Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |       
Autore: StarCrossedAyu    21/11/2018    1 recensioni
Eren è un ragazzo come tanti, ma la monotonia dei suoi giorni a Salem viene sconvolta dall'arrivo di una lettera anonima. Nessun mittente e, soprattutto, nessun destinatario. La curiosità ha la meglio e, quando la apre, il suo cuore si modella a nuova forma, rapito da colui che si firma "Eternamente tuo...".
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Eternamente tuo...

 





Il ragazzo, mani in tasca e sguardo rivolto al cielo, inspirò l'aria salmastra dell'Oceano Atlantico, passeggiando sul pontile.

Tutto aveva un che di nostalgico per Eren, il quale aveva lasciato Boston solo due anni prima. Si era trasferito a Salem da relativamente poco, eppure gli sembrava di appartenere a quel luogo da sempre.

Si era abituato persino ai numerosi turisti che accorrevano, soprattutto durante il mese di Ottobre. Halloween era un richiamo molto forte per coloro che volevano scoprire di più sulla famosa "caccia alle streghe", risalente ormai a quattrocento anni prima.

 

 

Un mattino come tanti, sbadigliando, aprì la cassetta delle lettere, sfogliando pigramente la corrispondenza. Tra bollette e pubblicità, una busta catturò la sua attenzione: ruvida, consistente, ingiallita dal tempo. Su uno dei lati, con grafia elegante, era riportato l'indirizzo della sua abitazione.

Nessun destinatario.

Nessun mittente.

Aggrottò la fronte, perplesso da quella stranezza. Già era raro ricevere qualcosa che non fossero fatture da pagare, in quell'epoca digitale, figurarsi una cosa simile.

Rientrò in casa portando con sé la misteriosa missiva e subito la sua inguaribile curiosità ebbe la meglio. Afferrò la busta scolorita, sedendosi al tavolo e aprendola con delicatezza. Ne estrasse un foglio accuratamente ripiegato, anch'esso ingiallito. La grana era certamente poco comune e sprigionava una strana fragranza. La annusò, portandola lentamente alle narici. Eren non se ne intendeva molto, ma avrebbe giurato fosse tè. Con gesti cauti, distese sulla superficie liscia del mobile quella che si rivelò essere una lettera. In alto a destra l'anno in cui era stata scritta.

1918, esattamente cento anni prima.

Si portò il palmo alle labbra, coprendosi la bocca e iniziando a leggere con attenzione le parole che componevano il testo. Parole che narravano d'amore. Parole certamente non rivolte a lui, ma che arrivarono dritte al suo cuore come un dardo ben scoccato.

La calligrafia era precisa, tondeggiante eppure priva di fronzoli e imperfezioni, l'inchiostro nitido e ben definito nonostante fosse stato usato un calamaio e non una comune biro.

Ogni frase trasudava un sentimento così forte da sembrargli tangibile e concreto come il pezzo di carta stretto nella sua mano. Narrava di una passione tanto irrazionale quanto bene accolta. Di un desiderio trascinante come un fiume in piena e di una dolcezza disarmante quanto il sorriso di un bambino.

Non aveva mai letto una dichiarazione simile - probabilmente la persona che avrebbe dovuto riceverla aveva abitato in quella medesima casa - e ne rimase toccato nel profondo.

Ripiegò accuratamente la lettera nella propria busta, chiudendola poi in un cassetto della sua scrivania. La giornata proseguì come qualunque altra tra lavoro, commissioni e la solita telefonata di rassicurazioni a sua madre. Il pensiero latente di quella lettera però non si decideva ad abbandonarlo e, giunta la sera, le sue mani trovarono nuovamente quella carta ruvida al tatto e i suoi occhi bevvero ancora di quell'amore forte e antico.

Trascorsero i giorni, le settimane divennero mesi, e più il tempo passava più Eren si convinceva che, per quanto irrazionale quel pensiero fosse, il destinatario di quella missiva così accorata somigliasse incredibilmente a sé stesso. Attraverso la penna di colui che scriveva, si rispecchiava nel modo in cui il protagonista camminava con lo sguardo rivolto al cielo, distratto al punto tale da rischiare di essere investito da qualche carrozza. Più volte Eren aveva sfiorato la morte per la leggerezza con cui attraversava la strada col naso perennemente all'insú. Si rivedeva in come toccava nervosamente le ciocche castane nel sentirsi a disagio, o quando la sua indole fiera spesso lo metteva nei guai.

