Questa storia partecipa a
“Una festa in zucca” - Challenge di
Halloween” indetta dal gruppo facebook Il Giardino
di Efp.
Prompt: X riceve il suo
primo bacio a una festa in maschera… ma non sa da chi.
Vento del nord
La
solitudine è ascoltare il vento e non poterlo raccontare a
nessuno.
(Jim Morrison)
S |
ansa
abbassò la manica a coprire l’ultimo livido
lasciato da Joffrey.
“Non
sul viso. Voglio che resti
bella.”
Quella
sera anche un segno sul volto non avrebbe avuto importanza. Una
maschera
avrebbe coperto parte della sua pelle, del suo naso… tranne
gli occhi, tranne
le labbra.
Si sentì vulnerabile: chiunque avrebbe potuto
riconoscere il rosso dei suoi capelli. Ma lei chi avrebbe riconosciuto?
Per
ordine di Cersei, tutti, anche la Guardia Reale e le Cappe Dorate - che
il Re
aveva mobilitato per controllare la festa - dovevano indossare una
maschera.
Trasse un respiro profondo e si guardò allo
specchio mentre indossava la sua. Era oro e azzurro, come il suo abito.
Joffrey
le aveva donato un vestito perfetto: intessuto di tante piccole piume,
con
maniche lunghe per coprire i lividi, e una lunga fila di perline sui
bordi
della scollatura.
«Lady
Sansa» chiamò qualcuno oltre l’uscio.
«Siete pronta?»
Lei riconobbe la
voce di ser Meryn. Si fece
coraggio e aprì la porta. «Sì, ser
Meryn. Possiamo andare.»
Non le piaceva
l’idea di essere scortata da lui. Non
si era mai fatto scrupolo di disobbedire a Joffrey… di farle
meno male. La
spada calava di piatto dietro le sue gambe, la mano colpiva coperta da
un
guanto d’acciaio.
Sansa odiava ser Meryn. Odiava Joffrey. Avrebbe
preferito non andare alla festa.
Non voleva vedere nessuno. Né la Regina - che le
tendeva una mano da una parte e dall’altra lasciava che
Joffrey le facesse
tutto ciò che voleva - né Pycelle - che parlava
sempre del sangue del traditore.
E tantomeno ogni membro delle cappe bianche. Nemmeno il Mastino, anche
se era
l’unica guardia a cui il Re non avesse ancora ordinato di
picchiarla.
“La
cortesia è l’arma di una lady.”
Deglutì
e gli rivolse un sorriso. «La tua cappa
splende, ser. Ti ho riconosciuto a fatica.»
«Grazie, mia lady. Il tuo abito è
incantevole.»
«Sei molto gentile, ser.»
Si lasciò scortare fino alla sala del Trono, dove
Cersei aveva organizzato la festa. Sansa non era riuscita a capirne il
motivo…
Stannis stava per attaccare Approdo del Re, Robb aveva catturato Jaime
Lannister e i residui della corta di Re Renly si erano uniti al
fratello o si
erano dispersi.
Cosa
c’era da festeggiare?
Joffrey aveva
gioito della morte di suo zio, ma
continuava a punire Sansa per ogni vittoria ottenuta dal nord.
Perché non
poteva restare nella sua stanza a pregare?
I menestrelli stavano suonando. La Regina rideva,
splendida e dorata, seduta accanto al figlio. Tre membri delle cappe
bianche
erano ai piedi del Trono di Spade, mentre gli altri erano sparsi tra la
gente.
Sansa
sentì il cuore battere forte. Forse Joffrey
l’avrebbe lasciata in pace. Lo guardò: si stava
annoiando.
No, non l’avrebbe lasciata in pace.
Si
mescolò alla folla, sperando che lui non si
accorgesse della sua presenza. Ma come avrebbe potuto non rendersi
conto che
lei era lì? I suoi capelli erano sciolti sulle spalle. Chiunque l’avrebbe riconosciuta.
