Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: MystOfTheStars    15/07/2009    3 recensioni
Fiction ispirata alla storia di "Prophet of the Last Eclipse" di Luca Turilli.
Kurogane è il giovane principe del regno di Suwa, dove la vita scorre pacifica, adombrata solo da una funesta profezia: un giorno, da oltre le stelle, arriverà qualcuno che porterà morte e distruzione.
Tuttavia, la leggenda nulla dice su chi esso sia, e sul legame che potrebbe instaurarsi tra lui e il principe, destinato a fronteggiare la minaccia.
Genere: Romantico, Science-fiction, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ashura Oh , Altro Personaggio, Fay D. Flourite, Kurogane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I.
DARK COMET’S REIGN





*ascoltatela qui*

And so unexpected came that sad mystic day
no words could have told what now was happening
It fell down quaking the Zephyr's surface
blinding the eyes of a thousand dying men
who were looking at it falling right over them
What seemed to be an astral fireball
was hurling metal, a dark and giant starship
colliding with Zephyr's volcanic grey rocks...
grey rocks!

SPACE AND TIME
BURN IN THE SKIES
DARK COMET'S RIDE
KEEP YOUR FAITH
THE DAY...IT CAME
DARK COMET'S REIGN
DARK COMET'S REIGN!


***

Come principe ereditario, Kurogane Suwa aveva una serie di compiti sia all’interno del palazzo reale che al di fuori, nelle vaste lande del suo regno.
Vista la sua indole scontrosa e selvatica, preferiva decisamente i secondi.

Quel giorno, fortunatamente, apparteneva ad uno di quelli in cui le ronde dei suoi cavalieri pattugliavano i confini del regno, e i suoi doveri lo avrebbero tenuto lontano dalla corte per diverso tempo ancora.
Giorni di cavalcate lungo i versanti boscosi dei monti, di cacce e appostamenti alla selvaggina, e di vento che sollevava il suo lungo mantello mentre lanciava al galoppo il suo destriero scuro.
Nonostante fosse un amante dei combattimenti, e non gli dispiacesse incontrare occasionalmente qualche nomade malintenzionato con cui menare le mani, tutto sembrava pacifico, in quel periodo, e Kurogane si godeva il senso di libertà che quel giro di perlustrazione gli stava regalando.

I suoi uomini, dietro di lui, scherzavano allegramente. Era quasi sera; la strada che percorrevano avrebbe dovuto presto attraversare un passo, per poi portarli in una piccola valle dove era situato un paesino, loro prossima tappa.
Avevano cercato di mantenere un’andatura sostenuta per riuscire a raggiungerlo prima dell’imbrunire, ma sembrava proprio che non ce l’avrebbero fatta.
“Niente da fare, per stanotte dovremo accamparci qui vicino.” Disse a Gantai (*), il suo tenente, con leggero disappunto.
“Oh, poco male, capitano.” rispose lui, ammiccandogli con l’unico occhio che gli rimaneva (la cicatrice sull’altro lato del viso era perennemente coperta da una benda nera)
“Qui sembra tutto tranquillo. Arriveremo domani mattina, freschi e riposati, e faremo una migliore impressione sulla gente del paese.”
Kurogane rispose con un grugnito, ma annuì. E poi, non potevano portare i cavalli di notte lungo quella strada di montagna, o avrebbero rischiato di azzopparli.

Si accamparono distribuendosi in fretta i turni di guardia. Erano una ventina di soldati, abituati a lavorare e viaggiare insieme, e tutto sommato, nonostante gli imprevisti, questi viaggi costituivano per loro una normale e quasi comoda routine.
Kurogane si accomodò nel suo giaciglio. La primavera era ormai avanzata, e nonostante l’aria ancora fredda delle notti di montagna, a lui non dispiaceva dormire all’addiaccio, tutt’altro.
Attorno, i suoi uomini facevano ancora un discreto rumore, sistemandosi per la notte.
Anche se ne apprezzava la compagnia – erano gente in gamba, guerrieri con cui aveva combattuto più di una battaglia e a cui avrebbe affidato la sua stessa vita – rimpiangeva i tempi in cui poteva scappare di nascosto dal castello per filarsela tra i boschi e rimanervi per giorni interi, finché una pattuglia di guardie non veniva a scovarlo, rovinando l’avventura.
I suoi genitori non si erano mai arrabbiati sul serio, ma con il tempo erano riusciti a fargli comprendere che cosa significasse il termine “responsabilità”. Una lunga serie di doveri da non disattendere… soprattutto finché c’erano loro a comandarglielo.
Trattenne un sospiro. Avrebbe soltanto voluto poter cavalcare libero, la sua spada al fianco, inseguendo le sue avventure. Suwa non aveva bisogno di lui…
Attese che tutto nel campo fosse silenzioso, se non per il respiro pesante degli uomini addormentati e per i piccoli movimenti dei soldati di guardia, e poi si addormentò a sua volta.

