II
Com’era
bella, quella sera
Tu sei molto,
anche se non sei
abbastanza,
E non vedi la
distanza che è fra i
miei pensieri e i tuoi,
Tu sei tutto, ma
quel tutto è ancora
poco,
Tu sei paga del
tuo gioco ed hai già
quello che vuoi.
Io cerco ancora
e così non
spaventarti
Quando senti
allontanarmi: fugge il
sogno, io resto qua!
[…]
Vedi cara, è difficile a
spiegare,
È
difficile capire se non hai capito
già
(Vedi
cara, Guccini)
Sigyn non era
un’illusione dolorosa, affatto. Era reale, presente, accanto
a lui. Mentre il
veleno del serpente continuava a gocciare senza sosta nel bacile sopra
le loro
teste, lei lo aveva accusato di aver dato il colpo di grazia a
un’unione
complicata, ma non per questo meno intensa, rinfacciandogli
l’esatto momento in
cui aveva tradito la sua fiducia e infranto il fragile equilibrio del
loro
matrimonio. Con amarezza, pensò che sua moglie aveva
frainteso ogni cosa pur
comprendendo tutto. Si era sbilanciata dicendo che lo amava, certo.
Un’ammissione insperata che le era già uscita
fuori dalle labbra in un altro
luogo, in un altro tempo, sostenuta con una forza d’animo che
lo aveva stupito
adesso come allora.
“Ho
deciso che ti
sposerò, Loki.” Lo aveva detto dopo essersi seduta
accanto a lui, un freddo
pomeriggio di fine autunno di molti, troppi anni prima. La dorata
Asgard era
ricoperta di foglie rosse e la notte stava già cedendo il
passo al giorno.
Erano fuori dall’infermeria brulicante di soldati feriti. Il
dio degli inganni,
un braccio fasciato fino alla punta delle dita appeso al collo e uno
zigomo
viola, le rivolse una lunga occhiata sorpresa. Era ancora troppo
intontito
dalle pozioni che era stato costretto a ingurgitare nel tentativo di
lenire il
dolore di quelle ferite, per risponderle con la solita, sferzante
acutezza, ma
nonostante ciò assottigliò le palpebre.
“Da
cosa nasce
quest’improvvisa decisione?”
Un briciolo
della sua tagliente
ironia era rimasto, dopotutto. Di fronte alla proposta ufficiale che le
aveva
fatto giorni addietro, lei aveva glissato imbarazzata e confusa
chiedendogli
tempo e ora, improvvisamente, pareva aver cambiato idea.
Sigyn sorrise
appena.
“Mentre eri in battaglia, non ho smesso un attimo di
pensarti,” gli confessò.
“Ero preoccupata – a ragione, a quanto vedo
– e ho pregato le Norne di farti
tornare da me.”
Il dio degli
inganni incassò
quella dichiarazione d’amore con principesca grazia, senza
alcuno slancio,
limitandosi ad aggrottare appena le sopracciglia, ma non
poté fare a meno di
indagare, di scavare nel cuore e nella testa di quella ragazza dalle
guance
rosse che gli sedeva accanto e si guardava nervosa la punta degli
stivaletti.
“Perché?
Mi chiamano Lingua
d’Argento, il Fabbricante di Bugie: dicono che sono un
truffatore che gode nel
seminare caos e discordia. Mi accusano di essere sleale ed egoista
perché uso e
manipolo il seiðr come forse solo Padre Tutto sa fare. Se non
fossi il principe
di Asgard, il figlio di Odino, probabilmente sarei a marcire in qualche
cella o
a vagare lontano dai Nove Regni. Questo ti spaventava, fino a pochi
giorni fa;
questo e l’amore che dicevi
di
provare per un altro.” L’aveva costretta a
guardarlo sfiorandole il viso con la
mano sana e spingendola a voltarsi.
“Cos’è cambiato?”
A voce non gli
rispose
mai. Lo baciò sulle labbra, però.
Il punto era che
Sigyn
capiva – aveva sempre compreso – la sua natura.
