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Autore: Montana    23/10/2018    2 recensioni
Dentro la stanza con la porta blu due donne, eterne rivali, si ritrovano a confrontarsi dopo la morte della persona più importante che avevano in comune.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La porta blu
 
Lavinia entrò nel bar semivuoto, la valigia in una mano e il cellulare nell’altra. Era ancora abbastanza presto e nel locale non c’erano che quei soliti vecchi avventori le cui giornate sono scandite dalla routine. Qualcuno le lanciò un’occhiata, ma non parve turbare gli equilibri del posto. Ordinò un caffè macchiato e si sedette in disparte per non disturbare.
Sfogliò una rivista vecchia di settimane, sbirciando ogni tanto lo schermo del cellulare; aspettava una chiamata, qualcuno che le dicesse dove e quando andare.
«Avete letto il giornale di oggi? Avete visto cosa c’è in prima pagina?» chiese d’un tratto un avventore, un uomo anziano dai capelli tinti. Il suo vicino di tavolo annuì ma gli altri lo guardarono incuriositi «Cos’è successo?» chiese una signora.
«È morto lo Scrittore. Dev’essere una cosa molto recente, ieri non se ne parlava da nessuna parte. Aspettate, vi dico cosa c’è scritto nell’articolo»
Lavinia sentì una stretta al cuore ma rimase silenziosamente in attesa del resoconto.
«Dicono che è morto ieri sera. Un infarto, sembrerebbe»
«Beh, si sapeva bene che aveva problemi di cuore. Era in ospedale?»
«No, è morto in casa. Nello studio, dicono. L’ha trovato la moglie»
Un silenzio perplesso riempì il locale per qualche secondo, poi un altro cliente fece la domanda che anche Lavinia si stava ponendo nella sua testa «La moglie? Ma non era separato da più di vent’anni?»
«Anche trenta» gli fece eco una donna «Uno dei matrimoni peggio riusciti della storia»
«No, non la moglie, scusate. La ragazzina, quella che viveva con lui. Avete presente, no?»
Mormorii di assenso e Lavinia dovette soffocare una risata, perlopiù isterica, al pensiero di come avrebbe reagito quella se si fosse sentita chiamare ragazzina.
«Dicono altro?»
«Dunque, il funerale sarà domani ma non è segnalata nessuna chiesa. La camera ardente è oggi nella casa sul corso»
«Nella casa dove è morto?!»
«È una casa molto grande…»
Ironicamente, quella conversazione ascoltata per caso aveva dato a Lavinia tutte le informazioni di cui aveva bisogno. Si ravviò i capelli, pagò il caffè e uscì dal bar. Ora che sapeva dove doveva andare, la valigia sembrava pesare di più.
 
