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Autore: polytlas    28/09/2018    2 recensioni
(la luce del giorno dopo la pioggia.)
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→ TodoBaku;
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katsuki Bakugou, Shouto Todoroki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Oppholdsvaer.
(la luce del giorno dopo la pioggia.)
 
 
 



 
“ Si apprezza di più il cielo sereno dopo la tempesta che quello d'estate.
 
 
 




 
Quando quella sera Katsuki Bakugou si era alzato dal divano imprecando e aveva aperto la porta, non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi in quella situazione così delirante e surreale.
 
Era apparentemente una sera come tante. O forse, più noiosa delle altre: era estate e pioveva a dirotto da giorni. Kirishima gli aveva persino proposto di andare in piscina, ma tutti gli appuntamenti erano saltati per via del pessimo tempo e del rischio allagamenti. Motivo per cui era rimasto a casa ad oziare, ogni tanto a sentire le urla isteriche di sua madre che non perdeva occasione per colpire lui e suo padre. Se la situazione diventava ingestibile per la sua psiche già fin troppo precaria, allora, si rintanava nel letto e dormiva. Dormiva fino a perdere la cognizione del tempo e dei giorni, ma era l’unico modo per estraniarsi e non farsi possedere dalla rabbia.
 
Quella sera, proprio mentre era stravaccato sul divano intento a fare zapping, quasi balzò per terra quando sentì, intorno alla mezzanotte, il campanello di casa suonare.
Suo padre  dormiva, e a giudicare dal fatto che nessuna scarica di urla fosse arrivata alle sue orecchie – e a quelle di tutti i vicini - invitandolo ad aprire al posto suo, anche sua madre stava sicuramente facendo lo stesso.
 
Katsuki sbuffò sonoramente e si diresse verso la porta d’ingresso, preparando già la mano in modo da fare esplodere la faccia a chiunque avesse provato a dargli fastidio a quell’ora della sera. Non che i villain suonassero il campanello, ma non si poteva mai sapere.
 
‹ Chi è? ›
 
Lo chiese senza aspettarsi una vera risposta, ma da dietro la porta udì una specie di sussurro e una voce fin troppo familiare. Aggrottò la fronte e aprì di scatto.
Un tuono parve squarciare il cielo, seguito da un lampo che lo illuminò interamente per pochi secondi.
 
L’espressione sul viso di Katsuki si fece ancora più confusa.
 
Vide il ragazzo davanti a sé provare ad aprire la bocca per dire qualcosa, ma non fece neanche in tempo ad ascoltare una singola sillaba, che fece immediatamente sbattere la porta contro lo stipite, chiudendola con la stessa velocità con cui l’aveva aperta.
 
Attese qualche minuto, poggiando l’orecchio sulla superficie fredda dell’uscio, ma l’unica cosa che riusciva a sentire era il rumore della pioggia incessante.
 
Nessun passo.
 
Solo qualche rumore che gli ricordava qualcuno che tirava su col naso.
 
Mandò gli occhi al cielo, imprecando mentalmente le peggiori cose contro se stesso, e trattenendo l’irrefrenabile voglia di aprire il proprio cranio sul primo muro disponibile, riaprì la porta, osservando la figura smunta del ragazzo dai capelli bicolore – ora troppo scuri a causa dell’acqua che li aveva resi fradici – restare ferma lì, immobile, priva di alcuna voglia di vivere.
 
‹ Posso? ›
 
Shouto glielo chiese con un filo di voce, lo sguardo basso e l’espressione distrutta. Aveva capelli e vestiti zuppi d’acqua, e Katsuki immaginò che quella mente geniale se ne fosse andato in giro senza neanche l’ombra di un ombrello.
In realtà i vestiti di Shouto sembravano messi a caso, senza nessuna cura.
 
‹ Che cazzo vuoi a quest’ora della notte, esattamente, e da me soprattutto? ›
 
Shouto però parve incupirsi maggiormente. Sospirò e continuò a guardare la punta delle converse ormai zuppe di acqua.
 
‹ Posso restare qui, stasera? ›
 
Katsuki non capì: non sapeva se doversi sentire preso in giro o cosa.
 
‹ Scusa, non ce l’hai una casa? ›
 
Shouto si strinse nelle spalle.
 
‹ Ce l’ho, ma non voglio starci. Solo stasera. Domani tolgo il disturbo. ›
 
Katsuki si passò una mano sul viso, sentendo già la pazienza abbandonarlo.
 
‹ Ma giusto per capire, perché a casa mia? ›
 
Shouto fece spallucce.
 