Riconosceva il suo fiero
orgoglio, guardava con un misto di soddisfazione e inquietudine al
seiðr che,
tramite le rune pronunciate con un filo di voce, creava e disfaceva. Ti ho sposato per amore, sosteneva
quando la notte gli cingeva il collo accarezzandogli con dita delicate
i
capelli – le stesse che ora lenivano le sue ferite
– e, di quell’amore perduto
e nostalgico la cui unica traccia era un fascio di lettere, non faceva
mai
parola. Era rimasta colpita dalla sua intelligenza, dal sarcasmo
pungente, dai
modi affascinanti, persino, e tollerava suo malgrado il suo essere
scostante e
inafferrabile, ma nel suo cuore c’era sempre
un’ombra scura. Perché anche lei
mentiva, come tutti. Anche per Sigyn la realtà non era che
la visione parziale
e soggettiva di una serie di frammenti di eventi, il punto di vista
colorato di
speranze e suggestioni che non era meno vero del suo o di quello di
Thor, di
Balder, di Sif o di Padre Tutto in persona. La verità non
esiste come valore
assoluto, è sempre un’interpretazione che parte
dai nostri occhi, e allora, se
niente è reale, tutto è inganno, illusione,
mistificazione. Così, la sua
dea della fedeltà si struggeva
perché credeva di avere il cuore diviso a metà,
senza sapere né immaginare chi
si nascondesse dietro il nome che ad Asgard non aveva mai osato
pronunciare. Per
un amaro contrappasso, era spezzata tra l’amore spirituale
per un uomo che non
aveva mai visto e quello di carne e sangue nato malgrado ogni
previsione per
lui, il dio dell’inganno. Le affinità
intellettuali avute con un fantasma
perduto di cui a lei rimanevano nient’altro che un nome e
qualche sporadico
indizio, si mescolavano con i battiti accelerati del cuore per
l’altro – Loki stesso.
Ruolo che il dio degli
inganni si era ritrovato cucito addosso senza volerlo, regista e attore
com’era
stato dell’intera vicenda, invischiato
nella propria stessa tela. Sigyn amava Loki, eppure, talvolta
si guardava attorno
cercando un paio d’occhi o un volto che riaccendesse la
flebile speranza
rinchiusa dentro a un baule. L’ingannatore era troppo
intelligente e furbo per
non accorgersi del vago disorientamento, della lieve malinconia che
ogni tanto
avvolgeva la sua giovanissima moglie. Avrebbe potuto risparmiarle
quell’ansia,
svelarle l’inganno che all’inizio aveva tessuto per
scherzo, vendetta, gioco e
che, alla fine, gli si era ritorto rovinosamente contro con drammatica
precisione, ma non lo fece per non infrangere la fragile intesa
raggiunta.
L’unica cosa ragionevole da fare, la sola strategia che
avesse senso portare
avanti, suggeriva di limitarsi a osservare gli effetti devastanti del
suo
stesso inganno. In questo, rifletté mentre il veleno
gocciava instancabile nel
bacile e Sigyn provava a idratargli le labbra riarse, la sua storia era
tragicamente simile a quella Odino. Ripercorrerla non rese tutto meno
amaro,
anzi.
Lei quella notte
era
bella, bellissima, con quell’abito color tempesta e la
collana di perle al collo.
L’aveva stretta tra le braccia mentre la faceva volteggiare
al centro della
sala e Sigyn era ancora avvinghiata a lui, quando una frase sbagliata
di Thor
l’aveva fatta impallidire, barcollare. Le quattro parole di
nessun conto
pronunciate con leggerezza dal suo nobile e inscalfibile fratello
avevano
suscitato, nella sua giovane moglie, un’associazione di idee
pericolosa,
nefasta, terribile: l’aveva vista boccheggiare e cercare Thor
con occhi ansiosi
e, di fronte a quella scena che pareva una beffa delle Norne, la
gelosia gli
aveva morso il cuore, avvelenato lo spirito. Sigyn non era che
l’ennesima
partita persa a tavolino contro l’erede perfetto, il figlio
più amato. Anche se
solo per il tempo di un battito di ciglia, lei aveva pensato che quel
corrispondente che era riuscito a farle battere il cuore
quand’era poco più che
una ragazzina fosse nient’altro che il dio del tuono in
persona. L’idea la
spaventò e forse la cacciò immediatamente via
dalla sua mente, ma in fondo Theoric,
il nome di quell’amico divenuto innamorato, non era forse
simile a Thor? Non
poteva essere uno pseudonimo utilizzato ad arte dal primo figlio di
Odino per
corteggiarla senza essere respinto? Loki glielo lesse in faccia, quel
dubbio
improvviso e lacerante che le squarciò il petto, e la
odiò – detestò entrambi,
Thor perché aveva tutto, come sempre, Sigyn
perché si era fatta ingannare
mancando la prova più importante. Fu così che la
perse.
Si
lasciò corrodere da
quella cosa oscura che gli infiammava le vene dei polsi, gli bruciava
il petto,
offuscava i suoi pensieri: com’era
bella,
quella notte. Le candele gettavano una luce soffusa nella loro camera
da letto
e Loki non le lasciò il tempo di spogliarsi, questo lo
ricordava ancora bene;
la ghermì per la vita mentre era di spalle,
scostò le belle ciocche bionde per
scoprirle la pelle sensibile e delicata della nuca, tirò
giù la spallina del
magnifico abito color tempesta mentre, con la mano libera, le cercava
il seno.
La desiderò con la disperazione feroce con cui aveva sempre
voluto tutto, dal
trono alla gloria, la cercò per placare il suo orgoglio
ferito con lei, in lei.