Impiegò quasi un’ora ad arrivare alla casa. Non era più atletica come una volta, considerò asciugandosi il sudore dalla fronte. Guardò il portone in legno e rabbrividì pensando a quante altre volte l’aveva varcato, in anni così lontani da sembrare una vita precedente. Suonò il campanello e le aprirono senza nemmeno chiedere chi era; doveva già essere iniziato il viavai di conoscenti e amici che passavano per un ultimo saluto.
Arrivata di sopra fu accolta da Francesca e Marco, entrambi invecchiati, entrambi contenti di vederla. Si abbracciarono velocemente, Marco le prese di mano la valigia e la portò in una stanza adiacente.
«Allora, come va?» chiese Lavinia a Francesca.
L’altra donna si lasciò sfuggire un sospiro spezzato «È successo tutto così in fretta, non ho nemmeno avuto il tempo per assorbire veramente la cosa»
«A chi lo dici. Ho ricevuto il vostro messaggio e un attimo dopo ero già sul treno, non so come ci sono arrivata. Lui… dov’è?»
«È nel salone, quello degli incontri. Abbiamo pensato che non ci fosse posto migliore. Vuoi… andare a salutarlo?»
Lavinia sentì il sangue gelarglisi nelle vene e capì di non essere pronta, non ancora.
«Non credo di farcela, adesso»
Francesca la guardò comprensiva «Non sei l’unica, non preoccuparti. Cass è chiusa di là da ore, non si è neanche avvicinata»
Questa era una sorpresa per Lavinia. Si era immaginata Cassandra accanto alla bara, distrutta dal dolore ma in bella vista.
«Dov’è di preciso?»
«Di là, nell’anticamera della sua stanza. Prova a parlarle, magari hai più successo di noi»
Lavinia conosceva bene la strada, il lungo corridoio con i quadri alle pareti, la porta in legno blu (ridipinta da poco, evidentemente) che le bastò spingere piano per entrare. Anche la stanza, immersa nella penombra, era come la ricordava: l’armadio nell’angolo, il grande specchio alla parete e le piccole poltrone negli angoli. Su una di queste era seduta Cassandra, anche lei pressoché uguale a come se la ricordava.
Gli occhi grandi erano cerchiati, vestiva di nero e aveva qualche filo grigio tra i capelli (meno di quanti avrebbe dovuto averne, ormai cinquantenne) ma era sempre lei. La guardò perplessa. Non tanto per la sua presenza lì ma perché era entrata senza bussare, e non disse nulla.
Lavinia chiuse la porta e si sedette sulla poltroncina di fronte all’altra donna. Non le chiese come stava; francamente, non le interessava.
«Cos’è successo?» le chiese, dopo qualche minuto di silenzio.
«Si è sentito male nello studio, ieri sera. L’ho portato in ospedale ma era già troppo tardi»
La voce, ecco, quella era diversa. Più grave, più roca. Probabilmente aveva pianto per tutta la notte.
«L’hai già visto?» continuò Cassandra. Lavinia scosse la testa.
«Non c’è fretta, il funerale è domani nel foyer del teatro. Sono sicura che Marco e Francesca si prenderanno cura di te»
«Stava male? Gli era già capitato?»
«Qualche anno fa, mentre andava ad un firma copie. Prendeva delle medicine, mangiava solo certe cose ma sapevamo che sarebbe potuto succedere. Almeno, io lo sapevo; lui faceva finta di niente»««
«È per questo che sei rimasta? Per prenderti cura di lui?»
Il fantasma di quello che era stato un sorriso sarcastico si affacciò sul viso di Cassandra, mutandone per la prima volta l’espressione «È per parlare di questo che sei venuta qui?» chiese.
Lavinia non rispose; non lo sapeva più nemmeno lei ma aveva quel rancore dentro da più di vent’anni e doveva pur trovare un modo per sfogarlo, no?
 
Quarant’anni prima, quando tutti loro erano giovani e ancora in vita, lo Scrittore aveva creato un circolo. Univa una specie di scuola di scrittura, presidiata da lui stesso, al lavoro di una compagnia teatrale con la quale collaborava, allo scopo di trovare e formare nuovi talenti artistici e di dare lavoro ai giovani.
Lavinia, entrata nel circolo come aspirante sceneggiatrice, si era ben presto fatta strada fin nel cerchio più interno del potere, nelle grazie dello Scrittore. Il suo compito, diceva lui per prenderla in giro, era quello di spaventare coloro che non erano all’altezza per mandarli via e purificare il circolo. I timidi, i timorosi, i balbuzienti potevano lavorare dietro le quinte ma non erano adatti a diventare gli eredi dello Scrittore, quindi era inutile che soffrissero provandoci.
Così una fresca sera di settembre, la prima del nuovo anno di incontri, Lavinia se ne stava seduta alla sinistra dello Scrittore e squadrava con aria famelica i nuovi iscritti. Ne aveva già selezionati due che al solo vederli si capiva che non avevano la stoffa giusta, un ragazzo che continuava a tamburellare sul banco e una ragazzina talmente delicata da sembrare una bambina, con grandi occhi spaventati che teneva fissi di fronte a sé.
Alla prima lezione nessuno portava qualcosa da far leggere agli altri, la prima lezione serviva solo per presentarsi. Ognuno diceva il proprio nome, la propria età e cos’era venuto a fare.
Lavinia prestava generalmente scarsa attenzione alle presentazioni altrui, captava qualche nome e le voci più ambiziose, nulla di più.
La ragazzina con gli occhi spaventati, che aveva la voce sottile che ci si aspettava vedendola, si chiamava Cassandra e aveva diciotto anni, era lì per scrivere. In maniera generica. Eliminarla sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Alla fine del giro di presentazioni però, quando lo Scrittore aveva risposto ad alcune domande, le si era rivolto chiamandola per nome. Questo aveva fatto scattare un campanello d’allarme nella testa di Lavinia, perché se ci aveva messo quasi un anno a ricordarsi come si chiamava lei, come poteva già ricordarsi di quella ragazzina?
 