Mentre lei non era in grado di riconoscere
nessuno.
Alcuni portavano maschere integrali a nascondere
il volto. Una testa di cane, una di volpe, una di mostro. Chi
c’era sotto?
Troppe voci per identificarne una sola. Troppi
capelli scuri, troppi uomini alti. Troppe guardie.
Sansa
sentì la testa girare.
Vide Joffrey alzarsi in piedi, scendere i gradini
circondato dalle cappe bianche. Ora il volto era coperto da una
maschera di
leone, come quella di sua madre…
Sansa avrebbe voluto avere il coraggio di
sfidarlo. Indossare una maschera di lupo… inneggiare agli
Stark. Avrebbe
trasformato la festa in una punizione? Tutti gli occhi sarebbero stati
puntati
su di lei?
Lo vide passare
tra la folla, poi non lo vide
più.
Smise di respirare.
Fece alcuni
passi indietro e qualcuno la prese
per le spalle. Voltandosi, Sansa chinò umilmente il capo.
«Perdonami, mio lord.»
Intuì il sorriso dietro la maschera, gli occhi
furbi puntati su di lei. Conosceva quello sguardo. Sentì
l’imbarazzo crescere
quando lui la prese per mano e la accompagnò dove la gente
ballava.
Forse Joffrey non l’avrebbe riconosciuta lì in
mezzo. Forse l’avrebbe ignorata. Sansa sperò che
invitasse una qualunque dama a
danzare.
«Sei molto bella, lady Sansa.»
Sansa riconobbe
la voce. «Lord Baelish?»
Lui sorrise.
Sembrò prenderla in giro. «Come
l’hai capito?»
Avrebbe voluto rispondere che nessun altro osava
alzare gli occhi su di lei come faceva lui. Non in presenza di
Joffrey… Avrebbe
potuto dire che la sua voce aveva un che di canzonatorio, di vibrante,
e che
lei ricordava molto bene quando l’aveva difesa dalle accuse
di Pycelle.
“Il
sangue di un traditore.”
Si costrinse a sorridere, ma non ebbe il tempo di
rispondere.
«Sansa.»
Era Joffrey, insieme al suo Mastino.
Lei si bloccò di colpo, incapace di muoversi. No,
non l’avrebbe lasciata in pace…
«Vieni
con me, Sansa. Voglio mostrarti una cosa.»
«Come ti compiace, maestà.»
Joffrey le diede
le spalle e la guidò alla
scalinata. Sansa sentì gli occhi di Ditocorto sulla schiena.
Si voltò, e anche
Cersei la stava guardando. Sandor vide ciò che aveva visto
lei e un ringhio
comparve sul suo viso. Lei si affrettò ad abbassare lo
sguardo.
Le luci nell’intera sala si abbassarono di colpo.
Calò il silenzio.
«Scambiatevi le maschere!» gridò Joffrey
dall’alto. Si voltò verso ser Meryn.
«Fai in modo che tutti si scambino le
maschere.»
«Come comandi, maestà.»
Sansa strinse le mani in grembo. «Anche tu
scambierai la maschera con qualcuno?»
Lui non le
rispose. «Spegnete le luci!» ordinò.
Lei ebbe come un
presentimento. Buio, silenzio,
incapacità di riconoscere gli altri ospiti. Le grandi porte
si aprirono e i
servitori si mescolarono alla folla. Reggevano pesanti vassoi, piccoli
fuochi e
forme di cuori e di animali.
Sansa fece un passo indietro: c’erano anche i
lupi. Piccoli lupi di cera che le ricordavano Lady, che le ricordavano
casa.
«Prendete
tutti una candela» riprese Joffrey,
alzando il mento. «Stasera bruciamo i miei nemici. Mio zio,
che sta arrivando e
che farà la stessa fine di quei cuori. E il traditore
Stark.» Si voltò verso
Sansa e le porse una candela a forma di lupo.
«Accendila.»
