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Autore: Claireroxy    27/10/2018    1 recensioni
Quello che si fa nella vita rimane impresso sulla pelle. Potresti essere stato costretto dalle circostanze, non capire bene cos'hai sbagliato, ma una cosa è certa: non te ne puoi dimenticare.
Anche sulla più alta delle montagne svizzere, dove nessuno sa che esisti, i ricordi di quell'omicidio tornano a galla.
Questo racconto partecipa al contest "Il mio personale Modus Operandi" indetto da Not_only_fairytales, ed è risultata prima classificata pari merito con "Attraverso l'oscurità dello specchio" di Ghostmaker
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sono stato fortunato a trovare questo lavoro. Il pastore è vecchio, non riesce più a badare alle sue capre ed è felice di avere qualcuno che lo fa solo in cambio di vitto e alloggio.
E a me piace stare qui. Fa freddo, ma i fiori sono straordinari in questa stagione, e se ho freddo posso sempre accocolarmi fra gli animali. Il vecchio Franz, poi, mi ha dato un suo vecchio cappotto, molto caldo, e scarpe nuove. Forse me le ha regalate. Non capisco ancora bene lo svizzero, ma poi non me le ha chieste indietro, quindi me le tengo.
Qua intorno non c'è nessun altro a cui chiedere, ma va bene così.
Nessuno deve sapere che sono vivo.

Alla fine, sono le capre quelle per cui mi dispiace di più. Forse perché ero un pastore, prima che bruciassero il mio villaggio e mi rapissero. O perché ormai ho visto morire così tanta gente che non m'importa più.
Ci avevano picchiato e buttato in un camion, e durante il pestaggio avevo perso di vista mia sorella, a cui dovevo badare. C'erano alcuni che piangevano, nel viaggio, ma io mi rifiutai.
Dopo molto tempo, un uomo barbuto aveva aperto il camion, e ci aveva divisi a caso in gruppi. Con gli occhi che guardavano nel nulla, e uno strano tic alle mani, ci ha spiegato che eravamo stati scelti per liberare il paese, e che quindi, da bravi cittadini, dovevamo servirlo. Il nostro villaggio l'avevano bruciato, però, quindi cosa dovevamo liberare?
Aveva chiesto se c'erano domande, e un ragazzino aveva fatto notare che aveva sete. Allora l'uomo barbuto aveva ordinato ad alcuni soldati, non più grandi di noi, di fucilarlo. Loro l'avevano messo in mezzo a un gruppo di capre, che servivano per l'esercitazione, e l'avevano fatto. Le urla isteriche delle capre sorpassavano senza problemi i pianti dell'idiota.
Fu da lì che iniziai ad avere paura e odiare il Capo.

Sulle montagne ci ero arrivato dopo un lungo cammino. Era quasi buio, avevo fame, e non sapevo dove andare, e quando avevo visto la piccola baita ero corso dentro, senza neanche bussare. Franz si stava preparando una zuppa di cipolle, e mi aveva fissato per un secondo. Poi aveva preso un coltello e si era messo ad agitarlo contro di me. Non si era alzato, perché aveva già le gambe rachitiche.
Se avessi avuto un fucile, gli avrei ficcato una pallottola in testa senza troppi ripensamenti, ma avevo mollato il mio AK-47 tre mesi fa. Quindi indicai un pezzo di pane, feci il gesto di mangiarmelo e tesi la mano. Mi buttai persino in ginocchio per aumentare l'effetto.
Franz aveva appoggiato il coltello, mi aveva guardato, e poi mi aveva buttato il pane, come si butta un avanzo a un cane randagio e malato per strada.
Il pane era duro, secco e non mi piaceva, ma mi sedetti per terra e lo spazzolai. Poi, per ringraziare il vecchio, sparecchiai la tavola, e uscì. Pioveva, quindi dormì sul portico, facendo attenzione a non svegliare l'uomo.
Il vecchio mi trovò lì, quando uscì prima dell'alba. Mi scrollò, mi diede una tazza di tè e mi fece cenno di seguirlo.
Mi portò davanti a un recinto di capre, che io forse guardai con troppo interesse, e mi chiese qualcosa in svizzero. Nel dubbio, annuì.
Fu così che incominciò la nostra collaborazione.
A essere sincero, non so se mi abbia preso a suo servizio solo per risparmiare i costi o anche perché cercava compagnia. So solo che, ogni volta che mi vuol far scendere in paese, io scappo fra le montagne. Torno solo prima del buio, quando è troppo tardi per scendere.