«Sapeva già chi eri. Ti conosceva e ha fatto di tutto per favorirti» sbottò Lavinia. Cominciava a dolerle la testa, segno che il suo corpo protestava per le poche ore di sonno.
Cassandra le rivolse un’occhiata perplessa «Davvero? E come mi sono dovuta trasferire all’estero per ricevere un minimo di riconoscimento? Non sapeva gestire queste cose, sono stata stupida io, non sarei dovuta rimanere così a lungo»
«Però l’hai fatto comunque» ribadì Lavinia.
 
La conosceva già. L’aveva vista tre anni prima quando era andato a parlare alla sua scuola per la settimana della cultura. Gli aveva fatto delle domande interessanti ed era stata fra i pochi a consegnargli un racconto breve, poche pagine di quaderno riempite a mano ma molto interessanti.
«Sapevi che era lei quando hai letto il suo nome sull’elenco? L’hai invitata personalmente?» gli aveva chiesto Lavinia, più accusatoria di quanto intendesse.
«No, no sapevo che fine avesse fatto. L’ho riconosciuta all’istante appena l’ho vista lì seduta, però. È straordinariamente uguale a quando aveva quindici anni. Speriamo sia ancora altrettanto brava» era stata la risposta.
E lo era. Lavinia fu costretta ad ammetterlo, anche se solamente a sé stessa, il giorno della prima lettura pubblica. Era brava e lui le era stranamente affezionato, quindi non sarebbe mai riuscita ad allontanarla. Allo stesso tempo però la cosa si rivelò avere un secondo aspetto, molto più interessante per Lavinia.
Molte delle ragazze che partecipavano ai corsi si invaghivano dello Scrittore, oppure avevano delle mire carrieristiche come Lavinia, e si lasciavano portare e letto senza problemi. Sapevano tutti come funzionavano le cose, nessuna aveva mai protestato cercando di tenerselo tutto per sé. Anche Cassandra doveva essersi innamorata, glielo si leggeva in faccia da come arrossiva ai complimenti e dagli sguardi che gli lanciava. Ma qualcosa in lui, forse il fatto che sembrasse così giovane, forse l’affetto sincero che provava nei suoi confronti, gli impediva di avvicinarla. Lodava i suoi scritti e la trattata con una gentilezza solitamente riservata a chi gli era vicino da più tempo, ma non cercò mai di portarsela a letto.
Nonostante la frustrazione crescente però Cassandra rimaneva. Ricopriva diligentemente ogni ruolo che le veniva affidato, scriveva, aiutava in teatro, faceva finta di non sapere cosa succedeva ogni notte nella stanza con la porta blu, mese dopo mese, anno dopo anno fino ad entrare nel cerchio più interno di tutti. Con l’ammirazione di ogni altro membro, Lavinia esclusa, perché ce l’aveva fatta senza farsi il capo; secondo Lavinia, invece, questo faceva di lei la più raccomandata di tutte.
 