‹ Non so dove abitino gli altri. ›
 
‹ Vai da Deku, no? ›
 
A quella domanda, gli occhi di Shouto si riempirono di lacrime e Katsuki lo fissò sconvolto. Probabilmente non lo aveva mai visto così vulnerabile, e pensò che se lo avesse colpito, di sicuro Shouto non avrebbe reagito neppure d’istinto.
Gli stava chiedendo di dormire da lui, e non aveva idea di dove farlo dormire, perché ‘sto stronzo non aveva avuto neppure l’accortezza di prendere il telefono e mandargli un messaggio.
 
Il suo flusso di pensieri, però, venne brutalmente interrotto da una lacrima che scivolò lungo il viso di Shouto.
Katsuki si sentì turbato: in quegli anni aveva avuto modo di conoscere Todoroki, e quel che più aveva sempre odiato era sempre stata la sua calma, la sua razionalità nell’affrontare ogni singola situazione, ostica o meno.
Todoroki Shouto era noto per essere capace di trovare sempre una soluzione, insieme a quell’altra merdaccia di Deku.
Ma adesso?
Che doveva fare?
Uno degli studenti migliori gli stava piangendo sull’uscio di casa e lui, a mezzanotte, mezzo rimbambito, cosa avrebbe mai dovuto fare se non mollargli una sberla e urlargli di svegliarsi, qualsiasi fosse il problema?
 
Scosse il capo e lo afferrò per un braccio, trascinandolo dentro.
 
‹ Un giorno mi farete diventare scemo, questo è un quirk che avete tutti. Facciamo incazzare Katsuki perché – AH! Non ti muovere, che c’è più pioggia su di te che per strada. Fermo. Ti prendo un asciugamano. Non ti muovere o ti do un pugno. ›
 
Shouto si bloccò proprio all’entrata, creando una piccola pozzanghera attorno a sé. Mentre Katsuki sparì per andare a prendere l’asciugamano, pensò fosse carino asciugare quel macello, specie dal momento in cui Bakugou aveva deciso di dargli ospitalità.
Si abbassò e con la mano sinistra cominciò a creare calore in modo da far evaporare l’acqua.  Ma quell’altro fece prima e dopo pochi secondi si era presentato con due asciugamani: uno più piccolo per i capelli, e l’altro da mettere addosso.
 
‹ Non fare danni col fuoco, ci penso io ad asciugare. Tu mettiti questi, ché se ti prendi la polmonite e me la passi, è davvero la volta buona in cui ti faccio fuori. ›
 
Shouto annuì senza ribattere. Si tolse le scarpe e i calzini, e si lasciò guidare da Katsuki che lo portò verso il divano.
 
‹ Dormi qui stasera, e -. ›
 
Giusto nel momento in cui Katsuki provò a dire altro, qualcosa colpì con violenza la sua testa, facendolo quasi sbilanciare in avanti. Shouto indietreggiò, e quando sollevò lo sguardo per capire cosa stesse facendo ringhiare rabbioso l’altro ragazzo.
Una donna – una bellissima donna in lingerie – lo aveva appena colpito con tutta la forza presente in corpo e stava inveendo contro di lui senza remore.
 
‹ Ricordami a cosa pensavo quando HO DECISO DI METTERE AL MONDO UN IDIOTA CHE NON SA NEANCHE FARE GLI ONORI DI CASA. RICORDAMELO, KATSUKI. ›
 
La donna lo afferrò dalla nuca e lo immobilizzò senza dargli la possibilità di muoversi e Shouto osservò la scena con gli occhi spaventati. Subito dopo, la donna sfoderò un luminosissimo sorriso che avrebbe fatto sragionare chiunque.
 
‹ Caro, sei tutto bagnato. Adesso questo strano soggetto anche detto figlio mio ti condurrà al piano di sopra e ti dirà dove poter fare una doccia calda. Ti do anche un pigiama e un cuscino, mh? Dormirai in camera di Katsuki. ›
 
‹ Che cazzo dici, razza di vecchia?! ›
 
Un altro ceffone lasciò un segno rosso sul viso di Katsuki, che pur di trattenere il violento flusso di parole cominciò a mordersi la lingua e le guance.
Shouto fece un passo indietro e cercò di allungare le mani verso Katsuki, forse nel mero tentativo di poterlo difendere. Katsuki non era il ragazzo più gentile e simpatico del mondo, ma tutta quella violenza era immotivata. Non aveva fatto nulla di male.
 
‹ Il divano va più che bene, signora. ›
 
La madre di Katsuki scosse il capo.
 
‹ Non preoccuparti, caro. Piuttosto, è successo qualcosa per cui possiamo aiutarti? ›
 
Quasi trovò inquietante la velocità con cui la sua personalità fosse capace di cambiare. Cominciò a capire perché Bakugou fosse così… così.
Shouto abbassò il capo.
 
