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Autore: Fenice e Dregova    26/09/2018    1 recensioni
All'alba dei tempi, la terra era abitata da moltissime creature. Le più potenti erano i draghi che offrivano protezione alle altre razze che stavano crescendo sviluppando la loro propria magia. In un tempo in cui la pace sembrava prosperare, i draghi commisero un errore che risvegliò un male rimasto imprigionato nel baratro del nulla per secoli: donarono la magia agli uomini. I maghi cominciarono a scavare nei segreti cui potevano ora accedere e, spinti dal desiderio di un potere sempre maggiore, finirono col seguire il canto seduttore dei demoni. Li liberarono e cominciò la guerra che terminò, secondo una leggenda, col sacrificio di alcuni rappresentanti dei popoli che abitavano il pianeta. I maghi divennero i nuovi custodi della pace, mentre i draghi si estinsero. Ma c'era qualcosa che si stava muovendo, l'ombra di un'antica minaccia che era riuscita a fare capolino dal buco oscuro in cui era stata richiusa. Cosa ne sarà della giovane Hel, riuscirà a destreggiarsi tra i problemi legati alla sua famiglia e quelli nati dall'avere la magia nelle vene?
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo:
 
All’alba dei tempi, quando le leggi non erano che una bozza, non complicata dai desideri di potere degli uomini e dalla loro sete di gloria, quando le storie erano fluidi fatti di parole che scivolavano densi dalle bocche degli anziani per confluire nelle orecchie dei più giovani, in cui ribollivano e davano forma a epici racconti di eroi e di nemici dall’aria seducente e dall’animo torbido come l’acqua piovana mista a fango, la terra era abitata da moltissime creature. C’erano gli uomini che creavano villaggi ingrandendoli in città, che prosperavano con ciò che la terra aveva loro da offrire e la natura offriva loro da cacciare. Dagli uomini, le creature più prolifiche, si udivano i canti dei bambini, il loro primo vagito, i loro pianti e i loro litigi, e le loro risate. Un bambino umano sapeva accendere, come poche cose nel creato, la gioia nei cuoi degli osservatori, una tenerezza che andava al di là del più semplice sentimento di commossa gentilezza, molto più simile a una sorta di spirito interiore che si agitava tumultuoso e che portava gli uomini a sorridere con i loro occhi umidi, e le donne a versare qualche lacrima. Quella era la loro progenie, il loro futuro.
Accanto agli uomini c’erano gli elfi. Creature di indomita bellezza, con i loro capelli che assumevano le tonalità più disparate di colori, dal ceruleo al colore giallo bruciato dei petali dei girasoli, dal rosso della terra al morbido azzurro dei non ti scordar di me. Le loro abitazioni erano costruite sugli alberi più possenti, grossi e alti, dalle fronde immense e sempreverdi, che il cuore delle foreste aveva al suo interno. Vivevano a stretto contatto con la natura. Abili arcieri, custodi della magia della natura, conoscitori del linguaggio degli animali. Gli elfi, con la loro dal tenue colore delle clorofilla, avevano una voce capace di scuotere l’anima dei tiranni facendoli piangere come bambini appena nati. I loro canti, intonati con un trasporto che coinvolgeva la loro stessa essenza, come se il loro canto fosse loro e loro le parole che soavi si alzavano potenti, scivolando sulla terra e innalzandosi fino ai cieli, facevano riemergere ricordi che si credeva perduti, voci delle persone amate e che non c’erano più, risate di bambini che si rincorrevano nel passato.
Gli elfi guardavano gli umani con affetto, ma resistevano dall’avvicinarsi troppo a loro. Vedevano il loro potenziale, ma anche i difetti che li scalfivano. Avevano paura di ciò che il destino avrebbe avuto in serbo per tutti loro se l’equilibrio, perfetto ma paurosamente fragile, in cui vivevano sarebbe venuto a mancare. Ma non per questo erano restii dall’aiutare che li andava a trovare. Erano cordiali, forse un po’ silenziosi, ma un buon racconto poteva sciogliere loro la lingua rendendoli degli amabili interlocutori dalla mente aperta e strepitosamente acuta. Non per altro erano architetti dalle abilità sovrumane, capaci di innalzare templi i cui interni, fatti di schiere di colonne di bianco marmo, erano inondati dalla luce.