«Non ne potevo più di averti sempre lì, dovunque mi girassi. Tu non eri adatta a noi e se non gli avessi fatto tenerezza con quei tuoi occhi da Bambi e le tue poesie melense avrei potuto schiacciarti come meritavi e tutto sarebbe andato meglio» ringhiò Lavinia.
«Meglio?»
«Con me al tuo posto»
«Vorresti davvero stare al mio posto, Lavinia? Ci saresti voluta stare negli ultimi quindici anni, vorresti starci adesso? Avresti voluto trovarlo tu, l’altra notte? Sei proprio sicura?» le rispose Cassandra, alzando la voce.
«Non era quello che intendevo»
«No? Beh, forse hai ragione, sarebbe stato meglio se me ne fossi andata subito anziché aspettare dieci anni. Magari la mia carriera ne avrebbe beneficiato, le mie melense poesie sarebbero piaciute a qualcuno e ora ci saresti tu qui, tu che non vuoi nemmeno vedere il suo cadavere perché vuoi mantenere l’illusione che abbia ancora l’età di quando ci andavi a letto!»
Lavinia rinculò bruscamente a quest’ultima frase «Lo sapevi?»
«Certo che lo sapevo, per chi cazzo mi hai presa? Anzi, pensavo che il tuo scopo fosse proprio farmelo sapere»
«Io volevo che lo sospettassi, non pensavo avessi capito che stava succedendo sul serio»
La collera parve mitigarsi sul viso di Cassandra, momentaneamente sostituita da un’espressione condiscendente «Vedi, tu hai sempre pensato che fossi stupida, ma non lo sono. Ho solo sfruttato questa tua convinzione per i miei comodi»
Quella era un’esagerazione, Cassandra ne era pienamente consapevole. Aveva però usato un tono abbastanza convincente, a giudicare dall’espressione sconcertata di Lavinia. La verità era molto più semplice: non appena aveva capito che l’astio di Lavinia nei suoi confronti era dovuto al “trattamento di favore” che riceveva dallo Scrittore, siccome non le piaceva essere trattata male per motivi così idioti e soprattutto indipendenti da lei aveva deciso di sfruttare la situazione a suo favore. Ecco perché aveva spinto così tanto per arrivare nel cerchio più stretto. Col senno di poi (Cassandra ci viveva, ormai, del senno di poi) era stata un’idiozia perché avrebbe potuto lasciar perdere e andarsene e magari avere una carriera meno tardiva. Ma l’ostinazione era una pecca del suo carattere. Quella, e il non riflettere mai sulle conseguenze delle sue azioni. Specialmente quelle nel tempo.
A questo pensiero, istintivamente, allungò la mano per assicurarsi che sotto la sedia ci fosse ancora tutto. Il gesto non sfuggì a Lavinia, che solo in quel momento si accorse della valigia.
«Cosa te ne fai di una valigia? Parti?» le chiese, stupita.
Cassandra non rispose ma assunse l’espressione che Lavinia le aveva visto addosso già una volta, molti anni prima. Improvvisamente le fu tutto più chiaro, e non poté fare a meno di mettersi a ridere.
 
Venticinque anni prima, di ritorno da una trasferta di qualche mese a Vienna con la compagnia che stava seguendo, Lavinia aveva trovato la stanza con la porta blu occupata in pianta stabile da una donna, non molto più grande di lei, di nome Elena: la fidanzata dello Scrittore.
Come fosse potuto accadere che un uomo del genere diventasse monogamo nell’arco di pochi mesi, Lavinia non ne aveva idea. E la cosa la irritava non poco.
Non poteva ovviamente discuterne con lui, ma con le altre del circolo sì e non perse tempo. A quei tempi nel cerchio più ristretto c’erano lei, Francesca, altre due ragazze di nome Chiara ed Ester e Cassandra, ma quest’ultima Lavinia non la considerava.
«Da dove spunta questa, qualcuno me lo può dire?» sbottò Lavinia alla prima occasione buona, una serata fra donne nelle loro camere.
«È una critica teatrale, da quel che ho capito. Si sono incontrati ad un festival e tre settimane dopo lei era già qui in visita» la informò immediatamente Chiara.
«Tempo un mese e mezzo e la visita è diventata un trasferimento. Ne sappiamo quanto te, è stato tutto talmente imprevisto!» aggiunse Ester. Cassandra non disse nulla ma se Lavinia avesse per caso alzato gli occhi su di lei avrebbe notato uno strano sorriso sul suo volto fanciullesco. Sorriso destinato a scomparire bruscamente quando meno di un anno dopo lo Scrittore annunciò ai suoi discepoli che avrebbe sposato Elena.
Il giorno dopo il matrimonio, Cassandra partì per Londra. Ci rimase per cinque anni.
 
