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Autore: _unknown_    20/10/2018    2 recensioni
Prima Classificata al contest “Cuore d’Ombra — II Edizione” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp.
Un uomo che bramoso di conoscenza si imbatte in una verità capace di ucciderlo, una ragazza intrappolata nel corpo di una bambina, un amicizia, un tradimento.
Esiste forse differenza tra un uomo malvagio ed un uomo disperato?
Buona lettura
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mavis, Mavis Vermilion
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il prezzo della Verità



"Purehito, le fate hanno la coda?"
glielo aveva chiesto semplicemente, come se stesse parlando di qualcosa di assolutamente normale e all’ ordine del giorno. Era sdraiata sull'erba, gli occhi verdi non lo degnavano di uno sguardo prediligendo le nuvole del cielo che si aggrovigliavano le une sulle altre in complicati ghirigori sospesi nell'aria. Il ragazzo la osservò aggrottando appena la fronte: era corso a chiamarla -  doveva essere la prima a mettere piede nella nuova gilda - ma non si era stupito di trovarla sdraiata su un prato a pensare a chissà quale fantasia avesse letto nei suoi libri. Le aveva soltanto chiesto come mai si fosse allontanata e lei come sempre aveva saputo coglierlo di sorpresa.
"Non trovi che sia una domanda un po' strana?" tentò di svicolare lui: del resto, una vera risposta non l'aveva. Lei ancora una volta non replicò, probabilmente non lo stava neanche ascoltando.
"Io credo proprio di si". Disse dopo molto tempo, rimettendosi in piedi;  i lunghi capelli, lievemente arruffati, cadevano disordinati sul vestito sgualcito. Lo guardò per un istante appena, ma quegli occhi verdi vispi sembrarono arrivargli fin dentro all'anima. Poi semplicemente voltò le spalle e tornò lì dove Warrod e Yuri li stavano aspettando. 
Purehito non potè far a meno di chiedersi come nonostante tutto fosse riuscita a preservare la sua innocenza, ciò che ai suoi occhi la rendeva così speciale, così diversa, così bella.


Ripose con cura in una sacca di tela bianca tutti i suoi cimelii, tutti i suoi strumenti e  i lunghi papiri ingialliti, unica testimonianza di ogni sua ricerca perpetrata nel corso di quei lunghi anni che però non aveva portato ad altro che ad un vicolo cieco, una strada sbarratra da un immenso muro, stavolta insormontabile.
Una parte di sè non riusciva ad accettarlo e probabilmente non lo avrebbe mai fatto, realizzò mentre rimaneva immobile fissando l'enorme cristallo Lachrima davanti a sè. Sul volto stanco e invecchiato lasciò che si disegnasse un sorriso storto, sinistramente orgoglioso al pensiero di aver creato l'arma più potente che il mondo avesse mai potuto conoscere.
Era un paradosso di morte e vita: un binomio inscindibile, un enigma primordiale che anche per una mente come la sua si era rivelato insolubile, un passo oltre le sue capacità, un passo oltre ciò che un umano potesse comprendere. Ci aveva provato Purehito, incessantemente, senza risparmiarsi mai. Ma aveva fallito. E aveva perso contro sè stesso.
Lei era lì, proprio di fronte a lui, intrappolata in quella zona incolore, quegli occhi chiusi ormai incapaci di vederlo, incapaci di intiepidirgli il cuore ormai arido.
E lui era lì, proprio di fronte a lei, consapevole che nessuno sguardo smeralidino gli si sarebbe più posato addosso. 
 Non se ne doleva. Non più ormai. Si chiese per un istante come avrebbe reagito se avesse saputo cosa stava per fare, ma ricaccio l' idea in un angolo della sua mente. Con quale diritto lo avrebbe giudicato? Lei che per prima aveva fatto le sue scelte. E adesso ne pagava il caro prezzo.


