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Autore: Claudiascully    05/12/2018    0 recensioni
"Un torpore pomeridiano li avvolse in un assurdo tepore invernale sulla riva del mare. Tre giovani chiusi in giubbotti troppo caldi per una giornata come quella e per i loro cuori che battevano all'impazzata. Ognuno in modo diverso. Lei cercava le sue mani ed il suo sguardo, seduta vicino a lui sul lungomare"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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Asimmetrie emotive

Un torpore pomeridiano li avvolse in un assurdo tepore invernale sulla riva del mare. Tre giovani chiusi in giubbotti troppo caldi per una giornata come quella e per i loro cuori che battevano all'impazzata. Ognuno in modo diverso. Lei cercava le sue mani ed il suo sguardo, seduta vicino a lui sul lungomare. L'altro camminava sulla battigia con le mani in tasca e lo sguardo lontano, come se dovesse decidere delle sorti dell'universo, quasi noncurante della presenza dei due. Intorno sembrava esserci un assurdo ovattato silenzio come se quel posto fosse racchiuso in una bolla di sapone in cui esistevano solo loro tre, così diversi e così maledettamente infelici. Ognuno di loro sapeva esattamente cosa voleva dall'altro, ma la consapevolezza di non poter avere ciò che desideravano li rendeva come delle tigri in gabbia. Sentimenti opposti e contrapposti, amori non corrisposti serpeggiavano tra loro e si insinuavano sotto pelle gelosie assurde. " Starei qui le ore" disse lei guardando inebetita la linea dell'orizzonte "solo per cercare di capire come uscire da questa situazione e sapere perché ci siamo finiti dentro. Come 3 persone così diverse tra noi riescano a rimanere legate da questo filo sottile, io non lo riesco davvero a capire..." Lui non era tipo da grandi discorsi, troppo giovane e lontano anni luce da una come lei. Forse lo vedeva come un cucciolo indifeso e per questo tentava di proteggerlo come una femmina con i suoi piccoli. Ma lui da tempo non era più un cucciolo e tantomeno indifeso, almeno questo credeva fino a poco tempo prima. Fino a che non si era reso conto che lei aveva ragione. Aveva bisogno di lei, dei suoi consigli, del suo essere più grande, del suo modo di parlare ed anche del conforto che gli dava piangere sulla sua spalla quando l'altro gli mancava così tanto da farsi mozzare il fiato. Aveva cercato di farle capire che lo faceva star bene stare in sua compagnia ma non poteva corrisponderla. Lei, dal canto suo, sapeva benissimo che non sarebbe accaduto mai nulla, che i loro universi non potevano incontrarsi mai e che per nessuna ragione al mondo quel treno avrebbe potuto cambiare binario perché il cuore di lui era rapito dall'altro. Spostò su quest'ultimo il suo sguardo. Era biondo, tatuato, bello e dannato, quel tanto che bastava per tenerla legata a lui, forse per paura, forse per abitudine. Forse perché era il filo conduttore che li legava. Lo vide camminare sulla riva, poi sapendo di non essere vista, prese timorosa la mano del giovane, nonostante la differenza di età fosse dalla sua parte, desiderosa soltanto di un minimo contatto fisico, ma lui si ritrasse ferendola col suo solito sgarbo nomade e le rispose "Lasciame sta". Poi tirò fuori il suo vero io, quello sincero, quello non costruito e prendendole la mano tra le sue le disse in un soffio "Scusami". Lei serrò i pugni. L'altro stava tornando dalla riva camminando a passi lenti verso di loro e i cuori dei due, seduti sulla panchina del lungomare, ricominciarono a battere, quello di lei per rabbia, quello di lui per amore...la mano di lei si ritrasse in fretta da quella dell'amico. L'altro si