Più portati a mischiarsi con gli uomini c’erano i licantropi. Non così dissimili dai loro cugini umani, i licantropi erano uomini e donne in tutto e per tutto. La magia, però, li aveva toccati in un modo che era più una maledizione per molti, o uno strano regalo secondo il pensiero di altri. La parte più semplice da comprendere del loro potere era la forza straordinaria che possedevano i loro corpi, i quali per costituzione erano fasci di muscoli vibranti e potenti, a cui si affiancavano sensi sviluppati. Niente poteva sfuggire agli occhi, al naso e alle orecchie di un licantropo, ogni sussurro era chiaro come il suono delle campane, ogni ombra definita come se fosse colpita dai raggi del sole, la traccia di un odore era forte come l’aroma del rosmarino di cui poteva seguire le tracce anche a occhi chiusi. Ma i licantropi non erano solo questo. I licantropi avevano l’abilità di tramutarsi in enormi lupi, animali dall’istinto predatore. Di norma riuscivano a controllare la loro controparte animale, però, quando la luna era alta e piena nel cielo, quando la sua luce era più forte di qualsiasi astro visibile nel cielo notturno, la bestia che avevano dentro era incontrollabile. Emergeva l’istinto del lupo, la sua forza, la sua sete di correre libero, il suo desiderio di cacciare.
Ma la pace era tutto e i licantropi, sapienti della loro condizione, i giorni precedenti la luna piena si allontanavano dalla gente comune, si disperdeva nei boschi dove chiedeva aiuto agli elfi. Con la luna piena si trasformavano, ma non c’erano incidenti, non c’era sangue a macchiare il terreno. Questo perché i licantropi erano costretti a vagare in labirinti di alte siepi e muri di tronchi duri e insormontabili e a saziare la loro fame con gli animali che rimanevano intrappolati nella trappola degli elfi.
Escluso questo aspetto della loro essenza, questo spicchio di vita che se non arginato avrebbe messo in pericolo tutti quanti, i licantropi erano conosciuti per il loro buon cuore e per la lealtà con cui si legavano alle persone. Infatti, un vecchio detto recitava: chi trova un licantropo, trova un tesoro. Proprio a indicare come la loro amicizia non avesse confini. E poi, come rifiutare l’aiuto di cacciatori provetti che riuscivano a stanare anche le prede che si nascondevano meglio, che potevano affrontare un orso e uscirne vincitori.
Nelle notti, però, si muovevano altre creature, oltre ai licantropi. Più pericolose e manipolatrici. Erano i vampiri. Nessuno sapeva da quale utero della magia fossero usciti, nessuno aveva udito il pianto di un vampiro, del primo vampiro che aveva mosso i suoi primi passi nella polvere della terra.
All’alba dei tempi del genere umano come società, la forza distruttiva dei vampiri era ben nota. Sulla loro nascita giravano tante storie. Una parlava di una donna dalla bellezza senza eguali, la più bella persino tra gli elfi, ma di origine umana. Il suo volto era così candido e puro che assomigliava a una bambola di porcellana, il suo tocco così leggero da risultare come la brezza primaverile, fresco e risanante, il suo sguardo dolce e amorevole e il suo corpo l’essenza stessa della grazia. Fu data in sposa a un giovinotto dal discutibile temperamento che sfrutto la bellezza della consorte per il proprio vanto e per racimolare ricchezze. La donna, sempre stata di animo buono, mai corrotto dall’odio o dalla rabbia, mai abbassato a raschiare quelli che rappresentavano il peggio della razza umana, venendo a conoscenza, nello stesso giorno, della sua gravidanza e dell’adulterio del marito, pregò le divinità che dal suo grembo uscisse un mostro, che il dolore che in anni di matrimonio suo marito le aveva fatto provare si reincarnassero nel frutto del loro concepimento. Fu così che nacque una creatura simile alla madre quanto al padre. Un bambino dall’aspetto di porcellana, perfetto in ogni dettaglio, che crescendo sarebbe diventato il più bello fra i belli, ma, crescendo, avrebbe dimostrato anche come il suo animo fosse freddo, calcolatore e crudele. Questo bambino non si cibava di niente se non di sangue umano, riducendo la servitù del padre a cadaveri pallidi e rinsecchiti. La madre, colta dal senso di colpa per aver lasciato che la sua parte più oscura riducesse il suo bambino a un mostro, per il dolore si gettò, in piena notte dalla finestra della torre più alta del suo castello. La magia accolse la sua preghiera: che suo figlio non facesse più male a nessuno. Ma la magia pura non poteva cancellare una vita, andava al di là delle sue possibilità, soprattutto se quella creatura, per quanto orribile nel suo essere mezzo mostro e mezzo uomo, fosse il soggetto di un amore, per quanto stupido e malato, puro. Il bambino, poi uomo, non poté più camminare alla luce del sole, la sua ombra si sarebbe mossa dalla fine del tramonto sino all’inizio dell’alba; dai suoi lombi non sarebbe nata alcuna progenie, ma solo dal suo morso e dalla condivisione del suo stesso sangue, e solo se il malcapitato fosse stato in punto di morte. Una maledizione con un accenno di miracolo, ma pur sempre una maledizione che li avrebbe seguiti per il resto della loro infinita esistenza.
