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Autore: _Alexis J Frost_    07/10/2018    0 recensioni
[ Umibozu x Kouka - Ambientato poco tempo dopo il giorno del matrimonio ]
Le sue mani erano solite a portar morte e distruzione. Aveva ucciso uomini, aveva ucciso donne.
Sul suo animo gravava il peso del peccato, gravava la morte più nera.
Eppure, in quel suo sentiero scarlatto, il mai sconfitto non si era mai reso conto di avere dalla sua parte anche della splendente luce.
La luce della vita.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Pioveva a dirotto.
Pioveva spesso, in realtà, su quel cupo pianeta, impregnato di marcio e di sangue. Tuttavia, neanche la pioggia fermava il traffico di persone che andavano e venivano, seppur uno tra loro si aggirasse per strade secondarie sì più pericolose, ma anche meno abitate.
Il distruttore camminava senza meta alcuna, con lo sguardo basso e una forte presa ad attanagliar lo stomaco. Lui, che ben teneva sempre lo sguardo alto, osservava invece il terreno con rassegnazione e frustrazione.
Le sue mani riuscivano a macchiarsi del sangue di chiunque, le sue mani prendevano ogni vita.
Il suo ombrello poneva fine ai respiri, il suo ombrello trapassava, e trucidava.
Era il mai sconfitto, l'imbattuto.
Era il mai sconfitto, che perdeva invece ogni battaglia della sua più importante guerra.
Perché le sue mani dovevano macchiarsi anche del sangue dell'unica amata, le sue mani non potevano salvare.
Il suo ombrello non poteva esser il rifugio del cuore, il suo ombrello non poteva combattere per donar vita.
Era sconfitto, in realtà.
Stava perdendo contro il nemico più in grande. Era già perdente, forse.
I suoi occhi erano velati da lacrime che si confondevano con la pioggia. Mentalmente riordinava gli ultimi avvenimenti, aggiungeva l'ennesimo fallimento a quello scaffale mentale che faceva male come tagli di coltello. Davanti a sé vedeva l'immagine di sua moglie Kouka che tossendo imbrattava le lenzuola di sangue e vedeva se stesso alle sue spalle, piangente e macchiato dello stesso rosso delle lenzuola.
Kouka stava morendo per colpa sua, questa la grande verità, la colpa peggiore.  Il suo amore la stava distruggendo. Il loro amore stava trasformando lei in cadavere e lui in un'anima irrimediabilmente sporca.
Con l'avambraccio provò ad asciugare le lacrime ma queste continuavano imperterrite a solcare il suo volto. Per poco non cominciò a singhiozzare.
Quanto ancora restava alla sua amata Kouka? Non molto, immaginava. Forse qualche anno, sei, sette? Così poco tempo, così maledettamente poco...
Camminò ancora a lungo, ancora e ancora, fino ad arrivare dinnanzi casa propria che seppur stesse evitando, alla fine si ritrovò costretto a farvi ritorno. Poiché casa è il luogo in cui si ricevono i bentornato e dietro quella porta lo attendeva la donna più bella tra tutte, la sua dea che stava pian piano perdendo l' immortalità.
Quando aprì la porta i suoi occhi avevano già smesso di piangere da un po', sebbene attorno a loro si vedesse ancora un anomalo, pallido gonfiore. Kouka se ne rese subito conto, tuttavia non pronunciò parola alcuna, avvicinandosi a lui semplicemente.
«Bentornato, Kank...»
Venne abbracciata prima ancora che terminasse la frase; fu un gesto così improvviso che ella sgranò di poco gli occhi. Le braccia di Kankou l'avvolsero subito in una forte stretta, e lui respirò il suo profumo chiudendo gli occhi stanchi.
Kouka profumava di tabacco e di fiori, un aroma che amava, che lo calmava e gli donava la piacevole sensazione di amore e di casa. Lui, l'uomo dalle mani perennemente macchiate di sangue, si trovava cullato dall'odore della moglie e si beava, quasi invitato da una tacita ninna nanna, di quell'atmosfera così semplice e, proprio perché semplice, squisitamente dolce e magnifica.
«Ciao, moglie mia.» Sussurrò al suo orecchio, curvando di poco le labbra in un lieve sorriso nel sentire le braccia di lei avvolgersi intorno al suo corpo. «Mi...mi sei mancata.»
Kouka si allontanò il minimo necessario per poter incrociare il suo sguardo. Una sua mano serafica andò a posarsi sulla guancia fredda di lui e ad essa donò calore con delle calme carezze.
Kankou immaginava che lei avesse notato il suo sguardo, Kouka comprendeva sempre tutto. Sembrava una splendida donna di ghiaccio e tuttavia, oltre quella coltre imperturbabile, era capace di comprenderlo come nessun altro lo faceva. Dopotutto, era sua moglie. E quale fortuna era che lo fosse. Ogni giorno ringraziava il fato per averla incontrata e lo malediva per avergli concesso troppo poco tempo da trascorrere al suo fianco.
«Smettila di darti colpe che non hai.»
La voce di lei era schietta, il tono severo ma preoccupato. Lui avrebbe voluto piangere ancora nel vedere quanta forza dimostrasse; Kouka non vacillava mai, sembrava non esserne capace. E lui abbassò lo sguardo, senza rialzarlo quando le rispose.
«Ma ce l'ho, quella colpa. Sai che è vero.»
«E' stata una mia scelta seguirti, Kankou. E non mi pento di averlo fatto.»
Kouka prese il volto di lui tra le sue mani e lo guardò, con quei suoi grandi, fieri occhi azzurri, con lo sguardo di chi stava mandandoti un chiaro messaggio che non accettava replica alcuna.
Detestava vederlo farsi del male a quel modo, flagellarsi l'animo con i sensi di colpa.
Per amor suo, Kankou non ribatté. Tutt'altro. Si chinò per darle un bacio che sapeva di disperazione ma anche di sollievo nel sapere che nonostante il dolore, nonostante il terribile tanfo di morte che gravava su di loro, lei non aveva mai smesso di percorrere la strada che la vedeva al suo fianco. Perché non aveva mai amato e non avrebbe amato mai nessun'altro uomo se non quell'impacciato eppure terribile distruttore.
«Poi dovresti pensare a qualcosa di più felice.»
Kankou la guardò confuso, senza neanche notare la mano di lei che andava a posarsi sul ventre. Tanto temibile quanto ingenuo era lui, in fondo.
Chinò quindi il capo di lato e Kouka si lasciò sfuggire una lieve e spontanea risata per quella tenera disattenzione, e per un istante sembrò illuminarsi di meraviglioso incanto. Non rideva spesso, eppure suo marito giurava che quando accadeva il sole poteva splendere anche su Raikou. Ne era sicuro, com'era sicuro che da qualche parte, nell'universo tutto, doveva esserci un fiore che sbocciava sempre ogni qualvolta Kouka sorridesse o ridesse.
«...avanti, papà, non puoi essere davvero così scemo.»
E' impossibile definire davvero cosa provò Kankou in quel momento. Stupore, gioia, paura, incredulità...tante cose, tutte insieme, in un unico, infinito istante. La sua espressione era tanto buffa con quegli occhi sgranati e persi, la bocca dischiusa che non riusciva a pronunciare nessuna parola se non che balbettii sconnessi.
«...t...tu...»
La risata di Kouka si era già trasformata nel più dolce dei sorrisi, mentre annuiva con un cenno del capo e prendeva una mano del marito per portarla sul suo ventre.
«Sì, Kankou. Aspettiamo un bambino. Non ci credevo nemmeno io, invece...»
L'uomo stavolta pianse di sincera commozione, simbolo di una felicità che sembrò oscurare tutta la tristezza provata fino al momento precedente. Baciò la sua amata, la strinse ancora. E ancora riportò le mani laddove vi era il frutto del suo seme, la piccola vita che stava donando al mondo e rise, rise tra le lacrime.
«Io...io non posso crederci. E' bellissimo.»
«Lo è.»
«E come lo chiameremo?»
«Abbiamo tutto il tempo per pensarci, non credi?»
«Sì. Tutto il tempo. Tutto...il tempo.»
 