‹ Ho – ho solo bisogno di – non stare a casa mia per stasera. Chiedo scusa per il disturbo. ›
 
La sua voce tornò bassa, piccola, a tratti tremante. Non era sicura come lo era di solito, e Katsuki pensò che, per quella sera, prendersela con Shouto, sarebbe stata come prendersela con un cucciolo indifeso. Quasi faticò a credere ai suoi occhi e alle sue orecchie, perché quella versione di Shouto gli era sempre parsa impossibile anche solo da metabolizzare.
Sua madre lasciò la presa, e lui barcollò contro il divano. Sbuffò sonoramente e scosse il capo.
 
‹ Katsuki, fagli fare una doccia, fallo asciugare, o gli verrà un malanno. Se ha fame, portalo in cucina, mh? ›
 
Shouto sollevò un angolo della bocca e fece un inchino, prima che Katsuki lo conducesse al piano superiore.
 
 
☂☼☂☼☂
 
 
Katsuki gli aveva fatto trovare due cuscini sul divano insieme a due coperte, nel caso ne avesse avuto bisogno. Per terra, proprio lì accanto, gli aveva messo una bottiglia d’acqua e una scatola di fazzoletti.
Era stato prezioso.
Lo era stato senza ombra di dubbio e Shouto, dentro di sé, sapeva di potersi fidare. Perché Katsuki non avrebbe chiesto, né avrebbe provato a “migliorare” la situazione con qualche frase di circostanza.
Quello era l’unico trattamento di cui sentiva di avere bisogno, né più, né meno.
 
O forse, in realtà, mancava qualcosa.
In realtà mancavano parecchie cose. Troppe cose.
E se si fermava a pensare, eccolo sentirsi risucchiare all’interno del baratro.
 
Era stanco, Shouto.
Tutta quella situazione lo aveva portato allo stremo delle forze e lui non era più in grado di gestirla da solo. Al punto che Katsuki divenne, paradossalmente, il suo unico appiglio. Prima mentale e ora anche fisico.
Vedere Katsuki, anche imbestialito, era fonte di sicurezza.
Lo era perché pareva essere rimasta l’unica costante della sua vita.
 
Midoriya era sfumato via.
Hitoshi gli aveva strappato via ogni tipo di innocenza.
Uraraka e Iida erano rimasti con Midoriya.
 
L’unico era lui.
Il rabbioso e maleducato Katsuki. Quello spaccone insopportabile che però lo aveva ospitato. E senza indagare troppo, senza cercare di trovare le parole giuste, anzi, senza manco pensare a cosa dire, ché tanto qualsiasi cosa sarebbe stata condita con una marea di insulti, lo aveva accolto e non aveva girato il coltello nella piaga.
 
Sentì una morsa al petto e guardò le scale che conducevano al piano superiore.
Katsuki lo avrebbe odiato. O forse, anche per quella volta, avrebbe chiuso un occhio.
 
 
☂☼☂☼☂
 
 
Era l’una e mezza.
E lui era ancora sveglio perché aveva appena finito di sistemare il bagno, o quella tiranna megera l’indomani gli avrebbe strappato i capelli uno ad uno.
Aveva sonno, tanto.
E avere Todoroki depresso in giro per casa lo rendeva strano.
 
O forse ad averlo fatto sentire strano era l’aver visto Shouto così debole e vulnerabile. Non pensava che la rottura con Deku potesse turbarlo a quel punto.
In realtà non pensava che in generale potesse essere turbato da qualcosa e qualcuno, ma probabilmente Deku era il suo tallone d’Achille. E pensandoci bene, senza Deku sarebbe rimasto ancora nel suo mutismo totale, pensandosi l’Elsa preziosa della situazione.
 
Scosse il capo: quel Deku di merda sarebbe stato capace di fare la psicanalisi anche ad uno scarafaggio. E Dio santissimo se era fastidioso. Lo era da morire.
Non riusciva a capire cosa ci vedessero gli altri di così eccezionale: era un piagnone, ficcanaso come pochi, e un nerd terribile. Cosa c’era di così emozionante?
Shouto voleva detto che il fuoco era il suo potere e non quello di suo padre? Wow, l’aveva fatto, che gesto rivoluzionario.
 
Come se non bastasse, però, lo aveva reso un troglodita che era scappato di casa senza neppure un ombrello. Nel bel mezzo di un acquazzone.
Che l’essere cretini fosse contagioso stava cominciando a pensarlo davvero. Quel gruppetto lì sarebbe stato un ottimo oggetto di studi.
 
Toctoc.
 
Katsuki trattenne il respiro.
 
‹ Sono Shouto. ›
 
Ma va?!
 
Aprì la porta e lo vide di nuovo lì, questa volta con i capelli asciutti e gonfi, la sua maglietta e i suoi pantaloncini addosso e quel continuo sguardo colpevole.
E ora che vuole?
 
‹ Che vuoi ora? ›
 
Glielo chiese svogliato, ma quel che fece Todoroki lo scombussolò al punto che non riuscì a recidere il gesto. Almeno, non subito.
Shouto avvolse le proprie braccia attorno al suo corpo, stringendolo a sé in un abbraccio.
 
