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Autore: Scribak    13/07/2009    5 recensioni
è passato qualche anno dalla fine di "Piccole donne crescono".La vita continua, eppure un personaggio rimane sempre lo stesso. Deve. è costretto. è li aspetterà...ma ora non è più solo... (Piccole Donne)
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Casa March era insolitamente silenziosa; dopo una giornata di febbrile attività, risate e schiamazzi, pareva essersi addormentata e ripiegata su sé stessa. Tutte le luci, eccetto una o due, erano spente, e i lumini accesi per la via si riflettevano nei vetri dell’abitazione, dando una parvenza di allegria.

Amy March Laurence stava cucendo: i lunghi boccoli dorati le scendevano sulle spalle incorniciandole con grazia il viso stanco, mentre le dita facevano passare agilmente l’ago tra la stoffa e il filo, delineando un ricamo gentile.

Una bambina stava dormendo nel letto vicino alla donna, lo stesso viso della madre in una versione rimpicciolita e pallida, dall’aria stanca, riposava sul guanciale con aria beata.

Un suono cupo e profondo squarciò il silenzio della casa: l’orologio a pendolo in corridoio segnava le undici e mezza.

Amy controllò il viso della bambina, sospirando di sollievo scoprendola ancora addormentata: dopo una giornata di baldorie con i cugini, doveva riposarsi il più possibile. Era tanto facile per lei ammalarsi…tanto facile…

La donna sbadigliò, lasciando cadere la spola del filo sul pavimento, dove atterrò con un tonfo leggero. Si chinò a raccoglierlo e depose il ricamo su una mensola con l’ago e il filo.

E prima che potesse alzarsi per dare un bacio alla piccola Beth e ritirarsi nella sua stanza, si era già addormentata.

Dal piano di sotto si udì una porta scricchiolare piano piano, mentre il fuoco del camino si accendeva come per magia, rischiarando e tingendo di un bel rosso la sala deserta.

Un soffio d’aria fredda sibilò brevemente, mentre una figurina entrava nella stanza e si chiudeva la porta alle spalle.

Si avvicinò al fuoco, tendendo le mani per riscaldarsi: era una ragazza sui diciotto, forse diciannove anni, snella e rosea, con i capelli castani raccolti sotto il cappuccetto marrone del cappotto. Indossava un vestito bianco (o comunque molto chiaro) e un grembiule d’un caldo colore, un rosso simile a quello delle foglie autunnali o delle fiamme del camino.

Si alzò, gettando il cappotto sulla poltrona vicina; lì accanto, abbandonato sul vecchio e caldo tappeto, dormiva un gatto grigio, piuttosto avanti con gli anni.

La ragazza lo accarezzò con la punta delle dita, svegliandolo: quello sollevò la testa, guardandosi attorno un paio di volte con gli occhi ambrati, poi ritornò a dormire e a fare le fusa.

Beth – perché così si chiamava la ragazza- attraversò la stanza, camminando con una tale leggerezza che sembrava volare; iniziò a salire le scale senza rumore, sfiorando al passaggio un piccolo pianoforte verticale coperto da una leggera patina di polvere.

Al piano di sopra, si guardò un attimo attorno, stando immobile in una pozza di luce che una finestra disegnava sul pavimento; quindi, si diresse verso l’unica stanza illuminata, socchiudendo piano la porta.

La sorella, come ogni Halloween, dormiva, come la nipotina che non aveva mai conosciuto; tutti, in quella notte, dormivano e così, per una volta, i fantasmi e gli spiriti tornavano dai loro cari, vivendo mentre i viventi erano abbracciati da Morfeo, che è fratello della Morte.

Beth rimboccò le coperte alla piccola – che si acciambellò sotto le coperte come il gatto del piano di sotto – e raddrizzò la piccola gruccia appoggiata al letto.

Fu tentata di prendere il ricamo della sorella e continuarlo, oppure di riordinare la stanza, piegare i vestiti e riporre ordinatamente le medicine della bambina sul comodino , ma sapeva che a lei non erano concessi grandi mutamenti. Solo piccoli pensieri e attenzioni, che ancora una volta facevano di lei l’angelo della casa. Dopo aver raddrizzato Giovanna la bambola, che aveva trovato un’altra Beth con cui dormire, e dato un bacio alla sorella, uscì dalla stanza.