Una persona dai molti pregi, ma era indubbiamente dei difetti che il mittente si era perdutamente innamorato.

Si chiedeva con esasperante insistenza chi fosse ad aver composto una simile sinfonia di sensazioni. Chi fosse colui che concludeva quel piccolo poema senza alcuna firma, ma con un semplice quanto disarmante "Eternamente tuo".

Alla milionesima volta che rileggeva la misteriosa lettera - le sue dita ormai impregnate dall'aroma di tè - si risolse ad indagare sulla faccenda. Sentiva il bisogno di scoprire che fine avessero fatto i due amanti, se la loro storia avesse avuto un lieto fine. Con tutta probabilità erano morti, ma forse qualcuno era a conoscenza di quale fosse stato il loro destino.

Scoprì, tramite il timbro apposto sul francobollo, che la busta era stata imbucata a una distanza relativamente breve dalla propria abitazione. Salem, infatti, ai tempi dei processi alle streghe, si era divisa in due fazioni distinte: città e villaggio. La lettera era stata smistata nell'ultima zona che, ormai in stato di abbandono, era quasi completamente disabitata e malamente collegata a quella cittadina.

Era tardo autunno ed Eren, risoluto, prese la sua auto di seconda mano diretto verso la parte vecchia di Salem. Lo accolsero poche case e un ambiente cupo e spettrale, degno delle più famigerate storie dell'orrore. Chiese ai pochi presenti informazioni riguardo la persona descritta nella lettera, ma senza successo. Finalmente, un anziano signore dallo sguardo vispo e baffetti grigi, gli indicò un'altura.

«C'é una villa diroccata, lassú in cima. Si dice che sia infestata dallo spirito errante del suo proprietario. Non so se sia vero, non ho mai avuto il coraggio di accertarmene, ma se vi abita qualcuno di certo sarà vecchio abbastanza da darti le risposte che cerchi.»

Eren vi si diresse, il tramonto a fare da sfondo al suo viaggio, parcheggiando infine oltre i cancelli spalancati della villa. I giardini incolti, le siepi rinsecchite, nessuna luce alle finestre. Niente faceva presagire la presenza di qualcuno. Scese dall'auto, pugni stretti e schiena dritta, e con fare deciso bussò al portone, più e più volte, senza ottenere nessuna risposta.

Quando provò a spingere l'uscio di legno, questo si aprì senza alcuno sforzo. Deglutí, teso, e si addentrò nella lugubre abitazione. Percorse i corridoi nel buio più totale, giungendo infine in un ampio salone debolmente rischiarato dalle tinte rossastre del Sole che calava. Nonostante l'assenza di qualunque cosa potesse far pensare che il luogo fosse abitato, ogni mobile, oggetto d'arredo e suppellettile era perfettamente pulito e lucidato, senza un granello di polvere.

Eren si guardò attorno, studiando ogni dettaglio di quell'ambiente dallo stile antiquato, finché notò la figura di un uomo.

Teneva il volto poggiato sul palmo di una mano, indice e medio sulla tempia, le palpebre serrate e l'espressione impassibile. Indossava una camicia bianca, sbottonata all'altezza del collo, e dei pantaloni color pece. I capelli erano neri quanto la notte più oscura, la pelle lattea come la Luna piena, profonde occhiaie ad adornarne il viso liscio come porcellana. Era immobile quasi fosse una statua, al punto da sembrare che non respirasse.

Perché respirava, giusto...?

Aprí gli occhi così repentinamente che Eren sobbalzò per lo spavento, forti brividi a percorrergli la schiena mentre un grido abbandonava le sue labbra.

