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Autore: Shizuka Grape    28/11/2018    0 recensioni
"Ohno Satoshi è bello. Ancora. Come prima. Come sempre."
Pillole di quotidianità del presente si intrecciano con una giostra di emozioni provenienti da ricordi del passato. Il punto di vista è quello di Ninomiya Kazunari, fatta eccezione per il capitolo "PLUS".
Attenzione: la trama tratta del rapporto romantico immaginario tra Ohno e Nino in maniera esplicita.
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Kazunari Ninomiya, Satoshi Ohno
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Questa fanfiction è dedicata alla persona per cui il 27 giugno è un giorno importante.
Anche se credo non leggerà mai. Anche se credo non le interessi più.

Buona lettura a chiunque abbia il coraggio e la pazienza di approcciarsi a questa "cosa", alla quale però ammetto di tenere molto.

*Ogni commento e consiglio di qualsiasi tipo è ben accetto (per favore, no insulti o cattiverie gratuite).



Il profumo di shampoo e bagnoschiuma si espande per tutto l’appartamento, donandomi quel senso di calma e rilassatezza che solo l'atmosfera di casa dopo una giornata di lavoro può regalare.

Mi siedo sul letto, stringendomi nelle spalle. Si sente da lontano il suono dell’acqua scrosciante, un sottofondo tenue ma costante e a provocarlo non ero io.

“Butterfly kyou wa ima made no, donna toki yori subarashii, akai ito de musubareteku hikari no wa no naka e…” 1
La voce sottile ma intonata proveniente dal bagno mi ridesta dal sonno che si stava impossessando di me, ricordandomi che non sono solo.
- Gli piace così tanto Butterfly? – penso fra me e me sorridendo, mentre ascolto Satoshi canticchiare le parole di Kimura Kaera sotto la mia doccia nel mio bagno della mia casa.
 

Ogni volta che uno di noi due finisce le riprese è solito fermarsi un paio di giorni a casa dell’altro. E’ un’abitudine, questa, che abbiamo acquisito pian piano, senza mai accordarci realmente. Allo stesso modo, col trascorrere degli anni ci siamo silenziosamente trovati d'accordo nella nostra congenita incapacità di convivere per più di 3 giorni consecutivi sotto lo stesso tetto. Mi sono reso conto che entrambi abbiamo uno sviscerato bisogno di tutelare i nostri spazi, un bisogno che non si limita solo al coltivare i nostri hobby, ma significa proteggere il silenzio, l’intimità, la bellezza della solitudine, la particolarità di una dimensione solo tua.

Nei momenti più dolci tra noi, quelli delle coccole, delle risate a cena, dei discorsi sussurrati dopo aver fatto l’amore, a volte abbiamo provato ad accennare l’immagine di una nostra convivenza stabile: tutte le volte, tuttavia, la nostra immaginazione annega nell’abisso di qualche risata imbarazzata. I motivi sono più d’uno, in realtà: da un lato sappiamo che la notizia della nostra convivenza trapelerebbe entro pochi giorni, per ovvi motivi burocratici; il motivo principale però è che entrambi siamo restii a devolvere completamente il nostro individualismo. Ormai sono arrivato alla conclusione che il nostro amore per l’altro sia direttamente proporzionale all’amore per la nostra libertà. Spesso mi chiedo cosa sia la libertà, specialmente per un giapponese, un giapponese famoso. Poi penso a Satoshi, a noi due in questi momenti privati, e capisco che il mio significato di libertà è tutto qui, nella sua esistenza, nella sua comprensione di lasciarmi perdere quando ne ho bisogno e nella mia altrettanta pazienza a concedergli i suoi spazi.

“Mi rilasso un attimo in vasca! Ok?”

La sua voce proveniente dal bagno mi ridesta dalle mie riflessioni.

“Ti siedi in vasca dopo aver già fatto la doccia? Ma che abitudini hai?” – gli dico, fingendo un atteggiamento acido.

“E’ che mi è venuta voglia di onsen2 proprio adesso, quindi me ne resto qui immaginando di essere in una vasca termale!” - mi grida.

“Tu sei tutto strano” – poi, subito dopo una piccola pausa – “Senti, Fai un po' come ti pare”.
Mi arrendo e sorrido tra me e me, ascoltando la sua risata puerile al di là della porta.


Mentre aspetto che finisca seduto sul letto, il mio sguardo viene catturato da uno dei cassetti del piccolo mobile vicino al letto, in particolare il terzo cassetto, quello che contiene i ricordi più preziosi o gli appunti che scrivo e non ho il coraggio di rileggere più. Allungo la mano e lo apro, prendo qualche foto, qualche foglietto, qualche portachiavi. Le mie mani scivolano su quegli oggetti guidate da un senso di nostalgia che fa da motore, mentre i miei occhi scorrono da una parola all’altra, da un colore all’altro velocemente, per la paura che il mio cuore possa far riaffiorare qualche pensiero spiacevole, qualcosa che vigliaccamente non voglio portare alla memoria.

