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Autore: SkyDream    14/10/2018    9 recensioni
«Sherlock, devo parlarti di una cosa importante!» esclamò John attento a non urlare per non svegliare la bambina «Se non torni entro un paio di ore verrò a cercarti. E non ti farò tornare intero a casa».
«Sarà bene che non faccia tardi allora, John».
Ma quando lo disse aveva già richiuso l’uscio.
Accanto le loro poltrone, dove ascoltavano i clienti e prendevano il tè, vicino il box della piccola cosparso di giocattoli e cuscini, stava il tavolino con un plico di fogli che continuava a prendere polvere.
Erano giorni che quel plico non veniva spostato ed era letteralmente impossibile che Sherlock non se ne fosse accorto. Che non ne fosse interessato a causa del lavoro? Che fosse troppo impegnato per dar peso al suo contenuto?
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Da te!


I raggi di sole illuminavano ormai da un paio di ore le case assonnate di Londra, l’aria era tiepida e per le strade vagava solo silenzio.
Anche al 221B di Baker Street non si udiva alcun rumore al primo piano. Tranne un incessante bip-bip, che lasciava intuire al povero Watson che l’ora di alzarsi era ormai giunta.
La bambina accanto a lui, accovacciata nella sua culla, piangeva insistentemente reclamando le attenzioni del padre che, esausto dai ritmi che Sherlock gli aveva fatto fare la notte prima, aveva una gran voglia di lasciarla piangere.
«Hai intenzione di far svegliare tutto il quartiere?» chiese qualcuno aprendo la porta.
«Dici a me o a lei?» rispose John sarcastico sedendosi sul letto e stiracchiando le braccia.
«Parlavo certamente con la bambina …» Sherlock approfittò della posizione dell’amico che ancora si stirava per mettergli in mano il biberon scaldato e prese in braccio la bambina che smise immediatamente di piangere.
Per qualche ragione i riccioli scuri che cadevano sulla fronte dello zio Sherlock –ribattezzato così bonariamente da John- la attiravano al punto da farla tranquillizzare in qualsiasi circostanza.
«Era così anche con i capelli di Mary» sosteneva John guardandosi allo specchio e notando che la sua testa cominciava a farsi sempre più liscia.
«Vedi di non farla piangere più, sto cercando di risolvere un caso di omicidio interessante»
«Un altro? Ma ne abbiamo concluso uno ieri sera!» esclamò l’altro risentito al pensiero di fare un’altra levataccia di sei giorni.
Sherlock, scalzo e col passo felino, si allontanò dalla stanza lasciando un John assonnato che dava da mangiare a una bambina felice.
 
«Sto andando in ambulatorio, se esci lascia Rosy dalla signora Hudson».
«John?» Sherlock, seduto sulla poltrona con i piedi raccolti e le mani sotto il mento, squadrò prima la bambina nel box vicino e poi il padre.
L’appellato si girò, con il camice in mano e la sciarpa ancora da sistemare.
«Questo tuo continuo riflettere mi sta distraendo molto più del pianto di Rosy. A cosa stai pensando?»
In silenzio, John Watson uscì.
Sherlock era bravo a dedurre, grazie a Mycroft aveva imparato a fare delle statistiche che lo avvicinavano incredibilmente alla previsione del futuro, eppure la cosa che frullava in testa a John sarebbe stata impossibile da dedurre o prevedere persino per un tipo in gamba come lui.
 