All’una e mezza di notte.
 
Quella specie di Maxibon avariato doveva farsi venire le paturnie da poppante proprio all’una e mezza del mattino?
 
Anche se turbato, lo spintonò via, ma Shouto quella volta parve irremovibile. O almeno, la sua faccia brutta era tornata seriosa, anche se quegli occhi sembravano ancora lucidi.
 
‹ Sapevo avessi problemi, ma non fino a questo punto -. ›
 
Le parole di Katsuki però non vennero neanche ascoltate, perché Shouto gli si tuffò addosso una seconda volta, questa volta stringendolo più forte. Katsuki cercò di scollarselo di dosso, sentendosi in tremendo imbarazzo perché forse erano passati anni dall’ultima volta in cui aveva ricevuto un abbraccio.
Da un altro ragazzo, be’, quella si poteva dire la primissima volta. E siccome la vita aveva davvero senso dell’umorismo, l’aveva fatto succedere proprio con una delle persone meno desiderate al mondo.
 
Sbuffò e mandò gli occhi in cielo; se voleva le maniere forti, l’avrebbe accontentato.
Gli posò le mani sulle spalle e ringhiò come era solito fare.
 
‹ Se tra mezzo secondo non sei già a dormire ti faccio esplodere. ›
 
Per risposta, Shouto lo strinse più forte.
 
‹ Ne hai bisogno ›, gli disse semplicemente.
Katsuki sgranò gli occhi e lo guardo completamente rincitrullito.
 
‹ Tu hai bisogno di un TSO. ›
 
Shouto non si smosse.
 
‹ Lo fanno anche con te. ›
 
‹ Ma chi? Cosa fanno con me? ›
 
‹ Trattarti male. Colpirti senza motivazione, farti passare per nullità qualsiasi cosa tu faccia, che sia buona o meno. Lo fanno anche con te. Mio padre con me l’ha sempre fatto, anche se ero il suo preferito. Pensa se fossi stato una delusione come tutti gli altri. Però succede anche a te. Questo – questo significa che anche tu hai dovuto creare questo scudo per proteggerti dal mondo. Perché se ti lasci trasportare da tutto, poi diventi debole, ancora più e -. ›
 
‹ Fermo fermofermofermo frena frenafrena. Non ti ho chiesto una seduta di psicanalisi. ›
 
Shouto lo strinse ancora.
 
‹ Anche tu hai bisogno di un abbraccio. Come me. ›
 
Ancora una volta gli occhi di Katsuki riuscirono quasi a vedere il cervello per quanto rotearono.
 
‹ Ascolta: non so che cazzo sia successo per esserti ridotto così, ma la situazione si sta facendo preoccupante. Non mi stai neanche smerdando per le cose che dico. ›
 
Shouto strofinò la propria guancia contro la clavicola di Katsuki, sulla quale aveva poggiato la testa.
 
‹ La tua voce è persino più orecchiabile, quando parli senza urlare. ›
 
Shouto non poté vederlo, ma le guance di Katsuki si scaldarono amorevolmente.
E quando se ne rese conto, scosse il capo e tentò ancora di scollarselo di dosso, perché chi l’aveva detto che lui aveva bisogno di un abbraccio? E perché quei complimenti? Non li voleva i complimenti.
Specie da quel cretino.
 
‹ Non posso urlare o mia madre torna qui a fracassarmi la testa. In più perché tutti ‘sti complimenti? Sembri ancora più frocio di quanto tu non sia già. ›
 
Shouto fece spallucce.
 
‹ Non è da gay fare dei complimenti. Non c’è nulla di sconcio nel dirti che hai una bella voce. ›
 
‹ Se te lo dice un ragazzo gay è diverso. ›
 
‹ È diverso solo se la tua mascolinità è fragile. E la tua lo è abbastanza. ›
 
‹ Oh, ecco, stai guarendo. ›
 
‹ Ti stavo solo dicendo che non ti vedo come un potenziale partner, quindi tranquillo, non sto cercando di sedurti. Ti sto abbracciando perché in questo modo riesco a calmarmi. ›
 
Attimo di silenzio.
 
‹ E perché ti ringrazio. ›
 
Katsuki lo guardò sconfitto. E mosso da chissà quale entità, avvolse a sua volta le braccia attorno al corpo di Shouto.
 
Era una sensazione … Strana.
Per qualche strano motivo, però, non sentì l’impulso di interrompere subito quel contatto, ora che finalmente si era instaurato per bene. Non era schifoso, ma proprio come aveva detto Shouto, era rilassante.
Le braccia di Todoroki poi erano confortevoli, e il modo in cui si erano incastrati era perfetto.
Non c’era nessun tipo di malizia, neppure volendola cercare. Katsuki se ne era reso conto sin da subito, e dopo le parole di Shouto aveva persino smesso di voler pensare.
 
