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Autore: RikaMizuiro    04/12/2018    1 recensioni
Conosciamo per bene la vita di Bankotsu, temibile assassino leader della squadra dei sette. Si parte dalla prima, si proseguirà con la rinascita. Ma se alla fine dello scontro nel monte Hakurei non rimanesse ucciso che cosa ne sarebbe di lui?
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bankotsu, Jakotsu, Squadra dei Sette
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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INCONTRO

 

 

 

 

Un bambino correva. Stringeva al petto una gallina stecchita, reggendola per le zampe. La testa dell’animale oscillava, alcune piume volavano indietro, marcando così il passaggio del giovane. Arrancava, il fiato mancava, il petto bruciava, ma il piccolo non si fermò nemmeno una volta per riposarsi. Non ne avrebbe certamente avuto il tempo.

La strada principale del villaggio brulicava di gente quel giorno. Alcuni uomini trascinavano con sé buoi, tirandoli con spesse corde, lasciando che i loro campanacci sbatacchiassero ad ogni movimento. Altri uomini conducevano con sé delle pecore, reggendo un bastone e brandendolo per indicare loro la giusta direzione da seguire. Poi c’era chi esponeva le sue merci su alcuni tappeti. Vi erano vasi, armi, armature, spade, elmi e moltissimi oggetti artigianali d’ogni tipo. C’era anche chi li vendeva i tappeti, sbandierandoli lungo la via, chiamando a gran voce la gente, decantandone il pregiato tessuto, la buona resistenza della stoffa, spessa e al contempo morbida. Quelle erano senza dubbio le rare occasioni in cui le donne si permettevano di uscire di casa, portare con sé un cesto e gironzolare, anche per proprio conto, per la strada. I bambini, invece, si divertivano a rincorrersi, a guardare le spade e a giocare a fare la guerra. Invidiavano i loro padri e gli uomini del villaggio. Immaginavano le avventure, le grandi imprese, le conquiste. Si raccontavano i loro sogni, quello di sposarsi e andare in guerra, per proteggere la donna amata, per fare fortuna e uccidere i cattivi.

Il mercato si teneva sempre una volta al mese. Alcune volte, però, si decideva di farlo due volte nell’arco di quei trenta giorni. Questo accadeva soprattutto nei periodi di abbondanza del raccolto. I soldi alle volte scarseggiavano, specialmente in villaggi come quelli, e il baratto era la moneta più utilizzata per comprare. Chi aveva bisogno di farina poteva averla in cambio di uova, chi necessitava di latte ed era versato nell’artigianato poteva offrire in cambio scodelle e recipienti per i viveri. La gente del posto tirava avanti in quel modo. Certo, non era cosa non rara vedere scambiarsi anche delle monete, ma le persone avevano per lo più bisogno di cibo. Solamente chi godeva di condizioni migliori maneggiava il denaro.

Con un gesto rapido, il bambino sterzò su un lato, oltrepassando la gente, sfruttando la sua bassa struttura per infilarsi tra le gambe delle persone, tra le lunghe vesti delle donne e tra i massicci corpi animali. Non si fermò un’istante. Correva, correva e ancora correva, a piedi nudi, gli abiti quasi ridotti a brandelli, gli scuri capelli corvini sciolti nel vento, la polvere che si alzava ad ogni passo, sporcandogli la liscia pelle ambrata.

« Prendete quel bambino! » urlavano alcuni uomini, che si erano messi al suo inseguimento. Il fracasso, tuttavia, era troppo alto, il chiacchiericcio della gente fin troppo calcato e la voce degli inseguitori debole e roca per poter essere ben udita.

Certo, il bambino che correva e gli uomini che urlavano inseguendolo attiravano la loro attenzione. Non era uno spettacolo insolito quello, ma sapeva sempre farsi guardare. Alcune donne proteggevano i loro figli, mettendoli di lato, alcuni uomini imprecavano contro il bambino - “dannati ladruncoli”, dicevano scuotendo con disprezzo il capo” - e alcuni anziani osservavano in silenzio, con una scintilla di compassione per quella, a loro parere, fragile creatura.

« Fermati subito, maledetto ragazzino! » gridò l’inseguitore più anziano e nel farlo agito il bastone in aria.