Che dovesse interrompere i suoi casi per un motivo così futile, però, era proprio impensabile. Abbassò la testa sul computer e riprese ad indagare.
Era stata una mattinata molto proficua, forse troppo visto che nessuno lo aveva interrotto.
Sherlock si ritrovò a guardare preoccupato il viso arrossato della piccola Rosy che, ancora seduta nel box, teneva distrattamente una pallina in mano.
Di solito non era una bambina rumorosa, anzi restava tranquilla a giocare e piangeva di rado se non per la fame, ma era veramente insolito che restasse così ferma a non fare nulla.
«Ti annoi? - chiese Sherlock prendendola in braccio e sollevandola all’altezza della fronte - Sei ancora piccola ma un giorno ti insegnerò a sparare contro il muro».
La piccola non lo guardava nemmeno, aveva gli occhi lucidi e, cosa ancora più strana, non cercava di afferrare i suoi riccioli con le manine paffute.
«Andiamo a fare una visita a John».
Quando la signora Hudson vide Sherlock uscire con un fagotto rosa sulle spalla, pensò che fosse davvero la cosa più strana che avesse mai visto in vita sua.
E dire che aveva un marito spacciatore e delle teste decapitate nel frigorifero.
 
«Sto cercando il dottor John Watson! E’ così difficile da trovare in un ambulatorio?» urlò Sherlock a una signorina bionda che continuava a ignorarlo mentre stava al telefono.
«Le ho già detto che il dottor Watson è occupato in clinica con un paziente. La prego di attendere il suo turno con pazienza come fanno gli altri» gli rispose sollevando gli occhi e riprendendo la conversazione al telefono.
Intenzionato ad aprire le porte una ad una fino a trovare il suo coinquilino, il ragazzo si accinse ad andare per il corridoio più vicino.
«Se conoscesse un minimo Sherlock, saprebbe che pazienza non ne ha quando non vuole» disse un medico uscendo la testa da una porta vicino e guardandolo truce.
«John, finalmente!».
 
«Ha preso l’influenza. Ha la febbre, per questo stamattina ha mangiato meno ed è così silenziosa». John guardò la piccola con un misto di affetto e preoccupazione, carezzandole la testolina e lasciandosi avvolgere il collo dalle piccole braccia.
Aveva cominciato da qualche giorno a sillabare e ora borbottava qualcosa tra sè e sé che somigliava vagamente a un “papà John”, ma che era più un “ba-a-on”.
«Grazie per averla portata qui, vai pure a casa, io tornerò tra poco».
 
Quel pomeriggio, mentre la piccola Rosy dormiva già serena nella stanza da letto, Sherlock scriveva appunti e frecce su un cartellone nel muro, attaccando foto degli indiziati. Quando John aprì la porta lo vide che stava saltando sul tavolino ondeggiando la vestaglia mentre esponeva a voce alta i suoi ragionamenti troppo spediti.
Diceva sempre che il suo cervello andava troppo veloce e che bisognava muoversi per stargli dietro.
«Senti, a proposito di ciò che stavo pensando stamattina» cominciò John ignorandolo e mescolando il tè della signora Hudson mentre si sedeva nella solita poltrona.
«Sì, noto che i tuoi neuroni continuano a fare un gran rumore. Ecco, ho trovato la soluzione devo dirla a Lestrade. Resta pure con Rosy se non ti va di venire, tornerò tra poco».
«Sherlock, devo parlarti di una cosa importante!» esclamò John attento a non urlare per non svegliare la bambina «Se non torni entro un paio di ore verrò a cercarti. E non ti farò tornare intero a casa».
«Sarà bene che non faccia tardi allora, John».
Ma quando lo disse aveva già richiuso l’uscio.
Accanto le loro poltrone, dove ascoltavano i clienti e prendevano il tè, vicino il box della piccola cosparso di giocattoli e cuscini, stava il tavolino con un plico di fogli che continuava a prendere polvere.
Erano giorni che quel plico non veniva spostato ed era letteralmente impossibile che Sherlock non se ne fosse accorto. Che non ne fosse interessato a causa del lavoro? Che fosse troppo impegnato per dar peso al suo contenuto?
 