«Mi sono sempre chiesta cosa ci trovasse in lei. Anche tu, vero?»
«Era una ragazza normale, priva di drammi, con un buon cuore. Era la donna perfetta per mettere su famiglia. Lui era in crisi, non buttava giù una cosa decente da anni e in cuor suo sapeva che vi facevate portare a letto per una carriera, anzi, per rubargliela. Non è stato affatto difficile»
«Cosa?»
«Convincerlo era proprio la donna che stava cercando»
 
Nessuno l’aveva mai saputo ma Cassandra era stata la prima a conoscere la futura signora Scrittore. Non solo, era stata proprio lui a presentargliela e a chiederle cosa ne pensasse.
A quei tempi, con Lavinia fuori dall’equazione, Cassandra era diventata l’ombra dello Scrittore, lo accompagnava ad ogni festival, soirée o firmacopie. Una sera, distrutta da una settimana di impegni mondani e di bozze da correggere, Cassandra stava rincasando con come unico programma quello di mangiare qualcosa e poi filare dritta a letto, ma lui l’aveva chiamata.
«Ehi Cass, sei a casa?»
«Ci sarò tra trenta secondi, se mi lasci il tempo di aprire la porta. Hai bisogno di qualcosa? Ho già finito le correzioni per quell’articolo, te l’ho messo sul tavolo»
«No, grazie mille per quello ma no, non ho bisogno di qualcosa di questo genere» rispose lui con un tono strano.
Cassandra per poco non si lasciò cadere la borsa sui piedi: possibile che la stesse finalmente chiamando per quello?
«Dimmi tutto»
«Potresti raggiungermi? Sono al Lamp, quel locale che ti ho fatto vedere qualche settimana fa. Te lo ricordi?»
Il Lamp era praticamente dall’altra parte della città ma Cassandra vi arrivò in tempo record, perché in certi momenti persino la sicurezza stradale passava in secondo piano.
Lo vide subito, era in uno dei tavoli vicini alla vetrata, addosso la solita giacca blu e al suo fianco una donna.
Cassandra pensò davvero, per un secondo, di girare i tacchi e farsi investire dal tram che passava lì fuori. Poi però lui si voltò e la vide e le fece segno di avvicinarsi, sorridendo. L’io interiore di Cassandra urlava, ma la musica nel locale era abbastanza forte da smorzarlo un po’.
«Caspita, ci hai messo pochissimo!»
«Sì, beh, ho beccato l’onda verde»
«Prendi qualcosa da bere?»
«Una birra, grazie. Posso sedermi qui con… voi?»
«Certo! Scusa, mi sono dimenticato di fare le presentazioni. Cassandra, lei è Elena, una critica teatrale; Elena, lei è Cassandra, una delle mie allieve più talentuose»
Cassandra passò la serata cercando di non pensare a quanto avrebbe avuto voglia di una seconda birra e a sforzarsi di non apparire troppo scontrosa con Elena. Qualche ora più tardi quest’ultima disse che doveva assolutamente tornare a casa, lo Scrittore l’accompagnò fuori dal locale e poi tornò da Cassandra.
Lei a quel punto aveva abbastanza alcol e stizza in corpo per affrontarlo direttamente «Scusa se te lo chiedo, ma qual era il mio scopo stasera? Era stata una giornata stancante, non mi andava di sentirmi anche come terzo incomodo»
Lui parve sinceramente stupito «Terzo incomodo? Non era mia intenzione farti sentire così. Volevo soltanto un tuo parere… su Elena»
«In che senso?»
«Come ti sembra?»
«È una brava persona, per quel che ho potuto vedere. Le piacciono l’arte e il lavoro che fai, non è eccessivamente tua fan ma questo è un bene così non ti monti la testa, è carina… non so cos’altro dirti. State insieme?»
«Non proprio, anche se mi piacerebbe. Vorrei sapere se è la donna giusta per me»
«Ok. Ma mi sfugge ancora il mio ruolo in tutto questo»
Lui la guardò serio come non era mai stato prima «Cassandra, tu sei una delle persone più speciali che quel posto mi abbia dato modo di conoscere e frequentare. Ma sei soprattutto una delle più oneste: non cerchi mai di prevaricare gli altri con l’inganno, non ti lasci trascinare nelle campagne d’odio di Lavinia e stai facendo un lavoro magistrale nell’aiutare me. In più sei una delle mie persone preferite perché ti ho vista crescere e diventare quella che sei. Quindi per me il tuo parere vale tantissimo e vorrei sapere se ritieni che Elena possa essere la donna giusta per me»
Il semplice fatto che lo stesse chiedendo a lei implicava che non lo fosse, pensava Cassandra, e indicava anche che lo Scrittore non era in grado di comportarsi da adulto. Stava per dirgli tutto questo quando le venne un’idea migliore: se lo Scrittore si fosse fidanzato lei non avrebbe avuto più nessuna possibilità di andarci a letto, ma stando agli ultimi avvenimenti era abbastanza chiaro che ciò non sarebbe successo comunque. In più, forse avrebbe smesso di andare a letto con Lavinia. Quindi fu con immenso piacere che gli sorrise e, messa da parte la sua proverbiale onestà, gli disse «Penso proprio sia la donna perfetta per te»
 