 
"Maledizione, Mavis torna indietro!" stava correndo come un pazzo urlando a pieni polmoni, con la vana speranza che almeno a lui desse ascolto. Lei però continuava a correre incapace di reprimere i singhiozzi. Li stava lasciando, stava fuggendo via.
Via da Fairy Tail, lontana da loro, lontana da lui.
"Ti prego, stammi lontano!"
ma Purehito non demordeva, continuava a seguirla inarrestabile, deciso a raggiungerla e riportarla a casa, anche contro la sua volontà. 
Era molto preoccupato per lei, sembrava non riconoscerla più ormai. La morte di Rita aveva turbato tutti loro, ma Mavis sembrava aver perso il senno. Doveva riportarla alla gilda, avevano bisogno di restare uniti in un momento come quello. Fece un ultimo, disperato tantativo.
"Se non vuoi farlo per noi, per me, pensa almeno a Yuri!" un sussulto rimbalzò nell'aria, ma non si lasciò impietosire.
"Non ti importa più niente di lui?!"
Lei di colpo si fermò, illudendolo di avercela fatta, ma quando si voltò a guardarlo tutto si ruppe in un istante. I suoi occhi si erano coperti di una patina grigia ed erano lucidi di un pianto che a breve sarebbe venuto giù
"Purehito...io...è tutta colpa mia".
Fu un sussurro che si perse nel vento, ma gli arrivò come una sferzata al petto che lo costrinse a ossevare impotente Mavis mentre spariva tra i boschi lasciandolo solo, in compagnia di un dolore lancinante a offuscargli la ragione.


Aveva già preparato tutto. Si era fin anche preso la briga di informare sommariamente Makarov, non appena prima di nominarlo Terzo Master di Fairy Tail. Il figlio di Yuri rappresentava il futuro della gilda, lui e Mavis ne rappresentavano un passato che lentamente consumava la sua patina di armonia che adesso aveva preso a sciogliersi, come fosse un'illusione.
Sorrise: cos'altro avrebbe dovuto aspettarsi da qualcuno che le padroneggiava così bene?
Aveva speso ogni energia di cui avesse mai potuto disporre per rendere Fairy Tail ciò che era. Ma adesso quello non era il suo posto. Non più.
Aveva scoperto così tanto in quegli ultimi anni e così tanto altro avrebbe potuto continuare ad apprendere, ma non con la sua gilda: nessuno avrebbe capito. Come avrebbero potuto, senza conoscere la verita, senza conoscere ciò che realmente si nascondeva dietro la loro magia? Non si era preso neanche la briga di parlarne, era sicuro che nessuno avrebbe creduto, avrebbero semplicemente associato alle sue parole ai vaneggiamenti di un pazzo, che pur di non ammettere di aver perso la sua più importante battaglia si era inventato una realtà distorta, un dipinto inquietante di cui fosse l'unico a possederne una chiave di lettura.
Stolti. Ingenui. Deboli. Così come egli stesso era stato in passato. Prima di sapere, prima di scoprire la verità che gli aveva aperto a forza uno squarcio nel petto, che  gli aveva fatto versare sangue e lacrime amare.
Aveva fatto così dannatamente male. Ma poi quel dolore cieco e irrazionale si era trasformato in lucida consapevolezza, in uno strano senso di soddisfazione, sollievo. E con masochistico piacere non aveva fatto altro che desiderarne ancora, slabbrando ancor più la sua ferita di cui aveva imparato in fretta ad ignorare le proteste. Bramava con foga di conoscerne ancora, assetato e dipendente da ciò che gli aveva corroso l'anima e la speranza che, sigillata dentro agli occhi di Mavis, non lo avrebbe più raggiunto.
Lei non si sarebbe più svegliata. E lui non aveva più niente a cui avrebbe potuto aggrapparsi, a cui avrebbe voluto aggrapparsi.


 
Non credeva ai propri occhi.
Se quello era uno scherzo, davvero, non era divertente. Perchè Mavis giaceva svenuta tra le braccia di quel ragazzo? Cosa diavolo stava succedendo?!
Nonostante stesse cercando si macchinare tutte le spiegazioni possibili, non riusciva a venirne a capo. Che cosa le era accaduto? Era ferita? Era stato proprio il mago nero a ridurla in quello stato?
Il ragazzo davanti a lui aveva un'espressione algida, come se qualcuno avesse cancellato ogni sua possibilità di provare emozioni. Lo osservava: gli occhi scuri tagliavano l'aria. la mascella serrata induriva il suo volto.
"Sei solo?"
Il mago nero aveva pronunciato quel binomio di parole con voce ghiaiosa, eludendo tutte quelle che il biondo aveva rigettato non appena li aveva visti arrivare.
Purehito raccolse le braccia al petto, stringendole convulsamente: aveva un orribile presentimenento. Valutò in fretta il da farsi per poi rispondergli sinceramente.
Sì, la gilda era vuota e per un attimo si chiese se fosse un bene.
Il ragazzo davanti a lui chiuse gli occhi, inspirò profondamente e tendendo le braccia lasciò che il corpo della ragazza si schiantasse contro il terriccio e la ghiaia ai loro piedi. Mavis cadde al suolo come una bambola di stracci, ma non un lamento uscì dalle sue labbra rosee, non un' espressione di dolore si dipinse sul viso rilassato e niveo. Corse verso di lei, deciso ad aiutarla e si ritrovò a stringere un corpo freddo, privo di respiro, ma che in qualche modo continuava ancora ad urlare vita. Fece appena in tempo a sollevare lo sguardo desideroso di una spiegazione per vedere il mago nero allontanarsi. Lo udì bisbigliare qualcosa in un tono amaro e distaccato, così dannatamente folle.
"Non avrei mai dovuto innamorarmi"
Purehito spalancò la bocca ma non emise un suono, come se qualcuno lo avesse appena trafitto in pieno petto.


