A Tya,
perché
anche se alla fin fine non ci conosciamo più di tanto,
so che
sei una persona fantastica e lo si capisce anche solo leggendo le tue fic.
Goditi
questo giorno solo tuo,
goditi le
tue vacanze (finalmente xD),
e goditi
anche questa fanfic anche se non è il massimo.
Hasta il coleottero siempre.
Il verde del prato ricordava il verde della speranza, disseminato di altri brillanti colori che si alternavano, a seconda dei fiori contenuti nel parco.
I delicati petali
bianchi delle margherite s’illuminavano di un giallo pastello, quasi miele, a
contatto con i raggi solari, che li riscaldavano, dolcemente.
Una bellissima
farfalla nivea volteggiava tranquilla fra gli steli del prato, volando leggera
e delicata da un fiore all’altro.
Il bambino, arguto,
assottigliò gli occhi furbetti, osservando quell’emblema di bellezza animale
con uno sguardo quasi famelico.
Shino la scrutò, imperturbabile, attraverso le lenti scure che gli nascondevano abilmente gli occhi.
“Mi fido di te.” sussurrò, impercettibilmente.
Shiho abbassò lo sguardo, le guance si colorarono lievemente di un vivace rosso porpora.
“Shino-kun… vorrei io stessa p-potermi fidare di me.”*
In lontananza, i rumori della guerra risuonavano devastanti e letali.
Butterfly Scream
“Hai mai ucciso
qualcuno, Shiho?”
la ragazza socchiuse
le labbra sottili, riducendole ad un piccolo cerchio sorpreso. Sembrò pensarci
su, quasi non si ricordasse, prima di sorridere imbarazzata.
“No, mai. Uccidere
non è il mio compito, Shino-kun”
ribatté timidamente,
azzardando un’occhiata assorta al giovane ninja che aveva di fronte.
“capisco”
sibilò caustico,
stringendo le labbra nascoste dietro all’ampio giaccone.
Shiho sembrò
spaventarsi per un primo momento, al suono di quel tono quasi irritato del
compagno, ma poi si rilassò, fissandolo attraverso le spesse lenti degli
occhiali.
“Saresti capace di
spezzare una vita?”
Shino la prese in
contropiede, e lei si acquietò per pensare ad una risposta logica.
“Non lo so. Non lo
so, non ci ho mai pensato. Non ci ho mai voluto pensare”
le venne normale da
dire, sputando quelle poche parole velocemente, come se potessero costarle una
condanna a morte certa.
E Shino la guardava,
senza una vera espressione in viso, solo con la voglia di prendere fra le sue
quelle mani delicate, e di stringerle, fino a farle male.
Era bello sapere
che, in un mondo fatto di sangue e violenza, ci fosse ancora qualcuno di puro.
“Non uccidere mai,
Shiho. Una vita vale quanto un’altra.”
Il cielo era talmente blu che a fissarlo in continuazione facevano male gli occhi.
Il sole non si nascondeva dietro nessuna nuvola, queste erano completamente assenti.
Era una limpida giornata estiva, calda e rilassante, con un tepore che sapeva di casa e che faceva venire nostalgia a quei pochi ninja rimasti fuori dal villaggio.
Salvi.
L’aria era satura di calore, misto ad un effluvio di sudore e sangue, ed il sole risultava pallido e potente allo stesso tempo, per coloro che erano stesi a terra, gli occhi spalancati, costretti a guardare in alto. Lacrimavano, si spostavano freneticamente da una parte all’altra dell’orbita, cercando una qualsiasi via di fuga, un appiglio al quale legare ogni grammo di speranza relegata nel cuore.
Probabilmente Konoha non era mai stata così calda; e Shiho si costrinse a pensare razionalmente, il calore che percepiva sul suo corpo non era procurato dai raggi solari, bensì dal sangue che, copioso, le macchiava i vestiti lacerati dalle armi metalliche e affilate, e risaltava lugubre sulla pelle bianca.
“Respira. Respira, ce la farai. Stai calma e respira”.
La celestiale visione del cielo azzurro colorato di miele dal sole s’incrinò, e la losca figura buia di Shino si affacciò al suo ormai ristretto campo visivo.
Non riusciva a vedere bene; i piccoli occhi abituati ad essere riparati dietro alle lenti degli occhiali adesso si mantenevano aperti a fatica, aggrappandosi ai lati del mondo per tentare di vederlo ancora. Inoltre il cielo era crepato, ed era brutto vederlo così, perciò Shiho si obbligò a razionalizzare ancora una volta la situazione, com’era abituata a fare, e a capire che i suoi occhiali erano rotti.
