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Autore: WhiteLight Girl    08/12/2018    3 recensioni
Papillon è stato sconfitto e Gabriel Agreste è in prigione; Marinette non ricorda come sia successo, né riesce a smettere di preoccuparsi per la sparizione improvvisa di Adrien. Con Chat Noir che le si rivolta contro e cerca di ucciderla, Maestro Fu irreperibile e la scatola dei Miraculous dispersa, Ladybug si ritrova da sola a cercare di capire cosa sia successo dopo che, durante la battaglia finale contro il suo peggior nemico, ha perso i sensi.
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I SEGRETI DI VILLA AGRESTE - 1

Quando il notiziario mostrò ancora una volta le immagini dell’arresto di Gabriel Agreste, Marinette si morse il labbro e posò la spazzola sul divanetto, ignorando l’acqua dei capelli umidi che continuava a gocciolarle sulle spalle. Aveva visto innumerevoli volte quella scena, ripresa da decine di telecamere ed angolazioni diverse; le spalle rigide di Chat Noir arrivato un istante dopo che Gabriel era stato caricato sulla volante, il suo sguardo teso mentre osservava da sopra il tetto di Villa Agreste.

Aveva ricordi di quel momento solo grazie a ciò che aveva visto in televisione. Alzò il volume, poiché sapeva già che sarebbero passati a parlare della scomparsa di Adrien Agreste.

«E non c’è ancora alcuna notizia, invece, sulle sorti dell’unico figlio di Gabriel Agreste scomparso dal momento dell’arresto.» disse Nadja alla telecamera.

Marinette spense il monitor del computer, incapace di sopportare ancora una volta quelle parole e di ripensare a quanto, anche come Ladybug, era stata inutile. Non era neanche riuscita a partecipare allo scontro finale con Papillon, ricordò, e per quanto avesse cercato dai tetti per tutta Parigi, non aveva ancora idea di dove fosse Adrien, se stesse bene e se fosse al sicuro. Ripensò anche all’ultima volta che aveva visto Chat Noir, sospeso in aria e circondato da oscurità, prima che ripiombasse a terra e che perdesse anche lui.

«Riproveremo domani.» le disse Tikki. Era rimasta appollaiata sulla scrivania, silenziosa in attesa che lei fosse pronta per dormire, ed ora la guardava mogia, come se soffrisse di riflesso per ogni suo dubbio e tormento, ma Marinette era certa che non avrebbe mai potuto immaginare cosa stava provando.

Si sforzò di sorridere. «Certo.» rispose.

Sapeva che anche lei era preoccupata, lo vedeva nei suoi occhi e lo capiva grazie ai biscotti che aveva abbandonato nel piattino, ma non disse nulla.

Anche Tikki rimase in silenzio, all’inizio Marinette pensò che stesse riflettendo o che le stesse lasciando spazio per sentirsi meglio, ma poi il piccolo Kwami le fece un cenno, indicandole di guardare dietro di sé.

Marinette lo fece, scrutò oltre la finestra e strizzò gli occhi per inquadrare la sagoma scura che si stagliava nell’oscurità. Le luci di Parigi in lontananza rendevano la sua ombra netta contro il cielo, la penombra celava il suo volto. Sapeva che solo una persona sarebbe potuta essere in piedi su un tetto a quell’ora.

«Resta qui.» disse a Tikki.

Si avvicinò alla finestra e si sporse verso il vetro, sperando di essersi sbagliata, ma non c’era alcun dubbio che lui stesse guardando proprio verso di lei, allora salì sul soppalco e si arrampicò fuori, rimettendosi in piedi sul balcone. Chat Noir le venne incontro, scavalcando la ringhiera in ferro battuto e balzando sul balcone.

Marinette avrebbe voluto potergli dire qualcosa, sgridarlo per averla fatta preoccupare, prenderlo a pugni per il suo silenzio e tutto il resto, ma si trattenne.

Poi lui parlò. «Milady.» disse.

E Marinette trattenne il fiato, ma fu solo per qualche secondo. Almeno adesso aveva la risposta ad una delle domande che si era fatta negli ultimi giorni, anche se avrebbe dovuto essere ovvio. Era stato lui a riportarla a casa, dopo che era accaduto.

«Dove sei stato? Ti rendi conto di quanto fossi in pensiero?» gli domandò. Fece un passo verso di lui e sollevò un pugno, ma si trattenne dal colpirlo davvero, lui non replicò. «Chat Noir? Stai bene?»

Chat Noir sorrise, ma non era quel sogghigno sghembo che tanto gli si addiceva, né quella smorfia volontariamente seducente che spesso le riservava. Quel sorriso era inquietante e Marinette si domandò da dove provenisse.

Ricordò il tonfo del corpo di lui che sbatteva contro il pavimento del salone principale di Villa Agreste, le sue grida, il modo in cui l’aveva respinta subito dopo.

«Chat Noir?» domandò ancora.

Lui le afferrò il polso, la stretta era ferma, ma non al punto di farle male. Fece scivolare l’altra mano su per il braccio fino a sfiorarle il collo, poi premette i polpastrelli contro l’orecchino. Marinette sentì il cuore battere forte, rabbrividì per il vento freddo e provò a ritirare il braccio, ma lui strinse la presa per impedirle di farsi indietro.

«Sto bene.» le disse, il capo inclinato e gli occhi socchiusi. A Marinette parve che la stesse studiando ed il modo in cui la guardava non le piaceva affatto.

«Cosa ti è successo?» gli chiese.

L’artiglio le sfiorò il mento, Chat Noir fece schioccare la lingua e lo premette contro la giugulare con tanta forza che Marinette gemette per il dolore. Gli pestò il piede, la sorpresa di lui le permise di divincolarsi, il suo scatto per riprenderla le strappò un grido.