« Largo, fate largo » gridavano gli altri uomini, senza premurarsi di essere troppo cordiali nel farsi strada. Ed ecco che spingevano malamente alcune donne, spostavano con furia diversi uomini. Sgomitavano malamente tra la folla, colpendo chi capitava loro a tiro.

Il bambino, però, con uno svelto scatto, si infilò in una stretta stradina laterale. L’uomo anziano, che capeggiava il gruppo di inseguitori, notò la sterzata.

« Da quella parte! » gridò e con il bracciò indicò ai suoi uomini la direzione da prendere.

Egli, però, aveva i riflessi arrugginiti e, nel tentativo di andare dietro alla piccola canaglia, piegò male su un lato, cadendo proprio sopra una bancarella di frutta e verdura. Il ragazzino ascoltò trionfante il rombo prodotto da quell’incidente e curvò le labbra in un sorrisetto sornione.

« Ben ti sta! » disse. 

Credendo di essere finalmente al sicuro, il bambino si decise a fermarsi poco più in là, ove la terra polverosa del villaggio aveva lasciato posto all’erba alta e verde di quella stagione primaverile.

La radura correva vuota per alcuni metri, lasciando spazio ai fiori e al manto erboso, che s’alzava e s’abbassava a seconda dei punti. Più in fondo, invece, cominciava il bosco.

Il bambino si sedette sull’erba, posò alla sua sinistra la gallina morta e cominciò a sbattersi la polvere dai vestiti e dai capelli, alla rinfusa. Tirò su con il naso. Sentiva il pulviscolo della terra fin dentro la gola. Cercò di liberarsene tossendo, ma a quanto pareva la polvere aveva trovano buon alloggio all’interno della sua trachea e dei suoi polmoni. 

« Che schifo! Tutta colpa di quei dannati » maledì il bambino. Poi il suo sguardo saettò sulla gallina.

La raccolse, stringendola per il collo. Sentì la frattura dell’osso, la tastò tra i polpastrelli, premendo con le dita, ghignando divertito. A quanto pareva, la cosa non lo impressionava affatto, anzi, sembrava infondergli pura ilarità.

« Qualche volta dovrei provare a prenderne una viva » biascicò tra sé e sé, mentre era impegnato a spennare l’animale. « Sono sicuro di riuscirci anch’io… » continuò, alludendo alla frattura del collo.

Quando l’animale fu completamente spennato, il ragazzino si sollevò in piedi, si pulì dalle piume e si caricò in spalla l’animale. Camminò per qualche metro, osservando il cielo macchiato dalle nuvole color arancio del tramonto. Sbadigliò, perché la stanchezza cominciava a farsi sentire e lui, che non aveva chiuso occhio per tutta la notte, aveva un gran bisogno di dormire. L’idea di tornare al villaggio, però, non gli solleticò minimamente la fantasia. Decise di trovare riposo poco più in là, vicino ad un albero.

S’addormentò subito, non appena poggiò la testa sull’erba. La gallina giaceva accanto a lui e lui, in un gesto di maniacale protezione, ancora la stringeva con la mano, quasi avesse paura che qualcuno gliela portasse via. Non l’avrebbe permesso. Quella era la sua gallina, il suo bottino, che si era guadagnato con le proprie mani, sfidando gli uomini del villaggio, quegli uomini grandi e grossi, quegli uomini forti, quegli uomini, tuttavia, così stolti. Il ragazzino non aveva alcuna intenzione di smettere. Quella non era certo la prima volta che rubava e non sarebbe certamente stata l’ultima.

Era rimasto orfano quando era ancora in fasce. Preso ed accudito dalla comunità del villaggio. I suoi genitori erano stati uccisi dai demoni e nessuno era riuscito a dargli una guida. Il piccolo crebbe seguendo le proprie idee di vita, i propri principi e le proprie insane convinzioni. Egli, però, credeva fermamente in quegli ideali. Cominciò a rubare quando aveva cinque anni. Considerava il furto una sorta di sfida. Voleva provare, voleva provarsi, vedere fin dove era in grado di arrivare, di spingersi. Per lui rubare era una specie di allenamento. Si convinse, in qualche modo, che la forza era la cosa più importante e che si sarebbe allenato in ogni modo, anche rubando.