Era tardi.
Era stanco.
Shouto era depresso e forse Katsuki era ancor più depresso di lui, ma pareva che nessuno dei due avesse più le forze per poter contrastare i pensieri scomodi.
 
Rimasero in quel modo: stretti, in silenzio, l’uno tra le braccia dell’altro.
 
Solo dopo svariati minuti, la pace venne infranta da Shouto che cominciò a sniffare qualcosa.
 
‹ Profumi di caramello ›, gli disse e ancora una volta le guance di Katsuki si scaldarono: ‹ Ho sempre pensato che puzzassi. ›
 
‹ Tu puzzi. ›
 
‹ Non puzzo. Ma la tua pelle ha proprio un buon profumo. ›
 
‹ Questa cosa è gay, lo sai? ›
 
‹ Basterebbe un solo grazie, per non renderlo gay. ›
 
‹Tch. ›
 
Involontariamente, Katsuki gli accarezzò la schiena e poggiò il mento contro la sua spalla. Anche la pelle di Shouto profumava di buono, e trovò simpatico come il braccio sinistro fosse caldo e quello destro più fresco. Lui, invece, era tutto un bollore continuo.
Non a caso odiava con tutto se stesso l’estate. Anche l’inverno in realtà, perché c’era troppo freddo e doveva faticare il triplo per sudare e creare esplosioni più forti.
In primavera c’erano troppi fiorellini e troppi pollini. L’autunno era deprimente.
 
No: non gli andava bene mai nulla.
 
‹ Grazie ›, finalmente gli disse. Un angolo della bocca di Shouto si sollevò in maniera impercettibile. E a quel punto sentì di dovergli dire di essergli grato per quel che stesse facendo per lui.
 
‹ Grazie a te. Per tutto. ›
 
Poi mosse un passo e trascinò Katsuki verso il letto, facendo sedere entrambi lì sopra.
 
‹ No. Non ti faccio dormire qui. ›
 
‹ Non voglio dormire qui, ero solo stanco di stare in piedi. ›
 
Katsuki annuì lasciandosi convincere. In realtà, a quel punto della notte, poco gli importava se avesse dormito lì: pur di dormire lo avrebbe sopportato anche addosso.
Okay, forse non proprio addosso, ma circa quasi.
 
‹ Non è per fare il rompiscatole, ma tra poco guarderemo l’alba. E io sono stanco. ›
 
Shouto annuì a quelle parole, e seppur a malincuore, si staccò piano dall’abbraccio, sentendo tutto quel calore abbandonarlo e disperdersi immediatamente.
Fu quello il momento in cui, dopo tutto quel contatto, si guardarono negli occhi. E vedere Katsuki con quelle guance rosse, l’espressione serena e gli occhi lucidi per via della stanchezza, fece diventare Shouto paonazzo a sua volta.
 
Perché in quel momento Bakugou era così carino che gli avrebbe dato un bacio sulla fronte.
Ma se solo avesse osato, probabilmente gli avrebbe fatto scoppiare la faccia. Per quella sera lo aveva stressato fin troppo.
 
Sospirarono all’unisono.
 
‹ Allora buonanotte - ! ›
 
Parlarono in contemporanea, e arrossirono anche nello stesso momento. Con lo stesso trasporto.
Katsuki volse lo sguardo altrove, stringendo i pugni.
 
‹ Non farci l’abitudine, ho chiuso un occhio solo perché stai male, ma continuo a non sopportarti. ›
 
Shouto questa volta sorrise davvero e si alzò dal materasso. Sì, avrebbe sempre fatto schifo nell’esprimere i propri sentimenti. Ma andava bene in quel modo.
Era Katsuki. In tutta la sua natura selvaggia.
 
‹ Lo terrò a mente. A domani. E grazie ancora. ›
 
Katsuki fece per dire qualcosa, ma le parole gli rimasero a mezz’aria. In un momento di vergogna estrema, cercò di dire qualcosa, ma Shouto aveva già chiuso la porta.
Abbassò lo sguardo e si sentì andare a fuoco, specie quando il profumo di Shouto che gli aveva impregnato i vestiti lo investì di colpo.
Dannato, dannatissimo Shouto.
Dannatissimo lui e quell’abbraccio, dannato il suo profumo, dannate le sue parole, dannato il suo essere umano al punto da fargli dimenticare di avercela con ogni singola cosa al mondo.
Dannato Shouto che gli aveva fatto venire gli scrupoli di coscienza nel cuore della notte e adesso si sentiva vuoto e sebbene stesse per svenire per la troppa stanchezza, non riusciva ugualmente ad assopirsi, perché probabilmente l’idea di farlo dormire addosso a sé non era così apocalittica per come s’era immaginato.
 