Improvvisamente la mia mano scorre su una foto in particolare: è vecchissima, scattata velocemente con una polaroid, i colori sfocati e imprecisi, i bordi leggermente ingialliti, eppure non riesco a passare oltre quest’immagine.
Mi sistemo meglio sul letto, le gambe a cavalcioni, riscaldato dal senso di tenerezza che questo scatto ha iniziato a trasmettermi; attorno a me il silenzio, interrotto soltanto dal leggero movimento dell’acqua in lontananza, probabilmente provocato dai movimenti delle braccia e delle gambe di Satoshi in vasca.
La foto ritrae in primo piano il mio viso di neo 14enne nella sala prove dei Johnny’s juniors. Lo ricordo, era una delle prove per la mia prima esibizione da back dancer: avevo passato i provini da poco, da poco entrato in quel mondo fatto di sudore, ordini, disciplina, ma anche di tanti volti nuovi che non conoscevano me e la mia vita, che io speravo fossero diversi dai miei coetanei viscidi delle scuole medie. Questa foto ritrae il mio viso di 14enne appena catapultato nell’universo meraviglioso e tremendo che sarebbe diventato il mio lavoro, la mia carriera, la mia identità pubblica e – in parte - i miei affetti privati.

Ricordo bene, tuttavia, perché – tra tante foto dei tempi in cui ero un junior - io abbia conservato proprio questa: dietro la mia faccia si scorge la figura longilinea e lo sguardo nel vuoto (tanto per cambiare) di un junior più grande di me, che poi sarebbe diventato il mio compagno di avventura insieme ad altri tre ragazzi, il leader degli Arashi, il vecchio bambino strano che adesso gioca nella mia vasca del mio bagno della mia casa.

Poso inconsciamente un indice sulla foto, facendolo scivolare sulle linee del corpo del giovane Satoshi.
Era bello.
Gli occhi grandi di un bambino, che nascondono un’innocenza in qualche modo già strappata via dal mondo degli adulti. Nello sguardo e nel sorriso appena accennato si scorgeva un’anima selvaggia, che non si esauriva nella semplice ribellione adolescenziale, ma era sintomo di libertà, di un menefreghismo sensuale, perché costantemente coperto dal silenzio e dall’espressione sognante.
Ohno Satoshi era bello.

“Ah! Da dove l’hai tirata fuori questa? Che nostalgia!”
Sento il fiato di Satoshi sul collo. Ha finito il suo bagno e senza che lo notassi si è accovacciato vicino a me, bisbigliando al mio orecchio mentre guarda la foto che tengo in mano.

“Non pensavo conservassi queste foto!” – continua, rubandomela dalle mani – “Sei un bambino qui! Che carino che sei…” – dopo qualche secondo in cui guarda il mio viso giovane – “Ah, guarda guarda, ci sono anche io qui dietro!” – conclude sorridendo, accorgendosi di se stesso sullo sfondo, in piedi dietro di me.

Osservo per qualche secondo il suo viso mentre lui è in contemplazione nostalgica della foto.
Ohno Satoshi è bello.
Ancora. Come prima. Come sempre.
Il mio desiderio corre più veloce della mia razionalità, e inconsciamente mi sporgo con l’intenzione di baciare quel viso. Guardare Satoshi mi fa battere il cuore all’impazzata esattamente come quando non avevo neanche 20 anni, così tanto che a volte questo sentimento mi spaventa. Quindi mi blocco, d’un tratto.

“Guarda come sei diventato brutto rispetto a quando eri un junior, Satoshi” – gli dico, contraddicendo i miei pensieri.

Brutto? Ma perché… Non sei per niente gentile” - Gonfia le guance. E sa che difficilmente resisto a quell’espressione. E io so che tra noi sta iniziando la solita battaglia comica tra due scemi.

“Come faccio a mentire di fronte all’evidenza? Sei diventato un nonnino. Guardati, hai anche voglia di andare alle terme. Proprio come i nonnini”.
Un normale uomo di 38 anni si sarebbe offeso dopo le mie parole. Ma Satoshi è un alieno, quindi non c’è da porsi alcun problema.
Ai miei insulti infatti risponde ridendo, sdraiandosi poi sul letto assaporando già il momento in cui si sarebbe addormentato.

“Se sono un nonnino” – mi risponde sistemandosi sotto le lenzuola – “sono un nonnino molto attivo e sexy.”

So che è stanco a seguito dell’ultimo giorno di riprese e sono stanchissimo anch'io a dire la verità. Eppure mi va di provocarlo ancora un po’. La nostra intimità ha scarseggiato nelle ultime settimane e gli unici momenti in cui potevo davvero godere di lui erano limitati ai dietro le quinte al lavoro e qualche rara telefonata. Ho bisogno di sentire la sua voce, di far sentire la mia, di toccarlo, di essere complici.