Si sentì scuotere. Grandi mani l’avevano afferrato per le spalle, tirandolo su. Il bambino spalancò gli occhi, mantenne salda la presa sulla gallina, strinse maggiormente la mano, digrignò i denti. Il suolo sotto i suoi piedi si fece via via più lontano. Era stato sollevano per il colletto. L’avevano trovato.

« Pensavi di averla fatta franca, dannato moccioso? » gridò uno degli uomini che lo stava inseguendo quel pomeriggio. « Stolto! »

« Sei soltanto un povero illuso! » gridò l’uomo più anziano e, nel farlo, colpì il bambino in pieno volto.

Il colpo fu così pesante che il ragazzino finì in terra, urtando malamente il suono. Un lieve gemito di dolore fuoriuscì dalle sue labbra. Un agglomerato di dolore e calore si concentrò sotto il suo occhio sinistro. Sentì qualcosa di denso scivolare verso il mento, così portò istintivamente la mano sul viso. Si asciugò. Era sangue.

« Maledetti bastardi » ringhiò di rabbia, osservando con sguardo carico d’odio gli uomini che lo attorniavano. 

« Adesso saremmo noi i bastardi, sudicio marmocchio? » replicò con ira l’uomo anziano. « Te la sei cercata. Non fai altro che rubare! Sei un’inutile canaglia! Pensi davvero di svignartela ogni volta? Non sei altro che un moccioso! »

Il bambino questa volta prese a sghignazzare. L’espressione d’odio mutò in un lampo e sul suo volto comparve la beffarda maschera dello scherno. Si tirò su in piedi, la gallina ancora stretta nella destra. Posò le iridi color zaffiro sugli uomini, sostenendo il loro sguardo. Poi proferì parola.

« Eppure per inseguire questo moccioso ti sei servito di molti uomini, dannato vecchiaccio! » constatò il bambino, incrociando le braccia al petto. La gallina sbatacchiò sul suo fianco. « A quanto pare, non siete in grado nemmeno di tenere testa ad una canaglia! » concluse. Poi sollevò il braccio, fece roteare la gallina in aria e la lanciò sul volto dell’uomo, colpendolo in pieno.

« Maledetto bastardo! » gridò l’anziano, ma il bambino già aveva ripreso la fuga.

Il ragazzino corse più forte che poté. Era certo che quegli uomini l’avrebbero raggiunto in fretta e che gli avrebbero senza dubbio dato una bella lezione, ma arrendersi non era certamente nel suo stile. Avrebbe lottato fino all’ultimo, con le unghie e con i denti, seguendo l’istinto anziché la ragione. Non voleva avere rimpianti di alcun tipo.

In un attimo e senza nemmeno accorgersene, il bambino si ritrovò a calpestare il suolo del villaggio. Era buio, notte fonda. Ormai le bancarelle erano state smontate, non un anima viva si riusciva a vedere. Tutto era spento, calato nella penombra dell’oblio. Morfeo aveva aperto le braccia, aveva avvolto il villaggio, e allora in chi poteva sperare quel giovane ragazzino, mentre correva? Lì, solo nella notte, solo nel buio quasi totale, con i soli pallidi riflessi della luna a mostrargli il cammino. Se si fosse fermato un attimo ad ascoltare, però, avrebbe certamente udito il sospiro addormentato del vento, che scuoteva appena la paglia dei tetti e le foglie dei bassi arbusti.

Svoltò un angolo, poi un altro e un altro ancora. Ormai si era ritrovato a ripercorrere le stesse stradine più volte, forse perché non sapeva dove andare o forse semplicemente perché quelle erano le uniche che la luna riusciva a bagnare con la sua scarsa luce.

Alla fine, si infilò in un pagliericcio, ammassato alla rinfusa accanto ad un fienile. Probabilmente quest’ultimo rabboccava e non aveva più spazio per contenere la paglia lasciata all’aperto.

« Vieni fuori, dannato ragazzino! »

Le urla degli uomini del villaggio perpetuarono per diversi minuti. Il bambino strinse i denti per la rabbia. Gli faceva male la caviglia. Forse, durante la corsa, aveva messo male il piede e ora gli doleva. Eccome se gli doleva! Si nauseò all’idea di dover rimanere lì, nascosto come un coniglio che teme d’esser stanato, ma purtroppo altre opzioni di salvataggio non ne aveva.