Il vampiro originale, prendendo per vera questa storia, ed escludendo le altre, aveva concesso ad altri di prendere parte al peso che portava sulle spalle. Pochi, ma insaziabili.
A mantenere l’ordine c’erano i draghi, i più antichi di tutte le creature. Non si sapeva niente su di loro, su come avessero avuto origine, su come la loro magia agisse sul creato. Niente. In rare occasioni erano stati visti solcare i cieli con le loro possenti ali, ancora meno si era udito il rombo del loro ruggito. Si narrava che le loro fiamme fossero splendenti come oro, il materiale di cui si cibavano, il loro animo gentile e testardo. I bambini, cresciuti con le storie che parlavano di loro, sognavano di cavalcarli e di volare più veloci dei venti. Schegge di carne e sangue che solcavano i cieli alla ricerca di emozionanti avventure.
In verità, i draghi erano più vicini di quanto gli uomini potessero pensare. La loro magia permetteva loro di tramutarsi in uomini, di camminare tra coloro che erano stati risparmiati dal tocco della magia e di godere della loro spontaneità, della loro testardaggine, della loro creatività. Gli uomini, la razza umana, come i vampiri e i licantropi, era giovane, con tutto un potenziale da esplorare. Gli umani erano anche i più deboli. I più inclini alla violenza, non perché portati per natura o per istinto, come per i vampiri, ma per volontà, e questo li rendeva pericolosi. Però, non si poteva non vedere che tra di loro ci fossero alcuni che avevano una scintilla di magia, una scintilla che si spegneva superati i sedici anni.
I draghi decisero di donare agli eletti una parte della propria magia. Tra gli uomini nacquero i maghi e a loro fu data la possibilità di venire a conoscenza dei misteri della magia.
I draghi avevano avuto ragione nel temere gli uomini, nel dubitare che donare loro la magia fosse una scelta saggia. Erano però stati guidati dal buon cuore, e la loro testardaggine non aiutava, perché appena imboccata una strada, un accenno di pensiero, non erano capaci di fare marcia indietro.
Tra i maghi ci fu chi giocò con la magia, la usò per vagliare la trama stessa della vita. Questi maghi, desiderosi di conoscenza e di un potere maggiore che era stato concesso loro, finirono col risvegliare una forza potente rimasta sopita per secoli. Come non abboccare all’amo? Quella forza naturale parlava direttamente alla parte più nascosta dell’animo umano, e possedeva una voce sublime e sensuale, una lingua che sapeva carezzare le corde più sensibili degli uomini. La coscienza oscura che i maghi avevano risvegliato voleva tornare a camminare sul mondo, evadere dalla prigione in cui gli antichi dèi l’avevano gettata. Voleva vendetta. Era gelosa della libertà che era stata lasciata alle altre creature, mentre lei era gettata via come uno scarto.
Cantò agli uomini e fece promesse che non era intenzionata a mantenere. Agognava la libertà e avrebbe fatto di tutto per ottenerla.
La coscienza fu liberata e i maghi che l’avevano fatto uccisi, perché loro soli avevano la conoscenza di rigettarla nel baratro da cui era uscita.
La sua forma era un demone di puro caos, capace di una ferocia ben peggiore di quella dei vampiri, di una forza che andava altro a quella dei licantropi e di una magia potente capace di mettere in ginocchio sia i draghi che gli elfi.
Nel mondo riversò i suoi figli, parte della sua stessa essenza.