Mi immaginavo spesso come lo avrei ucciso. Il Capo, intendo.
Affogarlo nel fiume, bruciarlo vivo, fargli prendere con la forza le sue pastiglie fino a causargli una crisi, mi immaginavo questi metodi e molti altri ogni volta che mi ritrovavo a guardarlo.
Eppure, non facevo mai niente. Neanche quando lo vedevo allontanarsi da tutto e tutti. Questo, per tre semplici motivi.
Uno, ne avevo timore. Se davvero gli avessi infilato il coltello nella gola, e l'avessi ucciso, credevo che il suo spirito malvagio mi avrebbe perseguitato. Eppure, era pronto ad accettarlo.
Due, v'erano sempre dei soldati più grandi che lo seguivano. Tenenti, maggiori, gradi del genere. Non lo lasciavano da solo un attimo. Ma stavo lavorando anche su quello: sapevo che, se fossi sopravvissuto e mi fossi comportato bene, mi avrebbero aumentato di grado, e sarei entrato a far parte della scorta, e allora tentavo di essere il soldato più efficiente che ci fosse. Funzionava: i miei sforzi venivano notati, l'idea della morte non mi dava più così tanto fastidio e sentivo che le mie mani si avvicinavano sempre di più al collo del Capo.
Ma poi c'era il tre. L'avevo notato quando mi avevano mandato a prendere l'acqua e raccogliere le teste dei prigionieri decapitati. Mi aveva rivolto un'occhiata veloce e poi era stata trascinata via dal Capo nella sua tenda, ma l'avevo riconosciuta.
Era mia sorella.

Questa mattina è morto Franz. Mi ero svegliato, avevo preparato due tazze di caffè solubile e l'avevo scosso per svegliarlo. Già non era da lui alzarsi dopo le cinque, ma quando ho visto che non respirava ho capito.
Non ho idea di cosa fare. Nessuno lo veniva a trovare, quindi magari non aveva più parenti e amici. Di certo non potevo lasciarlo sul letto, avrebbe incominciato a puzzare, quindi l'ho fatto rotolare giù per un pendio, ho aspettato finché non ho sentito un tonf e poi ho portato a pascolare le capre. Le piane sono piene di sole, e fiori spuntano qua e là, ma non provo gusto a guardarli. Persino i belati degli animali mi irritano e basta.
Sono certo che esistano metodi migliori per dare addio a una persona, ma non ho idea di quali siano.
So solo che era tanto che non vedevo una morte per vecchiaia, e che ne avrei fatto volentieri a meno.

Ero avanzato di grado. Tornato da un attacco a sorpresa a un villaggio sperduto, com'era il mio, ero stato chiamato nella grande tenda. Mi ero diretto lì, la mano stretta attorno al mio kalashnikov, pronto a mettere in atto il mio piano d'omicidio. Uno dei tanti.
Di certo lo avrei fatto, se prima non mi avessero preparato un bagno. Era una scusa come un altra per togliermi le armi, ma era da tanto che non mi lavavo. Da troppo per poter essere contato. In più, l'acqua era calda.
Mi avevano dato dei vestiti, nuovi e non stracciati. C'erano delle piccole stelline sopra, e il Colonnello mi aveva spiegato, con un viso più presente del normale, che ero appena stato eletto Caporale. Mi avrebbero affidato una piccola squadra di nuove reclute, aveva detto, e se mi fossi dimostrato abbastanza in gamba, sarei diventato ancora più potente.
"Pensa" sorrise il Capo, in uno dei suoi rari momenti emotivi. "Se non ti fai ammazzare, uno di questi giorni potrai addirittura comandare questa brigata!"
Mentirei se dicessi che l'idea non mi allettava. Non era, dopotutto, il Capo ad essermi diventato più simpatico. Semplicemente, ora avevo un luogo fisso in cui ripararmi dalla pioggia e cibo migliore, e lo apprezzavo. Pensavo, addirittura, di soffocare il Capo nel sonno e mettermi io al comando. In questo modo, avrei trovato una casa, avrei potuto badare a mia sorella e avrei avuto tutte le comodità possibili. Sciocchi sogni da bambino, che mi perdonavo raccontandomi che avrei usato il mio potere solo per buone azioni.
E se non fosse stato per quell'attacco, forse avrei finito per seguire fino in fondo quella bugia.