Sansa si accorse
di tremare. Il Mastino la stava
guardando. Ricordò il suo consiglio: “fai tutto
ciò che vuole.” E quando prese
la fiamma aveva la mano ferma.
Joffrey la
osservò tutto il tempo, cercando il
minimo segno di turbamento. Sembrò deluso quando non ne
trovò. Strinse le
labbra e la rimandò alla festa.
Adesso era di nuovo punto e a capo: non riconobbe
nessuno. E con le luci così basse era ancora più
difficile… Vedeva a malapena i
mantelli candidi delle cappe bianche, gli abiti scuri degli alti lord.
L’oro di
Re e Regina… Mentre lei era sempre riconoscibile. Stessa
maschera, stessi
capelli rossi alla luce tenue delle candele.
Qualcuno le
prese la mano e la accompagnò ai lati
della sala, dove nessuno avrebbe potuto vederli. Era così
buio…
«Non temere, mia signora» sussurrò, ma
con il
brusio di voci non riuscì a riconoscere chi fosse.
«Qui non ti vedrà.»
Sansa avrebbe tanto voluto credergli… ma Joffrey
aveva occhi dappertutto.
«Dovrei
tornare alla festa, mio lord.» Joffrey
mi punirà se non torno.
«Sei
sicura, mia signora?»
No,
avrebbe voluto rispondere Sansa. Ma come poteva? Non sapeva chi si
celasse
dietro la maschera… e non aveva nemmeno un amico ad Approdo
del Re.
«Perdonami, mio lord…»
«Non hai nulla da temere» la interruppe lui,
avvicinandosi.
Sansa
intuì il suo fiato caldo dietro la maschera.
Non si mosse. Che fossero come Florian e Jonquil? Lui
l’avrebbe protetta da
Joffrey, l’avrebbe amata e portata in salvo? Nemmeno si
accorse del bacio.
Sentì solo una bocca di porcellana posarsi sulla sua.
Quando si voltò, vide un mantello bianco ai
margini della festa, un viso sfigurato e due occhi su di
loro…
Li aveva visti.
Lo avrebbe detto a Joffrey. Il
cuore prese a battere all’impazzata.
Si
allontanò dall’uomo, infilandosi in
un’apertura da cui erano usciti i servitori. Doveva lasciare
la sala del Trono,
subito. Doveva andare via, chiudersi nella sua stanza e sperare che
Sandor
fosse troppo ubriaco per ricordarsi di lei il giorno seguente.
Si tenne aderente al muro di pietra, incapace di
reggersi in piedi.
Cosa le avrebbe
fatto Joffrey, se avesse saputo?
Come l’avrebbe punita? Non ci sarebbe stata nessuna scusa a
salvarla…
Avrebbe potuto
mentire, dire di essere stata
baciata contro la sua volontà. Non era poi una
bugia… Era rimasta talmente
sconvolta da non riuscire a muoversi. Sì, Joffrey avrebbe
dovuto crederle, per
forza.
Avrebbe dovuto… o di lei non sarebbe rimasto più
nulla. Ci avrebbe pensato il Re a farla scomparire.
Qualcuno la afferrò per un braccio e la costrinse
a voltarsi.
Sansa trattenne un grido. Era il Mastino.
«Dove
stai andando?»
«Nelle
mie stanze, ser…»
Sandor le strinse il polso fino a farle male.
«Non sono uno dei tuoi fottuti ser.»
«Perdonami… sono molto stanca. Il Re mi
scuserà…»
«Continui
a cinguettare come ti ha insegnato la
tua septa, uccelletto. Ma non sei brava a mentire.»
«Per favore…»
Il Mastino la spinse indietro, e Sansa sentì il
dolore ripercuotersi lungo il braccio. «Ti ho
vista» ringhiò lui.
«Lasciami andare, ti prego…»
«Lo sai cosa succede a quelle come te?» Sandor
abbassò la voce, scoprì i denti. «Sai
che fine fanno gli uccelletti ammaestrati?»
