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Autore: Joy    29/11/2018    2 recensioni
Non appena Silente si chiuse la porta d'ingresso alle spalle, l'intera abitazione venne inghiottita dalla nebbia, ed era così densa che quasi faticava a respirare.
O forse, rifletté rendendo onore al proprio acume, erano altri i motivi per cui gli mancava il fiato.
Albus/Gellert
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Newt Scamander
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOLAMENTE GRIGIA

 

24 Dicembre 1912, Londra.

 

“Sarò a casa per la colazione di domani.” promise la donna, avvolgendosi nell'ampia sciarpa di lana “Hai la mia parola, Theseus.”

“Mamma, è la vigilia di natale.” replicò il ragazzo speranzoso, seguendola sull'uscio.

L'aria era calda in casa e vi aleggiava il profumo della torta alla vaniglia che sua madre stava preparando, rimasta a metà anche quella, come molte altre.

“Non posso, tesoro.” rispose lei con tono dolce e il piede già sullo scalino “Il piccolo d'ippogrifo nascerà a moment-

“Ti prego.”

La donna esitò, poi il suo volto si aprì in un sorriso affettuoso. “Sei diventato grande, Thes.” sussurrò mentre gli depositava un bacio sulla fronte. “Tornerò presto.”

Theseus la osservò rassegnato, mentre si addentrava nella notte gelida, il respiro che si condensava in piccole nuvolette di fronte a lui.

“Tieni d'occhio tuo fratello.” gridò lei dal fondo della via.

Theseus s'impedì di replicare, si strinse nelle spalle e cacciandosi in tasca le mani infreddolite, si affrettò a rientrare in casa; il ciuffo biondo di suo fratello appena visibile attraverso il vetro appannato della finestra.

 

 

Quando rientrò in casa, Newt era ancora là, la fronte appoggiata al vetro e lo sguardo perso nel buio nebbioso.

Si lasciò cadere sulla poltrona di fronte al camino, rinfocolò le braci con un colpo di bacchetta e tentò in modo fallimentare di nascondere il disappunto.

“Staremo bene anche da soli.” commentò puntualmente suo fratello, che negli ultimi due anni era cresciuto tanto in altezza quanto in intuito. “E comunque la capisco: gli ippogrifi sono davvero affascinanti.”

A Theseus sfuggì un sorriso amaro. “Oh certo. Vorrei solo che non lo fossero, sempre.”

Quasi subito si pentì del tono tagliente che aveva usato, ma quando si voltò per decifrarne gli effetti sul volto di suo fratello, si accorse che quello non stava ascoltando affatto: si era alzato e fissava a bocca aperta la strada immersa nell'oscurità, le mani e il naso schiacciati contro il vetro gelido.

“Newt, cos- lo chiamò suo fratello, ma lui non rispose; con un balzo scavalcò la pila di libri e pergamene che giacevano ai suoi piedi e si precipitò fuori.

“Newt!” lo chiamò ancora seguendolo sulla soglia, prima di vederlo sparire dietro l'angolo della via.

Theseus afferrò velocemente la propria bacchetta e dopo aver imprecato contro Merlino e tutti i maghi del Ministero, si smaterializzò.

 

 

La strada era buia e fradicia di nebbia, la luce che fuoriusciva dalla sua bacchetta non era sufficiente a dissiparne la foschia. Theseus scrutò l'oscurità finché i suoi occhi non colsero un lieve movimento: una creatura piccola e scura zampettava attorno ad una sagoma gettata sul terreno.

“Newt!” lo riconobbe precipitandosi al suo fianco.

Il ragazzo aveva gli occhi chiusi, come se dormisse e non li aprì neanche quando suo fratello lo chiamò di nuovo scuotendolo con impeto.

Innerva!” tentò, senza sortire alcun effetto. Si guardò intorno in cerca d'aiuto, con un gesto della mano provò inutilmente a scacciare la bestiola che si era acciambellata sul torace di suo fratello, poi con risolutezza, afferrò il ragazzo per le spalle e si smaterializzò con lui.

 

 

“Coraggio Newt.” sussurrò “Presto arriverà qualcuno ad aiutarci.”

Controllò l'orologio: dodici minuti.

Erano passati solo dodici minuti da quando il loro gufo si era librato in cielo con due messaggi: uno per il suo insegnante di Trasfigurazione e l'altro per sua madre.

Theseus posò la mano sulla fronte calda di suo fratello e sperò che arrivassero entrambi il più velocemente possibile.

Newt si lamentò piano, ma non aprì gli occhi.

Sedici minuti.

Theseus provò, senza riuscirci, a fargli bere un po' d'acqua, poi si lasciò cadere su una sedia vicino al letto.

Diciotto minuti

“Non far- biascicò il ragazzo nel sonno agitato.

Theseus si portò entrambe le mani alla testa.

Venti minuti.

Un improvviso trambusto al piano di sotto lo fece sobbalzare; scattò in piedi, inciampò indecorosamente nella bestiola che vagava curiosa per la stanza e infine rovinò sugli ultimi gradini della scala, ritrovandosi sdraiato sul pavimento ai piedi di un perplesso insegnante di Trasfigurazione.