Gli uomini fecero gran baccano quando si trovarono a passare proprio dinnanzi al pagliericcio. Il bambino portò le mani alla bocca, la tappò, per segregare quei pochi respiri che si era concesso dentro al suo petto. Il respiro trattenuto, i muscoli immobili, gli occhi ben attenti a scrutare anche il minimo movimento. Poi le urla si allontanarono.

Rimase in quel pagliericcio per diverso tempo. A lui parve infinito. Poi, qualcosa attirò la sua attenzione. O, meglio, qualcuno. Due mani stavano spostando la paglia, due mani che non erano le sue, due mani che l’avrebbero portato allo scoperto. Lo avrebbero riempito di botte! Massacrato, preso a pugni.

“Non mi avranno!” Si limitò a pensare il bambino e, con un abile scatto, spinse lo sconosciuto con tutta la forza che aveva in corpo. E di forza, nonostante i suoi sette anni, ne aveva eccome. Tuttavia, egli era ben consapevole delle sue abilità. La persona che aveva appena colpito era senz’altro caduta. E allora non poteva essere certamente uno di quegli uomini. Non ce l'avrebbe mai fatta a stenderli con la sola forza delle braccia. Anzi, non ce l’avrebbe fatta con niente.

Il bambino si voltò ad osservare il povero malcapitato, che ora se ne stava sdraiato a terra, a massaggiarsi a schiena e gemendo appena per il dolore, Evidentemente, l’urto con il suolo non era stato dei migliori.

« Ahi ahi… » mugugnò lo sconosciuto.

« Si può sapere chi diavolo sei?! » ringhiò il bambino, stringendo i pugni. Si portò, poi, avanti di qualche passo. Le iridi color zaffiro si sgranarono appena per lo sconcerto. Era solo una ragazzina. Ma che ci faceva una ragazzina in giro di notte?

« Scusa tanto » bofonchiò quella, gonfiando appena le guance. Lo osservò per qualche istante, restando in silenzio, poi sollevò un sopracciglio. Tossicchiò. « Non mi aiuti a rialzarmi? In fondo, sei stato tu a farmi cadere! »

Il bambino sbuffò. Quella ragazzina stava parlando un po’ troppo ad alta voce. Rischiava di attirare gli uomini del villaggio.

« Vedi di tacere! Quelli mi stanno inseguendo » cominciò. Poi i passi si fecero sentire. Gli uomini stavano ritornando. « Dannazione! »

« Ehi ». La ragazzina, si sollevò in piedi di scatto. Incrociò lo sguardo di lui, gli sorrise e gli ammiccò complice. Poi le sue dita si intrecciarono in quelle del bambino, tirandolo a sé, invitandolo a seguirla. « Da questa parte! »

La ragazzina lo condusse all’interno del fienile. Una volta chiusi dentro, sporse il naso nello spiraglio che si era lasciata e controllò. Finché gli uomini del villaggio non se ne andarono, i due rimasero immobili: lei di guardia contro la porta del fienile e lui seduto sulla paglia, appoggiato alla parete in legno.

« Se ne sono andati » fece lei all’improvviso. « Che c’è? Non mi ringrazi? Guarda che ti ho salvato la vita! » 

Nonostante le sue parole di rimprovero, la ragazzina aveva dipinto sul volto un dolce sorriso divertito.

Il bambino, dal canto suo, incrociò le braccia al petto. Mai e poi mai avrebbe parlato, tanto meno ringraziato una femmina. La ragazzina si accorse dell’eccessivo orgoglio del bambino, così gli si avvicinò. Poi si inginocchio davanti a lui. Era più alta di quasi due spanne.

Ella portò le mani sulle labbra e osservò per bene chi aveva davanti.

« Sai, ora che ti guardo bene, devo dire che sei proprio carino » constatò, chinandosi appena per meglio guardare.

Lui ricambiò di sbieco l’occhiata, quasi come se il complimento avesse attirato, almeno in parte, la sua attenzione.

« Tsz » sbuffò il bambino, con acido tono. « Guarda che io me la stavo cavando benissimo da solo! Tu non mi hai affatto salvato! » replicò e il suo volto assunse una sincera espressione irritata.

La ragazzina, però, non fece una piega e si limitò ad accostare maggiormente il viso a quello del bambino.

« Sei carino anche quando ti arrabbi, non c’è che dire! » appurò.