piazzò, con le mani nelle tasche di un dozzinale giubbotto di pelle, lo sguardo fiero e strafottente di fronte ai due e fissò i suoi occhi celesti dentro quelli di lei, celesti altrettanto, poi con il suo modo di fare senza filtri, dell'uomo abituato a comandare, le disse “Daje bambola che dovemo anda' a casa." Lei si alzò senza proferir parola, scivoló giù dalla panchina come una bambola di pezza, si sistemò la gonna jeans, tirò indietro i capelli e intrecciò le sue dita nelle mani dell'altro che, fiero, si era impossessato di nuovo della sua proprietà. "Se vedemo in giro" disse al giovane in tono monocorde e distaccato. Un tono che sottintendeva un'amicizia atavica, forse spezzata da una ferita. Una ferita vera, pulsante e reale nel cuore del giovane. Un rifiuto categorico. Ma di contro anche il tono di chi non vuol più ricadere in un gioco perverso di sentimenti fraintesi, dove strane simmetrie diventavano funi da equilibrista esperto. Poi, senza dire altro, andò verso la jeep nera e salì. Sapeva benissimo che lei voleva salutarlo a modo suo e se ne fregò. Sapeva quello che le passava per la testa, ma fingeva di non aver capito. Il giovane mandò giù la saliva con una smorfia di dolore e fissò il mare con gli occhi velati. Lei lo sentì distante ere geologiche. La rabbia stava salendole di nuovo. Gli carezzò il viso delicatamente e disse "Ciao Albe'... Ci vediamo in giro "poi lo baciò sulla guancia. L'altro vide la scena da lontano, spettatore e protagonista del dolore di due anime perse, tutte e due incapaci di accettare un rifiuto. Strinse la pistola nella mano poi la ripose nel cruscotto. Il giovane non disse nulla, si sistemò in testa un berretto grigio, ultimo rimasuglio di un tempo per lui felice e scese dal muretto. La donna raggiunse la jeep e salì in silenzio, mentre le lacrime cominciavano a invaderle la gola. Pian piano l'arenile di Ostia scomparve dalla loro vista. Il rombo di una vistosa macchina dorata svegliò il pomeriggio che volgeva alla sera. E le simmetrie si trasformarono di colpo in asimmetrie perfette. Era venuta nella palestra del suo uomo per non pensare e anche perché in quel momento non sapeva dove altro andare. Era sera tardi, ma in fondo aveva le chiavi e lui era fuori casa, in giro per Ostia come sempre, a combinare qualche casino, a stringere alleanze o a punire qualcuno con la canna fredda di una pistola. Era stanca di tutto questo, ma non sapeva tirarsene fuori, soprattutto ora che il suo cuore era altrove, perso in una storia impossibile. Quando entrò strinse le mani nelle tasche del giubbotto, faceva troppo freddo anche per pensare solamente di potersi allenare o di tirare 4 pugni al punching ball dove lui si allenava sempre ed ogni volta che glielo vedeva fare, lei si chiedeva se stesse pensando al suo prossimo nemico, tanto sferrava pugni forti. Sentì il rombo di una macchina fuori, tremò al pensiero che il suo uomo fosse venuto a cercarla fin lì, aspettò paziente e rassegnata ad una sicura scenata, ma quando la porta si aprì, il suo cuore ebbe un tuffo. Era Alberto. Un'improvvisa sensazione di panico la invase. Sapere cosa voler fare, ma non essere in grado di formulare nel cervello un'idea tale. Le occasioni che non ritornano, i momenti che volgono verso strane collisioni emotive. Nemmeno se lo avesse sperato, sarebbe successo ed invece l'oggetto dei suoi impossibili desideri era letteralmente piazzato di fronte a lei. "Cercavo Aureliano" disse spazzando via ogni possibile speranza di Babi. Rispose a tono "Non avevo dubbi Albe', ma hai trovato me" e gli si avvicinò con le movenze di una gatta in bilico su un pericoloso tetto. Poi la buttò lì "Hai da fumare?" Lui le allungò una