“Signor Scamander.” lo salutò quello educatamente, dandogli il tempo di ricomporsi.

Ma Theseus non se ne curò, si massaggiò il posteriore dolorante con una mano e con l'altra indicò il soffitto. “È di sopra.” si affrettò a chiarire.

Il professor Silente gli posò la sua sulla spalla e senza aggiungere altro imboccò le scale.

 

 

“Hai fatto bene a chiamarmi, Theseus.” asserì l'insegnate osservando il riverbero luminescente sprigionato dalla propria bacchetta. “È stato incantato.”

“Professore,” iniziò il ragazzo confuso “non c'era nessuno nella via quando sono arrivat-

Ma silente sollevò una mano e lui tacque.

“Non è grave.” aggiunse poi, agitando appena la bacchetta vicino alla tempia del ragazzo “Si sveglierà tra poco.”

“Ma chi?” ritentò Theseus.

“La domanda non è chi” rispose Silente accennando un sorriso saputo “ma perché.”

Theseus rinunciò a capire e si senti improvvisamente molto stanco; la stanza era calda e quieta, Newt sembrava ora riposare tranquillo.

“Sei stato bravo” gli disse Silente posandogli una mano sulla spalla “a prenderti cura di tuo fratello.”

E Theseus giurò di aver visto un'ombra scura attraversare il viso del suo insegnante, ma non ebbe il tempo di chiederne il motivo perché da terra, la piccola creatura che quella sera aveva imposto la propria presenza, tentava invano di arrampicarsi sul letto, trascinando con sé ad ogni caduta, strati di coperte.

“Uno snaso” commentò Silente afferrandolo. “Un amico del signor Newt, senza dubbio.” concluse tenendolo sollevato per scrutarlo meglio. “Non ne vedevo da tempo.”

“Non è nostro.” rispose Theseus stringendosi nelle spalle. “Credo che Newt l'abbia visto dalla finestra e si sia precipitato in strada per prenderlo.”

Silente serrò le labbra e osservò con aria crucciata lo snaso prima di depositarlo sul letto accanto al ragazzo.

“Credo che farò una passeggiata.” dichiarò poi uscendo dalla stanza. “Ho bisogno di rinfrescarmi le idee.”

Theseus lanciò un'ultima occhiata alla sagoma addormentata di suo fratello: aveva una mano affondata nella pelliccia dello snaso e il volto sereno.

Al piano di sotto, il consueto trambusto annunciava che sua madre era rincasata; il ragazzo cercò questa volta di scendere le scale con piedi saldi.

“I suoi ragazzi stanno bene, signora Scamander.” la informò brevemente il professor Silente prima di uscire dalla porta d'ingresso e immergersi nella nebbia.

La donna osservò le spalle dell'insegnante, ed ebbe l'impressione che andasse di fretta. Non lo trattenne, lasciò che la porta si chiudesse dietro di lui e poi strinse forte a sé il maggiore dei suoi figli.

“Mi dispiace tanto, Thes.”sussurrò tra i suoi capelli “Farò di meglio d'ora in poi, te lo prometto.”

 

***

 

Non appena Silente si chiuse la porta d'ingresso alle spalle, l'intera abitazione venne inghiottita dalla nebbia, ed era così densa che quasi faticava a respirare.

O forse, rifletté rendendo onore al proprio acume, erano altri i motivi per cui gli mancava il fiato.

Il sobborgo magico si ergeva immobile, in silenzioso raccoglimento, nemmeno il saltuario frusciare delle ali dei gufi infrangeva la quiete; sembrava avvolto in un'aurea innaturale e nonostante questo Silente lo attraversò d'istinto, quasi ne fosse attratto.

E quando se ne rese conto, si sentì a disagio.

Ma non si fermò.

I suoi piedi, calzati da scarpe lucide, smisero di fare rumore; il battito del cuore invece gli tuonò nelle orecchie.

E lo vide.

Una sagoma bianca, dai contorni sfumati, quasi fosse nebbia anch'essa.

Se ne stava fermo ai margini della via; alla sua destra il ponte che univa il sobborgo magico a quello babbano.

Immobile lì, sul confine tra due mondi.

Albus sorrise, trovando il parallelo molto appropriato e si sentì un po' meno insegnante e molto più ragazzo.

“Immagino che un semplice gufo sarebbe stato troppo scontato per te, non è così?” lo canzonò bonariamente.

Ma il suo sorriso non venne ricambiato.

“Dillo.” sussurrò invece quello, con voce roca.

Albus fece un passo avanti e individuò il punto esatto, sul bavero del proprio cappotto, dove cadeva statico lo sguardo dell'altro.

“Gellert.” disse accontentandolo, e vide un angolo della sua bocca sollevarsi appena.

“Ciao.” gli rispose quello semplicemente.

Albus fece un altro passo avanti; la sua giacca blu notte aveva dei ricami argentati, notò.

“Sai” iniziò poi colloquiale “avrei accettato un tuo invito, dopo tutti questi anni.”

“Adesso menti, Albus?” domandò l'altro sollevando appena un sopracciglio “Sai bene che non è così.”

