Prologo
Il
corridoio era
incredibilmente silenzioso quella sera. Nessuno sembrava essere tanto
coraggioso da addentrarsi tra quei corridoi oscuri, in quella notte
gelida di
fine dicembre. Soltanto due giovani parevano sfidare il freddo pungente
e la
terribile sensazione che quella serata non sarebbe andata a concludersi
nel
migliore dei modi.
Una fanciulla, dai lunghi
capelli ricci corvino e dalle labbra incredibilmente seducenti, seguiva
il ragazzo di fronte a sé, il quale, con la sua andatura
elegante e le sue movenze
feline, faceva sfoggio di tutto il suo rango nobiliare e la sua purezza
di
sangue.
La ragazza affrettò il
passo lungo la strada deserta del quarto piano, non curandosi
minimamente se esso potesse apparire troppo pesante in quel silenzio
tombale. Nessuno
doveva sapere dove stavano andando, e comunque a quell’ora,
tutti gli studenti
e gli insegnanti già dormivano da un po’, anche se
non poteva esserne certa. La
giovane si accorse che si stavano dirigendo, attraverso varie
scorciatoie, che
solo il suo Slytherin sembrava
conoscere, verso il bagno ormai tristemente noto per la morte di una
sua
compagna di corso. Lei più volte si era poste parecchie
domande su come lui
potesse essere a conoscenza di queste strade, o di quel dannato bagno,
durante
il lungo tempo trascorso insieme, eppure non osava rivolgergliele,
forse perché
temeva molto di più le risposte.
Con il fiato corto e il cuore
in gola, la ragazza arrivò alla punta estrema del passaggio,
nel punto in cui
la strada portava a quel maledetto bagno. Il tempo sembrava sospeso. Si
voltò,
come se stesse immaginando di venire seguita da qualcuno che li avrebbe
scoperti immantinente e rispediti nelle loro rispettive case e dalle
loro
famiglie. Certo… se solo lei ce l’avesse avuta una
casa o una famiglia.
Dal bagno fatiscente sempre traboccante di acqua, chissà poi
perché, arrivava una luce fioca dalla finestra che vi era
all’interno. La porta era rimasta
aperta dopo il loro ingresso, come se il giovane avesse voluto
lasciarsi una
via di fuga. Impossibile, pensò Cassandra, così
si fece coraggio ed entrò insieme a lui.
Lo vide girato di spalle,
lo sguardo fisso innanzi a sé, senza che mai si fosse
voltato verso di lei una
sola volta.
«Allora, di cosa volevi
parlarmi?» domandò Cassandra gioviale, non
aspettandosi minimamente quello che
lui, da lì a poco, avrebbe provocato nel suo cuore.
«Mi dispiace per tutto
questo mistero Cassandra» rispose lui, la voce fioca.
«Pensavo che un po’
d’intimità sarebbe stata la situazione
più ideale per…» Egli lasciò
la frase in
sospeso, la voce improvvisamente arrochita da qualcosa che lei ancora
non
riusciva a percepire o a immaginare chiaramente.
«Non… non preoccuparti,
anzi anche io vorrei parlarti» concluse lei, la
felicità che traboccava dai
suoi occhi color ghiaccio e dalla sua voce suadente. «La casa
famiglia che mi
ospita ha deciso di dare una festa. So che è
un’assurdità per te, insomma tu
hai la tua famiglia e non oso immaginare che festa suntuosissima darete
nel
vostro maniero.»
La voce le morì in gola. Il ragazzo si era appena voltato
verso di lei, un’espressione vuota sul viso e sotto i suoi
occhi torreggiavano
delle occhiaie da terrorizzarla. Immediatamente Cassandra
capì che doveva
essere successo qualcosa di orribile. Non l’aveva mai visto
così provato, lui aveva sempre portato un aspetto
impeccabile. Forse
la sua famiglia si era ancora una volta ostinata affinché
lui la lasciasse,
perché ritenevano che per il loro rampollo lei non fosse
abbastanza. Forse,
pensò, gli avevano imposto di scegliere una purosangue come
lui.
«Che ti succede, stai
male?» gli chiese premurosa, avvicinandosi a lui e toccandolo
sul viso.