Sigyn forse intuì che qualcosa non andava, ma lo accolse con
la dolcezza
appassionata di sempre, nascondendo appena l’incertezza avuta
poco prima nei
confronti di Thor sotto ai baci lunghi e intensi che riservò
a lui, o forse
abbandonando per sempre l’idea di
quell’innamoramento adolescenziale proprio su
quel letto che era stato loro fino a quella sera e che, poi, non lo
sarebbe
stato mai più.
Come fu intenso,
totale,
straziante, meraviglioso, il loro fondersi e incontrarsi, quel loro
amarsi per
l’ultima volta. Erano ancora avvinghiati l’uno
all’altra esausti e ansanti,
quando Loki decise di spezzare per sempre la loro unione. La
baciò, prima di
farlo. Un assaggio lento, fatto mentre le accarezzava le belle ciocche
bionde sparpagliate
sul letto. Con le labbra ancora sulle sue, le recitò a
memoria un brano che ben
conosceva, che lei riconobbe all’istante.
Mia
Sigyn, ti ho perso, anzi: non ti ho mai avuta. Il pensiero,
nitido e netto, gli
attraversò la testa come una lama congelando il rancore che
animava ogni suo respiro.
La sentì irrigidirsi, vide le sue pupille grigie dilatarsi
dallo stupore, dal
dolore.
“Che
cosa hai fatto,
Loki?”
La domanda le
uscì in un
sussurro, lo sguardo le si velò di terrore: già
altri gli avevano posto quella
domanda e Loki l’avrebbe sentita pronunciare ancora molte
altre volte, ma
quando fu lei, a farlo, provò dolore. Non rimorso, non senso
di colpa – nemmeno
ora che Sigyn leniva in silenzio le ustioni che gli solcavano la pelle
riusciva
a pentirsi davvero – ma quella notte sì,
provò dolore. Disteso sopra di lei,
l’accusò di essere stata cieca e sciocca. Di non
averlo mai amato, non
abbastanza almeno, e di aver confuso e cancellato gli indizi palesi che
lei già
possedeva.
La sua bella
moglie dai
capelli d’oro si divincolò finché non
fu libera, saltò via dal loro letto in
cui non avrebbe mai più dormito rassettandosi come
poté il magnifico vestito
color tempesta.
“L’hai
letta! L’hai
letta mille volte! Come hai osato, come
hai potuto tradire la mia fiducia frugando tra le mie cose? Il mio
passato non
ti appartiene, dio degli inganni: ti ho concesso il presente e il
futuro, ma il
resto no, è mio e basta.”
Loki le
regalò un ghigno
perfido, crudele. “Povera, sciocca ragazzina ti ho vista,
stasera: credi che
Theoric sia Thor,” spiegò con lentezza
avvicinandosi. “Speri ancora che
l’innamorato senza volto con cui hai intrecciato una lunga e
appassionata
corrispondenza ti venga a salvare dal crudele dio degli
inganni.”
“Allontanati.
Sei
ubriaco, o pazzo, o entrambi” disse lei precipitandosi verso
il baule che
conteneva le lettere assicurate insieme da un nastro. Le
trovò ed erano intatte.
“E tu
sei fredda e
bugiarda,” La guardò con rancore e desiderio e
insistette. “Dì che non lo hai
pensato, avanti.”
“L’ossessione
per il
trono sta offuscando la tua mente, Loki.” Com’era
bella, lei. Gli puntò addosso
quei suoi occhi grigi e furibondi e riprese a parlare severa.
“Sapevi. Sapevi
di Theoric da sempre. Perché stanotte hai deciso di farmi
questo? Da quanto
tempo progettavi di tirarmi l’ennesimo dei tuoi orrendi
scherzi? L’hai imparata
a memoria con il solo scopo di ferirmi.”
“Adesso
stai giudicando
il mio operato?”
“Operato?”
Sigyn boccheggiò
sconvolta. “Malefatte, inganni, tradimenti. Questo
è il tuo operato
nient’altro. Hai frugato tra le mie cose per placare la tua
insoddisfazione
perenne,” esplose, ma non pianse, no, resistette
all’impulso.
Il dio degli
inganni
incrociò le mani dietro la schiena con solenne alterigia.
“Accordi, astuzie
atte anche a salvare Asgard. Merito il trono certamente più
di mio fratello,”
le ricordò difendendo il suo operato con la stessa protervia
che, un giorno, lo
avrebbe condotto al cospetto di Thanos.
Sigyn scosse la
chioma
spettinata in cui Loki, fino a pochi minuti prima, aveva affondato con
voluttà
le dita; ora quel passato recentissimo era lontano anni luce, galassie
intere. Pareva
quasi non fosse mai esistito. “Astuzie atte a seminare
dolore,” lo corresse. “Usi
le tue abilità senza cura per il tuo prossimo, Loki di
Asgard. Se tu riuscissi
ad avere la stessa gentilezza di tuo fratello forse
potresti…”
Non
finì mai la frase. Il
dio degli inganni la interruppe dando infine pieno sfogo alla bestia
nera che
gli rodeva il petto da troppo tempo e che, quella notte, si era
liberata
definitivamente.