Sbuffò sonoramente e diede persino un pugno al cuscino per la frustrazione, ma dopo aver passato troppo tempo a pensarci, si alzò dal letto e aprì la porta di scatto. Quasi s’era immaginato tutta la scena, quasi come quella dei film in cui uno dei protagonisti apre di scatto la porta e trova l’altro lì che in realtà stava aspettando, non era andato via.
O, a pensarci, proprio come era successo qualche ora prima.
Ma in quel caso, quella sarebbe stata una cosa assolutamente gay.
 
Shouto, però, non c’era.
Era veramente andato a dormire.
 
Si morse la guancia internamente, ma quando fece per chiudere la porta e tornare a letto, udì il rumore di alcuni singhiozzi provenire proprio dal salone in cui dormiva Todoroki.
Si avvicinò alle scale e aguzzò l’udito per accertarsi che sì, stava veramente singhiozzando e tirando su col naso.
Controllò che quei due idioti dei suoi genitori stessero dormendo  e poi sgattaiolò al piano di sotto.
 
E Shouto quasi cadde dal divano quando lo sentì arrivare, e vergognoso cercò di asciugarsi in fretta e furia le lacrime.
Lo sguardo confuso di Katsuki lo fece vergognare ancor di più, specie perché fino a qualche minuto prima era rimasto lì ad abbracciarlo e a mostrarsi calmo. In realtà no, non lo era, e staccarsi da quell’abbraccio lo aveva fatto crollare di nuovo.
Sarebbe andata così per giorni. Settimane, anche mesi. Lo sapeva già. Conosceva l’incredibile fragilità del suo animo.
 
Si mise seduto sul divano, e trasalì quando Bakugou gli porse la mano. Lo guardò confuso, non sapendo se afferrarla o meno. O perché dovesse farlo.
Si fidò e basta.
 
Katsuki lo afferrò per il polso, perché prenderlo per mano era poco virile nella sua testa bacata -  ma in evoluzione! -, e lo condusse al piano di sopra.
Nessuno dei due disse niente: Katsuki chiuse la porta e poi condusse Shouto a letto. Sempre tenendo la bocca serrata, Bakugou si stese per primo e poi gli fece segno di sistemarsi fra le sue braccia.
Shouto lo guardò confuso: stava forse sognando? Bakugou gli stava dicendo davvero una cosa simile?
In realtà non glielo stava dicendo perché non stavano neanche parlando, ma gli aveva fatto cenno di mettersi non solo nel suo letto, ma fra le sue braccia. A dormire.
 
Katsuki dovette trascinarlo contro di sé con la forza, perché Shouto era rimasto lì, a fissarlo senza capire. Lo fece stendere e sistemare accanto a sé. Poi quando Shouto provò a parlare, Katsuki lo lasciò con le parole a mezz’aria.
 
‹ Punto primo: se lo dici a qualcuno ti ammazzo. Secondo: non riesco a dormire se ti sento frignare. Terzo -. ›
 
Ma Shouto non gli diede neppure il tempo di continuare, perché le lacrime erano tornate a scivolare lungo le sue guance. Katsuki lo guardò con gli occhi spaesati, mentre Shouto si portò le mani sul viso, coprendosi mentre veniva scosso dai singhiozzi.
Be’, che si faceva in casi come quelli? Come si consola un – conoscente in mental breakdown? Oltre a mollargli una sberla, s’intende.
 
Sospirò intensamente e forse per una volta provò ad essere razionale. Pensò a quel che fece poc’anzi Shouto, medesimo motivo per cui lui lo aveva chiamato.
Senza aggiungere altro, lo avvolse fra le braccia, e Shouto gli si aggrappò contro, come se quello fosse veramente l’unico appiglio rimastogli nella vita.
 
Katsuki fissò il vuoto mentre lo stringeva e lo sentiva straziarsi e tremare contro di lui.
Ebbe quasi paura di vederlo in quello stato.
Todoroki Shouto sarebbe stato capace di tener testa ad un intero esercito di villain con le più pericolose unicità. E lo avrebbe fatto con un’impeccabile razionalità che lo avrebbe portato a vincere senza troppe difficoltà.
Lo stesso ragazzo era lì e stava piangendo fra le sue braccia fino a farsi mancare il fiato.
 
Pensò che non l’avrebbe mai visto piangere. Né crollare.
Forse aveva idealizzato troppo quella calma distruttiva. Shouto restava comunque umano.
E anche lui aveva vissuto troppo. Aveva subito troppo.
Ed era stanco. Stanco di tutto.
 
Katsuki si schiarì la voce e si allungò contro il comodino per afferrare la scatola di fazzoletti; ne tirò via tre, e col primo asciugò le lacrime di Shouto, che imperterrite continuavano a scivolare.
Il secondo glielo diede in mano, il terzo servì ad asciugare le lacrime che gli avevano bagnato i capelli.
 
