiato.
Yuki si scagliò verso la ragazza, sfrecciando nell'aria, e l'altra balzò via da Takeshi per schivare il suo calcio. L'albina ripartì subito, attraversando la figura del moro con un salto, andando addosso a Makoto, ma quest'ultima era diventata troppo veloce e agile e riusciva a schivare tranquillamente l'offensiva della mezzosangue.

 

«Yuki, datti una calmata!», urlò Tetsuya.

Al suono della sua voce, l'albina si allontanò da Makoto rapidamente, gettando un'occhiata verso l'entrata posteriore del ryokan. Tetsuya stava prendendo la mano di Takeshi per aiutarlo ad alzarsi.

«CALMARMI? Se vi prendo, vi ammazzo tutti e due!», rispose lei. Tornò velocemente a guardare la sua avversaria che, intanto, stava avanzando verso di lei. «Porta al sicuro Takeshi, sbrigati!».

 

Il vampiro non se lo fece ripetere due volte e afferrò Takeshi per il braccio, trascinandoselo dentro l'albergo, anche davanti alle sue proteste e ai suoi tentativi di liberarsi. Dentro la hall, Tetsuya lasciò andare Takeshi solò per girarsi verso di lui e agguantarlo dalle spalle.
Gli occhi del vampiro erano pregni del rosso, sgranati e arrabbiati – e non ammettevano repliche. «Smettila di agitarti come un forsennato e ascoltami. Non puoi fare niente per lei, lo capisci? Non puoi aiutare Yuki né ora, né mai. Sei solo un essere umano e moriresti in qualche secondo. È un miracolo che tu sia sopravvissuto nonostante abbia cercato di bloccare quel demone. Tu hai voluto renderti utile per lei, ma sei debole».

Takeshi serrò la mandibola e gettò un'occhiata alle sue spalle, frustrato. Nel buio fitto della hall, strinse i pugni, annuendo lentamente. «Ti prego. Aiutala. Non lasciare che si faccia male».

Il vampiro allora lasciò le spalle del ragazzo e annuì anche lui, breve. «Con me non si è mai fatta troppo male. Mettiti al sicuro, piuttosto, e non voltarti indietro».

«Tetsuya».

«Cosa?».

«Io non volevo aiutare solo lei. Lo volevo per entrambi».

 

Tetsuya, sulla soglia dell'uscita, si fermò un attimo. Con l'ombra di un sorriso, il viso nascosto dall'oscurità, guardò il ragazzo con un espressione stoica – poi, senza dire un'altra parola, sparì.

 

 

 

 

 

   
 
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