“Visto che sei così attivo e sexy facciamo l’amore, adesso.” – lo dico fingendo disinteresse, non guardandolo neanche in faccia, come se avessi proposto la cosa più naturale del mondo.

“Kazunari” – nella sua voce sento stanchezza mista a un sentore di sensualità che mi fa rabbrividire – “non ho voglia di fare sesso adesso, ma soprattutto so che non ne hai voglia neanche tu”.

“E chi te lo dice che non ne ho voglia?” - Mi giro finalmente a guardarlo. Satoshi è ormai steso su un fianco rivolto verso di me. Ha gli occhi chiusi, ma le sue labbra piccole e gonfie sono incurvate in un sorriso dolcissimo.

“Perché sei stremato anche tu. Se ne avessi avuto davvero voglia, a quest'ora ti saresti già buttato su di me.”

Non essere così pieno di te, vecchio.”

Ho torto?”

Ha ancora gli occhi chiusi. Ancora quel sorriso sornione stampato in faccia.
Ohno Satoshi è bello.
Come prima. Come sempre.

Uff, quella tua espressione mi fa saltare i nervi.”

Sento una sua risata in risposta, poi noto che il viso inizia a rilassarsi secondo dopo secondo. Probabilmente si sta già addormentando.

“Aspetta! Non addormentarti, nonnino!”

“Che c'è...” - dalla sua voce un po' impastata capisco di averlo ripreso giusto in tempo.

“Domani mattina devo svegliarmi presto per andare in studio.”

“Lo so...”

“Tu invece hai un'esterna soltanto la sera.”

Lo so...”

“Quindi domani resti qui. Io verrò a casa nel primo pomeriggio. Mi aspetti e passiamo il pomeriggio insieme.”
- La mia voce non è perentoria, anche se la mia volontà lo è. E lui lo sa bene.

“Lo so...” - continua, ancora con gli occhi chiusi e la voce lamentosa.

“Satoshi, mi stai prendendo in giro?”

“No, ho capito, ho capito. Domani aspetto qui finchè torni...” -
vedo che sistema meglio sotto le lenzuola, con l'evidente significato di voler troncare questa conversazione.

“Bene. Bravo nonnino” - mi rilasso, una volta assodato questo aspetto.

“...però se mi stanco a star solo vado subito via.”

“Ohi! Satoshi!”

“Sto scherzando, sto scherzando.” -
si affretta a dire, sogghignando.

“Allora domani aspetti che torno, ok?”

“Sì.”

Il sonno si sta ormai impossessando di entrambi, ma io ho bisogno di lui ancora un po’, un po’ di più, prima di scivolare nel sonno con lui.
Per questo motivo, lentamente, mi stendo al suo fianco sotto le lenzuola e incastro il mio viso nell’incavo del suo collo. Non so se inconsapevolmente o perché ancora sveglio, ma Satoshi alza un po’ la testa per lasciare che il mio viso si accomodi meglio.

Da questa posizione, nella quale amo particolarmente mettermi, vengo invaso da una miriade di sensazioni e profumi, tutti suoi: l'odore del (mio) bagnoschiuma con un sentore vago e lontano di sigaretta; il pomo d’adamo che di tanto in tanto si sposta in alto e in basso; i capelli morbidi che mi solleticano; ed infine il suo respiro, quel respiro rilassato e calmo, che mi culla come fosse il più potente anestetizzante al mondo.

Satoshi è bello.
Ho sempre pensato che la sua bellezza non si limiti alla eleganza dei lineamenti, sensualità dei movimenti, gentilezza del sorriso: Satoshi ha sempre avuto un fascino accattivante, un'aura carismatica ma aggraziata, uno strano compromesso tra l'essere docile e l'essere menefreghista.

Mentre accarezzo il suo collo col mio naso, con un ritmo regolare per lasciarmi scivolare nel sonno, improvvisamente mi torna in mente la fotografia riposta nel terzo cassetto, quella dove il giovane Satoshi era dietro di me: quando avevo incontrato per la prima volta quel ragazzo non sapevo chi fosse, chi sarebbe diventato, chi sarei diventato io e cosa saremmo diventati insieme. Sapevo soltanto che, per la prima volta in vita mia, il mio cuore era stato catturato da una forza misteriosa - una frenesia nel voler conoscere tutto di un solo e unico essere umano - mista al terrore di non rivederlo mai più da un giorno all'altro. Era la prima volta che provavo terrore di non rivedere mai più uno sconosciuto. Era la prima volta che mi batteva il cuore sul serio di fronte alla Bellezza.

Ohno Satoshi era bello.
 


1E' il ritornello della canzone intitolata “Butterfly” cantata da Kimura Kaera (2009). Durante il programma degli Arashi “Himitsu no Arashi-chan”, nella puntata andata in onda il 4 febbraio 2010, Ohno ha dichiarato il suo apprezzamento per questo pezzo.

2Terme tradizionali giapponesi

  
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