“Thor!
Il vostro amato Thor! Dovete avere
tutti una
conoscenza davvero distorta del dio del tuono, se pensate che vi si
altro oltre
l’arroganza, la stupidità e l’ambizione,
nel suo petto! Credi davvero che il
mio eccezionale fratello sarebbe stato capace – mi correggo
– avrebbe avuto la
costanza di scriverti, per mesi, anni? Sei davvero così
cieca, Sigyn?”
Lei
sobbalzò coprendosi
la bocca con le mani. Loki era sgarbato, scostante, pungente, crudele
addirittura. Ma aveva sempre avuto nei suoi confronti la stessa premura
che si
ha col cristallo. L’amava. Ne era convinta. Non poteva averlo
fatto, non davvero.
“Vorresti
fosse lui, non
è vero?” Lingua d’Argento
stirò le labbra in un sorriso cattivo, incalzandola con
la spietatezza propria degli Asi. “Mi è riuscito
davvero bene, questo inganno.
Non le ho lette, Sigyn. Le ho scritte.” Si animò,
quasi trovasse la cosa
particolarmente divertente, e iniziò a raccontarle dello
scherzo crudele
architettato per compiacere il fratello. “Per una settimana o
due, Thor ti ha
trovata interessante e sì, l’indizio che stasera
hai colto era esatto, mia
piccola e tenace Sigyn. Theoric è lo pseudonimo che io ho inventato per attirare la tua
attenzione. Se avessi ricevuto
una lettera da parte di uno dei principi di Asgard, fosse pure il
magnifico dio
del tuono, al tempo l’avresti gettata nel fuoco senza neanche
aprirla, dico
bene?”
“Tu
menti.”
“Oh,
vorresti lo facessi,
ne sono certo. La verità spesso è scomoda e
brutta. A Thor interessavi, ma non
abbastanza da sedersi allo scrittoio e perdere tempo a inventarsi frasi
per te.
Così lo chiese a me.”
“Sei
un bugiardo. E sei
crudele.”
“Le ho
scritte io, tutte. In cambio, lui
ha pulito i
finimenti del mio cavallo per mesi. Theoric è
un’ombra, un personaggio che ho
inventato per abbindolarti: credevamo lo avresti capito, e
invece…A difesa del
mio nobile fratello, devo confessarti che si stancò presto
di te, quasi subito.
Dopo l’iniziale divertimento subentrò la vergogna,
credo. Si dedicò a più
facili conquiste.”
“Perché
mi stai facendo
questo?” La voce di Sigyn, pallida in volto, era poco meno
che un sussurro
sottile.
“Lo
cerchi ancora, no?
Cerchi il tuo brillante innamorato ovunque.” Loki
allargò le braccia, deciso a
portare avanti lo spettacolo fino alla sua tragica fine.
“Eccolo, lo hai sempre
avuto davanti. Non ho avuto bisogno di frugare nel tuo baule come una
domestica
di quart’ordine, mogliettina mia: ognuna delle lettere che
proteggi da sempre
con tanto ardore è stata scritta da me. Theoric non
è mai esistito: l’ho
inventato io per corteggiarti, sedurti. Sei sempre stata innamorata di
uno dei
miei inganni, e non hai saputo vedere, riconoscere che ero
io.”
“Non
ti credo. Non posso,”
Sigyn tentò di allontanarsi esasperata dallo scherzo
orrendo, dal peso di una
rivelazione così atroce e sicuramente falsa.
“Esatto,”
proseguì Loki
perfido. “Non puoi, perché, se lo facessi,
dovresti ammettere di aver
consegnato il tuo cuore a me. Sono il ripiego di una creatura che ho
inventato.
È ironico, ti pare?”
Le
impedì di lasciare la
stanza – non era ancora il momento – e lei,
svuotata, raggelata, continuò a
scuotere la testa ricordando quello che era stato, cercando dentro di
sé prove
e incongruenze che smentissero o confermassero quella storia orrenda.
“Non puoi
averlo fatto davvero. Io e Theoric ci siamo scritti per anni.”
“Trovai
l’intera faccenda
sommamente divertente. Ero curioso di vedere fin dove saremmo
arrivati,” ammise
l’ingannatore avvicinandosi, ma lei scattò
fuggendo il suo tocco.
“Non
ti credo. Non
toccarmi, non avvicinarti!”
“Fa
male, non è vero?”
Loki incassò il colpo con bieca soddisfazione.
