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Autore: Celtica    31/10/2018    6 recensioni
Sansan | What if...?
Stannis non è ancora giunto ad Approdo del Re, Renly è morto e Joffrey decide di dare una festa. Sansa si ritrova sola, incapace di riconoscere qualcuno. Ma chiunque sembra in grado di riconoscere lei... chiunque, come il Mastino, che la coglie in flagrante mentre sta baciando un altro.
Dal testo:
Avrebbe dovuto fermarsi, voltarsi indietro e fuggire via. Fondersi con il muro alle sue spalle. O almeno bloccare la mano, impedire che raggiungesse la mascella, che sfiorasse le labbra… Frenare le parole. Se non altro, quell’unica domanda che le sfuggì in un soffio, come un vento gelido dal nord, pronto a spazzare via l’estate calda del sud.
*
Questa storia partecipa a “Una festa in zucca” - Challenge di Halloween” indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Prompt: X riceve il suo primo bacio a una festa in maschera… ma non sa da chi.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joffrey Baratheon, Petyr Baelish, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Vento del nord

Questa storia partecipa a “Una festa in zucca” - Challenge di Halloween” indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Prompt: X riceve il suo primo bacio a una festa in maschera… ma non sa da chi.

 

 

 

Vento del nord

 

 

La solitudine è ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno.
(Jim Morrison)

 

 

 

 

S

ansa abbassò la manica a coprire l’ultimo livido lasciato da Joffrey.
“Non sul viso. Voglio che resti bella.”
Quella sera anche un segno sul volto non avrebbe avuto importanza. Una maschera avrebbe coperto parte della sua pelle, del suo naso… tranne gli occhi, tranne le labbra.
Si sentì vulnerabile: chiunque avrebbe potuto riconoscere il rosso dei suoi capelli. Ma lei chi avrebbe riconosciuto? Per ordine di Cersei, tutti, anche la Guardia Reale e le Cappe Dorate - che il Re aveva mobilitato per controllare la festa - dovevano indossare una maschera.
Trasse un respiro profondo e si guardò allo specchio mentre indossava la sua. Era oro e azzurro, come il suo abito. Joffrey le aveva donato un vestito perfetto: intessuto di tante piccole piume, con maniche lunghe per coprire i lividi, e una lunga fila di perline sui bordi della scollatura.

«Lady Sansa» chiamò qualcuno oltre l’uscio. «Siete pronta?»

Lei riconobbe la voce di ser Meryn. Si fece coraggio e aprì la porta. «Sì, ser Meryn. Possiamo andare.»

Non le piaceva l’idea di essere scortata da lui. Non si era mai fatto scrupolo di disobbedire a Joffrey… di farle meno male. La spada calava di piatto dietro le sue gambe, la mano colpiva coperta da un guanto d’acciaio.
Sansa odiava ser Meryn. Odiava Joffrey. Avrebbe preferito non andare alla festa.
Non voleva vedere nessuno. Né la Regina - che le tendeva una mano da una parte e dall’altra lasciava che Joffrey le facesse tutto ciò che voleva - né Pycelle - che parlava sempre del sangue del traditore. E tantomeno ogni membro delle cappe bianche. Nemmeno il Mastino, anche se era l’unica guardia a cui il Re non avesse ancora ordinato di picchiarla.

“La cortesia è l’arma di una lady.”

Deglutì e gli rivolse un sorriso. «La tua cappa splende, ser. Ti ho riconosciuto a fatica.»
«Grazie, mia lady. Il tuo abito è incantevole.»
«Sei molto gentile, ser.»
Si lasciò scortare fino alla sala del Trono, dove Cersei aveva organizzato la festa. Sansa non era riuscita a capirne il motivo… Stannis stava per attaccare Approdo del Re, Robb aveva catturato Jaime Lannister e i residui della corta di Re Renly si erano uniti al fratello o si erano dispersi.

Cosa c’era da festeggiare?

