★ Iniziativa: Questa storia partecipa al
“In Vino Veritas” a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 580
★ Prompt/Traccia: Quando
A è ubriaco abbraccia le cose più improbabili, dichiarando
loro amore.
Fresca. Bianca come la neve. Anche se nessuna neve sarebbe mai stata
fredda come il ferro durante la notte.
“Tsubasa... Forse dovresti
staccarti, eh?”
“EEEH?”
mugolò. “Ma io la amo così
taaaaanto.”
Gli tolse la bottiglia dalla mano,
mentre con l’altra, l’amico continuava ad
abbracciare il palo.
“E Sanae?”
“Beh, lei può
aggregarsi. Tanto la ama sicuramente anche lei.”
Ora si dondalava come una scimmietta.
Ondeggiava da un capo all’altro; in bilico come un gatto sul
filo del rasoio. Perse l’equilibrio.
S’intrappolò come un pesce in una rete da pesca.
Rise.
La sua voce pervase tutto.
L’erba, l’aria umida, il cielo. Quella voce
sembrava risplendere così forte, da pareggiare i fari che
illuminavano il campo.
Non poteva fare a meno di sorridergli.
Era uno spettacolo un po’ pietoso, ma lo divertiva. Gli
piaceva anche questo suo lato un po’... molto!, ubriaco.
“Tsubasa, stai parlando di una
porta.”
“Di una porta da
caaalcio!” esclamò l’altro biascicando.
“Sei sicuro che Sanae non si
arrabbierà?”
“Ma certo che no! - fece cenno
col braccio - Lei sa che amo il caaalcio! E le porte da
caaalcio...” la sua camminata era diventata instabile. Si
avvicinava languido. “I palloni da caaalcio...”
Dire che gli strinse le spalle era un eufemismo. In negativo. Aveva
appoggiato giusto il braccio attorno ad esse: per il resto, si
lasciò cadere a peso morto sull’amico.
“E il mio miglior partner nel calcio! Tu!”
urlò punzzecchiandogli il naso “Tu, Taro Misaki!
Sei iiil miiigliore!!!”
Sospirò.
Probabilemente, quella camminata
all’aria aperta per fargli passare la sbronza non sarebbe
bastata. Probabilmente, manco camminare fino a casa sarebbe bastato. Si
fece forza e cercò di fargli da supporto almeno fino alla
prossima panchina, mentre Tsubasa continuava a parlare a vanvera.
Della loro infanzia. Di quanto si
sentiva solo alle medie. Della frustrazione per la gamba rotta, di
come lo voleva al suo fianco per la finale dei Mondiali. Era come se,
passo passo, stessero ripercorrendo tutta la loro vita.
Stava per piangere.
“Tsubasa...”
“Aaah, Taro! Ti amo veramente
tantissimo!”
Si bloccò un attimo.
Strabuzzò gli occhi e lo guardò storto.
“Ma che dic-” non
durò zero virgola due secondi. E neanche così
tanto come in quei pochi sogni che cercava continuamente di scacciare
dalla sua memoria.
Gli sembrò lungo. Caldo. Dal
sapore un po’ troppo forte. Aveva quel retrogusto di birra
che lui non aveva mai sopportato. Però non si era scostato.
Non l’aveva allontato. Era rimasto lì a godersi
quel bacio che, nonostante tutto, era molto dolce.
“Oh, ora sono nei guai.” pensò, ma non era
agitato. Rimase calmo.
Quando si staccarono, Tsubasa rimase comunque a distanza ravvicinata.
Lo guardava con occhi stanchi, un po’ annebbiati.
E crollò giù.
“Tsubasa!!”
Lo avrebbe dovuto riportare indietro in
spalla. Non poteva chiedere l’aiuto di Ryo o Genzo o di
nessun altro. Non voleva. Voleva che nonostante tutto,
quell’attimo che si sarebbe perso nei fumi
dell’alcol, rimanesse soltanto loro.
Soltanto suo.
Un piccolo atto di egoismo da parte di un
innamorato non corrisposto.