canna appena rollata, aggiungendo "Stavorta m'hanno dato la mejo, prova". Spirali di fumo iniziarono ad invadere la palestra mentre il giubbotto di lui cadde a terra insieme alla maglia di lei. Poi gli si avvicinò con una sola idea. Averlo. Ora. Lì. Per forza e a forza. Pur sapendo che non avrebbe cambiato il suo essere. "Aspe..aspe.. Non te pensa' che... "Schhh, io non penso nulla Albe', non ti chiedo repliche o scene da film" Lui si illuse di cancellare in pochi minuti il viso del biondo dalla sua mente, di farlo scivolare giù dal cuore e accompagnarlo delicatamente alla porta, ma non era possibile. La spinse a terra col suo fare rude e manesco e rimase così, su di lei, vestito, non riuscendo ad andare oltre, già pentito di tanta inutile audacia. Lei prese l'iniziativa e accompagnò la mano di lui sul suo corpo, tremando come quella volta in spiaggia. Il mondo sarebbe potuto finire in quel momento, o peggio ancora sarebbe potuto arrivare Aureliano e scaricargli il caricatore addosso come era suo solito fare quando i problemi non erano possibili da risolvere a parole, ma a Babi non interessava; sapeva che un'occasione così non le sarebbe recapitata forse più. Alberto dal canto suo non aveva nulla da perdere, quella ragazza avrebbe smontato il cielo per lui e non riusciva neanche a capire perché, ma la sua dolcezza lo faceva sentire al sicuro come una coperta nelle giornate fredde, come l'abbraccio di una mamma anche se certo questo non basta per stare insieme. Quando sentì l'umido delle sue labbra sulle sue chiuse gli occhi. Poi lasciò il timone della nave al capitano esperto e durante la tempesta che ne seguì si sentì sballottato tra le onde senza salvagente, quasi sul punto di affogare, ma ogni volta tornava su per prendere un po' d'aria e farsi ricacciare di nuovo giù dai flutti. Impotente di fronte alle esperte mani del suo capitano e anche sinceramente sconcertato dall'ardore che metteva nel cercare di convincerlo in qualcosa che non gli apparteneva. Non si può scegliere di essere in un modo o in un altro. Finalmente la tempesta finì e riuscì a riprendere fiato pian piano, lentamente quando riaprì gli occhi la palestra sembrava così immensa intorno a loro mentre Babi sotto le sue mani tremava. "Come ci siamo finiti così?" disse lei, come se non fosse successo nulla, distesa a terra su uno squallido materassino da palestra. " Boh…Se ce trova qua ce scarica addosso tutto er caricatore 'o sai". L' incantesimo già era finito. Il cocchio era tornato zucca. "Starei qui in eterno. Accanto a te" provò a biascicare stralunata dal fumo che la aveva resa più sciolta poco prima. Lui spezzò l'incanto. Si alzò con un balzo, conscio di ciò che era successo. Si comportò come se fosse solo, cancellando dal suo viso l'espressione di attimi fa, ripiombando nella realtà, mentre lei lo guardava ancora seduta a terra. "Devo da anna' a casa" disse rivestendosi in fretta e furia. Babi si girò su un fianco, lo guardò stanca poi disse "Già...da quella poveretta ". Erano le due del mattino, chissà cosa avrebbe pensato la moglie, vedendolo rincasare a quell'ora, poi si ricordò che in fondo ci era abituata. Il marito non era uno stinco di santo. Voleva chiedergli di rimanere con lei quella notte, ma dormire a terra nella palestra del suo uomo, non era un'idea geniale. E soprattutto non con lui. Anche se di certo l'altro non avrebbe mai potuto sospettare nulla di simile. Non tanto da lei, ma dallo zingaro. Allora buttò lì domande che sapeva sarebbero rimaste senza risposte. "Ma con tanta popolazione a Roma proprio con te dovevo incastrarmi il cervello, Albe'?" Lui sorrise sardonico. Lei si alzò stiracchiandosi come una gatta, poi gli