L’aveva persa. Alzò il mento in
una posa di sfida, serrò le labbra congelandole in una
smorfia tirata. “Ora
pensi che sarebbe meglio se avessi solamente letto le tue preziose
lettere,
dico bene? È così orribile pensare di aver
sposato il loro autore? Avevi gli
indizi per riconoscermi e non l’hai fatto. Il nobile Theoric
poteva essere
chiunque tranne me, doveva esserlo. Non sei esente dalla colpa, Sigyn:
dici di
amarmi, ma non mi hai mai riconosciuto.”
Ecco come
finì la loro
storia: con un’accusa.
Sigyn sostenne
il suo
sguardo, ma dai suoi occhi era scomparsa la dolcezza. La sua voce fu un
sussurro sottile e tremendo. “Quale perverso bisogno hai
soddisfatto?” Si
guardò attorno, scosse la testa. “Non posso
crederti né restare,” soffiò.
Di fronte a
quell’ammissione, Loki irrigidì fino allo spasmo
ogni muscolo del suo corpo
nervoso e scattante. “Lo so.”
Ricordare i
tempi
gloriosi quando si è ridotti nella miseria è
straziante: riempie la bocca e lo
stomaco di fiele, suscita il rimpianto, fa tremare le vene dei polsi.
Loki
Laufeyson non concesse nulla alla moglie perduta che gli chiedeva il
conto
delle sue scelte passate, ma, incatenato com’era su una
roccia aguzza, non poté
fare a meno di percorrere con la memoria ciò che era stato,
dall’inizio. Dal
giorno lontano in cui un ghigno gli aveva increspato le labbra sottili
già
segnate dalla cicatrice ormai bianca che gli tagliava il sorriso e si
era
deciso a rivolgere a suo fratello una delle sue migliori battute salaci
e
argute. “Devi essere davvero disperato, se chiedi aiuto a me.
Chi è lei?” si
era interessato e, di fronte alla risposta, aveva pronunciato un nome
che,
sulle sue labbra, era sembrato quasi la promessa di una primavera
eterna: Sigyn. Com’era
stato tronfio, fiero,
orgoglioso, mentre pronunciava quelle parole. Si accorse di ricordare
con
esatta precisione la smorfia che Thor gli aveva lanciato ascoltandolo.
Fissando
i compassi e le carte fittamente scritte che gli ingombravano il tavolo
e di
cui ignorava totalmente l’importanza, aveva ribattuto che a
lui interessava semplicemente
la ragazza. I doppi fini, i giochi retorici, le trame complesse e la
politica,
li lasciava volentieri a lui, al fratellino che adorava dilettarsi con
mappe e
trattati, che passava serate intere chino sui libri,
all’ombra solerte e svelta
che gli combatteva di fianco. Eccolo, l’ennesimo piano
magnificamente
architettato che gli si era rivoltato contro.
Di fronte al suo
silenzio, Sigyn riprese a parlare, la voce accompagnata dal lento e
inesorabile
gocciare del veleno nel bacile.
“Quella
notte non è
finito tutto, Loki. Non per me, almeno.”
Il veleno
continuava a
cadere inesorabile nel bacile ormai quasi colmo.
“Ti
sei sentita in colpa,
dopo che sono caduto dal Bifrost.” Non era una domanda, ma
una constatazione.
Una delle fredde analisi tanto care a Loki quanto precise e pungenti.
Di nuovo,
lei attese a lungo, prima di rispondergli. Aspettò che il
bacile fosse pieno
per andare a svuotarlo in fretta, scossa dai singulti spezzati del
fiero marito
che aveva amato e odiato. Si morse le labbra e corse da lui,
sistemò di nuovo
il recipiente sotto le fauci orrende di quella bestia immonda che la
fissava
con occhi vitrei, pulì e bendò la pelle offesa
del dio degli inganni soffocando
la sofferenza che la causava quell’immagine tremenda.
L’affascinante Ase era
legato alla roccia come una bestia in cattività, ma pur
scarmigliato, ferito e
con le vesti stracciate com’era, riusciva a sfoggiare una
dignità principesca,
una grazia feroce, una disperazione fiera. Stringeva i denti e soffriva
soffocando le urla perché c’era lei e per non dare
soddisfazione alcuna al
rettile che gli sbavava addosso, a Odino, agli Asi tutti. Mentre
bagnava le sue
labbra aride e riarse e calmava il respiro reso corto dal dolore, Sigyn
pensò
che lo aveva amato sempre, in ogni istante: persino quand’era
fuggita da Asgard
col cuore trafitto la sua anima gli era appartenuta, perché
l’odio non è il
contrario dell’amore, affatto. Il suo contraltare semmai
è l’indifferenza, e
Loki Laufeyson o Odinson non le era stato indifferente mai, neppure un
momento.