Shouto tremò ancora dinanzi a quelle attenzioni. Non pensò che Bakugou potesse essere in grado di trattare qualcuno con così tanto riguardo.
Provò a parlare, a dire qualcosa, ma i singhiozzi erano così forti che proprio non glielo permettevano. Così ci pensò Katsuki, anche se non aveva davvero idea di cosa dire.
Per quella volta, però, si disse di evitare le minacce. L’indomani gliele avrebbe fatte.
 
‹ Ohi. ›
 
Be’, era comunque qualcosa.
Shouto sollevò il viso, guardandolo con timore. Aveva gli occhi arrossati, il naso più rosso dei suoi capelli e le labbra tremanti.
Odiò pensarlo, ma persino Bakugou lo trovò carino in quella circostanza. Erano tratti di Todoroki che non aveva mai immaginato potessero essere reali.
Shouto si soffiò il naso, e Katsuki fece una faccia schifata.
 
‹ … Scusa. ›
 
Le gote di Todoroki si erano arrossate per l’imbarazzo: non solo gli era scoppiato a piangere a letto, ma si era anche soffiato il naso accanto a lui. Era in uno stato a dir poco pietoso.
Katsuki scosse piano il capo, e prese un quarto fazzoletto con cui continuò ad asciugar via tutte quelle lacrime.
 
‹Non ti preoccupare, è okay. ›
 
Shouto annuì forse cercando di convincersi che almeno quello fosse okay, ma i sensi di colpa erano più fastidiosi di un atroce macigno posto sul petto. E quella pietra gli impediva di respirare, di pensare ai giorni futuri privi di dolore.
Le ginocchia gli tremavano, le spalle venivano ancora scosse dai singhiozzi e adesso stava avanzando anche il mal di testa.
Aveva lo sguardo fisso verso il tetto, mentre Katsuki non aveva spostato gli occhi da lui neppure un secondo.
 
Non seppe dire con precisione cosa fosse, ma c’era qualcosa di prezioso e infinitamente umano nel vederlo in quel modo. Vederlo così vulnerabile lì, tra le sue braccia.
Dio, avrebbe potuto farlo fuori con una sola mossa, e Shouto non avrebbe opposto resistenza alcuna. Ma averlo lì, in quel modo, gli faceva venire persino i sensi di colpa a causa di tutti quei pensieri violenti che era capace di concepire.
 
Gli asciugò una lacrima e Todoroki sussultò, voltandosi verso di lui: i suoi occhi erano confusi, ma ancora troppo offuscati dal dolore.
Assottigliò le labbra e sollevò leggermente un angolo della bocca.
 
Si guardarono in silenzio, e senza dover aggiungere altro, Katsuki lo avvolse ancora fra le sue braccia. Forte. Fortissimo. Al punto che Shouto pianse così tanto da non capire se gli stesse mancando il fiato per il dolore o per quella stretta che era improvvisamente diventata la sua ancora.
Gli si aggrappò alle spalle, affondò il viso contro il petto di Bakugou e si lasciò stringere ancora, ancora, ancora.
Sentendosi, finalmente, al sicuro.
 
Dal mondo.
Da suo padre.
Da tutto quel dolore.
E finalmente anche da se stesso.
 
Katsuki gli accarezzò la testa; gli passò le dita fra i capelli e continuò ad asciugargli le lacrime. Questa volta senza imbarazzo.
Proprio come se fossero i gesti più naturali al mondo.
Come se l’avessero sempre fatto.
 
Shouto si prese tempo, prima di calmarsi, ma non osò staccarsi da Katsuki. Katsuki, dal canto suo, non smise un solo secondo di stringerlo e di prendersi cura, anche se in modo marginale, di quel suo dolore.
Erano quasi le cinque del mattino. Se avessero continuato a restare svegli, avrebbero visto sicuramente l’alba.
 
‹ Un po’ meglio ci va, adesso? ›
 
Bakugou lo chiese incerto, senza però cercare lo sguardo di Todoroki, che ancora restava accucciato in quell’abbraccio.
Questi annuì e strofinò il viso contro il suo petto.
 
‹ Cercherò di sdebitarmi. Per tutto. Davvero. ›
 
Katsuki sorrise, ma Shouto non poté vederlo. Non subito.
 
‹ Devi solo promettermi una cosa. ›
 
‹ Non lo dirò a nessuno, te lo promett -. ›
 
‹ No. Non è quello. ›
 
La calma e la serietà del suo tono di voce stupirono Shouto al punto da portarlo a sollevare leggermente il viso, cercando in qualche modo di guardare il suo viso.
Katsuki si schiarì la voce, prima di tornare a parlare.
 
‹ Voglio che mi prometti che non dimenticherai mai chi sei. E soprattutto, promettimi che ricorderai al tuo dolore, chi sei tu. ›
 
Shouto si prese qualche minuto prima di rispondere. Inconsciamente, mosse le dita seguendo la sporgenza delle scapole prominenti.
 