Sansa si
tirò indietro, fino a sentire la testa
aderire al muro. «Non stavo facendo nulla di male. Ti prego,
mio signore…»
«Nulla di male, eh…» Il Mastino le
lasciò il
polso, ma lei rimase immobile, incastrata tra lui e il muro.
«Ti sei appartata
in un angolo con…»
«Non so chi fosse» si affrettò a
rispondere
Sansa. Sollevò gli occhi sulla parte ustionata del volto e
non riuscì più ad
abbassarli.
«Non lo sai. E pensi che io ti creda.»
«Sì, ti prego. Per favore, mio signore,
è la
verità. Sono stata trascinata in un angolo contro la mia
volontà. Io non avrei
mai…»
«Continui
a cinguettare, uccelletto. Ma un cane
fiuta sempre le bugie. Te l’ho già
detto.»
Sansa chiuse gli occhi. «Non è una
bugia»
mormorò. «Non lo
è…»
«Sei
sgattaiolata via da Joffrey non appena hai
avuto occasione…» Sandor abbassò la
voce. «E adesso non riesci nemmeno a
guardarmi. Ti faccio così paura, ragazzina?»
No,
avrebbe voluto rispondere Sansa. Invece rimase in silenzio, sforzandosi
di
alzare ancora gli occhi su di lui.
«Sai
cosa fanno i cani agli uccelletti come te?»
«Ciò che il loro padrone gli ordina di
fare.»
I suoni della
festa si fecero più forti. Ora
Sansa riusciva a sentirli, a concentrarsi su tutto ciò che
la circondava. Sandor
sapeva di vino, di sangue e violenza. Aveva bevuto, ma non abbastanza
da
dimenticare ciò che aveva visto. Lo avrebbe detto a Joffrey?
Sarebbe stato il cane ubbidiente e l’avrebbe
rimessa in gabbia? O l’avrebbe consegnata al suo padrone, a
pezzi? Tante
soffici piume… come quelle del suo abito.
«È
così» ribatté il Mastino. «Un
cane resta
fedele al suo padrone.»
«Anche
se il suo padrone gli ordinasse di farsi
del male?» Sansa si sentiva come inebriata. Di paura, di
pericolo. Qualunque
cosa avesse fatto o detto in quel momento non avrebbe avuto importanza
se
Sandor avesse deciso di tradirla.
Si fece
coraggio, studiò il volto deturpato e
continuò a parlare. «Anche se al cane venisse
ordinato di gettarsi nel fuoco?»
Sandor fece mezzo passo indietro, sgranò gli
occhi. Era paura quella comparsa nel suo sguardo? Poi il vino, la
rabbia e lo spavento
presero il sopravvento su di lui, e batté una mano guantata
d’acciaio contro il
muro. A un soffio dal viso di Sansa.
«Ti
avevo detto di non farne parola con nessuno…»
ringhiò, chinandosi su di lei.
Sansa ebbe di nuovo paura. «E l’ho fatto! Non
l’ho
detto a nessuno. Io…»
«Ti avevo detto cosa ti avrei fatto se ne avessi
parlato» la interruppe il Mastino.
«Infatti è così. Non ho detto niente!
Lo giuro
sui sette dèi.»
«Sui
sette dèi? E dovrei crederti per questo?»
Sandor rise, come ferro che raschia altro ferro. Aveva gli occhi
annebbiati
dall’alcol.
Ma non
abbastanza…,
pensò Sansa.
«Se
Joffrey mi ordinasse di gettarmi nel fuoco…»
continuò lui, abbassando la voce, «me ne
andrei.»
Sansa sentì come un guizzo di speranza nascere
dentro di sé. «Lasceresti il tuo re?»
«In
culo il Re.» Il Mastino sembrava di nuovo
arrabbiato. «Nel fuoco dovrebbe mandarci qualcun
altro.»
Lei
sentì il cuore rallentare, battiti lenti e
forti, come se tutto il castello potesse sentirli. Deglutì
prima di parlare
sottovoce. «E te ne andresti via?»