cinse la vita con le mani. "E ora che succede? Dimmi. Che faremo?" chiese come se lui potesse risolvere quel casino. "Gnente... N' faremo gnente... ‘n semo gnente.. N' te fa' strane idee... quello che voio io è tra 'e tue mani, non tra 'e mie" Gelido. Freddo. Un calcio sui denti una frase così. La fine di ogni speranza. "Tu poco fa eri in me. Con me" "Eh…E mo' vado a casa Babi. Salutame l 'omo tuo." "Alberto, ti prego sii serio" disse lei sentendosi stupida. "So' serissimo. N so, je volemo mannà ‘n selfie da qui, che dici? ‘N ce tieni a vive'? Allora ‘n fa parola de stasera. ‘O sai che ammazza prima a me, poi a te" Lei strinse i pugni come se potesse lottare contro tutto ciò. "Sono stanca di fingere. Aureliano pensa a se stesso e a quei maledetti terreni. Io e te siamo solo pedine nel suo gioco da monopoli di un bambino viziato. Non cambierà nulla, non lo cambierai tu e soprattutto non cambierà per te" disse restituendogli la ferita di poco prima. Lui si sedette di nuovo, la fissò consapevole che purtroppo quella fosse la verità. Sapeva perfettamente che Babi aveva ragione. Niente sarebbe cambiato, se non in peggio. Le carezzò il viso con una mano, lei vi strofinò la guancia e ritentò "Ti prego, rimani qui stanotte" "Sei 'na donna intelligente Ba', ‘n me fa dubita' de questo. Se sentimo sti giorni." Io non mi muovo Resto fermo Lì sul posto Se partirai Fallo adesso Se hai bisogno Fa un squillo Fischia già il tuo treno È lontano come un anno Affonderà come uno scoglio Sotto sabbia il tuo orgoglio Dalla radio partì questa canzone. Lui si pietrificò sulla porta della palestra. Era la canzone di quella volta. Quando le parole del biondo lo avevano tagliato come lame di ghiaccio spegnendo l'ardore con cui era andato a quell' incontro. Il suo bacio rubato. Il rifiuto dell'altro. Lo schifo che gli aveva letto in volto. Le sue lacrime in macchina. Il suo cuore spezzato. Un' amicizia finita per un amore disilluso. Ebbe una smorfia di dolore, poi uscì nella notte invernale, calandosi sulla testa l'immancabile cappello di Aureliano. Lei rimase a terra respirando aria stantia, aspettò un istante poi si alzò sulle ginocchia e uscì sull'uscio per respirare qualcosa di più pulito che non fossero lacrime, sudore e fumo. Guardò la luna e si sentì stretta in una gabbia di cui mai era esistita la chiave. Ciò che aveva tra le mani era solo il sogno, nemmeno segreto, del ragazzo che amava senza un senso logico. Maledetto Aureliano. Maledetto Alberto. La testa le scoppiava. Prese il motorino e sfrecciò nella notte a riprendersi la sua farsa di vita. La casa era immersa nel buio. Entrò di soppiatto, ma la luce la invase in un secondo. Era Romoletto" Mi scusi signorina, volevo esse sicuro che non fosse... " " Si si… Tranquillo. Non sono quella Giuda. Non oserà venire nel cuore della notte. " Entrò in camera al buio sperando che lui fosse fuori, ma lo vide di spalle nel letto. Si sedette senza muovere più di un muscolo, poi gli si stese accanto. Coperte fredde, pelle nuda. Silenzio notturno. Il suo corpo possente, ben fatto, i tatuaggi in ogni dove. Un tempo tutto ciò le piaceva così tanto. Lo osservò per un attimo carezzandogli la spalla. Lui la abbracciò e con voce impastata dal sonno le disse "Aho, ‘ndo' sei stata? o sai che er tuo posto è qua, ve'? " Annuì senza rispondere, lui non chiese altro e con un balzo le fu addosso. Fu tentata di dirgli" Ti saluta una persona" mentre le mani di lui si muovevano veloci su di lei, poi nascose la testa nella sua spalla e si lasciò cullare dall'unica forma di amore che poteva esistere in una notte tutta sbagliata. "Me sei mancata" disse lui sincero. Gli occhi celesti, fieri e stanchi la