La sua
altezza la superava di due spanne, il suo dolce e sottile mento
sfiorava il
petto di lui. Egli la scostò bruscamente, urlando: non
toccarmi! Cassandra
restò stupefatta e ferita. Nonostante i suoi amici
l’avessero avvertita più
volte di stare lontana da lui e dai suoi degni
compari di brigata, come li definivano sempre, mai aveva dato
loro ascolto,
perché lui l’aveva sempre trattata come una
principessa. Ora non lo
riconosceva più.
«Che significa questo?»
gli domandò Cassandra, ormai priva
dell’inflessione dolce della voce che
l’aveva accompagnata innanzi tempo. Egli la guardò
fisso, ma sembrava non
essere nemmeno lì, mentre prendeva voce, e forse coraggio,
per dire le ultime parole
che avrebbero concluso e mandato in pezzi la loro storia.
«Io penso… penso che non
sia giusto per me continuare… questa storia.» Il
ragazzo balbettava, si
sfregava le mani nervoso e sembrava logorato da una bestia che lo stava
divorando lentamente da dentro. Al momento, però,
l’unico rumore che Cassandra
riusciva a sentire, era il suo cuore che andava in frantumi.
«Ma… ma che significa
questo? Che stai dicendo» gli chiese tremolante Cassandra. La
sua vista
iniziava ad appannarsi, a causa dell’uscita delle prime
lacrime. Egli distolse
lo sguardo e lo spostò verso la finestra, per non dover
guardarla soffrire.
«Vedi, Cassandra, io… ho
dei doveri verso la mia famiglia, dei doveri che non mi consentono
più di
ignorarli.» Si passò una mano tra i capelli color
biondo chiarissimo, per poi
riprendere: «io sono stato… bene, è
stato… div…divertente, ma adesso non posso
più ignorare i miei obblighi.»
La giovane era inerme, lo
guardava tra le lacrime, non riconosceva più il
dolce ragazzo che l’aveva
amata per tutti questi anni, per tutti i loro anni di adolescenza.
«Ma… io… non
ti ho mai chiesto nulla…» Il ragazzo si era
voltato di nuovo, come se non ne
potesse più di stare lì con lei, e più
delle sue parole, fu proprio questo
gesto a ferirla.
«Non so come dirtelo, non
ti voglio più, è stato un modo come un altro per
passare il tempo, per… parlare
di qualcosa con i miei amici» sbottò il biondo,
ormai incapace di reggere la
situazione e facendo dei passi indietro come un animale in trappola.
«Te ne
devi fare una ragione Cassandra.»
«Guardami» sussurrò
Cassandra spaventata, con il respiro pesante. Il giovane non pareva
ascoltarla, abbassava lo sguardo e
sembrava non riuscire più a reggere il loro
confronto.
«Ho detto guardami!!!!»
urlò lei esasperata e piangente, facendo esplodere tre
gabinetti del bagno. I
detriti si sparsero qua e là, intorno a loro. Il giovane
tentò di ripararsi
inutilmente e così uscì di corsa dal bagno verso
il corridoio.
«Dove stai andando? Tu non puoi
sganciarmi questa bomba e poi andartene, dopo tutti gli anni che
abbiamo
passato insieme.» Lo rincorse svelta, incurante del fatto che
potessero
sentirli o scoprirli fuori dal letto, in un ormai eccessivo
coprifuoco.
Egli si
voltò, e la prima cosa che lei vide fu il suo ghigno, il suo
marchio di
fabbrica, il marchio degli Slytherin, ma soprattutto dei Malfoy. E
così si
preparò. Era in arrivo il veleno.
La ragazza si scostò come
scottata dalle sue parole e quando vide che il suo ragazzo si stava
voltando per
andarsene, lei gli corse dietro. «Abraxas» lo
chiamò, lentamente, disperata. «Io voglio che la
mia vita
sia insieme a te» continuò Cassandra, il pianto
nella sua voce.
Abraxas ritirò
il suo ghigno e la guardò intensamente, come era solito fare
in tante
occasioni, quando sembrava volerla leggere dentro,
nell’anima.