Due iridi, fredde come il ghiaccio, si posarono su di lui e giurò che, per un istante, avessero brillato di luce propria. Eteree, penetranti, seducenti. Estranee, eppure tremendamente familiari. Sentí il cuore battere un po' più forte e diede la colpa alla paura irrazionale che aveva provato nel trovarsi faccia a faccia con lo sconosciuto. L'istinto gli urlava di fuggire, ma l'animo implorava di restare.

L'uomo lo fissava con espressione neutra, per nulla sorpreso di vederlo in quella che, probabilmente, era la sua dimora. Il suo sguardo sembrava malinconico, triste. Spento. Vuoto.

Il silenzio pesante, surreale, invogliò Eren a giustificare la sua presenza.

«Mi scusi, i-io non sarei dovuto entrare... Mi chiamo Eren, Eren Yeager, e ho ricevuto questa» disse, estraendo dalla tasca posteriore dei jeans la lettera. Gli occhi del corvino ebbero un guizzo, quasi avesse riconosciuto l'oggetto, tornando freddi e distanti così velocemente da fargli chiedere se non avesse immaginato tutto. «Mi domandavo se lei o qualcuno della sua famiglia ne sa qualcosa...»

Passò qualche altro secondo durante i quali il ragazzo riuscì a sentire distintamente il suono prodotto dal proprio respiro, prima che l'uomo parlasse.

«Vivo da solo. Non ho idea di cosa tu stia parlando.»

La sua voce, alle orecchie di Eren, era miele caldo che scorreva lungo la gola arrossata, lenendo un dolore inesistente ma che sapeva per certo di star provando. Cos'era quella sensazione così intensa? Perché desiderava udirla ancora, quando il suo tono basso e melodioso invece induceva il suo fisico a tremare dal terrore?

«Posso mostrargliela? Magari le ricorda qualcosa» mormorò, costringendo le proprie gambe ad avanzare verso la sua figura. Un passo, poi un altro, e vide l'uomo irrigidirsi impercettibilmente man mano che si avvicinava. Si trovò a pochi centimetri da lui che, seduto sul divano, non aveva battuto ciglio continuando invece ad osservarlo.

Il corvino, con innaturale lentezza, allungò la mano pallida verso la busta che Eren gli stava porgendo. Le dita sfiorarono le gemelle, ghiacciate al punto da chiedersi se, a causa loro, non provasse fisicamente dolore. Fu un contatto brevissimo ma intenso, che lo fece rabbrividire.
Il proprietario della villa esaminò l'involucro ed il suo contenuto, accennando un sorriso di scherno.

«Cento anni di ritardo. Le poste si sono decisamente superate, stavolta. Forse l'ha scritta mio nonno, era tipo da smancerie del genere» disse, leggendola quasi svogliatamente.

«Sa dove posso trovarlo?»

«Al camposanto. È morto da un pezzo.»

Eren si diede mentalmente dell'idiota, avrebbe dovuto immaginarlo, ma non riuscì a impedirsi di domandargli «Sa se... Se la persona a cui era indirizzata era la moglie?»

L'uomo sorrise ancora, le labbra sottili tirate in un ghigno beffardo mentre le massaggiava con l'indice.

«Chi ti dice fosse per una donna...?»

Il ragazzo arrossí violentemente, balbettando frasi sconnesse e senza senso. Gli occhi del corvino si addolcirono al suo crescente imbarazzo. Si allungò per restituirgli la lettera.

«Ormai non ha più importanza. Puoi anche bruciarla se vuoi, far finta che non sia mai esistita» disse laconico, e il giovane quasi gli strappò la busta di mano per stringerla possessivamente al petto. L'altro lo guardò, basito.

«Assolutamente no!» affermò deciso, le iridi verdi che brillavano determinate. «La conserverò con cura, com'é giusto che sia: un simile amore va custodito, non dimenticato.»

Il padrone della villa schiuse leggermente la bocca, le palpebre che si spalancavano e una scintilla che il castano avrebbe definito di speranza a illuminarne lo sguardo glaciale. Secondi lunghi un'eternità a fissarsi, mentre l'astro infuocato calava definitivamente e gettava il salone nell'oscurità più totale.