Quante notti aveva passato in quel maledetto sotterraneo. Quanti giorni aveva trascorso in quella gilda, mentre con la mente viaggiava in cerca di nuove soluzioni, di nuovi incantesimi, nuovi tentativi di riportarla indietro. Vani, infecondi, inutili.
Guardava il cristallo davanti a sè con fare sprezzante, cercava di studiarne i dettagli, come se non ne conoscesse già ogni sfaccettatura, ogni asimmetria, ogni imperfezione. Un sorriso storto si dipinse sul suo volto. Ironicamente, l'unica cosa che non aveva mai imparato a conoscere di quel cristallo era proprio ciò che custodiva dentro di sè. La vita gli aveva fatto uno scherzo davvero divertente: peccato soltanto che lui non riuscisse a riderne.
Quando era successo? Quando gli eventi si erano sottratti al suo controllo?
Se lo era chiesto così tante volte in quegli anni, ma darsi una risposta soddisfacente era stato troppo difficile, troppo doloroso.
I suoi bagagli erano già pronti, amassati in un angolo, tra la polvere e le ragnatele: non era molto in realtà, solo lo stretto indispensabile per affrontare un lungo viaggio. Non vedeva l' ora di andarsene, gli era chiaro, ma al tempo stesso quel dannato cristallo lo attirava come una calamita: lo aveva fatto per così tanto tempo, ma non aveva più intenzione di permetterglielo.
Era giunta l'ora di salutarsi.
Senza quasi rendersene conto aveva poggiato una mano lì dove stava il cuore di lei, orrendamente, maledettamente, eppure miracolosamente muto.
Un cuore silenzioso, ma più vivo di qualunque altro: un cuore colmo di una magia indecifrabile e impetuosa che il mondo avrebbe imparato a conoscere solo a causa sua. 
Quando era successo? Quando aveva smesso di volerla riportare indietro a tutti i costi? 
Forse era stato in un giorno come tanti altri, un momento qualsiasi in cui Purehito, oltraggiato dall'ennesimo buco nell'acqua, semplicemente aveva smesso di provarci.
Forse invece era stato costretto. Obbligato a lasciarla andare: del resto, la morte è una tappa che ogni essere umano non può evitarsi e se era toccato alla giovane Fata stratega lui non aveva i mezzi per opporsi. Non ci si può opporre al fato, al volere degli Dei.
E lui lo aveva imparato nel peggiore dei modi. Lo sapeva, dannazione se lo sapeva!
Senza togliere la mano ossuta da lì si guardò intorno: quel posto stava davvero diventando opprimente. Ma fu esattamente in quell'istante che notò sul pavimento sgualcito e trionfante il frammento di una vecchia foto. 
L'inaugurazione di Fairy Tail. Quanti anni erano passati da quel giorno?
La pellicola era strappata a metà, vittima di uno dei suoi tanti momenti d'ira, ma lei era ancora lì, sorridente e con le braccia a mezz'aria. il suo viso era così innocente, così illusorio.
Come scottato ritrasse di scatto la mano, fiondandosi con forza fuori dalla porta di quel sotterraneo. Non voleva restare lì un minuto di più
Quando era successo? Quando aveva smesso di sperare?