Finalmente il suo coinquilino stava seduto di fronte a sé, suonava il violino pizzicando le corde con aria allegra e di tanto in tanto ravvivava i riccioli scuri che gli scendevano in fronte.
«Non so se in questi giorni ti sei accorto di quest-» cominciò John prima di essere interrotto.
«Oh, certo che me ne sono accorto! E speravo che me ne parlassi presto. O mai. Non è da te John, chiedermi consigli su questioni così stupide!»
John Watson, guardando il suo amico con gli occhi spalancati, decise di rimanere in silenzio ad ascoltare la sua deduzione. Sperando che fosse sbagliata.
«E’ una domanda di adozione di Rosamunde Watson, ed è rimasta lì per giorni, segno della tua ovvia indecisione. Ora, John, ho cercato di comprendere i motivi di tale pazzia, ma sembrano a dir poco stupidi.» scandì attentamente l’ultima parola, riprese fiato e smise di pizzicare le corde del violino.
«Mi spieghi perché vuoi far adottare Rosy? Non abbiamo rilevanti motivi economici e abbiamo sia la signora Hudson sia Molly Hooper che ci aiutano quando siamo via con un caso. Vuoi veramente che te la portino via?».
Parlava con una nota di disprezzo, quasi di tensione- evidenziata dal fatto che aveva ripreso a pizzicare le ultime due note del violino.
«Da te» Disse semplicemente John guardandolo negli occhi e cercando di fermare i mille processi logici che si stavano accavallando nella mente del detective.
«Vuoi che la portino via da me? Non fumo, ho smesso di drogarmi, ho-».
«Da te. Che sia adottata da te, buon Dio! Alcune cose ovvie non le recepisci proprio!»
Il violino cadde con un tonfo sulle gambe del detective, che rimase in silenzio con lo sguardo vacuo.
«Vuoi che io adotti Rosy?» chiese come se stesse scherzando, aveva ripreso lo stesso colorito cinereo di quando gli aveva chiesto di essere il suo testimone di nozze.
«Non da solo. Con me. Per questo volevo aspettare a dirtelo, so che è una scelta difficile da prendere, ma io e te rischiamo la vita ogni giorno e milioni di pazzi criminali là fuori ci vogliono morti e chissà quanti altri ne arriveranno. E se non dovessi farcela, Rosy a chi andrebbe?».
Sherlock posò il violino per terra, portando i piedi sul divano e le mani sotto al mento con fare pensieroso.
«Sei sempre stato un po’ lento di mente, John»
«Grazie.» rispose sarcastico.
«Se io e te siamo sempre in pericolo, non è illogico che l’affidamento tu lo faccia a me? Rischio la vita forse anche più di te, ci sono più probabilità che uccidano me-»
Sherlock rimase in silenzio vedendo il suo amico scurirsi in volto.
E lì capì: che per la probabilità di essere ucciso era morta la madre della piccola Rosy, e che per salvare lui si sarebbe sacrificato anche John.
E la cosa non gli piacque per nulla.
«Ti chiedo solo di pensarci, Sherlock. Non si tratta di alcun obbligo, e comunque fai già da padre a Rosy tanto quanto lo sono io.» Si alzò dalla poltrona lasciando i fogli lì sul tavolo, ancora a prendere polvere.
«E non provare a dire che non è così! Le scaldi il latte, la lasci giocare con te, oggi l’hai persino cambiata e portata in ambulatorio lasciando a metà il caso di Lestrade. Non dirmi che questo non è da padre».
Si chiuse la porta alle spalle, intenzionato a dormire almeno due ore di fila, lasciando Sherlock seduto con i piedi sulla poltrona che fissava il vuoto, ancora scosso dall’enorme richiesta.
«Diventare papà?».

Angolo autrice: Salve a tutti i lettori che sono arrivati fin qui! Sono nuova nel fandom, anche se ho visto e rivisto (letto e riletto) Sherlock. Questa storia è rimasta chiusa nel pc per un bel po' di tempo, ma spero che vi sia piaciuta.
A presto!
-SkyDream-
   
 
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