Quando una forte luce gli attraversò le palpebre, svegliandolo all’improvviso, il suo primo pensiero fu che doveva già essere giorno inoltrato, e che.. accidenti! Come diamine aveva fatto a dormire così a lungo?!
Poi sentì il grido di Gantai accanto a lui, e spalancò gli occhi.
Il cielo bruciava.
Non era un incendio, perché non sentiva caldo… anzi, l’aria era quella gelida ed umida dell’alba.
Ma i suoi occhi erano pieni delle fiamme che vedeva sopra di sé.
Era come se il sole si fosse staccato dalla volta celeste e stesse precipitando su di loro, inesorabile e… sempre più vicino.
Scattò in piedi, mettendo mano alla spada e sguainandola davanti a sé, per poi rendersi conto che era un gesto totalmente inutile.
La sfera di fuoco si ingrandì, e la luce era tale che dovettero tutti distogliere lo sguardo. Pochi istanti dopo, il boato. Un boato immenso, che durò a lungo, terribilmente a lungo.
La terra tremò, e il suono si ripercosse per le valli scuotendo le fondamenta dei monti attorno a loro. L’aria e i detriti gettarono a terra i soldati, storditi dall’esplosione, e dopo la luce accecante, tutto divenne improvvisamente scuro.

Occorse del tempo, prima che Kurogane riuscisse a mettersi in ginocchio. Era ancora troppo rintronato per alzarsi in piedi, e non riusciva ad aprire gli occhi, le palpebre cementate dalla polvere.
Le orecchie rombavano ancora per il boato, e quando tentò di tirarsi su crollò a terra senza nemmeno rendersene conto.
Tuttavia, non gli sembrava di essere ferito, anche se si sentiva troppo confuso per poterne essere sicuro. Cercò a tentoni la spada accanto a lui, senza successo. Imprecò.
Prese la stoffa di un lembo interno della camicia e si pulì gli occhi con rabbia. Faticò ad aprirli, ma dopo un po’ riuscì ad abituarli alla luce. Gli dolevano per via della polvere, e gli occorse del tempo per riuscire a mettere a fuoco quello che gli stava intorno. E quando finalmente poté vedere, non ne fu affatto contento.
I suoi uomini giacevano a terra attorno a lui, storditi ma apparentemente salvi. I cavalli, legati, nitrivano imbizzarriti poco distanti, ma sembravano incolumi anche loro. Fortunatamente, si erano accampati su un colle lì a fianco, e questo li aveva salvati: la strada che percorrevano era franata, i massi che ancora stavano rotolando per il pendio che conduceva al passo, in alto sopra di loro.
Al di là, si levavano nubi di polvere, gettando un cono d’ombra sul pendio dove si trovavano, mentre il sole si innalzava dietro le creste dei monti.
“Ehi, svegliati!” fece avvicinandosi a Gantai, che giaceva ancora semisvenuto a poca distanza da lui.
Questo si mise faticosamente a sedere, sbattendo le palpebre, sconvolto.
“…è…il sole…ha…”
“Tsk. Non era il sole. Quello è ancora lì.”
Gantai si prese la testa tra le mani. “…e che cosa diamine era, allora?”
Kurogane lo lasciò, tornando ad alzarsi in piedi, e posando lo sguardo sugli altri uomini che lo osservavano, neri di sporco e dubbiosi.
“Qualsiasi cosa fosse, è finita in quella valle. E non prevedo niente di buono per il villaggio che dovevamo visitare, maledizione!”
Kurogane strinse i pugni, guardandosi intorno con aria bieca, alla ricerca della sua spada. La trovò ai piedi della collinetta, semisepolta dalla ghiaia.
Imprecando, osservò la strada che avrebbero dovuto percorrere per arrivare al passo. Era improponibile portarci i cavalli. Inoltre, c’era il pericolo che muovendosi avrebbero potuto causare altre frane.
Cercò di ragionare lucidamente, ma la sua mente era ancora offuscata.
“Statemi a sentire – disse alla fine, brusco – i due di voi coi cavalli più veloci torneranno seduta stante a palazzo. Controllate che i cavalli stiano bene, e non perdete un solo attimo lungo la strada.”
Mentre i due in questione si affrettavano verso i loro destrieri, Kurogane soppesò i restanti uomini.
“Dieci di noi andranno lì sopra a vedere che diamine è successo. Gli altri staranno qui ad aspettare. Se per il tramonto non siamo tornati, fate in modo di avvertire la gente qui intorno, e i sovrani.”
Naturalmente, lui faceva parte del gruppo che sarebbe andato in avanscoperta. Nonostante il potenziale pericolo, e il fatto che lui fosse il principe, nessuno osò obiettare. Lo sguardo del loro capitano non ammetteva repliche ai suoi ordini… più che mai in quel momento.