« Si può sapere che problemi hai? » sbottò il bambino, scattando in piedi. Tuttavia, il dolore alla caviglia lo fece barcollare in avanti. La ragazzina, però, fu lesta e lo resse.

« Ma tu sei ferito! » disse, con preoccupazione. « Hai pure un livido in faccia! »

« No… non lo sono » mentì, ma il bambino strinse i denti nel dirlo.

« Ma si che lo sei » ribatté lei. « Aspettami qui. Vado a prendere delle bende ».

Senza nemmeno ottenere risposta, la ragazzina scappò fuori, lasciando il bambino completamente basito. Senza nemmeno porsi domande, però, egli si trascinò sulla paglia e si sdraiò in attesa. Tuttavia, non dovette aspettare molto prima che la ragazzina tornasse con l’occorrente.

« Per fortuna ne era rimasta un po’ » disse lei, alludendo alla benda.

La ragazzina cominciò a fasciare la caviglia del bambino, senza che questi opponesse alcuna resistenza. Forse il dolore aveva vinto l’orgoglio.

« Allora » disse d’un tratto lei, rompendo il silenzio. « Come ti chiami? Io sono Jakotsu » disse sorridendo.

« Bankotsu » tagliò corto lui, appoggiando il viso sulla mano. Si sentiva quasi in imbarazzo. Per la prima volta nella sua vita.

« Accidenti! Abbiamo proprio nomi simili noi due! » ridacchiò Jakotsu, facendo un nodo alla benda. « Deve essere proprio un segno del destino. Tu che dici? »

« Dico che sei fuori di testa » blaterò a bassa voce Bankotsu. Gli era passata la collera, ma non poteva certo mostrarsi calmo e gentile. Specialmente con una perfetta sconosciuta. « Ma perché mi aiuti? Si può chi sei? »

Jakotsu non disse nulla. Si limitò a sorridergli.

« Certo che sei piccolino » appurò e Bankotsu riprese ad irritarsi. « Però mi piaci lo stesso. Mi sei sempre piaciuto. Forse non ti sei mai accorto di me, ma io ti ho sempre guardato ».

« Cosa…? Ma che dici? » Bankotsu avvampò appena. Si ritrasse leggermente. Forse perché, ora, quella ragazzina stava cominciando a stuzzicarlo. O forse era semplicemente la stanchezza, che gli faceva sembrare quel viso, così sottile e aggraziato, quasi bello.

« Tu te ne vai sempre in giro a rubare. Ti sei fatto una fama » spiegò, afferrandogli le mani. « Sei temerario e ti ammiro. Mi dispiace che mio padre oggi di abbia inseguito! »

Ecco. L’incanto si ruppe. Se stava cominciando a fidarsi di lei, ora Bankotsu si infastidì nuovamente, rinchiudendosi nuovamente nel proprio guscio.

« COSA? » sbottò Bankotsu, ritraendo con stizza le mani. « Vuoi dire che quel vecchiaccio è tuo padre?! » 

Lei annuì. Bankotsu, allora, tentò di rimettersi in piedi.

« Ehi, che fai? » si allarmò Jakotsu.

« Me ne vado! » rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. « Se quello che dici è vero, allora vuol dire che lui vive qui! » Asserì risoluto. « Mi farebbe a fette se mi scoprisse qui dentro! »

Bankotsu avanzò zoppicando verso l’uscio, senza nemmeno voltarsi indietro. Nonostante il lancinante dolore alla caviglia, il bambino riuscì a mascherare l’espressione di sofferenza senza troppi sforzi. Non aveva voglia di mostrarsi debole, specialmente dinnanzi ad una femmina. 

Specialmente davanti a lei, che si era dichiarata una sorta di sua ammiratrice. Che figura ci avrebbe fatto?

Un passo. Il dolore aumentò. Un altro passo. Spasimo incontrollabile. Un altro. Supplizio indescrivibile. Giunto all’uscita, Bankotsu si resse, con disinvoltura, allo stipite della porta.

« Grazie » biasciò a bassa voce. Non era nemmeno sicuro di essere stato udito da quella ragazzina. Tuttavia, non se ne appurò.

Afferrò con entrambe le mani il legno della porta, esercitò forza, ma non riuscì ad aprirla. Le sue braccia si erano bloccate. No, qualcuno gliele aveva bloccate. Si voltò. Jakotsu.