Come ogni anno, si diresse in fondo il corridoio, verso una piccola porticina, chiusa a chiave. Non vi si tratteneva mai molto, ma non riusciva mai a saltarla.

Sospirando, passò attraverso il legno dipinto di bianco, chiudendo gli occhi.

Questa stanza era immersa nella penombra, in una luce fievole ed azzurrina che filtrava dalle persiane socchiuse. Era stata una volta una bella e allegra camera, e ancora vi erano alcuni oggetti che ricordavano ancora chi vi aveva abitato: delle bambole sulle mensoline e alcuni libri dalla copertina semplice e lisa. Il più logoro di essi era appoggiato su un comodino traballante, ed era rivestito in tortora. La ragazza sollevò la copertina e trovò la lettera che anni prima le aveva scritto Jo (la sua sorella preferita, la prima che ogni anno visitava) poco prima della sua morte.

Non si soffermò a leggere, dato che ormai conosceva ogni singola parola di quella meravigliosa storia a memoria. Si sedette sul piccolo letto vicino al comodino, prendendo in mano un piccolo guanto: un dono che aveva iniziato a cucire per uno scolaretto infreddolito, prima che la malattia le facesse sembrare l’ago troppo pesante.

Soffiò via la polvere dal piccolo indumento, e riprese a cucire, continuando la sua opera incompiuta.

Un leggero colpetto le fece sollevare il viso, volgendo gli occhi castani verso la finestra. Appoggiò il guantino dov’era prima e aprì le persiane.

Un giovane la salutò dall’esterno, fluttuando tra i rami della rosa selvatica.

Era insolitamente magro e alla luce della luna pareva molto pallido; da sotto il cappello di panno verde spuntavano dei ciuffi biondi, che ricoprivano gli occhi grigi e allegri.

Tra le mani reggeva una piccola lanterna.

-Ciao- le sussurrò attraverso il vetro –Scendi?-

Beth annuì –Arrivo subito-

Fece un cenno al giovane e lo guardò atterrare sul prato ricoperto di brina con un sorriso, poi chiuse le persiane e uscì dalla stanza, ritornando in salotto. Dopo aver preso il suo cappotto, schioccò le dita e il fuoco nel camino si spense, eccetto un piccolo tizzone che continuò ad ardere, riscaldando il gatto lì addormentato.

Si richiuse la porta alle spalle, sorridendo al ragazzo: -Ciao Frank- disse, le nuvolette di vapore gelido che le uscivano dalle labbra –Sei già passato dai tuoi?- gli chiese, avvicinandosi.

Il giovane si strinse le spalle: -Oltre Grace e Kate, non ho nessun altro, lo sai. Fred è in Inghilterra. Tu invece hai ancora qualcuno?-

La ragazza annuì: -Sì, ma non abita lontano- disse, indicando con una mano la casa in fondo alla via.

-Il vecchio Laurence?-

-Sì. Vuoi accompagnarmi o mi aspetti qui?- gli chiese, stringendosi nel cappotto.

-No vengo con te- rispose il ragazzo, prendendola sotto braccio –D’altronde, è poco raccomandabile per una signorina girovagare per le strade a quest’ora della sera- fece, ironico.

Beth gli sorrise, calandosi il cappuccio sulle orecchie per proteggersi dal freddo.

Le strade erano illuminate da piccoli lumicini, simili a tante lucciole azzurrine. C’erano tanti fantasmi, quella notte, e ognuno portava con sé un lanternino.

Beth salutò con un cenno un gruppetto piuttosto pallido e sottile, composto da una donna e due bambini, che sostava vicino ad una vecchia casa: gli Hummel.

-Come stanno i tuoi parenti?- le chiese Frank, salutando anch’egli la povera donna.

-Bene, papà è guarito. Anche le mie sorelle sono felici. Jo è incinta del terzo bambino- rispose la ragazza, sorridendo felice sotto il cappuccio.

-Uhm, così il prossimo anno ti troverai un altro nipotino- sogghignò il ragazzo –A proposito di nipoti…come sta la piccola con la stampella? Non si era ammalata?- chiese, facendosi improvvisamente serio.

Beth tacque qualche secondo, ripensando alla nipotina che portava il suo stesso nome e che era come lei un essere fragile e debole.

-Sì- rispose lentamente –Ma sta guarendo…lentamente…- una lacrima le solcò il viso.