Ma il cielo no, la vita andava avanti.
Sbatté le palpebre, sentendo dolore e soffrendo, ma strinse le labbra e guardò Shino.
“Potevo evitarlo Shiho, potevo farlo. Non dovevi metterti davanti, ce l’avrei fatta da solo”
pensò che fosse stato l’orgoglio maschile a parlare al posto suo, e per poco non le sfuggì un sorriso.
“Non… fa nulla. Sono… f-felice” sibilò a fatica, assaporando il gusto metallico e nauseante del sangue in gola, deglutendo quel grumo di liquido vermiglio che la fece tossire.
Il corpo dell’avversario giaceva lontano da loro, inerme ed inespressivo, gli occhi strabuzzati un po’ sorpresi, il kunai piantato con violenza all’altezza dello sterno, quasi volesse cercare il cuore.
Non si muoveva, ed aveva ancora le mani sporche di sangue (di Shiho) che non avrebbe dovuto essere tale. Il colpo desinato al giovane Aburame non era andato a segno; ma aveva fatto centro su un altro obiettivo che forse non era nemmeno tale.
Che importanza aveva, una guerra è pur sempre una guerra.
“Shiho…” il ragazzo strinse le labbra, liberando finalmente il celebre istinto che lo scaldava quando stava vicino a lei, e le prese la mano grondante di sangue, portandosela sulla guancia.
Era fredda, scaldata appena da un timoroso battito debole all’altezza del polso, ma rimaneva morbida e vellutata, come quella di una bambina.
Passò quella mano sulla sua guancia, sulla tempia, le fece far cadere gli occhiali, e poi la fece scivolare sulle labbra, dove la fermò. Ci pensò su qualche istante, prima di baciarla, tremante.
“Shino…” quel sussurro le fece male, percorrendo l’esofago ed i polmoni di dolore.
Shiho abbassò lo sguardo, questa volta senza arrossire come al solito, e non riuscì più ad alzarlo. Scrutò per un misero istante il terreno sul quale era poggiata la sua testa, avvertendo la stretta di Shino farsi più forte, ed avvertendo la stretta al cuore farsi sempre più vicina, mortale.
“Mi fido di te” sentì mormorare Shino, in un tono che non ammetteva una risposta mancata.
Sorrise a fatica, sospirando debolmente.
Mi fidavo di te, e non avresti dovuto metterti in mezzo.
Mi fidavo di te, e non avresti dovuto uccidere quel
ninja.
Mi fidavo di te, e non avresti dovuto macchiarti di
quell’omicidio che era il mio.
Mi fidavo di te, e mi avevi promesso che saresti rimasta
viva.
Mi fidavo di te, e mi avevi promesso che non saresti
arrossita quando ci saremmo baciati.
Mi fidavo, mi fidavo, mi fidavo ciecamente.
L’aria era vuota, il sole di pietra.
La risposta non arrivò mai.
E gli occhiali rotti
giacevano accanto al suo corpo, inutili,
e gli occhiali da
sole non riuscirono a nascondere sottilissime lacrime.
Gli occhiali non
servivano più a nulla.
La farfalla volteggiava aggraziata fra i fiori, risplendendo di bellezza solare.
Non ci mise molto
il bambino ad afferrarla, incuriosito com’era dallo splendore di cui un animale
può essere dotato.
E come ogni uomo
sulla faccia della terra, l’invidia prese il sopravvento, gelida e letale,
abbagliando il cuore del bambino e spingendolo a strappare con ferocia quelle
ali così belle.
La farfalla morì.
Il bambino non
riuscì mai a volare con quelle ali; non gli appartenevano.
Le cose belle,
come le farfalle, vivono un giorno, lo sai, Shiho?
E anche tu eri bellissima,
anche tu eri aggraziata e delicata, e con me avresti vissuto il giorno più
bello e importante della tua vita.
Ma una farfalla
non uccide; senza ali – non dovevi uccidere, non dovevi uccidere, non dovevi
uccidere – non puoi andare da nessuna parte, ormai.
“Shiho, mi fido di te”
“Anche io vorrei potermi fidare di me, Shino”
“Mi fido di te”
“…”
Chi uccide, nel mondo dei ninja, non merita il paradiso.
Tutti i ninja sono destinati alla sofferenza eterna.
*Riferimenti ad Oscar Wilde.
Ah, uhm.
Sì beh, prendetemela per buona, anche se non si capisce
nulla.
Niente dispetti, niente ripieghi, niente di niente, cavolo.
Solo casto, lindo, puro ShinoShiho come piace a noi.
ShinoShiho
RULEZ.
(R)amen.
Rory.