« Che c’è? » chiese Bankotsu, con eccessiva freddezza.

« Non andartene » rispose Jakotsu e, nel dirlo, arrossì leggermente.

« Ti ho già detto che non ho alcuna intenzione di essere beccato da tuo pa… » cominciò il bambino.

« Non lo farà! » lo interruppe Jakotsu, stringendo maggiormente il braccio destro di Bankotsu. Questo sollevò un sopracciglio, come a richiedere maggior spiegazione. « Vedi, anche io sto qui per questa notte… » Jakotsu ridacchiò con imbarazzo e andò ad intrecciare le dita tra i lisci e lunghi capelli castani, che ricadevano morbidamente sul suo kimono rosa chiaro.

« In punizione? » ripeté retoricamente il bambino. « Tsz, un tipo del genere non conosce ritegno » disse, con sfogo, senza curarsi di aver offeso i sentimenti di Jakotsu. Dopotutto, era pur sempre di suo padre che stava parlando.

Lei, però, non si curò affatto di quelle parole. Si limitò a sollevare le spalle e ad annuire, in segno d’assenso.

« Già » disse. « Non lo sopporto affatto. Lui, sembra vergognarsi di me. Pensa, mi picchia spacco e volentieri! » disse e un’espressione di puro disprezzo comparve sul suo volto. 

Bankotsu sgranò appena gli occhi e, senza nemmeno riuscirsi a spiegare il perché, la faccenda cominciò ad incuriosirlo. Possibile che Jakotsu gli sorridesse, a lui, che era un ladruncolo, e parlasse di suo padre con una faccia carica d’odio come quella?

« Picchiato? » chiese ancora Bankotsu, sempre più nauseato. Non riusciva a credere che un uomo di quell’età potesse alzare le mani su di un bambino, come aveva fatto con lui, figurarsi su di una bambina che gli veniva pure figlia!

Jakotsu scoprì il braccio sinistro, fino all’altezza della spalla e mostrò alcuni lividi violacei, tumefazioni che, però, parevano aver urtato più la sua anima che la sua carne. Bankotsu sentì una stretta nello stomaco a quella vista. Allungò le mani, afferrò un lembo della manica e la tirò giù lentamente. Poi lasciò scivolare la mano in quella di Jakotsu. La strinse e  quel gesto bastò più di una parola di conforto. Jakotsu tornò a sorridere e ricambiò la stretta.

« Sai… i tuoi occhi sono davvero bellissimi! » disse allegramente.

« C-cosa? » Bankotsu ritrasse la mano con imbarazzo. « Certo che sei parecchio strana tu! »

« Strana, dici? » chiese Jakotsu con innocenza.

« Già! Proprio così!! » asserì Bankotsu, rosso in viso.

Ora il disagio era palpabile. Jakotsu socchiuse le labbra, forse stava per parlare, per dire qualcosa, ma il bambino la interruppe. Non se n’era nemmeno accorto.

« Comunque va bene! » tagliò corto. « Rimango qui! Contenta? »

Bankotsu avanzò zoppicando verso la paglia e lì si distese. Si addormentò subito. Jakotsu gli si avvicinò, si sedette al suo fianco e lo osservò dolcemente. Allungò le dita verso i capelli corvini di lui, quel lisci ciuffi scombinati sulla sua fronte. 

« Contenta, dici…? » bisbigliò.

Continuò ad accarezzargli la fronte. L’espressione sul volto di Bankotsu si distese. Ora si sentiva tranquillo. La tensione era sparita.

 

 

 

 

Note dell’autrice:

È da un bel po’ di tempo che questa storia mi frulla in testa e mi chiede di essere scritta. Non so perché non l’ho mai fatto prima… forse per paura. Comunque, spero davvero che possa piacervi! Ditemi pure cosa ne pensate e se vi ha incuriositi almeno un po’ ^^ 

Questa è la mia prima fan fiction. Solitamente non amo scrivere di personaggi già creati, perché ho paura di storpiarli, ma Bankotsu è un personaggio che mi piace davvero molto (il mio preferito di InuYasha) e non ho saputo resistere. Senza contare che su di lui si sa proprio poco *sigh*

Spero di aver mantenuto integra, almeno in parte, la sua psicologia!

Alla prossima con il secondo capitolo!

   
 
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