Eren si sentiva esposto, vulnerabile in quel luogo sconosciuto e tetro, ma nel profondo del suo animo qualcosa gli diceva di non essere in pericolo, tutt'altro.

L'uomo sembrò imporsi di apparire indifferente - eppure il turbamento sul suo viso al ragazzo era parso chiaro come il Sole - conducendolo verso l'ingresso. Era così delicato nei movimenti da sembrare che stesse fluttuando sul pavimento in marmo, piuttosto che calpestandolo.

Una volta all'esterno, Eren si voltò verso la figura silenziosa alle proprie spalle.

«Mi scusi ancora per il disturbo, Signor -» sorpreso, si accorse di non conoscere l'identità del corvino.

«.... Levi.»

Quattro lettere pronunciate in sequenza che lo spezzarono lì, su quei gradini scheggiati, squarciando il suo petto in due parti distinte. Non aveva mai udito quel nome in vita sua, allora perché gli sembrava fosse marchiato a fuoco nel suo cuore da sempre...?

Deglutí a vuoto, accaldato come stesse bruciando.

«Arrivederci, Levi» mormorò.

«Addio, Eren.»

Il ragazzo si sedette al volante, stringendolo con forza prima di girare la chiave nel quadro e metterla in moto. O almeno, ci provò. Il motore continuava a singhiozzare, un lamento agghiacciante nel silenzio di quel posto lugubre, e ad ogni tentativo sembrava implorare pietà.
Eren poggiò stancamente la fronte sullo sterzo, prendendo il cellulare e maledicendo la tecnologia moderna. Milioni di antenne portatrici di cancro e lì non c'era segnale. Fantastico.
Levi era rimasto immobile sulla scalinata antistante il portone della villa e, quando il ragazzo fece nuovamente capolino oltre la portiera ammaccata, sospirò.

«La macchina è in panne e il cellulare non prende, non è che -»

«Non possiedo un telefono» disse semplicemente ed Eren, avvilito, vagliò velocemente le possibilità a disposizione. Non poteva contattare il carro attrezzi o i suoi amici affinché venissero a prenderlo. Non gli restava che sperare in un ostello o simili, giù al villaggio.

«Non ci sono hotel in zona e camminare per due ore, sulla strada poco illuminata che conduce in città, non è consigliabile. Posso ospitarti per la notte e domani potrai andare via» concluse l'altro, voltandosi e rientrando in casa.

Il castano restò interdetto e, spinto dall'irrefrenabile e illogico desiderio di restare in compagnia di quell'uomo dai modi grezzi e cortesi che lo incuriosiva più di quanto fosse lecito, si affrettò a seguirlo, trovandolo al centro del lungo corridoio buio. Levi proseguì il suo cammino con Eren alle calcagna, salendo una rampa di scale dal corrimano in ferro battuto e gli elaborati intrecci, conducendolo al piano superiore. Aprí una delle numerose porte, attendendo che il giovane ne varcasse la soglia.

 Eren si guardò attorno, meravigliato. L'arredo era sobrio ma curato, con un enorme baldacchino dalle lenzuola in raso ed un caminetto acceso a riscaldare quella notte fredda. Aggrottò la fronte, perplesso. Com'era possibile che la legna già ardesse nel focolare quando la sua presenza era un evento imprevisto...?

«Troverai degli asciugamani puliti nel bagno adiacente. Non ho un ricambio da prestarti, desolato.»

«Non preoccuparti, sei già fin troppo gentile, me la caverò.»

Le labbra di Levi si piegarono in un accenno di sorriso.

«Buonanotte Eren» disse e, senza attendere una risposta, richiuse la porta lasciando il ragazzo con un milione di domande per la testa.

Eren si coricò, rilassandosi a contatto col tessuto liscio e fresco, addormentandosi in breve tempo. Non fosse stato per un tuono, improvviso e potente, non si sarebbe svegliato fino al mattino successivo.

Invece il boato lo fece sobbalzare, svegliandolo, e ciò che sentí immediatamente dopo lo lasciò senza parole.

«Mi manchi.»

Si voltò e Levi, in piedi accanto al suo letto, lo fissava.