Lavinia non riusciva a crederci «Sei stata tu? Ma perché?»
«Non sopportavo che andasse a letto con tutte tranne che con me. Ho pensato che così, almeno per un po’, avrebbe smesso»
«Non ha funzionato benissimo, sai?»
«Lo so, ma non pensavo l’avrebbe sposata sul serio. Poi ci sono rimasta male ma era troppo tardi per fare qualsiasi cosa, quindi me ne sono andata»
Lavinia se li ricordava bene, i cinque anni senza Cassandra. Il matrimonio dello Scrittore aveva cominciato ad andare a rotoli quasi subito, alla fine era durato solo due anni durante i quali aveva ricominciato ad andare a letto con chi capitava, e lei non si era di certo tirata indietro. Ma lui non stava bene, era irrequieto e lo era rimasto anche dopo che il matrimonio era finito e la stanza con la porta blu era tornata ad essere vacante. Lo era stato finché non era ritornata Cassandra, figliola prodiga che aveva fatto fortuna nel Regno Unito e voleva sbatterlo in faccia a tutti. Lavinia a quel tempo aveva già cominciato a frequentare sempre più sporadicamente la casa, presto avrebbe smesso per sempre.
Di colpo si ricordò della valigia sotto la sedia di Cassandra e della domanda che voleva farle «Che fine ha fatto, poi, Elena?»
«Non la vedo da anni, l’ho incontrata una volta poco dopo il mio ritorno. Non si è nemmeno fatta viva quando lui è finito in ospedale, qualche anno fa. Però non hanno mai divorziato. Quindi la casa ora è sua»
Lavinia aveva immaginato che sarebbe stata quella la conclusione del tutto, ma fu comunque colpita «Sei sicura? Magari il testamento dirà qualcosa di diverso»
Cassandra scosse la testa «No, non l’ha più cambiato dopo l’ultima volta. Resta fino alla lettura, ti ha lasciato delle cose. Qualche scritto d’epoca e quel quadro coi fiori che è nell’ingresso»
Lavinia fece mente locale e sbuffò «Tipico, ho sempre odiato quel quadro. E a te cosa resta?»
 