Assurdo. Malgrado tutti i suoi sforzi non riusciva a definirlo in un altro modo. Era rimasto sbalordito a fissare il vuoto, gli occhi fuori dalle orbite, la mascella serrata nervosamente.
Stava cercando in tutti i modi di trovare una spiegazione valida, pur sapendo in cuor suo che non vi sarebbe mai riuscito. Un paradosso insolubile, una contraddizione che rasentava il divino.
Un corpo morto non può custodire una vita, ciò che non è non può creare ciò che è. Semplicemente non può, è l'ordine naturale delle cose a imporlo.
Ma allora perchè? Perchè Mavis stava per avere un bambino?
Non capiva come fosse possibile che malgrado il suo cuore spento, fosse riuscito ad alimentare una nuova vita. a crescerla sotto ai suoi occhi giorno per giorno. Era qualcosa che trascendeva l'umano, qualcosa che andava oltre il suo raziocinio.
Morte e vita insieme ad animare e acquietare lo stesso corpo mediante ciò che usualmente è il frutto di un amore.
Sembrava un dono degli Dei... o forse...
in men che non si dica si era fiondato su un vecchio manuale di Teologia.
Era stato in quell'esatto momento che la verità gli era piovuta addosso schiacciandolo con tutta la sua mole.
Aveva finalmente trovato un nome a quell'assurda incongruenza: Maledizione di Anksheram, il Dio della morte.
"Più si amerà la vita, più la si toglierà".
Lapidaria come una sentenza, quella frase aveva colpito gli occhi di Purehito, innescando un doloroso processo epifanico nella sua mente.
" ...è tutta colpa mia." 
"Non avrei mai dovuto innamorarmi"
Adesso era tutto così dannatamente chiaro. Ci era arrivato, alla fine: aveva scoperto la verità.
Perchè allora se avesse dovuto descrivere il suo stato d'animo in quell'istante non avrebbe trovato termine migliore se non "Disperato"?
Chiuse di scatto quel maledetto libro e si lasciò scivolare sul pavimento impolverato e sudicio. Rise. 
Isterico e sguaiato cominciò a sghignazzare, sembravano le urla di un folle. Ma non c'era allegria nella sua voce, soltanto una voglia atroce di sbagliarsi, di tornare all'istante prima di mettere le mani su quei fogli ingialliti che gli avevano tagliato in due l'anima. Mavis lo aveva tradito.
Mavis lo aveva illuso.
Mavis gli aveva mentito. Lo aveva invogliato a credere in qualcosa che non esisteva, gli aveva perfino fatto costruire una gilda su quei principi e belle parole in cui non credeva nemmeno lei!
Stava ancora ridendo di gusto quando la prima lacrima gli rigò la guancia. Una sua mano corse a raccoglierla e Purehito la osservò con fare stralunato. 
Quel luccichio sulla punta delle sue dita sembrò risvegliare un sopito istinto primordiale.
Urlò fino a ferirsi le corde vocali e distrusse ogni cosa: volarono scartoffie, alambicchi, scaffali colmi di libri rovinarono al suolo. Sembrava che su quella stanza si fosse abbatuto un tornado che era stato in grado di lasciarsi dietro solo vuoto e desolazione. Lo stesso Purehito non avrebbe saputo descrivere meglio quanto accaduto dentro di sè.
Si ritrovò in ginocchio davanti a quel cristallo Lachrima con quella loro vecchia foto tra le mani.
Sollevò sinistramente un angolo della bocca mentre la stracciava con fare soddisfatto.
Del resto, quella era soltanto un'altra menzogna.


Ce l'aveva fatta, finalmente stava andando via.
Nonostante avesse annunciato la sua partenza intimando ai suoi di non perdersi in convenevoli li aveva ritrovati lì fuori dalla porta che lo osservavano. Vedeva incredulità sui loro volti, mista ad apprensione, tristezza. Purehito indugiò ancora sugli occhi di Makarov: vi scorgeva una grande determinazione e una forte tempra d'animo; era il ritratto di Yuri, su questo non c'erano dubbi.
Porlyusica si era avvicinata, lasciandogli tra le mani un pasto caldo per il viaggio. La ringraziò, poggiandole una mano sulla spalla. Poi si voltò.
"Master... la prego".
Si arrestò sul posto, lasciando andare un lungo sospiro.
"Il vostro Master è Makarov Dreyar, è lui che occuperà il mio posto" disse con tono imperioso appena prima di cominciare ad allontanarsi dalla gilda. Ci era rimasto per fin troppo tempo, adesso aveva bisogno di altro. Doveva andare avanti.
Fairy Tail, il sogno di una bambina che aveva decisamente letto troppi libri, doveva considerarsi nient'altro che un capitolo chiuso. Il capitolo più doloroso di quella triste storia.  
  