Il castano avrebbe dovuto urlare, sentirsi minacciato e pronto a difendersi da una possibile aggressione - in fondo era uno sconosciuto, per quanto ne sapeva poteva essere un serial killer..!- ma il corvino aveva un'aria fragile, come se la sua sola vista gli causasse dolore e sofferenza.

 Eren si tirò su a sedere sotto lo sguardo attento dell'uomo che cercava di mantenere un'espressione neutra, come se il suo trovarsi lì nel bel mezzo della notte non fosse poi degno di nota.

«Tu mi conosci» affermò il ragazzo, il busto nudo e i capelli in disordine.

Levi non mosse alcun muscolo, forse timoroso che l'altro potesse reagire violentemente.

 «Tu mi conosci» ripeté e il corvino annuì. Con gesti lenti, cauti, si andò ad accomodare sul letto, le iridi di ghiaccio fisse in quelle smeraldine di Eren. Occhi negli occhi, fece scivolare il proprio palmo sulla seta alla ricerca della mano naturalmente scura del giovane.

Il castano lo lasciò fare, permettendogli di accarezzargli il dorso con le sue dita gelide e rabbrividendo in risposta. Il suo corpo tremava, avvertendo un pericolo che invece il suo cuore si rifiutava di percepire, attratto da quell'essere misterioso come lo è una falena dalla fiamma di una candela.

«Perché non mi ricordo di te...?»

«È la tua punizione: destinato a dimenticare ogni volta, me e la promessa che mi hai fatto» rispose, la voce colma di pena e amarezza.

«Ogni volta...?»

«Se te lo dicessi non mi crederesti Eren, ma posso mostrartelo. Sono stanco di nascondermi, sono stanco di fuggire, sono stanco di starti lontano...»

«Allora fallo» disse con fermezza. «Voglio sapere chi sei.»

Levi cercò nel suo sguardo un segno di incertezza, e quando fu sicuro non ve ne fosse alcuno si portò il polso alle labbra così velocemente da risultare quasi invisibile. Affondò i denti nella propria carne, squarciandola con decisione e facendo sgorgare dalla ferita fiotti di liquido cremisi. Le sue labbra, pallide e smunte, erano ora tinte di vermiglio come il muso di una bestia nel pieno del suo banchetto. Spaventoso. Agghiacciante.

Eppure quando si fiondò sulla sua bocca, facendosi spazio con la lingua alla ricerca della gemella, Eren non ebbe alcuna paura o timore, seguendo un istinto sconosciuto che gli urlava di accoglierlo, abbracciarlo, stringerlo. Il sapore ferroso del sangue, misto a una dolcezza di cui ignorava la provenienza, fluì nel suo essere insieme ai ricordi di cui Levi era eterno custode.




 

«Sono discepoli del demonio, schifosi sodomiti!» la donna li additava, mentre gli abitanti di Salem li giudicavano colpevoli di stregoneria e trascinavano entrambi nel bosco.

«Lasciatemi! Levi! Levi!!»

«Eren!»

Un cappio, appeso ad un albero, fu stretto al collo del corvino mentre il ragazzo veniva legato a un palo circondato da legna e fieno, pronto per essere arso vivo. Si guardarono, colmi d'amore l'uno per l'altro, colpevoli solo di essere nati in un'epoca intollerante ed aver entrambi rifiutato la stessa strega. Era stata lei infatti, rosa dalla gelosia, a denunciarli e condannarli a morte.

 «Lasciatelo maledetti!»

«Levi ti amo, mi senti?! Ti amo!»

Il fuoco ai piedi di Eren fu acceso e, mentre consumava i suoi abiti e si nutriva delle sue carni, Levi piangeva nel sentirlo urlare quanto lo amasse, promettendogli che lo avrebbe atteso nell'aldilà e non lo avrebbe mai dimenticato.

 Poi, silenzio.

Il corvino ormai desiderava solo abbracciare la morte per poterlo raggiungere.

 Lo sgabello su cui l'uomo era poggiato venne infine calciato via, il collo pallido spezzato di netto dalla fune durante la caduta. La strega, furiosa e per nulla soddisfatta, attese che i paesani tornassero alle proprie abitazioni e scagliò loro un maleficio.