Frank la abbracciò goffamente, stringendola con il braccio che non portava la lampada –Beth…- disse solo –Non verrà…stai tranquilla-

-Oh,Frank- mormorò Beth –Io…voglio solo che non sia la prossima…è così piccola, ha solo undici anni…-

-Ehi- sussurrò il ragazzo, asciugandole le lacrime. La cullò un attimo, scaldandola con il suo cappotto di feltro –Non preoccuparti. Vivrà ancora, soprattutto con una zia come te come angelo custode-

Beth sorrise suo malgrado: -Gran bell’angelo…ma hai ragione, devo farmi forza. Per lei, almeno. Per tutti i March-

-Brava- approvò Frank, liberandola dall’abbraccio –Forza, quest’ultima visita e poi andiamo. Non mi sento più le dita dal freddo-

-Detta da un fantasma è strano,sai?- disse la ragazza, facendolo ridacchiare.

Oltrepassarono ancora ridendo le siepi di un grande giardino, trovandosi davanti all’enorme portone di una casa ancora più immensa.

Lo aprirono ed entrarono in un atrio illuminato da alcune candele, davanti a loro un’imponente scalinata di marmo. In lontananza, si sentiva il flebile suono di un pianoforte.

Beth si librò ad un palmo dal suolo, seguita dall’amico,e volò sulle scale ed oltre, arrivando silenziosa come un uccello in una piccola stanza circolare con un pianoforte a coda al centro.

Allo sgabello, stava seduta una bambina di circa otto anni, che indossava un abitino malva dall’aria antiquata; le sorrise, continuando a suonare una melodia familiare e dolce con le piccole dita d’avorio, mostrando i piccoli dentini candidi. Ne mancava solo uno, che non sarebbe mai cresciuto.

Beth ricambiò il sorriso, e entro nello studio attiguo, dove un vecchio, anziano signore era accasciato su una scrivania di legno scuro, addormentato.

La ragazza gli si avvicinò, aggiustando gli occhiali sul suo naso appuntito, dai quali stavano per cadere. Ai piedi indossava un paio di pantofole porpora con una viola del pensiero ricamata e sorrideva, ascoltando la musica della nipotina perduta.

Nella stanza vi era anche un giovane uomo, anche lui addormentato su una poltrona di sandalo rosa: su di lui erano chinati due fantasmi, una signora dall’aria dolce e un uomo che era la sua fotocopia, dalla carnagione olivastra ai riccioli scuri.

Beth li salutò entrambi, senza disturbarli oltre: aveva comunque visto Laurie, che continuava a prendersi cura del vecchio nonno.

La ragazza tornò nel salone, dove trovò Frank ad aspettarla, ascoltando la piccola pianista.

-Ho finito- gli sussurrò, per non disturbare la bambina –Possiamo andare se vuoi-

Gli occhi del ragazzo brillarono: -Manca ancora un poco all’alba. Godiamoci quest’ultima canzone- si inchinò ironicamente –Mi concede questo ballo, signora?-.

Beth arrossì un poco, poi prese la sua mano, sorridendogli –Con piacere, Frank. Con piacere-

E così si alzarono sulle note di quella musica tranquilla, volteggiando attorno quelle grandi finestre semi coperte dai pesanti tendoni di velluti, illuminati dalla luce della luna.

-Mi mancano- gli sussurrò –Ma aspetterò-

-Sì- rispose –Anch’io.Ma con te sarà un’attesa più piacevole, amica mia- disse sfiorandole con le labbra una guancia. Un gesto di tenera amicizia.

Beth gli sorrise come un piccolo sole: -Aspetteremo insieme- e svanirono nella pallida luce che sorgeva lentamente dalle tenebre e che portava con sé le anime in quel posto dove ci si augura di andare.

E dove Beth, finalmente, poteva dire di stare bene.

Salve, o lettore! Spero che questa piccola one shot ti sia piaciuta. L’ho scritta ispirandomi, ovviamente, al racconto “Piccole Donne Crescono” di L.M.Alcott. Nel romanzo, si accenna solo che Frank Vaughn sia gravemente malato, ma non si parla della sua morte. Quindi, mi sono presa qualche libertà verso i personaggi di questa storia.

Attendo recensioni di ogni tipo, sia critiche (credo molte) che lodi (credo meno), ma tutto va bene.

A presto!!! CIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! Scribak alias Arianna F.

P.S.Come avrete intuito,Beth è la mia sorella preferita.

 

  
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