E ci fu la guerra. Una guerra sanguinosa in cui le diverse razze, unite per la prima volta a combattere, furono messe alla prova. I draghi e i vampiri difficilmente collaboravano, erano più propensi a seguire i propri piani invece che supportare gli altri, inoltre, i vampiri agivano più per egoismo che per desiderio di vincere la guerra. C’erano molte persone in punto di morte, persone che si sarebbero unite a loro, per l’eternità. Gli uomini cominciarono a temere i licantropi, alcuni di quest’ultimi, troppo concentrati nella battaglia, non si ritirarono nelle foreste degli elfi durante le notti di luna piena e finirono col trasformarsi in mezzo agli uomini seminando il panico e lasciandosi dietro scie di corpi morenti.
Gli elfi, forse gli unici a comprendere la vera gravità della situazione, cercarono il modo per salvare quante più persone possibili. I malcapitati feriti dai licantropi, con lacerazioni che li avrebbe condotti alla morte in poche ore, furono trasformati negli stessi licantropi che li avevano sbranati nella foga della perdita del controllo. La magia degli elfi andò, però, a mutare il dono dei licantropi. Trasformò la loro magia in una vera e propria piaga. Chiunque sarebbe stato morso da un licantropo, chiunque avrebbe avuto la sfortuna di mischiare il proprio sangue alla saliva di un figlio della luna, sarebbe diventato a sua volta un licantropo.
Gli uomini dimostrarono quanto la paura li rendesse brutali. Trovarono modi per uccidere le creature che avevano considerato loro amiche avvalendosi dell’aiuto dei maghi. Un licantropo poteva essere ucciso con l’argento, tossico per loro, o dal veleno ricavato dall’aconito. Un vampiro era indebolito dall’acqua e dall’argento, perdeva la sua velocità e la sua forza, se costretto a rimanere all’aperto durante l’alba si tramutava in cenere, la linfa del frassino era per loro letale come anche il sangue di un licantropo. Gli elfi potevano essere tenuti lontani spargendo le ceneri dei defunti intorno alle abitazioni o spargendo il sale sul terreno.
Solo i draghi sembravano non possedere punti deboli. Le loro squame erano spesse, impenetrabili da qualsiasi arma umana, le loro fiamme capaci di disintegrare anche la roccia più dura. Ma il genio dei maghi era lungi dall’essere fermato dall’impossibilità che pareva permeare la soluzione a un loro quesito. Osservarono. Studiarono. E scoprirono. Un drago poteva essere ucciso con un’arma ricavata dalle loro stesse ossa, le fiamme non penetravano uno scudo ricoperto con le loro stesse squame.
I cadaveri di tutte le razze riempivano i campi di battaglia, fu facile trovare gli strumenti per difendersi dai propri alleati.
In questo clima di diffidenza, di astio, di congiure e macchinazioni, fu difficile riuscire a battere un nemico che pareva essere al di sopra delle capacità di ogni singolo drago, uomo, mago, elfo, licantropo o vampiro.
La guerra durò secoli, scarnificando quelle che erano le creature che si muovevano sulla terra, rendendole spettri magri e consumati dal rancore.
Poco è chiaro su quello che accadde nell’ultimo giorno di battaglia, quando ormai le foreste degli elfi erano lande desolate, quando tutte le terre emerse del mondo erano coperte dalla foschia nera dei demoni, tossica per chiunque. Chiaro è che ci fu un lampo di luce, le tenebre furono scacciate e le terre sterili videro la loro superficie increspata da nuove piante che crebbero rigogliose. L’aria divenne salubre e i cieli chiari e limpidi. La pesantezza degli animi si sciolse e pianti di gioia si levarono leggeri e speranzosi.
Sulla fine della guerra circola una storia, l’unica.
Un drago, dalle squame di un verde brillante come le foglie della zamia, dagli occhi color giallo mimosa con schegge di luce bianca e un’iride verticale piena di intelligenza. Un giovane drago, nonostante i suoi seicento e ottantaquattro anni, dalle fiamme potenti e dorate e dagli artigli che non avevano provato pietà per i demoni.
Una donna, un’umana, che aveva avuto il coraggio di prendere una spada e farsi largo tra gli uomini l’avevano sbeffeggiata per il suo aspetto trasandato, ma che cominciarono a temerla dopo che ebbe sbaragliato le forze del nemico da sola, senza l’aiuto di nessuno. Una donna dai capelli rossi e ricci, dalla carnagione diafana e dagli occhi di un caldo e morbido nocciola, capaci di fendere meglio di una lama, e priva di parola.