In poco tempo, lui, Gantai e gli altri furono pronti, e cominciarono lentamente ad avventurarsi lungo l’impervia salita.
L’ascesa richiese molto più tempo del previsto, perché dovevano procedere cauti, tentando di attraversare solo zone in cui i massi sembravano abbastanza stabili, e più volte furono costretti a tornare indietro per cambiare percorso. Quando finalmente raggiunsero il passo, il sole era quasi allo zenit.
Lo spettacolo che si parò davanti ai loro occhi era peggiore di un incubo.
La nebbia di detriti si stava diradando, aiutata dal vento che aveva cominciato a soffiare, ma solo per mostrare che la valle stava andando a fuoco: in lontananza, si innalzavano pinnacoli di fumo nero, e le fiamme avvolgevano le campagne che ricoprivano il fondo della vallata.
Poi, a malapena visibile attraverso la cappa di fumo e polveri che stagnava sul fondovalle, c’era qualcosa. Un oggetto che sembrava un enorme masso emerso dal terreno. Nero come la notte, ingoiava i pochi raggi di sole che, penetrando la coltre di fumo e polveri, riuscivano a colpirlo.
“Cosa diavolo è… quello?” fece uno dei soldati.
Kurogane, in tutta risposta, cominciò a scendere, non dopo aver sfiorato significativamente l’elsa della sua arma.

Una volta arrivati a fondovalle, si divisero. Sarebbero andati in cerca dei sopravvissuti, e di qualsiasi indizio che potesse far capire loro che cosa era accaduto.

Il primo lo trovarono Kurogane e Gantai. Era più alto di loro, e nero come l’oggetto che ora avevano perso di vista, tra gli alberi e i saliscendi del fondovalle.
Un masso sottile ed appuntito, conficcato nel suolo come una gigantesca punta di freccia.
I due guerrieri lo osservarono diffidenti. Era perfettamente levigato, liscio in maniera innaturale. Kurogane lo sfiorò pensieroso, prima di lasciarselo alle spalle.
Incontrarono un piccolo fronte di incendio.
Poco oltre, c’erano le macerie di una fattoria. Il tetto, di cui ormai non rimanevano che poche assi consumate dal fuoco, e le mura principali erano sgretolati, mentre su un fianco i mattoni erano squarciati da un secondo pezzo di quello strano metallo, che era penetrato nell’abitazione distruggendola.
L’incendio che doveva essere divampato andava già spegnendosi. Kurogane si rese conto che erano rimasti privi di sensi molto più tempo di quanto lui non avesse calcolato.
Si affrettarono tra le macerie, ma solo per trovarvi alcuni cadaveri carbonizzati. Quando era successo il disastro, dovevano essere ancora addormentati, ed erano stati colti del tutto di sorpresa.
In quello che doveva essere stato un letto matrimoniale, si distinguevano le sagome scure di tre bambini. Kurogane li guardò, gli occhi scuri, pensando che forse, per fortuna, la morte li aveva colti nel sonno.
Avrebbero voluto fermarsi per sotterrare i corpi, ma non c’era tempo.

Proseguirono nella perlustrazione. Si imbatterono in altri detriti, e in altri cadaveri. Incontrarono anche un paio di famiglie di contadini che, miracolosamente scampati all’esplosione, cercavano di allontanarsi dai focolai di incendio ancora brucianti.
Erano terrorizzati, e da loro i due soldati non riuscirono ad ottenere resoconti coerenti di quanto era accaduto. Per tutti, una delle stelle del firmamento si era schiantata nella valle. Esattamente dove una volta sorgeva il villaggio.
Li incoraggiarono a proseguire verso il passo, e ripresero ad avvicinarsi all’oggetto. L’aria era intrisa del tanfo del fumo e della cenere.

Gantai risalì un colle, alla ricerca di un punto per vedere meglio i dintorni, e richiamò Kurogane con un fischio.
“Non ha senso, capitano. Tanto vale tornare indietro.” Gli disse, non appena l’altro l’ebbe raggiunto.
Kurogane strinse i pugni, ma non replicò. Poco avanti a dove si trovavano loro, il bosco che stavano attraversando cessava di colpo, e si apriva un cratere colmo di tronchi di legno carbonizzati, al centro del quale svettava il masso nero. L’immobilità era totale, interrotta qua è la solo dallo spezzarsi dei tronchi degli alberi distrutti dalle fiamme.
“Qualunque cosa ci fosse stata qui, non ce n’è più traccia.”
“…maledizione.” fu il solo commento del principe alle parole del tenente.