Le sue
parole sortirono l’effetto sperato dal ragazzo, la fecero
indietreggiare e
lesse sorpresa e delusione nei suoi splendidi occhi, quegli occhi che
ormai
l’avevano irretito da tempo e dai quali non sarebbe stato per
niente facile
allontanarsi. «Sei stato un piacevole passatempo, molto
piacevole» ghignò Abraxas,
riferendosi alle molte notti passate insieme a fondere le loro anime e
i loro
corpi.
Cassandra lo guardò
disgustata e Abraxas avvertì un dolore al petto. Vedere
trasparire dai suoi occhi quello sguardo, lo ferì
più di ogni altra cosa al mondo. Egli si voltò
immediatamente e fece per andarsene
via, quando fu raggiunto dalle sue parole: «Sei un codardo,
un vile bastardo,
avrei dovuto dare ascolto ai miei amici quando mi mettevano in guardia
da te,
ti odio, non ti perdonerò mai. Mi hai sentito?»
urlò disperata, piangendo e accasciandosi a terra.
Abraxas,
nonostante la
disperazione che avvertiva da Cassandra, non si fermò,
continuò a camminare, la
determinazione nei suoi passi eleganti. A chiunque sarebbe sembrato un
vile
senza cuore, ma nessuno era abbastanza vicino da notare una lacrima
solitaria,
scendere dai suoi occhi. Si morse il labbro con gesto febbrile.
Serpenti
velenosi, ecco cos’erano quelli della loro famiglia, della
loro Casa. Avevano
da sempre tentato di allontanarlo da lei in ogni modo, ma nessuno
c’era mai
riuscito finora, perché troppo forte era il sentimento che
li legavano, fin da
quando erano bambini. Tutti si erano chiesti che cosa ci trovava in
lei. Ovvio,
i suoi compagni lo comprendevano, a detta loro profondamente, dicevano
che era
normale, vista l'avvenenza incredibile di quella ragazza. Ella pur non
essendo stata Slytherin, e questo restava ancora impensabile per loro,
si faceva notare, altroché se si faceva notare, con quei
lineamenti raffinati e aggraziati, quell'incarnato color latte. Solo le
Slytherin potevano essere degne, perché erano purosangue,
affermavano i suoi amici, e per il loro alto lignaggio, ma soprattutto
il loro portamento e lo stile. Lei lo aveva spiazzato, era quanto di
più affascinante e seducente avrebbero mai
potuto posarsi i suoi inutili occhi e anche quelli dei suoi amici. Ma,
nessuno sapeva che non era stato
quello ad attrarlo, o almeno non solo.
Ma ormai che cosa
importava? Non poteva tornare più indietro, Lui
non glie l’avrebbe mai concesso. E non è
che gli si poteva dire no più di una
volta. Abraxas si portò macchinalmente la mano alla gola,
l’inquietudine
glie la occludeva. Che cosa voleva Lui
da lei?
Fin dai primi anni ad Hogwarts, Lui
non si era mai interessato a nessuno se
non a se stesso, e ora perché dall’inizio di
quest’anno aveva espresso così
tanto interesse verso di lei? Che gli piacesse? Una scusa banale come
questa
poteva riguardare qualsiasi altro suo compagno di casa: Nott, Goyle,
Black,
Lestrange, Avery, perfino quel vampiro inquietante di Rosier, ma non Lui. Non faceva mai nulla per nulla, non
gli aveva mai visto provare sentimenti anche solo lontanamente
assimilabili a quelli umani, nonostante l'apparente modello di cortesia
e affabilità, che si era costruito negli anni ad Hogwarts.
Forse, era interessato al suo
potere, era l’unica spiegazione plausibile.
Il mantello cominciava ad
essere caldo, nonostante il gelo dell’inverno e
l’umidità che iniziava a
trasparire dai sotterranei. Nuvolette di fumo iniziarono a uscire
dalla sua bocca e presto arrivò all’ingresso della
sua Casa. Pronunciò la
parola d’ordine ed entrò, aspettandolo al suo
arrivo tutta la sua brigata, con
al centro Lui, il capo… Tom Riddle, o come si faceva
chiamare, Lord Voldemort.