Joffrey aveva gioito della morte di suo zio, ma continuava a punire Sansa per ogni vittoria ottenuta dal nord. Perché non poteva restare nella sua stanza a pregare?
I menestrelli stavano suonando. La Regina rideva, splendida e dorata, seduta accanto al figlio. Tre membri delle cappe bianche erano ai piedi del Trono di Spade, mentre gli altri erano sparsi tra la gente.

Sansa sentì il cuore battere forte. Forse Joffrey l’avrebbe lasciata in pace. Lo guardò: si stava annoiando.
No, non l’avrebbe lasciata in pace.

Si mescolò alla folla, sperando che lui non si accorgesse della sua presenza. Ma come avrebbe potuto non rendersi conto che lei era lì? I suoi capelli erano sciolti sulle spalle. Chiunque l’avrebbe riconosciuta.
Mentre lei non era in grado di riconoscere nessuno.
Alcuni portavano maschere integrali a nascondere il volto. Una testa di cane, una di volpe, una di mostro. Chi c’era sotto?
Troppe voci per identificarne una sola. Troppi capelli scuri, troppi uomini alti. Troppe guardie.

Sansa sentì la testa girare.
Vide Joffrey alzarsi in piedi, scendere i gradini circondato dalle cappe bianche. Ora il volto era coperto da una maschera di leone, come quella di sua madre…
Sansa avrebbe voluto avere il coraggio di sfidarlo. Indossare una maschera di lupo… inneggiare agli Stark. Avrebbe trasformato la festa in una punizione? Tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di lei?

Lo vide passare tra la folla, poi non lo vide più.
Smise di respirare.

Fece alcuni passi indietro e qualcuno la prese per le spalle. Voltandosi, Sansa chinò umilmente il capo. «Perdonami, mio lord.»
Intuì il sorriso dietro la maschera, gli occhi furbi puntati su di lei. Conosceva quello sguardo. Sentì l’imbarazzo crescere quando lui la prese per mano e la accompagnò dove la gente ballava.
Forse Joffrey non l’avrebbe riconosciuta lì in mezzo. Forse l’avrebbe ignorata. Sansa sperò che invitasse una qualunque dama a danzare.
«Sei molto bella, lady Sansa.»

Sansa riconobbe la voce. «Lord Baelish?»

Lui sorrise. Sembrò prenderla in giro. «Come l’hai capito?»
Avrebbe voluto rispondere che nessun altro osava alzare gli occhi su di lei come faceva lui. Non in presenza di Joffrey… Avrebbe potuto dire che la sua voce aveva un che di canzonatorio, di vibrante, e che lei ricordava molto bene quando l’aveva difesa dalle accuse di Pycelle.

“Il sangue di un traditore.”
Si costrinse a sorridere, ma non ebbe il tempo di rispondere.

«Sansa.» Era Joffrey, insieme al suo Mastino.
Lei si bloccò di colpo, incapace di muoversi. No, non l’avrebbe lasciata in pace…

«Vieni con me, Sansa. Voglio mostrarti una cosa.»
«Come ti compiace, maestà.»

Joffrey le diede le spalle e la guidò alla scalinata. Sansa sentì gli occhi di Ditocorto sulla schiena. Si voltò, e anche Cersei la stava guardando. Sandor vide ciò che aveva visto lei e un ringhio comparve sul suo viso. Lei si affrettò ad abbassare lo sguardo.
Le luci nell’intera sala si abbassarono di colpo. Calò il silenzio.
«Scambiatevi le maschere!» gridò Joffrey dall’alto. Si voltò verso ser Meryn. «Fai in modo che tutti si scambino le maschere.»
«Come comandi, maestà.»
Sansa strinse le mani in grembo. «Anche tu scambierai la maschera con qualcuno?»

Lui non le rispose. «Spegnete le luci!» ordinò.