Scesero dalla collina in silenzio. Lo spettacolo del cratere, spaventoso e imponente allo stesso tempo, li aveva tenuti incollati sul posto a lungo. Ora, il sole cominciava già ad avviarsi dietro le cime dei monti circostanti.
“…dovremmo tornare indietro.” disse Gantai, semplicemente.
Kurogane annuì, brusco, lo sguardo sempre rivolto in direzione del cratere, anche se non riusciva più a vederlo, nascosto com’era tra gli alberi. Come se stesse dicendo a qualche nemico invisibile di uscire allo scoperto, perché era pronto ad affrontarlo.
Poi, i suoi occhi vennero attirati da qualcosa. Qualcosa di un bianco candido, seminascosto tra i tronchi e le foglie.
Socchiuse le palpebre, cercando di capire se si trattava di una pietra. Ma sembrava decisamente stoffa.
Si avviò con decisione da quella parte, facendosi strada con la lama tra i cespugli del sottobosco.
Si fermò soltanto quando, sparita alla sua vista a causa dei rami, la stoffa non ricomparve sotto i suoi piedi. Dal tessuto bianco e sporco di terriccio spuntava una mano dalle dita lunghe e candide. Kurogane si chinò a spostare alcune grosse felci, fino a scoprire il corpo di un giovane riverso a terra.
Lo voltò lentamente, rivelando un viso coperto di sporco, che a malapena celava il pallore cinereo della pelle.
Gli ripulì la faccia, scostando dalla fronte ciocche di capelli biondi impastati di sangue e polvere, e gli tastò il collo con le dita.
Poteva sentire il sangue pulsare flebilmente, sotto la pelle.
Lo sollevò nella maniera più delicata che la situazione e la sua indole gli consentivano, e tornò verso Gantai, che fece tanto d’occhi quando se lo vede venire incontro trasportando in spalla lo sconosciuto.
“E’ ancora…vivo?” chiese sbirciandone i lineamenti da oltre il fianco del guerriero.
“Sì. Muoviamoci, adesso.” rispose brusco, senza fermarsi.

Marciarono a passo sostenuto, allontanandosi il più velocemente possibile dal cratere.
Kurogane camminava senza mostrare di sentire il peso del corpo che portava, ma dopo un po’ si accorse che lo sconosciuto cominciava a dare segni di vita, dimenandosi leggermente sulla sua spalla.
Si fermarono e lo distesero a terra. Lo osservarono per bene: vestiva uno strano vestito bianco (beh, certamente era stato di un bianco immacolato, prima, ma ora era ricamato di bruciature, strappi e sporco) dagli orli in pelliccia, decorato da motivi azzurri. Una fattura piuttosto strana, per il luogo. Senza contare che i capelli biondi erano una caratteristica inusuale, per gli abitanti di Suwa.
Aveva qualche graffio qua e là, ma non sembrava ferito seriamente.
Gantai prese la sua borraccia d’acqua e ne inumidì un orlo del mantello, tamponandogli le tempie e la fronte. Dopo un po’, il giovane cominciò ad aprire lentamente gli occhi. Kurogane alzò una mano, a fargli un po’ d’ombra sul viso.
Mosse la testa di qua e di là, e finalmente le palpebre si alzarono, a rivelare due grandi iridi turchine.
“Ehi, come stai? Che ti è successo?” fece Gantai immediatamente.
Il ragazzo roteò gli occhi, guardandosi intorno, senza dar segno di aver sentito le sue parole.
Kurogane prese la borraccia del tenente, e la poggiò sulle labbra dell’altro, tenendogli sollevata la testa per farlo bere. Questo dischiuse le labbra, diffidente, ma poi bevve avidamente.
Il principe lo osservò senza dire una parola, e quando l’altro ebbe finito di bere, ripose nel suo zaino la borraccia di Gantai, ormai vuota, e al sottotenente diede la sua, quasi piena.
Mise a sedere il giovane, che era tornato a guardarsi intorno con aria stralunata, e gli tastò le gambe con gesti un po’ rudi. L’altro nemmeno si ritrasse, e non si lasciò sfuggire un singulto di dolore.
“Non hai niente di rotto, quindi puoi camminare.” decretò allora Kurogane, e senza tanti complimenti lo afferrò per le spalle e lo tirò in piedi.
Il biondino barcollò, appoggiandosi a lui per non perdere l’equilibrio. Il principe lo afferrò per un braccio e ripresero la marcia.
Il ragazzo incespicava spesso, quasi non ricordasse esattamente come si faceva a muovere le gambe per camminare, ma andava avanti senza emettere un suono di protesta. Continuava a guardarsi intorno come se tutto quello che stava vivendo fosse un sogno.
Quando finalmente arrivarono in cima al passo, il sole stava ormai tramontando. Sotto di loro, gli altri soldati si erano già raccolti, e all’accampamento si erano aggiunti molti dei contadini sopravvissuti alla catastrofe. Kurogane sospirò, preparandosi alla discesa. Fece per tirarsi appresso lo sconosciuto, ma quello rimase fermo impalato sul posto.
Il guerriero si voltò, innervosito, e vide che lo sguardo dell’altro era fisso sul masso nero, che baluginava in lontananza.
Alcune lacrime avevano cominciato a solcargli le guance, rigandole di sporco.
“La… Cometa Nera…” disse con voce flebile.
Kurogane si accigliò, fissando a sua volta l’oggetto.
Una stella cometa caduta sulla terra… una stella buia.
Dello stesso colore del lutto e della distruzione che aveva portato.
Kurogane lo strattonò di nuovo, con decisione, e questa volta il biondo, volto su di lui uno sguardo perso, cominciò a scendere dietro di lui.