“Cos’hai
fatto quando te
l’hanno detto, Sigyn?” L’Ase volse gli
occhi ancora ciechi nel punto in cui
dedusse dovesse esserci il suo viso e la giovane donna esitò
asciugandosi in
fretta una lacrima traditrice. Se lo ricordava bene, quel giorno. Una
contrazione dolorosa le strinse il petto al ricordo del vuoto, del gelo
che le
era strisciato addosso, dentro,
quando un soldato di Asgard le aveva portato la cattiva notizia. Le era
mancato
improvvisamente il respiro, l’equilibrio, il senno.
Rammentò di aver indossato la
bella collana di perle e di averla sfiorata con le dita un istante
prima di
tagliarsi i capelli fino all’ultima ciocca e stringersi in un
lutto che non
aveva più smesso di portare. Di fronte al tumulo vuoto che
aveva finto di
accoglierlo, non aveva versato una sola lacrima, forse
perché consapevole che
quell’inutile simulacro non era la tomba dove avrebbe
riposato per sempre Loki,
ma solo un inganno, l’ennesimo. Si
era
lasciato cadere, per le Norne. No, non pianse Sigyn quando le
fu data la
tremenda notizia né alla solenne cerimonia funebre voluta da
un torvo Odino. Lo
fece dopo, quando si risolse a sciogliere con dita tremanti il nastro
delle
lettere che non aveva più osato leggere per non rischiare di
trovare tracce
della voce di Loki tra le loro righe. Mentre a labbra strette
ripercorreva con
gli occhi i paragrafi che, in un altro tempo, avevano finito per farla
sospirare, si ritrovò a pensare come quel legamento
particolare tra la lettera n e la
lettera t assomigliasse vagamente a
quello tipico della grafia Loki; che
certe espressioni avrebbero potuto davvero
essere sue e la prima missiva, così come la seconda e la
terza e la quarta, non
erano nient’altro che il gioco di cattivo gusto di due
ragazzi viziati e
annoiati, sicuramente egoisti e crudeli.
Così
Sigyn non rispose a
Loki che le chiedeva cos’avesse fatto, dopo che lui era
caduto oltre il ponte
color arcobaleno per diventare il servo di un padrone totalmente folle,
ma
mentre un nodo le stringeva la gola ripensò allo strazio di
quella lettura che
era diventata uno studio attento di ogni sillaba, frase, battuta. Non
gli aveva
creduto, quando Loki aveva ammesso fieramente di essere stato
l’autore delle
lettere ma, rileggendole, il dubbio che lui, per una sola e unica e
tragica
volta, fosse stato totalmente sincero le infettò il cuore.
Scovò il punto
preciso in cui Thor si era stancato di giocare e gli aveva
probabilmente detto
di interrompere il carteggio, riconobbe il guizzo diverso dei paragrafi
ora più
liberi, arditi, acuti, notando un cambiamento nel tono, nelle
informazioni, nei
discorsi. Con le labbra che tremavano, rilesse ancora ogni missiva e
scoprì le
tracce che aveva ignorato fino a quel momento. Sì, a un
certo punto, Loki aveva
smesso di giocare per iniziare non a essere sincero, ma brillante in
quel suo
modo arguto e perfetto, totale. La lettera che le aveva recitato quella
notte
maledetta, l’ultima che avevano trascorso assieme come sposi
e amanti, non
aveva segnato solo la fine del suo matrimonio, ma anche della relazione
epistolare intrattenuta quand’era poco più di una
ragazzina. Conteneva un
commiato appassionato che non era una dichiarazione d’amore
eppure, a suo modo,
lo era. Forse Loki aveva scritto più volte la missiva
con cui si era
deciso, alla fine, a interrompere il carteggio, perché
Lingua d’Argento quella
lettera non l’aveva letta, ma scritta. Una consapevolezza che
non le fece meno
male, anzi: era una coltellata nel petto che giustificava ancora di
più la sua
fuga e congelava il dolore. L’inganno appariva ancora
più terribile e
imperdonabile, e non importava che, forse, a forza di mentire e
raggirarla, forse
si era davvero invaghito di lei.
Passò
notti insonni a
chiedersi se non si stesse auto ingannando. Se la sua esegesi
forsennata delle
missive non nascondesse il desiderio di crederle davvero di Loki
proprio perché
lui ora non c’era più. Se non avesse semplicemente
bisogno di riattaccare i
pezzi del suo cuore infranto fondendo la figura evanescente di Theoric
con
quella, reale e ormai perduta, ma sempre amatissima, del dio degli
inganni. Se
non fosse il senso di colpa per la sua irrisolta relazione con il
marito, a
farle cercare nuovi significati in quelle lettere ormai stropicciate e
sbiadite. Ci pensò e non trovò nessuna risposta
soddisfacente. Finì per rintracciare
in mezzo alle righe scritte in bella grafia la sua arguzia, nuovi
ragionamenti
e altri dettagli che non aveva mai analizzato abbastanza a fondo.
