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Autore: alex_watson    15/07/2009    4 recensioni
Due ragazzi che sono amici dalla nascita, un giorno scoprono di amarsi... ma non sanno che il frutto del loro amore provocherà danni ad entrambi..
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Broken Lovesick Story

 

La storia che sto per raccontarvi, è la storia della mia vita. Mi chiamo Michael e adesso ho 25 anni. La storia che vi narrerò parla di me e dell’ unico amore della mia vita, che ho amato più di me stesso e che per sempre amerò, James.

Ma prima di raccontarvi la nostra storia, bisogna partire dal principio.

Nacqui nel bel mezzo di una giornata buia e tempestosa, il 17 Dicembre 1984. Pioveva a dirotto e il suono dei tuoni di quel temporale non erano nulla in confronto agli urli di mia madre, che in quel preciso giorno, alle due del pomeriggio, mi stava partorendo. E così finalmente, dopo ben 48 ore di travaglio, nacqui io. Ero in perfetta salute e i miei non potevano che esserne felici. Tre giorni dopo la mia nascita, nacque il figlio della migliore amica di mia madre, Elen, lui invece si chiamava James. Già dalla nascita, io e James eravamo destinati a diventare amici, migliori amici, proprio come le nostre mamme. Un’amicizia fantastica che niente avrebbe potuto spezzare. Nulla forse, neanche la morte.

Io e James passammo i nostri primi anni di vita felici e spensierati. Frequentammo lo stesso asilo, le stesse scuole elementari, medie, lo stesso liceo, gli stessi corsi extra-scolastici, gli stessi amici, le stesse passioni e le stesse paure. Eravamo inseparabili, due persone legate nel cuore e nell’anima.

I problemi iniziarono a 16 anni. James era un ragazzo perfetto, a mio parere. Alto, atletico, biondo con occhi azzurri, sguardo e sorriso che potevano ucciderti a prima vista, ma io c’ero abituato. Io d’altro canto non ero da meno, alto, magro, capelli castani e occhi verdi. Eravamo entrambi molto belli, le corteggiatrici non ci mancavano di certo, ma fatto sta, che a 16 anni eravamo ancora entrambi vergini.

Il vero distacco, ci fu l’ultimo giorno di scuola. Da molto tempo giravano voci a scuola che parlavano di una mia presunta omosessualità, voci sorrette dal fatto che non ero come tutti gli altri ragazzi, non sputavo per terra, non bestemmiavo, non mi vantavo delle dimensioni del mio pene, e non andavo con le ragazze… si, quello era il motivo principale, rifiutavo qualsiasi ragazza ci provasse.

Così, l’ultimo giorno di scuola arrivò, e io non ero stato invitato alla festa di fine anno che si sarebbe tenuta il giorno dopo alla villa di una mia compagna di classe. Mi trovavo nel bagno dei maschi con James, rinchiusi nel gabinetto a fumarci una sigaretta insieme.

<< … e così, non sei stato invitato alla festa di sabato giusto? >> mi chiese James mentre parlavamo. Mi passò la sigaretta, la presi e tirai, un tiro troppo lungo del normale, che quasi mi fece rigurgitare. Volevo, in qualche modo, evitare la domanda che mi era stata appena fatta.

<< Già >> fu la mia risposta. Cercai di assumere un’espressione strafottente, dovevo cercar di far sembrare che per me quello non era un problema.

<< E non sai il perché? >> mi chiese James.

<< Lo sappiamo entrambi il perché, James >> dissi, passandogli la sigaretta. << Lo sanno tutti >>.

<< Beh ma, insomma, non puoi fare qualcosa per smentire quelle voci? >>

<< E perché dovrei? Sinceramente non mi interessa ciò che la gente pensa di me! Che pensino quello che gli pare! >> risposi. Stavo iniziando a scaldarmi. Quello era un argomento che mi faceva incavolare, e la cosa che di più mi mandava in bestia era l’ingenuità di James. Perché non capiva che in tutte quelle voci c’era una nota di verità?

