Ho
trentaquattro anni e finalmente sono in pace.
Dopo
tanto cercare, dopo tante inquietudini, ho trovato il luogo a
cui appartengo, ed in cui posso infine riposare, e mi sono resa conto di
averlo sempre saputo, e che lui è sempre stato lì.
Bastava
solo che allungassi una mano, che facessi un gesto, per poterlo raggiungere. Ma
io non allungavo mai quella mano e non facevo mai quel gesto, prigioniera
com’ero dei miei doveri verso mio padre, verso la famiglia Jarjayes, verso la
mia Regina, cieca, intrappolata in centinaia di anni di convenzioni sociali, di
ruoli precostituiti, di ipocrisie e di bugie.
Ma da
stasera tutto cambierà.
Da
stasera sono una donna in grado di scegliere per se stessa e sono una donna che
sceglierà l’uomo che ama, che ha sempre amato, da
quando riesce a ricordare, pur senza rendersene del tutto conto.
Intuendolo,
forse sì, annusandolo, percependolo a livello inconscio e nascosto nel doppio
fondo del cuore, ma senza mai avere il coraggio di gridarlo a voce alta, non
tanto al mondo intero, che ne resterebbe inevitabilmente sconvolto e
scandalizzato, senza capirlo mai, quanto a me stessa.
Io
amo Andrè Grandier.
La
semplice verità di queste quattro parole mi fa quasi paura, ma mi rende folle
di felicità, inebriata come se fossi ubriaca, scevra da ogni inibizione che
finora ha controllato i miei gesti, misurato le mie parole, frenato i mie sentimenti.
Da
tanto, troppo tempo conservo dentro di me la potenza di questo sentimento che
non è nuovo, non nasce questa sera, ma mi è cresciuto
dentro piano, poco alla volta, da sempre, da quando avevo cinque anni e quel
moccioso dagli occhi verdi mi è stato messo accanto da mio padre per diventare
amico di suo figlio, unico gesto azzeccato che il generale Jarjayes abbia mai
fatto nei miei confronti. Certo, lui non avrebbe mai immaginato, allora, ma
nemmeno adesso, che quel gesto gli si sarebbe rivoltato contro in maniera tanto
abnorme, tanto lontana da quelle che sono le sue idee e le sue profonde e radicate convinzioni.
Ma
non mi importa, ormai non più. Non c’è niente che mi importi davvero come il rendere partecipe il mio Andrè di
quello che sono finalmente stata capace di trovare dentro di me. Quello che era
sempre stato lì senza che io avessi la capacità di
vederlo.
Pochi
giorni fa, durante l’attentato al principe di Spagna, quando i rivoltosi hanno
fatto quasi saltare in aria un intero paese e molti
dei suoi abitanti, talmente accecati dalla loro follia da non curarsi di
uccidere anime innocenti pur di realizzarla, Alain, Andrè ed io siamo quasi
morti anche noi nel tentativo di porre un freno a quel massacro.
Mi
sono risvegliata accanto ad un fiume, minuti od ore
dopo, non saprei dirlo, ed il mio Andrè era lì, accanto a me, ancora svenuto,
che mi teneva la mano con pervicacia, per proteggermi, per salvarmi la vita,
per non allontanarsi da me. E mi sono ricordata di un altro fiume, di un’altra
volta in cui, esausti entrambi dopo una scazzottata da cui sarebbe dipeso
l’intero corso della nostra vita, lui mi ha preso la mano stringendomela come a
non volermi mai più lasciare andare via.
Lo
stesso calore. La stessa sensazione di disarmante felicità, di assoluta
sicurezza, certezza che solo rimanendo accanto a lui non mi sarebbe mai potuto accadere nulla di male. La stessa, unica impressione
di “casa” che solo lui sa darmi, che solo accanto a lui ho provato.
Ora
come allora.
Ed infine
stasera. Questa serata assurda e irreale, in cui mio padre ha levato la sua
spada contro di me, pronto a spargere il suo stesso sangue per lavare quella
che lui riteneva un’onta da non potersi cancellare in altro modo, perché io ho
difeso i miei soldati, ho spalleggiato i miei uomini contro un preciso ordine
del re e queste sono offese che si pagano con la vita.
Povero
padre, non avete mai capito, non avete mai accettato il fatto
che il mondo possa cambiare, non avete mai nemmeno pensato di cambiare
con esso. Ma adesso sta succedendo sotto il vostro
naso, la ruota è già in moto e voi non potete fare nulla per fermarla, nemmeno
uccidere me servirà a qualcosa.
Ma questa
non è solo la vostra serata di follia, padre, no, questa è la sera in cui il
mio Andrè, il mio amore, il servo, l’attendente, il soldato, l’uomo che
silenziosamente ha seguito i miei passi per tutta una vita si è fatto avanti
per difendermi o per morire con me. Per morire prima di me, perché, come ha
detto lui stesso, non avrebbe potuto sopportare di vedere uccisa davanti ai
suoi occhi la donna che ama.
Lui
mi ama ancora.
Andrè
mi ama ancora nonostante tutto, nonostante il tempo che è passato ed ha giocato
il tutto per tutto per dividerci, nonostante i miei stupidi dubbi, le mie
ingiustificate paure, nonostante il mio comportamento che è stato tutto meno
che incoraggiante in questi anni, perché di coraggio avrei avuto bisogno io
prima di tutto, eppure, nonostante tutto questo, lui mi ama ancora.
Il
mio cuore di donna non ha mai saputo che cosa volesse dire essere completamente
appagato, fino ad ora. Ed ora che lo è, anche il mio
corpo sente la medesima urgenza, bisogno impellente di sentire le sue mani,
desideri inconfessabili che fino a ieri mi avrebbero fatto arrossire e
vergognare, ma invece ora no, mi sembrano così naturali, così ovvi e normali.
Io
lo amo e quindi lo voglio, voglio che sia mio, sentire
le sue mani, le sue labbra, la sua lingua e scoprire finalmente, per la prima
volta, da donna adulta, che cosa significhi annegare totalmente in un’altra
persona.
Il
messaggero della Regina è arrivato sotto la pioggia scrosciante, appena in
tempo per impedire che si compisse l’irreparabile, a porre fine a quella
situazione parossistica creatasi per la cecità di un uomo, che di certo non era
quello con la vista compromessa in quella stanza, per il troppo amore di un
altro e per la mia pochezza e lentezza nel riconoscere le cose.
Non
ho mai creduto che si potesse morire per troppa felicità ed
avrei trovato assai disdicevole farlo succedere proprio adesso, ora che ho
finalmente qualcosa di importante da dire al mio Andrè.
Ora che finalmente mi sono liberata da secoli di
zavorra e posso vivere con lui, che, inspiegabilmente, sorprendentemente mi
vuole ancora.
Vivere,
questo è adesso l’imperativo categorico.
Vivere
non mi fa più paura, ed è questo il motivo per cui per la prima volta nella mia
vita temo la morte.
Vivere
per amarlo. Vivere per renderlo felice. Vivere per dargli tutto ciò che lui ha dato a me.
Vivere
con lui, di lui, per lui.
Vivere.