Lei ebbe come un presentimento. Buio, silenzio, incapacità di riconoscere gli altri ospiti. Le grandi porte si aprirono e i servitori si mescolarono alla folla. Reggevano pesanti vassoi, piccoli fuochi e forme di cuori e di animali.
Sansa fece un passo indietro: c’erano anche i lupi. Piccoli lupi di cera che le ricordavano Lady, che le ricordavano casa.

«Prendete tutti una candela» riprese Joffrey, alzando il mento. «Stasera bruciamo i miei nemici. Mio zio, che sta arrivando e che farà la stessa fine di quei cuori. E il traditore Stark.» Si voltò verso Sansa e le porse una candela a forma di lupo. «Accendila.»

Sansa si accorse di tremare. Il Mastino la stava guardando. Ricordò il suo consiglio: “fai tutto ciò che vuole.” E quando prese la fiamma aveva la mano ferma.

Joffrey la osservò tutto il tempo, cercando il minimo segno di turbamento. Sembrò deluso quando non ne trovò. Strinse le labbra e la rimandò alla festa.
Adesso era di nuovo punto e a capo: non riconobbe nessuno. E con le luci così basse era ancora più difficile… Vedeva a malapena i mantelli candidi delle cappe bianche, gli abiti scuri degli alti lord. L’oro di Re e Regina… Mentre lei era sempre riconoscibile. Stessa maschera, stessi capelli rossi alla luce tenue delle candele.

Qualcuno le prese la mano e la accompagnò ai lati della sala, dove nessuno avrebbe potuto vederli. Era così buio…
«Non temere, mia signora» sussurrò, ma con il brusio di voci non riuscì a riconoscere chi fosse. «Qui non ti vedrà.»
Sansa avrebbe tanto voluto credergli… ma Joffrey aveva occhi dappertutto.

«Dovrei tornare alla festa, mio lord.» Joffrey mi punirà se non torno.

«Sei sicura, mia signora?»
No, avrebbe voluto rispondere Sansa. Ma come poteva? Non sapeva chi si celasse dietro la maschera… e non aveva nemmeno un amico ad Approdo del Re.
«Perdonami, mio lord…»
«Non hai nulla da temere» la interruppe lui, avvicinandosi.

Sansa intuì il suo fiato caldo dietro la maschera. Non si mosse. Che fossero come Florian e Jonquil? Lui l’avrebbe protetta da Joffrey, l’avrebbe amata e portata in salvo? Nemmeno si accorse del bacio. Sentì solo una bocca di porcellana posarsi sulla sua.
Quando si voltò, vide un mantello bianco ai margini della festa, un viso sfigurato e due occhi su di loro…

Li aveva visti. Lo avrebbe detto a Joffrey. Il cuore prese a battere all’impazzata.

Si allontanò dall’uomo, infilandosi in un’apertura da cui erano usciti i servitori. Doveva lasciare la sala del Trono, subito. Doveva andare via, chiudersi nella sua stanza e sperare che Sandor fosse troppo ubriaco per ricordarsi di lei il giorno seguente.
Si tenne aderente al muro di pietra, incapace di reggersi in piedi.

Cosa le avrebbe fatto Joffrey, se avesse saputo? Come l’avrebbe punita? Non ci sarebbe stata nessuna scusa a salvarla…

Avrebbe potuto mentire, dire di essere stata baciata contro la sua volontà. Non era poi una bugia… Era rimasta talmente sconvolta da non riuscire a muoversi. Sì, Joffrey avrebbe dovuto crederle, per forza.
Avrebbe dovuto… o di lei non sarebbe rimasto più nulla. Ci avrebbe pensato il Re a farla scomparire.
Qualcuno la afferrò per un braccio e la costrinse a voltarsi.
Sansa trattenne un grido. Era il Mastino.

«Dove stai andando?»