<< E dai! Fatti vedere con una ragazza, così puoi venire con me alla festa! >> riprese.

Quello era troppo per me. Scoppiai. << E certo! Non fa niente se passo per un omosessuale! L’importante è che sabato vengo con te alla festa per reggerti il gioco no? Devo essere la tua ombra, devo annuire a tutte le stronzate che dici di aver fatto in modo da farti passare per il “più figo” della scuola! >>.

James rimase a bocca aperta per un po’, immobilizzato, incapace di rispondere. Se lo meritava, se lo meritava proprio e io avevo ragione.

<< E’ questo che pensi di me? E’ questo che pensi dopo 16 anni che ci conosciamo? >>. Fu il suo turno. L’avevo ferito, ne ero sicuro, gli stava bene. Pensavo.

<< Sei soltanto… uno… stupido frocio!Vaffanculo! >> disse a denti stretti.

Dopo un’ultima guardata avvelenata, si girò e usci dal bagno lasciandomi solo, lì nel gabinetto, con le lacrime agli occhi, incapace di credere a ciò che avevo appena sentito. Questa volta ero stato ferito io, il manico del coltello adesso lo aveva lui. Mi sentivo male. Non ci potevo credere, non riuscivo e non volevo credere che il mio migliore amico, la persona di cui ero segretamente innamorato da quasi un anno a quella parte, mi avesse insultato.

Non ci parlammo per tutto il giorno, io tornai a casa solo come un cane, lui accompagnato da un’ochetta della nostra classe, li sentivo ridere qualche metro dietro di me. Lo faceva apposta, lo sapevo. Arrivato a casa andai nella mia camera senza neanche pranzare, mi buttai sul letto e sfogai la mia rabbia e la mia delusione come non avevo mai fatto, piangendo a dirotto. Dopo un po’ presi il mio i-Pod e iniziai ad ascoltare i Paramore, maledicendo quel giorno, con la convinzione che ormai non avrei più pianto, con l’assoluta sicurezza di aver esaurito tutte le lacrime a mia disposizione. Ma non era così.

Il mio i-Pod decise di farmi un dispetto, finita la mia canzone preferita dei Paramore, ne iniziò un’altra, una canzone un po’ malinconica, che mi fece mettere di nuovo a piangere. We are Broken.

Sì, perché io e James eravamo come il titolo di quella canzone, infranti. Infranti proprio come lo era anche la nostra amicizia, che fino a poche ore prima credevo indistruttibile.

Passai la giornata a piangere fino a quando il sonno fermò lo scorrere delle mie lacrime di coccodrillo. Il giorno seguente fu peggio di quello precedente, mi svegliai con il desiderio di sparire, con la tristezza addosso. Quella sera ci sarebbe stata la famosa festa di fine anno e il solo pensiero mi faceva star male.

Per mia fortuna i miei non c’erano, erano al lavoro e sarebbero tornati nel pomeriggio così rimasi tutto il giorno a letto, senza pranzare, e verso le quattro del pomeriggio, mi alzai e andai a farmi una doccia, sperando che una bella doccia fredda potesse togliermi la tristezza di dosso.

Alle sei tornarono i miei genitori e mi dissero che quella sera sarebbero andati a casa di amici. Meglio così, pensai, volevo stare da solo quella sera.

<< Tesoro noi stiamo uscendo, mi raccomando fai il bravo ok? >> urlò mia madre dal salotto qualche minuto più tardi. << Ok mamma! >> urlai a mia volta.

Dopo cinque minuti bussò di nuovo alla porta della mia stanza. << Mamma ho capito! Uff! >>, risposi senza neanche aprire la porta della mia stanza, ma la voce della persona che parlò non era quella di mia madre, ma quella dell’unica persona che mai mi sarei immaginato di sentire in quel momento. Naturalmente avete capito di chi sto parlando. Sì, la voce era proprio quella di James.

<< Ehm… Micky sono io, James. Posso entrare per favore? >>. Rimasi a fissare la porta, spiazzato.