S’innamorò di
nuovo e bruciò ogni cosa.
“Perché
non mi rispondi?”
Il tono della voce di Loki era tornato neutrale, appena raschiato
dall’ambiente
umido della grotta e dalla lunga e sfiancante prigionia.
“Vuoi che lo indovini?
Non riesco a vederti, ma ancora posso sentirti.”
Sigyn
batté le palpebre e
una lacrima le rigò la guancia. Si chinò su di
lui quel tanto che bastava
affinché le sue ciocche bionde, ora cresciute, gli
sfiorassero il viso e l’Ase
provò ad allungare le dita intorpidite verso quel volto che
ricordava quasi con
precisione e ancora non riusciva a mettere a fuoco. Nonostante i ceppi,
riuscì
a sfiorarle la gota umida, la pelle morbida. Una carezza leggera che la
fece
rabbrividire costringendola a rispondere.
“Non
l’hai letta. L’hai scritta,”
mormorò.
“Non ti perdonerò mai per questo.”
“Lo
so.”
Sigyn prese tra
la sua la
mano dell’Ase appesantita dalle catene per prolungare quel
contatto che le era
mancato in maniera totale, assoluta. “Non sono riuscita a
dimenticarti,” ammise
con un soffio di voce.
Loki
increspò le labbra,
parve riflettere su quell’ultima confessione. “Non
hai voluto,” specificò. “Non
mi pento di quello che ho fatto, Sigyn, ma la mia prigionia
è ancora lunga.
Torna a casa, smetti il lutto che senz’altro
porti,” disse, “lascia che i tuoi
capelli ricrescano,” aggiunse scoprendo con le dita che le
sue belle ciocche
bionde ora le sfioravano a malapena le spalle.
La
sentì irrigidirsi. “Non
posso, non voglio.”
C’è
qualcosa di perverso,
nell’incastrarsi nella propria stessa trama. Ingannare ed
essere ingannati fa
parte del gioco, ma ordire un piano e rimanerne invischiati
è un beffardo
scherzo del destino che Loki Laufeyson non poteva fare a meno di
apprezzare,
dopotutto. Lei all’inizio
non era
niente, l’aveva notata appena. Se i suoi occhi verdi e acuti
si erano posati su
Sigyn, era stato solo per seguire lo sguardo interessato del sanguigno
Thor. Folti
capelli biondi che nessuna acconciatura sembrava poter disciplinare,
lineamenti
delicati, grandi occhi grigi rotondi e profondi, vita stretta; non
bella più di
altre, ma interessante questo
sì,
senz’altro. Con tale spirito si era accinto ad assecondare i
capricci del suo
volubile fratello che solo l’esilio su Midgard avrebbe reso
un vero eroe.
Solo che per
ingannare
davvero qualcuno, per convincerlo ad aprirsi e conquistarlo,
è necessario concedere
qualcosa di se stessi sacrificando una scintilla, un frammento della
propria
anima. Perché l’illusione sia davvero efficace,
deve contenere al suo interno
un barlume di inoppugnabile verità. Scriveva Loki, di notte.
Lettere lunghe,
appassionate, in cui ogni arguzia, frase, schermaglia era pensata per
lei, la
ragazza bionda che sedeva in giardino a leggere lettere
d’amore raccogliendo le
gambe al petto. Le sue. All’inizio erano stati il
divertimento e la bieca
curiosità a fargli alzare la penna, ma poi, per le Norne,
qualcosa era
cambiato. Sigyn era intelligente, vivace, acuta. Bella.
Rispondeva a tono alle sue battute, commentava in maniera
brillante i suoi ragionamenti. Intrattenere quella corrispondenza che
Thor
aveva dimenticato da tempo continuò a essere divertente, ma
in maniera diversa.
Quando comprese che per Sigyn il fittizio Theoric stava diventando
troppo
importante, pensò che fosse il caso di smettere, ma non
volle, non riuscì, non
poté. Seduto sul letto con le gambe comodamente allungate e
un libro a
rendergli più agevole la scrittura, la lunga penna di falco
ancora stretta tra
le dita, capì che non voleva privarsi di nulla –
che non era in grado di
rinunciare a niente – nemmeno a lei.
Scriverle spacciandosi per un altro, uno che nemmeno
esisteva, era una
bassezza terrificante, ma non farlo era fuori questione. Incastrato
nella sua
stesse rete, lasciò che l’inganno così
abilmente tessuto la conducesse tra le
sue braccia e nel suo letto solo per perderla. Com’eri
bella, Sigyn, quella notte.