«Nelle mie stanze, ser…»
Sandor le strinse il polso fino a farle male. «Non sono uno dei tuoi fottuti ser.»
«Perdonami… sono molto stanca. Il Re mi scuserà…»

«Continui a cinguettare come ti ha insegnato la tua septa, uccelletto. Ma non sei brava a mentire.»
«Per favore…»
Il Mastino la spinse indietro, e Sansa sentì il dolore ripercuotersi lungo il braccio. «Ti ho vista» ringhiò lui.
«Lasciami andare, ti prego…»
«Lo sai cosa succede a quelle come te?» Sandor abbassò la voce, scoprì i denti. «Sai che fine fanno gli uccelletti ammaestrati?»

Sansa si tirò indietro, fino a sentire la testa aderire al muro. «Non stavo facendo nulla di male. Ti prego, mio signore…»
«Nulla di male, eh…» Il Mastino le lasciò il polso, ma lei rimase immobile, incastrata tra lui e il muro. «Ti sei appartata in un angolo con…»
«Non so chi fosse» si affrettò a rispondere Sansa. Sollevò gli occhi sulla parte ustionata del volto e non riuscì più ad abbassarli.
«Non lo sai. E pensi che io ti creda.»
«Sì, ti prego. Per favore, mio signore, è la verità. Sono stata trascinata in un angolo contro la mia volontà. Io non avrei mai…»

«Continui a cinguettare, uccelletto. Ma un cane fiuta sempre le bugie. Te l’ho già detto.»
Sansa chiuse gli occhi. «Non è una bugia» mormorò. «Non lo è…»

«Sei sgattaiolata via da Joffrey non appena hai avuto occasione…» Sandor abbassò la voce. «E adesso non riesci nemmeno a guardarmi. Ti faccio così paura, ragazzina?»
No, avrebbe voluto rispondere Sansa. Invece rimase in silenzio, sforzandosi di alzare ancora gli occhi su di lui.

«Sai cosa fanno i cani agli uccelletti come te?»
«Ciò che il loro padrone gli ordina di fare.»

I suoni della festa si fecero più forti. Ora Sansa riusciva a sentirli, a concentrarsi su tutto ciò che la circondava. Sandor sapeva di vino, di sangue e violenza. Aveva bevuto, ma non abbastanza da dimenticare ciò che aveva visto. Lo avrebbe detto a Joffrey?
Sarebbe stato il cane ubbidiente e l’avrebbe rimessa in gabbia? O l’avrebbe consegnata al suo padrone, a pezzi? Tante soffici piume… come quelle del suo abito.

«È così» ribatté il Mastino. «Un cane resta fedele al suo padrone.»

«Anche se il suo padrone gli ordinasse di farsi del male?» Sansa si sentiva come inebriata. Di paura, di pericolo. Qualunque cosa avesse fatto o detto in quel momento non avrebbe avuto importanza se Sandor avesse deciso di tradirla.

Si fece coraggio, studiò il volto deturpato e continuò a parlare. «Anche se al cane venisse ordinato di gettarsi nel fuoco?»
Sandor fece mezzo passo indietro, sgranò gli occhi. Era paura quella comparsa nel suo sguardo? Poi il vino, la rabbia e lo spavento presero il sopravvento su di lui, e batté una mano guantata d’acciaio contro il muro. A un soffio dal viso di Sansa.

«Ti avevo detto di non farne parola con nessuno…» ringhiò, chinandosi su di lei.
Sansa ebbe di nuovo paura. «E l’ho fatto! Non l’ho detto a nessuno. Io…»
«Ti avevo detto cosa ti avrei fatto se ne avessi parlato» la interruppe il Mastino.
«Infatti è così. Non ho detto niente! Lo giuro sui sette dèi.»

«Sui sette dèi? E dovrei crederti per questo?» Sandor rise, come ferro che raschia altro ferro. Aveva gli occhi annebbiati dall’alcol.
Ma non abbastanza…, pensò Sansa.

«Se Joffrey mi ordinasse di gettarmi nel fuoco…» continuò lui, abbassando la voce, «me ne andrei.»
Sansa sentì come un guizzo di speranza nascere dentro di sé. «Lasceresti il tuo re?»