«Tu» disse indicando Eren, «sei condannato a rinascere, ignaro del tuo passato e di questo luogo in cui farai sempre ritorno. E tu» proseguí voltandosi verso Levi, «sei condannato a non morire, unico testimone della vostra disfatta e legato indissolubilmente a Salem che non potrai mai abbandonare. È qui che rivedrai il tuo amore, destinato a morire sotto i tuoi occhi per poi rinascere ancora e ancora!»

Le iridi del corvino, vitree, brillarono nell'oscurità della notte.

Rimasto solo nel bosco, con uno strattone si liberò della corda, accorrendo accanto al cadavere di colui per cui aveva dato la vita e pianse. Lacrime scarlatte come il sangue di cui, da quel momento in poi, si sarebbe nutrito. Non morto per l'eternità, in attesa di rivedere Eren ancora una volta.




 

Il ragazzo sentí le labbra dell'altro abbandonarlo, scosso dai propri singhiozzi e completamente sconvolto.

«La mia punizione è ricordare per entrambi quanto fosse forte il nostro amore. Non ho smesso per un attimo di pensarti, attendendo il tuo ritorno di decade in decade, secolo in secolo» disse, asciugandogli una lacrima col pollice freddo come il marmo.

«La lettera... L'hai scritta tu?» mormorò il castano a fatica, il viso tinto di rosso lì dove Levi lo aveva baciato.

«Sí. In un momento di debolezza avevo scritto al precedente te stesso, incapace di trattenere oltre ciò che provavo. Ma il destino è beffardo e non è mai giunta a destinazione, fino ad ora almeno.»

«Io... Io cosa ho fatto...?»

«Hai vissuto. Ti sei creato una famiglia, avuto degli eredi e sei morto come ogni maledettissima volta...» l'uomo digrignò i denti, conficcandosi le unghie nei palmi con sufficiente forza da sanguinare «Non ce la faccio più, Eren. È un fardello troppo grande da sopportare. Non posso lasciarti andare ancora, non voglio...!» sibilò, la sofferenza che lo dilaniava così forte da essere tangibile.

Eren si riscosse. La persona che aveva amato e che, contro ogni logica, sapeva di amare non poteva morire. Bene, neanche lui lo avrebbe fatto.

«Non dovrai farlo.»

Espose la gola, mostrando all'altro la vena pulsante che irrorava linfa vitale nel suo corpo, invitandolo a prendersi ciò che gli apparteneva di diritto: il suo destino.

Le iridi di Levi, a quel gesto, brillarono nel buio della camera. Saettarono dal collo al viso di Eren qualche altro istante, poi il ragazzo sentí i suoi canini lacerare la carne morbida e tenera che gli aveva offerto mentre si dissetava del suo sangue.

Le forze lentamente lo abbandonarono, mentre le sue membra tremavano dal piacere che il suo morso provocava. Chiuse gli occhi, ormai sul baratro che lo avrebbe condotto nel regno dei morti da cui avrebbe fatto inesorabilmente ritorno.

 Le sue labbra trovarono il polso di Levi, che lo spingeva contro la sua bocca schiusa: un'offerta a bere della sua maledizione. Debolmente Eren leccò il liquido vermiglio, assaporandone di nuovo il gusto inconfondibile, per poi succhiarlo con avidità sempre crescente.

Ancora.

Di più.

Quando riaprí gli occhi le sue iridi erano oro fuso, luminescenti come stelle e spaventose come nient'altro sulla faccia della Terra. Il suo cuore si era fermato, ma ormai la sua condanna era siglata. Non morto, al fianco del suo amato per i secoli a venire.

Levi fece scorrere le dita tra i capelli castani del giovane vampiro, sull'orlo delle lacrime.

«Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti...» sussurrò, la voce colma di un sentimento troppo a lungo taciuto.

 «Sono qui Levi, con te. Eternamente tuo...» e con quelle parole, finalmente, furono liberi.

Di toccarsi, appartenersi ed amarsi, fino alla fine del mondo.


   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: StarCrossedAyu