Un vampiro, una creatura della notte a cui un elfo aveva donato un anello in cui era racchiusa una scheggia della notte, un artefatto mafico che gli permetteva di camminare sotto la luce del sole senza incontrare la morte. I suoi occhi viola mostravano una bontà che stonava con il resto della sua specie, un amore che andava oltre l’odio che i suoi simili provavano nei confronti delle altre razze. Nonostante non fosse più umano ricordava ancora con vivida intensità cosa significasse esserlo. Sentire il calore del sole sulla pelle, amare qualcuno senza avere il costante timore di uccidere al primo bacio, la sensazione dolce di un corpo caldo da abbracciare. Gli occhi pieni di vista stonavano anche col colorito pallido della sua cute, con l’odore ferroso del sangue di cui era pieno ogni francobollo della sua pelle. Era il primo vampiro a cibarsi di sangue animale anziché di quello umano.
Un licantropo, dai capelli neri e crespi, che non conoscevano l’ordine, occhi dolci di un nero profondo come il cielo notturno e dalla pelle scura che ricordava la terra bagnata dalla pioggia, e di pioggia sapeva la sua pelle. Un giovane uomo, un cacciatore che si era affezionato agli uomini quando il resto dei suoi simili aveva cominciato a temerli. Il fisico muscoloso degno della sua specie, e l’intelletto elastico di chi trovava sempre la soluzione ai problemi, anche quelli più articolati.
Un’elfa, una ragazza timida e gentile, con occhi rosa e una carnagione della tonalità del verde cacciatore, dai capelli fluenti del colore della carta da zucchero. Era un’abile guaritrice e possedeva una grande magia, le piante crescevano al suo comando, gli animali ascoltavano le sue parole con attenzione e lei dava parole ai loro pensieri. La terra stessa la ascoltava e guidava il suo cammino.
Un mago, biondo e dagli occhi azzurri, bello come i principi delle fiabe, e la sua magia potente al pari di quella dei draghi, con la conoscenza di ogni incantesimo che l’intelletto umano e non era stato capace di partorire.
Si narra che questi sei esseri si unirono e si misero in viaggio eliminando i demoni che si mettevano contro di loro. Erano spietati quanto gentili con chi ne aveva bisogno. Furono loro a sconfiggere la forza oscura che i maghi avevano liberato, confinandola nel baratro da cui era uscita.
Dopo l’onda di luce che investì tutte le terre per poi spegnersi in un fuoco d’artificio di luci argentate, di loro non si seppe più niente. Come dissolti insieme alla nebbia scura.
Girarono voci. Un drago dalle squame verdi, con una cicatrice che gli percorreva tutto il fianco destro, sorvolare le terre nordiche sempre coperte dai ghiacci. Una ninfa senza braccia e il volto rigato dalle lacrime che vagava per le foreste con un mantello ricavato dalla pelliccia di un enorme lupo nero e con due sacchetti legati alla cintura e che sussurrava di amici che aveva perso e dell’amore che non avrebbe più vissuto. Una donna umana, muta sin dalla nascita e col viso deturpato, irriconoscibile, che diede alla luce una bambina che divenne una maga, la capostipite della Casata dei Sangue di Drago.
I tempi passarono e le storie divennero leggende, e come tali pochi si cimentarono nella ricerca della veridicità delle parole, e ancora meno furono quelli che ottennero briciole di qualcosa che appariva un mosaico che sarebbe rimasto per sempre incompiuto. Troppe le cose che si erano perse, troppi i ricordi che mancavano all’appello.
I tempi passarono, le guerre si succedettero, gli ultimi demoni erano i baluardi di un passato che rischiava di essere dimenticato. Questi vennero rinchiusi da maghi che tennero segrete le conoscenze che avevano su di loro e sulla storia che era stata. Ormai era un capitolo chiuso, e con tale sarebbe dovuto rimanere.
I tempi passarono, le creature misero da parte i vecchi rancori e si mischiarono tra loro in villaggi che divennero città di pietra, poi metropoli di acciaio e cemento.
I draghi si estinsero, le loro uova non vennero mai trovate e si dubitò che fossero esistite.
I maghi divennero i custodi di quella che venne definita come l’Alleanza dei Quattro. I loro nomi impressi sull’altare dove venne firmata l’Alleanza. Eros, per gli uomini e i maghi. Aghata, per i vampiri. Nathan, per i licantropi. Belladinotte, per gli elfi.
Con loro aveva inizio un’altra epoca di pace.
   
 
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