«In culo il Re.» Il Mastino sembrava di nuovo arrabbiato. «Nel fuoco dovrebbe mandarci qualcun altro.»

Lei sentì il cuore rallentare, battiti lenti e forti, come se tutto il castello potesse sentirli. Deglutì prima di parlare sottovoce. «E te ne andresti via?»
«Ben lontano da qui. Presto Stannis raggiungerà Approdo del Re, e si dice che la sua donna rossa ami il fuoco…» Fece una pausa. «Sì. Potrei farlo. Potrei andarmene, se Joffrey mi chiedesse di affrontare il fuoco invece di dieci soldati.»

Sansa si accorse di respirare piano, come in attesa di qualcosa. «E lontano… sarebbe anche a nord? Pensi che andresti a nord?»

Gli occhi del Mastino tornarono vigili, come se la sbronza gli fosse passata di colpo. Come se si fosse reso conto solo in quel momento di quanto fosse assurdo – pericoloso – quel discorso.
Si chinò su Sansa, tanto da farle sentire bene odore di vino, cuoio e sangue. Il freddo del ferro… e il fuoco nei suoi occhi.
Sansa capì che Sandor se la sarebbe presa con lei per quelle chiacchiere sul tradimento. Capì che avrebbe potuto farle male – colpirla o dirlo a Joffrey – che lei, Sansa, era completamente in suo potere.
Il Mastino lasciò scorrere la mano lungo il muro – acciaio che strideva sulla pietra – fino al suo viso. Scivolò sulla sua spalla con gentilezza.

«Potrei portarti a casa» disse lui. «Dalla tua famiglia.»

Sansa incontrò i suoi occhi e si chiese se fosse un inganno ordito dalla Regina. Era uno dei giochetti di Joffrey? Lui non l’avrebbe mai lasciata andare… Mai.
Ricordò qual era il suo ruolo. Ciò che la corte amava sentire. «Io sono fedele al mio amato Joffrey. Mia madre e mio fratello sono traditori.»

“Un cane fiuta le bugie… divora gli uccelletti.”

Ebbe paura. Socchiuse gli occhi e pensò che stavolta il Mastino si sarebbe arrabbiato. Che avrebbe detto tutto a Joffrey.
Sentì l’acciaio gelido risalire il collo scoperto, afferrarle il mento rudemente. «Sei proprio come quegli uccelletti delle isole dell’estate, non è vero? Ripeti parola per parola ciò che ti è stato insegnato.»

E tu sei davvero il cane di Joffrey?, avrebbe voluto chiedere Sansa. Gli diresti ogni cosa, come quando gli hai raccontato del mio primo menarca, di come abbia cercato di nasconderlo?

«Chiunque qui sa mentire meglio di te.»

«Anche tu?» lo sfidò Sansa.

«Non ho bisogno di mentire.»

Sansa lo sapeva. Sapeva di dover rimanere in silenzio, sgusciare via e chiudersi nella sua stanza. Sapeva di non dover rispondere, che non c’era nulla da ribattere al Mastino. Sapeva che se lo avesse lasciato lì, ubriaco e solo, lui non l’avrebbe tradita. Non avrebbe detto nulla a Joffrey, avrebbe finto di non averla vista.
E magari Joffrey l’avrebbe mandato a cercarla, a chiederle perché avesse lasciato la festa così presto, senza nemmeno chiedergli il permesso… ma Sandor non avrebbe detto una parola comunque.
Allungò una mano verso il lato deturpato del volto, lo sentì irrigidirsi sotto le sue dita.

«Eppure hai mentito» sussurrò Sansa. «Due volte.»

Lo ricordava, ora? Ricordava il compleanno di Joffrey e la notte in cui l’aveva colta a vagare nella fortezza? Ricordava di averle retto il gioco, di aver dato garanzia alle sue parole?
Ser Meryn ci aveva creduto. Il Re pure.