<< Micky >> sussurrai, non mi chiamava così da quando iniziammo le superiori. Sentirmi chiamare così con quel nomignolo mi fece uno strano effetto.

<< Micky? Ci sei? >> domandò di nuovo, incerto. Risposi con un grugnito che doveva sembrare un sì poco convinto.

Entrò. Aveva la faccia stanca e due grandissimi aloni neri sotto gli occhi, sembrava che non dormisse da giorni, ed era anche molto imbarazzato.

<< Ciao >> mi disse con un sorrisetto poco sicuro.

<< Che sei venuto a fare? >> domandai, piazzandomi di fronte a lui, ma con una certa distanza. C’era un tono di distacco e arroganza nella mia voce e non mi importava, al diavolo le formalità, avevo tutto il diritto di essere arrabbiato. << Com’è che non sei alla festa? Hai deciso di privare i tuoi fans della tua presenza? >> iniziai ad attaccarlo, ma ero poco convinto.

<< No >> fu la sua risposta. Lo guardai in cagnesco e lui arrossì, intimorito.

<< Io… io… ecco… ecco… oh insomma, ero venuto a scusarmi >> mi disse, guardandosi i piedi. Restammo in silenzio per alcuni minuti fino a quando James non capì che non avrebbe ottenuto da me nessuna risposta.

<< Io… mi dispiace, non volevo dirti quelle cose che ti ho detto ieri… sono stato un coglione. Mi dispiace. >> le sue scuse mi sembravano sincere, ma non volevo perdonarlo così in fretta, doveva soffrire ancora un po’.

<< Perché non sei andato alla festa? >> mi limitai a dire.

<< Non me la sentivo di andarci >> disse, << non senza di te >> aggiunse arrossendo. Io che fino a quel momento stavo fissando il mio letto, mi girai di scatto verso di lui.

<< Micky, mi dispiace davvero, lo sai benissimo che quelle cose non le penso e non le ho mai pensate. >> riprese James.

<< Micky… >> dissi. << Non mi chiamavi così da quando abbiamo finito le scuole medie >>. Non era una domanda. << Si lo so, non so perché ho smesso di chiamarti così. Mi piace chiamarti così >> ammise, << E perché? >> domandai.

<< Perché soltanto io ti chiamavo così, ti rende speciale, e per quanto riguarda me, mi fa sentire importante… >>. Mi sorrise, fece qualche passo verso di me, io ero lì immobile come un merluzzo. Mi guardò negli occhi.

<< Micky… io ho bisogno di sapere… sapere se quelle voci su di te sono vere >>. Mi guardò dritto negli occhi, due occhi di ghiaccio che in quel momento mi stavano penetrando. Non sapevo che dire, non me lo sarei mai aspettato, << pe-pe-perché? >> balbettai confuso.

<< Ecco, io non so come spiegartelo >> sembrava confuso anche lui, evidentemente si aspettava una domanda diversa. << Provaci, dillo a parole tue oppure… fammi un esempio >> proposi vedendolo in difficoltà.

<< Posso fare meglio di un esempio >>. Si avvicinò a me e prese le mie mani, avvicinò la sua faccia alla mia, entrambi avevamo il respiro affannato. Ci guardammo dritti negli occhi.

<< Che-che cosa fai? >> gli dissi. Mi sorrise ancora una volta prima di sfiorarmi le labbra per appena cinque secondi. Ci guardammo di nuovo negli occhi, lui mi sorrise imbarazzato, lo amavo quando sorrideva in quel modo, in realtà lo amavo sempre, in qualsiasi cosa facesse. Presi la sua faccia e lo baciai con passione. Quanto avevo desiderato e bramato quel momento, quel bacio. Le nostre labbra erano impegnate in una lotta benigna, e erano decise a non darsi tregua.