‹ Al – mio dolore? ›
 
‹ Sì. Quando stai così, quando tutto crolla e senti solo dolore che non ti fa smettere di stare male, tu ricordagli chi sei. Ricordagli che sei un eroe, che lo diventerai, e che non c’è dolore che tenga davanti ad un eroe. O sarà sempre lui a vincere. ›
 
‹ Lo fai anche tu? ›
 
‹ Sarò il migliore, ma sono pur sempre umano. Anch’io a volte devo solo ricordare chi sono, prima di rimettermi in carreggiata. ›
 
Katsuki abbassò lo sguardo e gli venne un brivido quando incontrò gli occhi acquosi di Shouto, pronti lì a fissarlo incuriositi.
Sentì le guance scaldarsi, ma non diventarono rosse. Non sentì neppure il bisogno di guardare altrove, sapeva che Shouto non avrebbe mai invaso i suoi spazi.
Nonostante tutto, però, entrambi sentirono che quello fu in assoluto uno dei momenti più intimi mai vissuti nella loro vita.
 
Entrambi spogli.
Non dei vestiti, ma con le anime messe ai quattro venti.
Avevano spalancato le finestre e avevano messo tutti i loro mostri allo scoperto. Forse, e solo forse, divenne quello il momento esatto in cui si seppero invincibili.
 
Shouto sorrise, e nel medesimo istante, una lacrime gli rigò ancora il viso.
 
‹ Te lo prometto. ›
 
Poi un gesto totalmente inaspettato.
Le labbra di Katsuki si incurvarono in un sorriso, e Shouto rimase a fissarlo con gli occhi sgranati. Gli accarezzò la schiena nel mentre, ma continuò a guardare quella curva angelica.
 
‹ …Che c’è? ›
 
La domanda che Katsuki gli pose lo fece sussultare, e Todoroki scosse il capo.
 
‹ Hai un bel sorriso. ›
 
Lo ammise con un filo di imbarazzo, e tornò a rifugiarsi contro il suo petto. Lo sentì sorridere e poi la presa attorno al suo corpo gli parve più intesa. E lui non si era mai sentito così al sicuro in vita sua.
 
‹Non hai sonno? ›
 
‹ Fin troppo. ›
 
‹ Che ne dici se proviamo a dormire? ›
 
‹ Mh mh. È un problema se restiamo così? ›
 
‹ No, no. Se non ti fa piangere e ti fa dormire, resta così. ›
 
‹ Grazie, Bakugou – kun. ›
 
‹ Smettila di ringrazia -. ›
 
Shouto alzò lievemente il capo e premette un bacio sulla clavicola esposta dell’altro, per poi tornare ad accucciarsi fra le sue braccia.
Katsuki rimase con gli occhi sgranati e il cuore in gola. Se avesse potuto, se solo avesse potuto, gli avrebbe dato una testata sui denti.
Ma la verità era che non voleva. Poteva, ma non voleva. Non più.
 
Si limitò a scuotere il capo, sorridere e chiudere gli occhi, stringendo Shouto a sé, e lasciando che i primi raggi dell’alba facessero capolino all’orizzonte, illuminando ogni singola superficie ricoperta dalla rugiada lasciata dal prepotente temporale della sera precedente.
 
Anche dentro, finalmente, splendeva di nuovo il Sole.


 












 
Angolo Adeloso: ammetto di non avere grandi aspettative, per questa shottina. 
So già che non verrà calcolata, ma voci di corridoio mi hanno detto lasciarla qui comunque, sia mai che qualcuno voglia graziarmi. So solo che l'ho scritta perché ne avevo maledettamente bisogno. L'ho stesa in una sera d'estate in cui tutto ciò di cui avevo bisogno era liberarmi di qualcosa. Esattamente come Shoto ha fatto con Katsuki. 
Non so neppure consigliarvi delle canzoni adatte, perché ne ho ascoltate tantissime nel mentre che potessero ispirarmi. Quindi, se vi piace leggere con un sottofondo musicale, mi sa che potrà andare bene tutto.
La mia musa ispiratrice è stata una role(per chi non sapesse di cosa io stia parlando, vada a cercare in giro "giochi di ruolo") fatta con delle mie amiche, in cui Shinso e Midoriya cominciano una relazione, e Shoto viene tagliato via dalla vita di Izuku in modo violento, subendo anche grossi soprusi. Insomma, angst a palate. 
Ma ripeto, non ho grandi aspettative, dato che quel che scrivo viene snobbato abbastanza, ma pazienza: resta qui, venitela a trovare tutte le volte in cui vi farà piacere. ~
Detto questo, sparisco di nuovo tra i libri. 
Adieu. ~

Adele 
   
 
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