Albus Silente tacque e Gellert finalmente abbandonò la sua posa statica.

“Sei felice. Proprio ora.” continuò avvicinandosi a lui senza osare toccarlo. “E ti senti in colpa per esserlo.”

Poi all'improvviso gli diede le spalle. “In te Albus, il senso di colpa è più forte della felicità.”

“Potrei risponderti, Gellert, che in te il desiderio di potere è più forte dell'amore.” constatò Silente “Ma a che servirebbe ormai? Sono cose che sappiamo già.”

“Così come sappiamo che l'una non deve necessariamente escludere l'altra” replicò Grindelwald. “In questo momento infatti, desidero fortemente il potere e con la stessa intensità desidero...”

“Me?” domandò Silente con un sorriso triste.

“Sì.”

Albus pensò che rimanere immobili dopo quel sì richiedesse più forza d'animo di quanta fosse disposto a usarne, tergiversò, obbligandosi a cacciare le mani in tasca e abbassò gli occhi.

“Questo si chiama egoismo, Gellert, non amore” lo corresse debolmente. “Sai che non posso stare al tuo fianco mentre realizzi i tuoi piani. Non li condivido.”

“Un tempo lo facevi.” ribatté l'altro inclemente.

“Nella teoria.” chiarì Silente, pur consapevole che perorare la propria causa con forza maggiore non l'avrebbe aiutato a smorzare i propri desideri. “Quando studiavamo il bene superiore in modo accademico, allora sì, ma la sua realizzazione nell'atto pratico, impone un prezzo troppo alto.”

“Questa si chiama codardia, Albus.” gli propinò quello con un sorriso furbo. “Hai le capacità per farlo, ne sposi il significato, ma ti manca il coraggio per attuarlo.”

Silente serrò le labbra davanti alla provocazione.

“Potrei trovare il coraggio per fermare te.” sibilò.

Gellert rise amaramente.

“Mi sei mancato talmente tanto che a volte ho desiderato che tu lo facessi davvero.” confessò, il sorriso disilluso ancora sulle labbra. “Solo per avere l'occasione di rivederti, o..” esitò leggermente “di toccarti. Di nuovo.”

Silente chiuse gli occhi perché sentire la sua voce pronunciare quelle parole e al contempo guardarlo in viso era troppo persino per la sua mente abituata all'autocontrollo.

“Per questo hai coinvolto Newt Scamander?” gli chiese concentrandosi sulla logica, come faceva sempre quando era in difficoltà emotiva. “Per attirarmi qui?”

Quello annuì, costringendolo a riaprire gli occhi, perché non vederlo e non sentirlo era una tortura che non poteva sopportare.

Così Silente lo guardò in viso e non aggiunse altro per non crollare.

Grindelwald invece vacillò.

Silente lo vide spostare di nuovo lo sguardo sul solito punto imprecisato sul bavero del suo cappotto e passarsi il dorso della mano sugli occhi umidi.

C'era qualcosa del ragazzo che era stato, nella sua figura d'adulto, constatò Silente con improvvisa nostalgia, mentre azzerava la distanza che li separava e lì, ai piedi del ponte, gli posava una mano sulla spalla e l'altra sul collo, intimo e moderato.

Gellert invece gli si appoggiò contro quasi non avesse equilibrio proprio.

Il suo corpo era caldo a contrasto con la notte gelida.

“La prossima volta che vorrai vedermi” gli sussurrò Albus contro l'orecchio “chiama Fanny, è addestrata a rispondere al tuo richiamo e mi porterà da te.” concluse posandogli leggero le labbra sulla bocca.

Il suo odore non era cambiato; da ragazzo usava una colonia dolce con un lieve sentore di limone che ad Albus ricordava le torte di sua madre. Non avrebbe mai staccato il naso dalla sua pelle, e Gellert ne rideva, e faceva sempre in modo da usarne a profusione.

Come se fosse necessario.

Come se non fosse già sufficiente l'affinità delle loro menti e la sintonia delle loro anime a tenerlo incollato a lui.

Faticò a lasciarlo, come era sempre sempre stato e lui d'altro canto non l'aiutò, stringendo con forza tra le dita la stoffa del suo cappotto.

“Vieni con me, Albus.” riuscì a dirgli con tono basso e invocante. “La mia mente da sola no-

Silente l'abbracciò di nuovo, questa volta con foga.

“La tua mente non troverà il sollievo che cerca, accanto alla mia.” sussurrò tra i suoi capelli “Insieme abbiamo fatto solo del male.”

“E se fosse solo per stanotte?” tentò l'altro “Solo per la vigilia di Natale. Non l'abbiamo mai trascorsa insieme.”

“Oh Gellert” sospirò Albus mesto “non avrei la forza di lasciarti domani mattina.”

“E allora restiamo qui.” concluse lui risoluto, adagiando la testa comodamente nell'incavo del suo collo. “Ai piedi di questo ponte, nella zona grigia dove siamo sempre stati.”

“E dove non potremo rimanere per sempre.” concluse Albus, le braccia strettamente allacciate al corpo dell'altro.

 

 

FINE.

 

 

  
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