A Cassandra restavano dei libri, un po’ di soldi, un’autobiografia postuma da far pubblicare e uno strano senso di vuoto che somigliava molto a sollievo. Ma soprattutto le erano rimasti quegli ultimi vent’anni passati al suo fianco.
Aveva capito che non sarebbe mai riuscita a liberarsi di lui nel momento in cui era uscita dal suo appartamento a Londra e se l’era trovato davanti. Era arrivato senza preavviso e sembrava distrutto, ma non era lì per incolparla. Il suo matrimonio stava andando a rotoli ma lei come avrebbe potuto saperlo, quando lo aveva convinto che Elena era la donna della sua vita?
Cassandra invece lo sapeva benissimo e si era rifiutata di tornare, nonostante lui l’avesse supplicata in ogni modo. Quando era tornata, no molto anni dopo, l’aveva fatto di sua spontanea volontà, anche lei senza preavviso. Si era presentata alla casa e a muso duro gli aveva chiesto quali fossero le sue intenzioni con lei. E con dieci anni di ritardo aveva avuto parte della sua rivincita.
Si era trasferita lì, nella stanza con la porta blu che le era sempre stata preclusa, e l’aveva svuotata del suo scopo. Lei non era una moglie, non era un’amante. Era stata l’ancora di salvezza e il porto sicuro di un uomo che aveva vent’anni in più di lei, ed erano stati felici.
Col famoso senno di poi, rifarsi una vita in un altro modo sarebbe stato più saggio; ma Cassandra non aveva mai insinuato di essere saggia.
Un ricordo che le sarebbe rimasto impresso in testa fino alla fine dei tempi era quello di un giorno, qualche anno prima, quando lui non era ancora stato male. Erano nello studio, lui lavorava ad un nuovo libro di cui non era molto convinto ma che sarebbe diventato un successone e lei sedeva al capo opposto della scrivania, intenta a rimettere a posto dei documenti. Ad un certo punto lui le aveva chiesto qualcosa, forse una conferma sugli impegni della giornata o un consiglio per quello che stava scrivendo, e quando lei gli aveva risposto aveva alzato lo sguardo dal suo lavoro e aveva puntato su di lei quegli occhi vivi e taglienti che lei tanto amava. Gli occhi erano sempre rimasti uguali, nonostante il passare degli anni, celesti e spessi incupiti ma quasi mai con lei. L’aveva guardata, le aveva sorriso e con il suo solito tono un po’ canzonatorio le aveva detto «Ma perché non ho sposato te?»
Anni prima una frase del genere l’avrebbe mandata nel pallone, ma nonostante le apparenze Cassandra era cresciuta. Quindi si era limitata a sorridergli a sua volta e a rispondere «Perché sono sempre uguale a quando avevo quindici anni»
La risposta di lui era stata uno dei suoi sorrisi magnetici e per la prima volta in vita sua Cassandra si era sentita veramente a casa.
 
«Non preoccuparti, ha lasciato qualcosa anche a me»
«Ma non la casa. Non la stanza con la porta blu»
«No, ma ho passato in quella stanza molto più tempo di chiunque altro prima di me. Mi può bastare» concluse Cassandra, alzandosi in piedi e recuperando la valigia da sotto la sedia. Istintivamente anche Lavinia fece lo stesso.
«Hai un altro posto dove andare?» le chiese. Era veramente preoccupata, tutto l’astio covato per decenni sembrava essere magicamente scomparso.
«Non subito, ma troverò qualcosa»
«Potresti chiederle di lasciarti la casa. Magari di fartici vivere in affitto, come custode. Pensi che vorrà davvero tornare qui?»
«Non lo so, ma comunque non voglio rimanere qui. Questa casa era già troppo grande per due persone, figurati per una sola circondata da fantasmi. No, è meglio che me ne vada. Ho visto che c’è un treno che parte a metà pomeriggio, dovrei essere a casa in serata» aggiunse, facendo segno a Lavinia di uscire dalla camera.
«Stasera? Il funerale è domani! Non resti?»
Cassandra chiuse la porta blu e si voltò a guardare l’altra donna, sul volto un sorriso malinconico.
«Gli sono rimasta accanto per vent’ani, un ricovero in ospedale e una notte in obitorio. Gli ho promesso che non sarei rimasta a guardarlo freddo in una bara, mentre persone che pensano di averlo conosciuto gli fanno elogi funebri. Ma penso che tu dovresti andare a salutarlo: non me l’ha mai detto, ma so che gli farebbe piacere»
Ciò detto s’incamminò lungo il corridoio, sembrando sempre più giovane ad ogni passo. Quando arrivarono alla porta d’ingresso e si girò per salutarla sembrava davvero la ragazzina del loro primo incontro, quarant’anni prima. Guardandola sparire dietro la porta, Lavinia ebbe l’improvvisa certezza che non l’avrebbe mai più rivista.
Si recò nel salone, salutando con un cenno della mano o del capo le facce conosciute che incontrava.
Quando finalmente lo vide ebbe un tuffo al cuore: com’era diverso da come lo ricordava, eppure così uguale. Si lasciò cadere su una sedia lì accanto e sospirò «Quante cose ho da raccontarti», disse.

 
  
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