«Ben lontano da qui. Presto Stannis raggiungerà
Approdo del Re, e si dice che la sua donna rossa ami il
fuoco…» Fece una pausa.
«Sì. Potrei farlo. Potrei andarmene, se Joffrey mi
chiedesse di affrontare il
fuoco invece di dieci soldati.»
Sansa si accorse
di respirare piano, come in
attesa di qualcosa. «E lontano… sarebbe anche a
nord? Pensi che andresti a nord?»
Gli occhi del
Mastino tornarono vigili, come se
la sbronza gli fosse passata di colpo. Come se si fosse reso conto solo
in quel
momento di quanto fosse assurdo – pericoloso – quel
discorso.
Si chinò su Sansa, tanto da farle sentire bene
odore di vino, cuoio e sangue. Il freddo del ferro… e il
fuoco nei suoi occhi.
Sansa capì che Sandor se la sarebbe presa con lei
per quelle chiacchiere sul tradimento. Capì che avrebbe
potuto farle male –
colpirla o dirlo a Joffrey – che lei, Sansa, era
completamente in suo potere.
Il Mastino lasciò scorrere la mano lungo il muro
– acciaio che strideva sulla pietra – fino al suo
viso. Scivolò sulla sua
spalla con gentilezza.
«Potrei
portarti a casa» disse lui. «Dalla tua
famiglia.»
Sansa
incontrò i suoi occhi e si chiese se fosse
un inganno ordito dalla Regina. Era uno dei giochetti di Joffrey? Lui
non
l’avrebbe mai lasciata andare… Mai.
Ricordò qual era il suo ruolo. Ciò che la corte
amava sentire. «Io sono fedele al mio amato Joffrey. Mia
madre e mio fratello
sono traditori.»
“Un
cane
fiuta le bugie… divora gli uccelletti.”
Ebbe paura.
Socchiuse gli occhi e pensò che
stavolta il Mastino si sarebbe arrabbiato. Che avrebbe detto tutto a
Joffrey.
Sentì l’acciaio gelido risalire il collo
scoperto, afferrarle il mento rudemente. «Sei proprio come
quegli uccelletti
delle isole dell’estate, non è vero? Ripeti parola
per parola ciò che ti è
stato insegnato.»
E
tu sei
davvero il cane di Joffrey?, avrebbe voluto
chiedere Sansa. Gli diresti ogni cosa, come
quando gli hai
raccontato del mio primo menarca, di come abbia cercato di nasconderlo?
«Chiunque
qui sa mentire meglio di te.»
«Anche
tu?» lo sfidò Sansa.
«Non
ho bisogno di mentire.»
Sansa lo sapeva.
Sapeva di dover rimanere in
silenzio, sgusciare via e chiudersi nella sua stanza. Sapeva di non
dover
rispondere, che non c’era nulla da ribattere al Mastino.
Sapeva che se lo
avesse lasciato lì, ubriaco e solo, lui non
l’avrebbe tradita. Non avrebbe
detto nulla a Joffrey, avrebbe finto di non averla vista.
E magari Joffrey l’avrebbe mandato a cercarla, a
chiederle perché avesse lasciato la festa così
presto, senza nemmeno chiedergli
il permesso… ma Sandor non avrebbe detto una parola comunque.
Allungò una mano verso il lato deturpato del
volto, lo sentì irrigidirsi sotto le sue dita.
«Eppure
hai mentito» sussurrò Sansa. «Due
volte.»
Lo ricordava,
ora? Ricordava il compleanno di
Joffrey e la notte in cui l’aveva colta a vagare nella
fortezza? Ricordava di
averle retto il gioco, di aver dato garanzia alle sue parole?
Ser Meryn ci aveva creduto. Il Re pure.
I polpastrelli
accarezzarono la pelle viva, i
capelli scuri girati a coprire il cuoio capelluto mancante. Si
soffermarono
sulla guancia scavata, rossa e calda.