fissavano, stringendola in una morsa impossibile da sciogliere. Girò il viso a destra e sospirando disse "Dormiamo, ti prego Aurelia'. Domani hai quell'incontro." La mattina entrò presto dalla finestra con le tapparelle del casolare di Ostia. Aureliano era già sveglio e appena lei aprì gli occhi, vide che la guardava con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.Si tirò su. "Te credi che ‘n so ‘ndo sei stata stanotte?” Cominciò ad alzare il tono della voce. Lei non poteva mentire. "Come hai fatto a capire che eravamo insieme?" "Perché 'o conosco abbastanza da sape' quale è er suo profumo e quanno sei entrata ner letto c'avevi addosso, ‘n t' ho detto gnente perché dovevo fa 'n macello. T' avrei dovuto ammazza' senza ditte manco perché" "Allora perché non lo hai fatto?" "No 'o so." Temporeggiò lui. "Te ‘n c'entri nulla, dovrei uccide lui perché ‘o so che è me che voleva corpì' venendo co’ te.. tu semplicemente hai scelto lui" "E questo non ti fa male? Non ti ferisce? Non senti che questa volta non hai potere su qualcuno? Non ti manda in bestia una cosa del genere? "disse lei gridando e pestando a terra i piedi. " Avoja si me manna ‘n bestia. Io ve credevo fedeli e affezionati e ‘nvece siete solo du ‘nfami" Mise mano alla pistola che portava dietro i pantaloni, poi la passò nella mano destra e preparò il colpo in canna. Babi deglutì e chiuse gli occhi. "Famo ‘na cosa.. ‘o farai tu. Credime stamo meglio tutti. Uccidilo e finimo sta storia. ‘Sta merda se pensa de venì a ruba’ a casa mia." Babi aprì gli occhi poi in maniera strafottente gli mostró il petto "Se mi vuoi sparare puoi anche farlo adesso perché una cosa del genere, io non la farò mai. E tu questo lo sai. Non so neanche perché sono rimasta ancora qui a perdere tempo con te". Quest'ultima frase mandò Aureliano completamente in bestia e la rabbia, che già gli stava montando per l'affronto compiuto dai due, non fu più gestibile con le sole parole. D'altronde era un uomo non abituato a tenere conversazioni, senza farsi aiutare da una pistola o dalle sue mani nude e nonostante tenesse alla sua donna, non poteva sopportare che lei lo avesse tradito con uno zingaro, innamorato di lui, per di più. Le puntò la pistola storcendo il viso in un ghigno cattivo. Lei non poteva credere che avrebbe sparato,non sapeva neanche come fossero finiti protagonisti di una scena così surreale e raccapricciante, ma non avrebbe mai ucciso il ragazzo che amava. Bum. Un colpo secco. Aprì gli occhi perché si rese conto di essere viva, ma Aureliano era a terra in una pozza di sangue e dietro di lui gli occhi carichi di odio misto ad uno strano sentimento di rabbia e amore del cucciolo ferito. Alberto. La sua mano e le labbra cominciarono a tremare, conscio di ciò che aveva fatto, deglutì. Il suo pomo d'Adamo compì un salto nella sua gola. Abbassò la pistola. "Che cavolo hai fatto Albe'?" La ragazza si piegò su Aureliano che strabuzzava gli occhi, incredulo che fosse stato colpito proprio dal ragazzo a cui "aveva cambiato la vita", come gli aveva detto quella volta. Il signore di Ostia giaceva a terra e stava morendo per una stupida questione personale, lui che era scampato a furti, omicidi, rapine. "Te credi ‘n m’è costato preme’ ‘sto grilletto? ma non potevo permette che te sparasse. Ero qui già da ‘n po', pensa, ero venuto a diglie che lo lasciavo in pace, che nun ero più un suo problema e pure ‘a merdata che j’avemo fatto. ‘O sapevo che m’ avrebbe sparato, ma quanno ‘ho visto tira’ fori ‘a pistola dai pantaloni, sapevo che te sparava e non potevo perde’ anche te. In fondo lui non l'ho perso, semplicemente ‘ce l’ho mai avuto. "disse con amarezza. Lei lo interruppe" Albe' quella