Con l’avanzare del buio e i massi pericolanti, la discesa fu quasi più lenta della salita.
Gantai apriva la strada, davanti a loro, tentando di trovare quella meno insidiosa, ma lo sconosciuto inciampava spesso, aggrappandosi a Kurogane come se ne andasse della sua stessa vita (cosa che, in diversi punti del percorso, non era poi distante dalla realtà).
Quando infine raggiunsero l’accampamento, era notte.
Una notte serena, con le stelle che splendevano serafiche nel cielo limpido, mentre le persone, all’accampamento, lanciavano occhiate diffidenti e colme di terrore alla volta celeste.

Anche il biondo guardava per aria, il cielo stellato che si rifletteva nei suoi occhi chiari.
Gantai lo osservava perplesso, con in mano una scodella di cibo. L’altro non sembrava nemmeno aver udito la sua proposta di mangiare.
“Sembra aver subito un forte shock… non sa nemmeno dire il suo nome.” Commentò a mezza voce con Kurogane, quando quello si avvicinò.
Il guerriero squadrò il ragazzo, che se ne stava seduto a terra a gambe incrociate, il naso all’insù. Gli si piazzò di fronte a braccia conserte, fissandolo diritto negli occhi.
“Allora, come ti chiami?”
Il ragazzo lo degnò di uno sguardo appena, e tornò a guardare le stelle.
“Insomma, devi avercelo un nome!” cominciò a innervosirsi Kurogane. Quel giorno, la sua già scarsa dose di pazienza era stata abbondantemente superata.
“Ehm.. io, Gantai…” intervenne il tenente, battendosi il petto per far capire all’altro che si stava riferendo a se stesso.
“…e lui Kurogane.” proseguì dando un colpo timido sulla spalla del capitano, che gli rivolse un’occhiataccia. Gantai si ritrasse spaventato “Mi perdoni la confidenza!” si scusò mugolando.
La scenetta sembrò attirare l’attenzione del ragazzo, che fissò i suoi occhi sul principe.
“Kuro… Kuropon!” disse alla fine.
Questo gli piantò addosso degli occhi di fuoco. “KUROGANE!!!”
L’altro sembrò pensarci su, come a cercare di collegare il nome che aveva sentito e quello che avrebbe dovuto uscire dalle sue labbra.
“Kurochan!” si decise alla fine.
“KU-RO-GA-NEEEE!” ribadì l’altro in un ruggito, mentre alcuni soldati si voltavano a fissare incuriositi la situazione.
Gantai fece per zittirlo – il giovane sembrava già abbastanza traumatizzato di suo, non era il caso di acuire il problema – ma inaspettatamente al biondino sfuggì una risata.
“Ahahah… Kurotan!” fu la sola risposta in mezzo alle risatine.
Kurogane si allontanò da lui adirato, ma il giovane lo seguì con lo sguardo, un sorriso ancora stampato in volto. Anche una volta che l’ebbe perso di vista, i suoi occhi rimasero fissi sul punto dove era sparito, senza tornare a rivolgersi alle stelle.


*next track: The Age of Mystic Ice*



*= "gantai" vuol dire "benda" in giapponese - Neera (aka Reiko in EFP) docet XD
  
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