«Tikki!» esclamò. «Su le macchie!»

Qualunque cosa fosse successa, avrebbero avuto tempo di parlarne dopo essere riuscita a fermarlo o immobilizzarlo.



Qualche ora prima:

Marinette non aveva mai riflettuto su quanto poco sapesse, in realtà, di Adrien Agreste. Non aveva idea se avesse cugini, zii o nonni ancora in vita a cui avrebbe potuto chiedere di lui; questo la lasciava sospesa in un oblio di dubbi da cui non riusciva a riemergere.

Continuò a fissare il telefono, l’elenco di chiamate in uscita che erano rimaste senza risposta, il dito era ancora sospeso sul display per l’indecisione di riprovare.

«Dovrei chiamare Nino.» disse a Tikki. Forse a lui avrebbe risposto, ma di certo l’amico glielo avrebbe fatto sapere immediatamente, se fosse successo. E di certo lo aveva già chiamato anche lui decine di volte.

Tikki le sfiorò una guancia ed accennò un sorriso, ma nulla avrebbe potuto rassicurarla.

Il telefono vibrò tra le mani di Marinette, rispose e lo portò all’orecchio trattenendo il fiato. «Adrien!» esclamò, ma la voce dall’altra parte della cornetta non era la sua. I singhiozzi le impedirono di capire le parole spezzate, tornò a guardare il display, lesse il nome di Nadja Chamack e, con un rantolo riportò il telefono all’orecchio.

«Manon? Sei tu?» domandò. Aspettò che lei si calmasse, che prendesse fiato e che riuscisse a spiegarsi. Quando lei non lo fece, ricominciò a parlare. «Ascoltami, respira, dimmi cosa è successo.»

Manon ubbidì, la sentì inspirare forte.

«Mamma ha qualcosa di strano.» disse. Tirò su con il naso. «Vuole che andiamo a casa del signore che è stato arrestato.»

«Gabriel Agreste?» le chiese Marinette. Guardò Tikki, che le si affiancò attenta per ascoltare.

«Non ci voglio andare, Marinette. Mi fa tanta paura.»

Marinette cercò le parole giuste per rassicurarla. «Manon, il signor Agreste non è lì, adesso.»

Lei tirò su con il naso. «Lo so, è mamma che mi fa paura.»

Marinette sentì l’eco attutito di alcuni forti pugni contro una porta. «Manon, resta nascosta, sto arrivando.» disse.

Riagganciò, si trasformò e salì sul tetto. Dopo pochi secondi stava correndo sui tetti di Parigi e, salto dopo salto, si diresse verso casa della ragazzina. C’era stata poche volte, poiché di solito la signora Chamack portava Manon a casa sua, ma fu sufficiente perché sapesse esattamente dove andare. Atterrò sul balconcino e spalancò la porta a vetri, si guardò attorno, ma la casa era vuota.

«Manon!» chiamò. «Signora Chamack?»

Non ebbe risposta, cercò in ogni stanza e in ogni armadio finché non fu certa di essere arrivata troppo tardi. Pensò di essere fortunata, a sapere dove sarebbero andate. Tornò fuori e srotolò lo yo-yo, lanciandolo verso l’edificio di fronte ed usando uno dei camini per darsi lo slancio. Villa Agreste era a pochi isolati di distanza, probabilmente per arrivarci via terra ci avrebbe impiegato una buona mezz’ora, ma saltando di tetto in tetto le bastò qualche minuto. Si lasciò cadere direttamente oltre il cancello aperto, il nastro della polizia era stato fatto a pezzi ed ora era in parte preda del vento. Anche il portone principale era spalancato, ma oltre esso Ladybug non riusciva a vedere nessuno.

Salì i gradini con cautela e si fece largo oltre l’uscio, il silenzio irreale la circondò mentre si lasciava indietro il caos della città. Era come essere entrata in una bolla, oltre essa la vita continuava, ma lei non ne faceva più parte.

Aveva la testa leggera, le orecchie che fischiavano e le braccia pesanti abbandonate contro il fianco. La vista le si appannò, le palpebre erano ferme mentre tutto attorno la stanza si offuscava diventando nera metro dopo metro. Quasi perse l’equilibrio, oscillando per restare in piedi e quasi incapace di muovere gli occhi; le ginocchia tremarono, spingendola a piegarsi in avanti e ad inspirare per trattenere le vertigini.

Chi la rimise in piedi, quasi a forza, le provocò un sussulto. Strinse i pugni per difendersi, ma si trattenne prima di colpire Chat Noir in pieno volto. Il ragazzo si fece indietro solo per un istante, poi le sfiorò il braccio con un dito.

«Tutto bene?» le domandò.

Ladybug non seppe come rispondere, le vertigini erano sparite con la velocità con cui erano arrivate, riusciva di nuovo a sentire il rumore delle auto giù in strada, ma la confusione era rimasta assieme alla realizzazione ovattata di poter finalmente chiedere a Chat Noir cosa fosse successo la sera precedente.

«Hai consegnato Gabriel Agreste alla polizia.» gli disse. Avrebbe voluto scusarsi con lui per non esserci stata, ma lui la precedette.

«Ne riparliamo dopo, Insettina.» le disse con un sorriso.

Ladybug fu felice che lui non fosse arrabbiato, ripensò ai singhiozzi di Manon ed a quello che aveva detto su sua madre.

«Nadja Chamack è qui con sua figlia, qualcosa non va.» gli disse.

Come se fossero state chiamate, entrambe emersero dal corridoio strillando. Il suono acuto quasi perforò le orecchie, poi lei e Chat Noir dovettero difendersi.


L’ombra del gatto è anche su Wattpad



   
 
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