Finimmo sul mio letto, io sotto, lui sopra, mi guardò sorridendomi, un sorriso solare e felice. << Micky, ti amo. >> disse semplicemente. Io risposi con un bacio, poi un altro, e un altro ancora. Finimmo col fare l’amore. Ero felicissimo, il giorno più bello e speciale della mia vita era finalmente arrivato. Ma non sapevo che ben presto tutto sarebbe cambiato, non sapevo che l’unione di due persone che si amano avrebbe provocato effetti devastanti. Eh si purtroppo è così, prima o poi ogni cosa bella è destinata a finire, bene o male, questo non sempre si sa.

Io e James passammo tutta l’estate insieme senza mai dividerci, fu un’estate magica. Tre giorni dopo il nostro terzo mese insieme, James mi telefonò e mi disse di andare a casa sua subito. << E’ urgente >> mi disse al telefono. La paura mi invase, non avevo mai sentito James con quel tono di voce così preoccupato. Corsi subito a casa sua e andai dritto nella sua camera, lo trovai seduto sul suo letto e in mano reggeva una lettera bianca dall’aria sinistra. Mi fissò con aria afflitta, gli occhi lucidi. Indicò la lettera e con voce spezzata mi disse: << ho l’AIDS >>.

Penso che in quel momento il mio cuore, non so come, si fermò. Andai verso di lui, presi la lettera e la lessi ben tre volte. Le lacrime ormai inondavano le guance di entrambi, incontrollate. Mi inginocchiai di fronte a James, presi le sue mani, e senza dire niente, lo abbracciai forte a me.

Dopo quel giorno, io e James passammo tutto il tempo a nostra disposizione insieme, io ormai avevo perso il sorriso, la fame, la voglia di scherzare o parlare. Passavo tutto il tempo a piangere quando James non c’era, e quando c’era invece cercavo di essere forte per lui, con scarsa credibilità.

Per mia “sfortuna”, perché per me era così, io non fui contagiato da quella maledetta malattia. Parlammo con un medico esperto in quel genere che ci spiegò come era successo. << Rottura del frenulo >> disse semplicemente. La rottura del frenulo può avvenire durante un rapporto sessuale. Può avvenire durante il tuo primo rapporto, il tuo secondo, o al tuo ventesimo rapporto, oppure mai. James entrava nel primo gruppo, quello del primo rapporto. Il dottore mi disse che non ero stato contagiato per un pelo, perché in tutti i nostri rapporti avuti dopo la nostra prima volta, avevamo sempre usato precauzioni.

Purtroppo quella lì non fu l’unica notizia. Il medico ci disse che a James restavano ormai, soltanto tre mesi scarsi, per via della sua salute e del suo stile di vita basato sul fumo, l’alcool e la droga. Si, perché a mia insaputa, James aveva qualche volta fatto uso di droga e altre sostanze stupefacenti. Insomma, quel giorno andò una merda. Come i seguenti dopotutto.

Sia James che io avevamo perso l’uso della parola. Non parlavamo più, non ridevamo più, non mangiavamo più, non uscivamo di casa. I giorni trascorsero senza pietà, come se il tempo accelerasse per dispetto, fino a diventare mesi, fino a quando James mi lasciò per sempre.

Ricordo ancora quel giorno, come dimenticarlo.

Stava malissimo, eravamo tutti lì nella sua stanza, io vicino a lui, i suoi genitori e i miei. Chiese a tutti di uscire, tutti tranne me. Mi prese la mano e mi baciò, fu un bacio sofferto e doloroso perché entrambi sapevamo che quello era il nostro ultimo bacio.

E così, James disse addio alla vita, ma non a noi due. Mi disse che non dovevo fare stupidaggini e che per me la vita doveva andare avanti, perché il suo non era un addio, era solo un arrivederci.

Ma per me non fu così semplice. Da quel giorno persi ogni stimolo vitale, ogni voglia o desiderio di vita, per me la vita e l’amore erano niente senza di lui. Non ho più amato nessuno, neanche me stesso, per me, io ero morto con lui quel fottutissimo giorno. Vi sembrerà esagerato, ma per me è stato così, e lo è tutt’ora.

  
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