pistola non era per me, era per te. Voleva che ti uccidessi." Sapeva benissimo che queste parole avrebbero riecheggiato nella stanza all'infinito. L'unico suono era il respiro affannoso del giovane biondo, mentre i due continuavano a parlare come se davanti a loro un uomo non stesse morendo, punendolo per sempre di tutto ciò che aveva tolto loro. Babi si rese conto che il colpo era mortale, gli occhi da celesti stavano diventando vitrei, il sangue aveva formato una pozza grumosa a terra e lo zingaro si era inginocchiato accanto all'uomo che gli aveva stravolto la vita, tanto che la soluzione finale non poteva essere diversa né meno dolorosa. Poi si ricordò della promessa che gli aveva fatto quando gli aveva puntato il coltello al collo, tanti mesi prima. In fondo l'aveva rispettata. "Magari un giorno cambi idea e ti ricordi chi sono gli amici veri, altrimenti la prossima volta ti devo ammazzare" gli aveva detto. Lo aveva fatto. Aveva ucciso l'uomo che amava, salvando la donna che amava lui, in un continuo e assurdo gioco mortale di asimmetrie emotive dove niente va al suo posto, dove nessuna pedina finisce per incastrarsi perfettamente in un puzzle di emozioni. Babi piangeva accanto ad Aureliano. Non era certo questa la fine che desiderava per lui. Alberto si inginocchiò accanto al biondo, mise entrambe le mani sulla ferita, come per bloccare il sangue che inevitabilmente continuava ad uscire a fiotti. "Ma che cazzo hai fatto Spadi'?" biascicò flebile Aureliano. Con la voce rotta dal pianto, di un'azione che nemmeno lontanamente pensava avrebbe mai dovuto commettere, il giovane gli rispose "Quello che t’ avevo promesso Aurelia' " Poi rivolto a lei "Aspettame fori, rimango con lui fino a che.." e si interruppe, lei capì, disse solo "Sì.. giusto " Quando poco dopo lo vide uscire fuori, gli sembrò ancora più piccolo e indifeso, quasi minuscolo in un giubbotto più grande di lui, con il viso solcato dalle lacrime e un'espressione che non gli aveva mai letto in volto. Tremante crollò in ginocchio nel freddo della notte, poi le disse "Te lamentavi che nun te volevo bene" Lei avrebbe voluto dire tante cose, non avrebbe mai chiesto un gesto così estremo, ma quando i sentimenti si contorcono in maniera tale, non è più possibile ritornare indietro, quando gli amori sono così forti, disillusi, disperati, il gioco può solo finire in maniera violenta. Qualcuno deve morire, qualcuno deve soffrire. Lo avvolse in una stretta piena di sangue, una stretta di lacrime e morte, poi prendendogli il viso tra le mani "Adesso cosa farai? Quella Giuda di Livia ti darà la caccia. Ci mette un attimo ad arrivare a te." "Nun farò niente... Faremo. Io e te. Do’ vado senza de te?" disse lui facendole intendere che ora quel filo che li univa non si era rotto, ma che inevitabilmente ora ne avevano creato uno più solido e duraturo. Babi era diventata complice di un omicidio. Un legame di morte, un legame di amore. Di nuovo la notte li inghiottiva. Le prese la mano e cominciarono a correre prima che arrivassero gli uomini di Aureliano. Si fermarono solo un attimo. "Aspe’ " fece lui cercando di vincere il fiatone. "Tu..." disse con le mani sulle ginocchia come fanno gli atleti quando riprendono fiato dopo una corsa. "Tu co’ ‘no zingaro come a me.. ‘N assassino mo.. Ma che senso c’ ha?" "Ma l'amore ha un senso, Albe'? Forse continuerò a camminare sul filo senza rete di protezione sotto.Ma non fa così un bravo equilibrista?" "Sei più sciroccata de me Ba’, ma ho capito ‘na cosa. Sei 'a mia rete." Avrebbe voluto fermare il tempo lì, lei. In quel momento. Sarebbe stata per sempre la sua rete.
   
 
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