***
Master Hades sussultò, sgranando l'unico occhio buono di cui disponesse, per poi passarsi una mano tra le ciocche grige che stavano cominciando ad allungarsi oltre  la schiena. Infiniti - maledetti - frammenti della sua memoria continuavano a presentarsi insistentemente nelle sue giornate, ostacolando la sua missione, le sue ricerche. Erano passati diversi anni ormai e rimaneva sempre più stupito di come riuscisse a ricordare anche nei minimi dettagli ogni gesto, ogni parola. Rammentava alla perfezione come quella ragazza intrappolata nel corpo di una bambina riuscisse ad emanare un alone di innocenza, candore, speranza che mai in nessun altro era riuscito a intravedere, tanto da portarlo a credere che se le fate fossero mai esistite, sarebbero state tutte esattamente come lei. A quel tempo ne era convinto: la purezza di Mavis non apparteneva a questo mondo. Ma poi aveva visto. Aveva visto cosa la magia era riuscita a farne di tutta quella luce. L'aveva soffocata con la stessa facilità con cui un telo spegne una fiammella. E Mavis si era corrotta. Ed anche lui aveva scelto di seguirla.
"Master Hades, tra qualche minuto saremo a Tenrou".
La voce di Ultear era stata sufficiente a penetrare nei suoi pensieri. Strinse la presa sul suo bastone e annuì, cosi che lei fosse libera di ultimare i preparativi per lo sbarco.
Si chiese distrattamente quale fosse stata l'ultima volta che aveva messo piede su quell'isola. Era ancora giovane, il suo volto non aveva subito gravi mutilazioni ed era così ingenuo, inesperto, debole.
Tenroujima era stato l'inizio di ogni cosa e a breve sarebbe diventata la fine delle sue ricerche. Una volta recuperato Zeref avrebbe completato il suo compito. Si mise a sedere rilassando il corpo consunto e stanco che sembrava alimentarsi solo della sua sete di conoscenza, della sua brama di potere e permise alla mente - per l'ennesima volta - di abbandonarlo per un po', di perdersi nell'enorme abisso che era stata la sua vita. Si aprì una grande danza di ricordi, un turbinio di emozioni talmente forti da cancellare tutto il resto. Era solo nel suo vortice nero e naufragava in sè stesso e in ciò che era stato, mantre la sua nave procedeva spedita a rotta sicura verso la meta.
Un mondo di soli maghi.
Un mondo dove nessun filtro sarebbe stato più necessario, in cui la fittizia distinzione tra bene e male, magia bianca e magia oscura sarebbe stata niente di più che un antico baluardo di ignoranza e menzogna alle cui rovine non riservare altro che pietà, compassione, scherno. 
Una rappresentazione fin troppo semplicistica e superficiale, che in alcun modo poteva permettersi il lusso di approssimare la realtà. Nessuno è mai totalmente colpevole, o totalmente innocente e questo aveva dovuto impararalo a sue spese.
Mavis Vermillion ne era stata, suo malgrado, una prova lampante: sarebbe stato giusto considerarla come un'eroina o come un'antagonista? Come vittima o come una carnefice? E cosa dire invece di lui? Chi aveva ucciso chi? Chi era la parte lesa in tutta quella storia?
La vita era una questione molto più complicata di così e il binomio luce buio non sarebbe stato adatto a descriverla. Nella realtà non esiste bianco e nero, ma più che altro un unico indefinito colore, ricco di sfumature e discontinuità che non tutti sono in grado di vedere. Alla fine lo aveva capito
Non c'è il Bene.
Non c'è il Male.
Esiste solo il potere e chiunque abbia la grande sfortuna di non possederlo è destinato a soccombere, andare incontro all'oblio, la distruzione. Ed adesso che lui stava per accedere alla sua prima fonte si sentiva teso e scalpitante come da tempo  non era più stato. Finalmente la sua meta si faceva tangibile e assumeva le forme di una piccola e tranquilla isola: l'inizio e la fine di tutto.
La nave stava già attraccando e Purehito si era già tirato su, lisciandosi i vestiti con i palmi aperti. Era pronto, aveva atteso tutta la vita quel momento che adesso stava per giungere; mosse i primi passi verso l'ultima tappa di quel lungo viaggio.
Fu esattamente in quell'istante che la vide.
Era lì davanti a lui con i piedi scalzi, il vestito sgualcito e i capelli arruffati, gli occhi smeraldini lo osservavano curiosa.
"Purehito, le fate hanno la coda?"
Tre grandi falcate e fu davanti a lei, sovrastandola con la sua mole. Era ancora così innocente, così pulita, come era sempre stata.
Stavolta però era lui ad essere diverso, erano i suoi occhi a vedere quel qualcosa in più che anni prima non era riuscito neanche lontanamente a percepire, era lui che finalmente aveva trovato una risposta. Lasciò che essa scivolasse tagliente dalle sue labbra provocando un dolore che neanche a sè stesso avrebbe mai ammesso di provare.
"Le fate non esistono." 


 
   
 
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