Le sue mani erano solite a portar morte e distruzione. Aveva ucciso uomini, aveva ucciso donne.
Sul suo animo gravava il peso del peccato, gravava la morte più nera.
Eppure, in quel suo sentiero scarlatto, il mai sconfitto non si era mai reso conto di avere dalla sua parte anche della splendente luce.
La luce della vita.
La vita che aveva donato a sua moglie, da sempre stata sola, distante.
La vita che con lei aveva ora creato, una minuscola creatura che presto sarebbe nata, un fagottino piccolo piccolo che quasi temeva di non meritare.
E capiva, nonostante il senso di colpa che mai lo avrebbe abbandonato, che il suo errore era anche e soprattutto il suo gesto più grande. Capiva perché la sua Kouka non si sarebbe mai pentita, nonostante tutto.
Non si pentiva di nulla neanche lui, in verità; il suo più grande rimorso sarà stato il non aver trovato soluzione ma mai, mai, l'aver creato una famiglia con la sua splendida dea dagli occhi di ghiaccio e i capelli del color del tramonto.


Angolo dell'autrice.
Sfruttando il writober, mi è capitato il prompt "Missing Moments". Questo è ciò che ne è uscito fuori: la mia prima fanfiction su Kouka e Umibozu, un momento triste eppure dolce, perché loro sono sia disagio, che dolcezza e tristezza insieme.
E' stato molto bello scrivere di loro e spero che il lavoro sia apprezzato.
Alla prossima! 


 
  
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