Il lento
gocciare del
veleno nel bacile continuò a scandire il tempo di cui Loki
non riusciva più a
tenere traccia e quella che sarebbe diventata la dea della
fedeltà rimase lì,
accanto a lui, al suo fianco, come aveva promesso quando lo aveva
sposato,
curando con la sua sola presenza il corpo torturato e lo spirito fiero
e mai
piegato dell’altero dio degli inganni in persona. Dopo
avergli applicato sugli
occhi l’ennesimo medicamento, lui registrò una
variazione significativa di
luce, strinse le palpebre, serrò la mascella. Lentamente, le
macchie indistinte
di nero e grigio lasciarono spazio ai colori, a lei.
Loki la
osservò come si
guarda qualcosa che si è avuto e poi perso e sul suo viso
affilato si affacciò
di nuovo il ghigno perenne che gli attraversava le labbra, il sorriso
di lupo
che l’aveva stregata.
“Sei
sempre stato tu,
solo tu, ad avere il mio cuore” mormorò Sigyn
scostandogli una ciocca scura dal
viso. “E l’ho capito troppo tardi. Mi
dispiace.”
“Che
importanza ha,
adesso?” osservò l’Ase distante.
Lei scosse la
testa, e il
dio degli inganni s’incantò un momento osservando
l’oro dei suoi capelli.
“Resterò
qui, Loki, amore
mio. Resterò con te fino a che Thor e Frigga non otterranno
da Odino un appello
e tu sarai graziato, finché queste catene non verranno
spezzate, fino al
Ragnarok, fino alla fine del tempo.”
Lingua
d’Argento forse
avrebbe voluto ribattere qualcosa, ma non ci riuscì: lei lo
baciò sulle labbra.
The
end
Non voglio
rassegnarmi ad essere cattivo,
Tu sola puoi
salvarmi, tu sola e te lo scrivo:
Dev’esserci,
lo sento, in terra o in cielo un
posto
Dove non
soffriremo e tutto sarà giusto.
Non ridere, ti
prego, di queste mie parole,
Io sono solo
un'ombra e tu, Rossana, il sole,
Ma tu, lo so,
non ridi, dolcissima signora
Ed io non mi
nascondo sotto la tua dimora
Perché
oramai lo sento, non ho sofferto
invano,
Se mi ami come
sono, per sempre tuo, per
sempre tuo, per sempre tuo...Cyrano
(Guccini, Cyrano)
Note Autore:
Cari lettori,
Questa
storia nasce per il Contest di Laodamia94
“Cuore d’Ombra II Edizione,”
incentrato, come suggerisce anche il nome, sui villain.
Come potevo non cogliere l’opportunità per parlare
ancora di Loki, il mio villain
preferito
di sempre? ♥ Per l’occasione, ho voluto presentare
il dio dell’inganno in uno
dei momenti fondanti della sua storia mitologica, unendo
la timeline del MCU al mito
scaldico relativo alla punizione di Loki. Secondo
quest’ultimo, il dio degli inganni viene condannato dagli
dèi a una pena
tremenda: incatenato in una grotta sotto la bocca di un serpente la cui
bava urticante
lo strazia, Loki si contorce e si lamenta. Sigyn, la dea della
fedeltà, la
moglie devota, gli resta accanto e raccoglie in un bacile il veleno del
serpente, alleviando in questo modo la pena del marito. La Marvel ha
dedicato
uno spazio molto ristretto a questa figura di donna: ha inserito
però nel
comics il personaggio di Theoric, uno spasimante che lei avrebbe dovuto
sposare, cui Loki si sostituisce con l’inganno. Partendo da
questi spunti, ho
creato una storia che si colloca idealmente tra Avengers
e Thor: The dark
world dato che presuppone un voltafaccia
di Loki nei confronti di Thanos mentre Odino è vivo e una
battaglia che distrugge
Asgard. Le caratteristiche dell’inganno di Loki, il
fatto che inventi il
personaggio di Theoric per sedurre Sigyn, la loro corrispondenza e
l’assonanza
Theoric/Thor sono mie invenzioni/riflessioni
di cui ribadisco la maternità, così
come l’interpretazione e
la caratterizzazione
di questa Sigyn.
I
versi riportati della Lokasenna
nell’incipit appartengono all’edizione Garzanti in
mio possesso (volevo farvi
sentire la vera voce di Loki).
Nel
testo sono presenti citazioni da De André (La canzone di
Marinella), Pascoli (X
Agosto) e altre mie storie. Gli appellativi di Odino e Loki (dio delle
forche e
fabbricante di bugie) vengono dall’Edda.
A fare
da colonna sonora alla stesura della storia sono state le canzoni
citate nel
testo e non solo: Into my arms di
Nick Cave, sulle cui note ho scritto l’epilogo,
Vedi cara cantata da Guccini, e, soprattutto, Cyrano
che, anni fa, ha ispirato il primigenio nucleo della storia.
Come sempre, grazie a chi è arrivato fino a qui e grazie a
chi ha ascoltato le
mie paturnie durante la stesura della storia. ♥
Shilyss