Avrebbe dovuto fermarsi, voltarsi indietro e
fuggire via. Fondersi con il muro alle sue spalle. O almeno bloccare la
mano,
impedire che raggiungesse la mascella, che sfiorasse le
labbra… Frenare le
parole. Se non altro, quell’unica domanda che le
sfuggì in un soffio, come un
vento gelido dal nord, pronto a spazzare via l’estate calda
del sud.
«Perché?»
chiese.
La voce del
Mastino sembrò stonata in quel
contesto. «Ti avrebbe annegata nel vino. E quella guardia del
cazzo sarebbe
corsa da Joffrey a raccontargli dei tuoi giri notturni.»
Sansa
pensò alla maschera che aveva baciato, alla
porcellana senza vita, fredda contro le sue labbra. Pensò a
Florian e Jonquil,
a quanto suonasse strana adesso quella storia. Pensò al
Mastino, che aveva
coperto il suo corpo con la sua cappa, che aveva asciugato il sangue
dalla sua
bocca.
Sandor non indossava una maschera. Il suo volto
lo era già. Ma la sua pelle scottava sotto le dita, e non
aveva labbra di
porcellana, ma un’armatura con cui proteggerla da tutto.
Persino da Joffrey.
Forse davvero
l’avrebbe portata via, se solo
avesse avuto il coraggio di chiederglielo. Forse, se fosse stata pronta
a
rischiare di perdere ogni cosa – persino la vita –
Sandor l’avrebbe riportata
tra le braccia di sua madre, al sicuro.
Si
sollevò sulle punte dei piedi e con delicatezza
appoggiò le sue labbra su quelle del Mastino.
Lui non si ritrasse.
Per dir la verità, nemmeno si mosse. Rimase
fermo, gli occhi socchiusi, in balia delle mani di una ragazzina,
dell’arma con
cui cercava di difendersi dal mondo. La cortesia, le parole, le
menzogne.
Poi, quando
Sansa fu sul punto di staccarsi da
lui, Sandor la afferrò per la vita e la trasse a
sé. «Ti porterò con me» disse
in un ringhio, il respiro caldo che si fondeva con il suo.
«Quando me ne
andrò.»
Sansa avrebbe
tanto voluto credergli. Tornare a
casa, riabbracciare la lady sua madre… prendere il Mastino
al suo servizio.
«Quando?»
Aveva fretta di
andarsene. Non solo per Joffrey e
la Regina, per la corte che le parlava alle spalle o il divieto di
stringere
amicizia con lei… no. Voleva andare via, subito, in quel
preciso istante, perché
sapeva che se avesse atteso ancora non sarebbe più partita.
Nemmeno con una scorta.
Nemmeno con le garanzie del Mastino.
Sandor dovette
avvertire qualcosa – fretta,
incertezza, imprudenza – perché si
scostò da lei. Era ubriaco. Forse, pensò
Sansa, era convinto che fosse solo un sogno. Non sembrava credere di
averla
baciata davvero, di averle promesso una fuga.
Ma poi la mano
d’acciaio si alzò su di lei, con
gentilezza le sfiorò il viso.
«Forse
domani, uccellino» sussurrò. «Forse
mai.»
Piano, la prese
per un braccio e la riaccompagnò
alla festa. «Balla, ragazzina. Bevi, bevi tanto. E dimentica
questa sera.»
La lasciò in mezzo alla gente, completamente
sola, più sola che se si fosse trovata in cima alla
Barriera, in una fortezza
abbandonata. Sentì il gelo dell’inverno
avvolgerla, e ne riconobbe il motivo:
era sicura che con il Mastino non sarebbe mai scappata.
Note dell’autrice:
Torno dopo circa un anno in
questo fandom. Adoro questa coppia, adoro tenerla in sospeso. Adoro le
titubanze di lei e le incertezze di lui. Forse Halloween non
è il momento
migliore per questa storia, ma sentivo il bisogno di scriverla. Quel
prompt è
nato proprio grazie a loro.