Tutti loro stavano ridacchiando di qualcuno che si trovava
dall’altra parte della Sala
Comune, forse il solito mal capitato che si era ritrovato
disgraziatamente sul loro cammino. Non
Riddle però, lui lo aveva intercettato subito e ora lo stava
scrutando in un
modo davvero che metteva i brividi.
Malfoy distolse lo
sguardo immediatamente. Si avvicinò piano, con
un’andatura distrutta. «Sono
tornato, è fatta» sussurrò piano,
afflitto da un senso di malessere che non
riusciva nemmeno a spiegarlo a se stesso, figuriamoci agli altri.
Alzò lo
sguardo e venne ricambiato da tutti, chi con compiacimento, chi con
disinteresse, chi con strafottenza. «Su con la vita
Abraxas,
è ora di festeggiare allora no?»
sghignazzò Nott, alzandosi e portandogli un
goccio di liquore, fatto arrivare lì clandestinamente.
«Insomma, finalmente non sei più uno zerbino di
quella Sanguesporco» ridacchiò, rivolto verso gli
altri,
in cerca di approvazione.
Malfoy lo fulminò con lo sguardo. «La fai facile
tu Nott,
quand’è l’ultima volta che ti ho visto
con qualcuna?» chiese retoricamente, per
poi rabbuiarsi. «Non capisci di queste cose, quindi sta
zitto.»
«Oh, andiamo Malfoy, non
dirmi che ti stavi innamorando» bisbigliò malevolo
Rosier, calcando sulla parola innamorato e tentando di ridicolizzarlo
davanti a tutti, per poi guardarlo con il suo solito
sguardo da rapace allucinato. «Non dovresti fare tutte queste
storie, niente è
più importante della nostra missione, e comunque lei
c’intralcerebbe solo il
cammino. Capisco che era piacevole come sollazzo, ma adesso falla
finita.»
Malfoy lo guardò con odio
e superbia. Era evidente che nessuno sapeva che era stato proprio
Riddle a invitarlo caldamente ad allontanarsi
da
Cassandra, minacciandolo che in caso contrario, le
conseguenze sarebbero state nefaste per entrambi.
Egli guardò per la prima volta Riddle, da quando aveva
scambiato parola con i
suoi amici e quello che
trovò nei
suoi occhi non gli piacque affatto. Era
un qualcosa d’indecifrabile, un mixer che lui conosceva bene,
e che ormai da
anni lo vedeva emergere dai suoi occhi demoniaci, ogni volta che erano
all’opera nelle loro innumerevoli e fortuite torture ai danni
dei nati
Babbani. Vi lesse sete di potere e qualcos’altro che non
riusciva a
comprendere. Cassandra aveva inavvertitamente e involontariamente
catturato
l’interesse di una delle persone più temibili a
scuola, dalla quale doveva
stare bene alla larga, per il suo bene.
Per la prima volta la
voce di Riddle si fece sentire. «Adesso lei non è
più un tuo problema Abraxas.»
La voce suadente di un qualcosa che sapeva personificare benissimo: un
serpente. Il suo aspetto, man mano che avanzavano gli anni, era
divenuto, se
possibile, ancora più strano e macabro di prima. Il suo
incarnato, alla luce
delle torce, si era reso ancora più pallido di
prima, e i suoi occhi, che a volte
divenivano rossi, simboleggiavano il sangue, che aveva versato nel
corso degli
anni, già da così giovane.
«Cosa intendi fare di
lei, mio Signore?» domandò Abraxas, intimorito.
Lentamente, un sorriso
languido si allargò sul viso di Riddle, rendendolo ancora
più oscuro e
affascinante. «Questi non credo siano affari tuoi, dico bene
Abraxas?» domandò
Riddle, alzandosi dalla poltrona, ormai assegnatagli silenziosamente
dai suoi sudditi, e procedendo
verso la sua
stanza.
Un ghigno mostruoso apparve dai suoi lineamenti, che ne contorse il
viso. Ben presto sarebbe arrivato a Lei,
in un modo o nell’altro, con o senza la sua
volontà.
I personaggi descritti già esistenti appartengono a J.K. Rowling.
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