Era stata una fazione dello stato ad attaccarci. Non so come ci avessero scoperti, e neppure volevo saperlo. L'unica cosa importante era che l'AK-47 sparasse, e che io non mi ferissi. Provavo a comandare i miei, ma molti erano già a terra, o a corto di munizioni, e fui costretto a una ritirata verso la tenda del Capo.
La linea difensiva era già stata sfondata, e ora era quello il centro del campo di battaglia.
Soldati si accanivano, le due fazioni ormai indistinguibili. I grandi fucili erano inutili da così vicino, e la gente si assaltava alla gola, con qualche coltello o direttamente con le unghie, e non si esitava a usare gli altri come protezione: soldati più inesperti, bambini e donne, tutto faceva comodo.
La indivuduai mentre tentavo di radunare la truppa e scalciare i soldati più piagnucoloni dalle mie gambe.
Si trascinava per terra. Lentamente, forse per la paura di essere scoperta o per la gamba fratturata. I suoi vestiti erano a brandelli, ma pareva determinata a uscire da quel macello, anche a costo della vita.
Poi fu afferrata da una mano pelosa, e usata per coprirsi da una coltellata, che le squarcio la gola. Rimase a bocca aperta, quasi senza poter credere a quello che aveva visto.
Il Capo la sbattè a terra per avventarsi sull'avversario. Invece, una raffica risuonò nell'aria, e quella povera scusa di uomo cadde a terra con il cervello fracassato di proiettili.
In mia difesa, non mi ero reso conto di aver imbracciato il fucile. Però, mentre tutta la mia squadra mi osservava, l'istinto di sopravvivenza mi urlò nelle orecchie di fuggire, quindi mollai tutto e scappai.

Di solito, spero che i membri della mia squadra siano sopravvissuti. A volte, specie nelle notti, mi auguro che siano morti in quella mischia, pur di non essere puniti per quello che ho fatto.

Mi hanno preso. Era salita un auto, nei campi delle capre. Erano scesi un vecchio calvo, una donna dai capelli rossi e due soldati.
Non avevo capito subito che erano soldati. Non avevano una divisa, o un'arma in bella vista, ma uno di loro ha tirato fuori un rettangolo che dava la scossa, quando ho provato a fuggire, e mi hanno tenuto tra di loro per non farmi scappare. Ho provato a mordere la mano a uno, ma quello mi ha solo stretto più forte.
Il vecchio calvo era quello che mi aveva indicato, e che poi si era messo a discutere ad alta voce con la donna una volta che i due soldati mi avevano preso. Ho sentito più volte la parola "Franz" nei suoi discorsi. Era un suo amico? Vuole vendicarsi? Rimpiango di non aver imparato lo svizzero.
La donna non ha detto nulla, si è limotata a sorridere. Ha messo musica pop, quando mi ha fatto salire in auto con gli altri due Poliziste, e canticchia ogni canzone che passa.
Mi hanno preso.
Era ora.

"Ehi, ciao. Allora, come va?"
"..."
"Non essere timido. Riesci a comprendermi?"
"..."
"Mmm, par proprio di no. Parlez-vous francais? Do you speak english?"
"Inglese."
"Ah, molto bene! Ti va se ci presentiamo? Sono Eliza Miller, la psicologa di questo centro per minori. Da una decina d'anni. E tu?"
"Habib, ho quattordici anni e sono un soldato. E un pastore."



Angolo Autrice
Ciao a tutti! Volevo solo usare questo spazio per chiarificare il comportamento del protagonista. Anche per il fatto che il piano temporale cambia ad ogni paragrafo, i pensieri di Habib possono essere più o meno crudeli verso il prossimo. Questo dipende da dove si trova e da quanto è là. In mezzo al campo di battaglia, anche per la giovane età in cui è stato portato a combattere, e il fatto che non avesse coscienza del mondo oltre al suo villaggio, si è adattato alla legge che gli proponevano, ovvero "ammazza o verrai ammazzato", e non riuscendo a liberarsi da questo sistema ha finito per volerlo combattere dall'interno... rischiando, come riflette dopo, di venirne ingoiato lui stesso.
È sulle montagne con Franz, lontano da tutto e tutti, che riesce a comprendere la gravità di quanto ha fatto e del clima tossico che c'è fra i bambini soldati. In un certo senso, la morte del vecchio è quella che gli fa dire basta di fronte a tutto questo. Ma gli strascichi rimangono, anche con l'aiuto di gente competente come Eliza. Un'esperienza così ti cambia la vita, dopotutto.
Beh, grazie per aver letto fin qui, a rivederci!

P.S: per chiunque fosse interessato, sì, il vecchio calvo era un amico di Franz.
  
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