I polpastrelli accarezzarono la pelle viva, i capelli scuri girati a coprire il cuoio capelluto mancante. Si soffermarono sulla guancia scavata, rossa e calda.
Avrebbe dovuto fermarsi, voltarsi indietro e fuggire via. Fondersi con il muro alle sue spalle. O almeno bloccare la mano, impedire che raggiungesse la mascella, che sfiorasse le labbra… Frenare le parole. Se non altro, quell’unica domanda che le sfuggì in un soffio, come un vento gelido dal nord, pronto a spazzare via l’estate calda del sud.

«Perché?» chiese.

La voce del Mastino sembrò stonata in quel contesto. «Ti avrebbe annegata nel vino. E quella guardia del cazzo sarebbe corsa da Joffrey a raccontargli dei tuoi giri notturni.»

Sansa pensò alla maschera che aveva baciato, alla porcellana senza vita, fredda contro le sue labbra. Pensò a Florian e Jonquil, a quanto suonasse strana adesso quella storia. Pensò al Mastino, che aveva coperto il suo corpo con la sua cappa, che aveva asciugato il sangue dalla sua bocca.
Sandor non indossava una maschera. Il suo volto lo era già. Ma la sua pelle scottava sotto le dita, e non aveva labbra di porcellana, ma un’armatura con cui proteggerla da tutto. Persino da Joffrey.

Forse davvero l’avrebbe portata via, se solo avesse avuto il coraggio di chiederglielo. Forse, se fosse stata pronta a rischiare di perdere ogni cosa – persino la vita – Sandor l’avrebbe riportata tra le braccia di sua madre, al sicuro.

Si sollevò sulle punte dei piedi e con delicatezza appoggiò le sue labbra su quelle del Mastino.
Lui non si ritrasse.
Per dir la verità, nemmeno si mosse. Rimase fermo, gli occhi socchiusi, in balia delle mani di una ragazzina, dell’arma con cui cercava di difendersi dal mondo. La cortesia, le parole, le menzogne.

Poi, quando Sansa fu sul punto di staccarsi da lui, Sandor la afferrò per la vita e la trasse a sé. «Ti porterò con me» disse in un ringhio, il respiro caldo che si fondeva con il suo. «Quando me ne andrò.»

Sansa avrebbe tanto voluto credergli. Tornare a casa, riabbracciare la lady sua madre… prendere il Mastino al suo servizio.
«Quando?»

Aveva fretta di andarsene. Non solo per Joffrey e la Regina, per la corte che le parlava alle spalle o il divieto di stringere amicizia con lei… no. Voleva andare via, subito, in quel preciso istante, perché sapeva che se avesse atteso ancora non sarebbe più partita.
Nemmeno con una scorta.
Nemmeno con le garanzie del Mastino.

Sandor dovette avvertire qualcosa – fretta, incertezza, imprudenza – perché si scostò da lei. Era ubriaco. Forse, pensò Sansa, era convinto che fosse solo un sogno. Non sembrava credere di averla baciata davvero, di averle promesso una fuga.

Ma poi la mano d’acciaio si alzò su di lei, con gentilezza le sfiorò il viso.

«Forse domani, uccellino» sussurrò. «Forse mai.»

Piano, la prese per un braccio e la riaccompagnò alla festa. «Balla, ragazzina. Bevi, bevi tanto. E dimentica questa sera.»
La lasciò in mezzo alla gente, completamente sola, più sola che se si fosse trovata in cima alla Barriera, in una fortezza abbandonata. Sentì il gelo dell’inverno avvolgerla, e ne riconobbe il motivo: era sicura che con il Mastino non sarebbe mai scappata.



n

Note dell’autrice:

Torno dopo circa un anno in questo fandom. Adoro questa coppia, adoro tenerla in sospeso. Adoro le titubanze di lei e le incertezze di lui. Forse Halloween non è il momento migliore per questa storia, ma sentivo il bisogno di scriverla. Quel prompt è nato proprio grazie a loro.



   
 
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