Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: My Pride    16/07/2009    10 recensioni
«È strano come certe cose cambino le persone.
Prima che tutto questo avvenisse, non avevo mai visto Oka-san comportarsi così
»
[ Missing Moment: Evento RoyEd Marriage del 10/10/10 { 30 } ]
[ Terza classificata al «Flash Contest» indetto da Addison89 { 14 / 20 } ]
[ Sesta classificata al «A contest, a rose and a story!» indetto da Roy Mustung sei uno gnocco { 26 } ]
[ Storia fuori serie: 16 { Dedicata a Red Robin }, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 25 { Dedicata a Red Robin }, 26, 27, 28, 29 ]
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Shattered Skies ~ Stand by Me' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Heart burst into fire_Episode 20 Titolo: Beata innocenza
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist

Tipologia: One-shot [ 2890 parole ]
Personaggi: Roy Mustang, Jason Mustang
Genere: Slice of life, Sentimentale, Commedia
Rating: Giallo
Avvertimenti: Shounen ai, What if?



FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.



[ FLASH CONTEST ][ STORIA FUORI SERIE ] EPISODIO 20: “BEATA INNOCENZA”

    «‘Ka-san?» Jason mi chiamò, la vocina ovattata dall’acqua che scrosciava.
    Mi trovavo sotto la doccia, costretto ad essermi svegliato presto per andare a lavoro anche se, per prima cosa, avrei dovuto accompagnare Jaz a scuola. Sciacquatomi un occhio in cui era finita un po’ di schiuma, chiusi l’acqua e, ravvivandomi i capelli all’indietro per evitare che si incollassero alla fronte, arraffai il primo asciugamano che trovai e me lo legai alla vita, uscendo dalla doccia per andare dritto dritto ad aprire la porta. Non ebbi nemmeno il tempo di farlo che un tornado in pigiama mi si catapultò addosso.
    «Ehi, ehi, così ti bagni», lo ammonii divertito, allontanandolo un po’ da me per issarlo sotto le braccia, così da poterlo vedere meglio in viso. Aveva un’espressione imbronciata e il musetto ancora sporco di marmellata alle ciliegie. «Che c’è, Jaz?» gli chiesi, riuscendo solo a farlo imbronciare di più.
    Si strofinò il viso con una manina per ripulirselo alla bell’e meglio, ma riuscì solo ad allargare la macchia. «La vecchia signora che sta di là ha detto una brutta cosa», cominciò, cercando di gettarmi le braccia al collo per avvicinarsi di più a me.
    Non glielo permisi subito per evitare che si bagnasse però, vedendo il suo viso intristirsi, fui io stesso a portarmelo al petto. Mugugnò un po’ il suo disappunto al contatto con la pelle umida, ma poi ci strofinò contro il viso, portandosi le braccine al petto per poggiare le mani sul mio. «Che ti ha detto la signora, Jaz?» provai a farlo parlare, visto che l’espressione era sempre più triste. Di solito gliela vedevo solo quando c’entrava Edward: in quelle rare occasioni in cui veniva a trovarci e poi doveva di nuovo scappare a Central.
    Cominciando a giocare con le goccioline d’acqua sul mio petto, Jaz chinò il capo, lasciando che la frangetta mora gli nascondesse gli occhi. «Mi ha chiesto dov’era la mia mamma», spiegò, percorrendo con un dito un rivoletto. «Ho detto subito che sei tu, ma lei ha detto di no». Gli occhietti azzurri si alzarono per incontrare i miei, tristi, e anche le sopracciglia erano corrugate. «Ha detto che tu non sei la mia mamma», concluse con una nota di dolore.
    Fui io, però, ad addolorarmi. Quello era proprio un brutto discorso da affrontare. Con Jaz tra le braccia, uscii dal bagno e mi fermai nel corridoio vicino alla cucina, dove avrei potuto essere sentito senza il rischio d’esser visto. «Può andare, signora Arman, grazie per aver badato a Jaz», feci, sentendo lei fare un po’ di rumore con i piatti usati per la colazione. «Scusi se non l’accompagno alla porta, ma non sono presentabile».
    Sentii distintamente il suono d’una risatina, quasi maliziosa. Proprio una vecchietta arzilla, non c’era che dire. «Oh, non si preoccupi, signor Mustang», rispose civettuola. «É un piacere occuparmi di quell’angioletto, chiami pure quando occorre». Stavolta la sentii posare gli ultimi piatti per sbucare nell’altro corridoio, collegato all’ingresso.
    Chiusa finalmente la porta quando fu uscita, mi arrischiai ad entrare in cucina, con Jason ancora fra le braccia e i capelli che pian piano si asciugavano da soli. Misi il mio figlioletto in piedi su una delle sedie, in modo che io potessi guardare lui e viceversa. L’espressione triste, però, non aveva abbandonato il suo musetto. «Jaz, ti ricordi il discorso delle ‘Ka-san maschietto e delle ‘Ka-san femminucce?» cominciai, vedendolo annuire piano a sguardo chino. Sospirai, poggiandogli le mani sulle spalle esili non prima d’essermi sistemato l’asciugamano. «Tu la mamma ce l’hai, solo che per gli altri è un papà», provai a spiegarmi con parole semplici, vedendolo corrugare un po’ le fini sopracciglia scure. Da come mi guardò, capii che ero stato tutt’altro che chiaro.
    «Ma perché se sei la mia ‘Ka-san, gli altri credono che sei il mio ‘To-san?» mi chiese difatti, gonfiando un po’ le guance paffutelle. Ecco che mi stavo nuovamente impelagando in milioni di domande. Era un po’ troppo curioso per essere un bambino di cinque anni, secondo i miei modesti canoni.
    Adocchiai l’orologio, sperando che fosse almeno quello a salvarmi, purtroppo per me, però, anche il tempo sembrava non essere dalla mia parte. Mancava ancora più d’un’ora prima dell’inizio della scuola e quasi due dall’inizio del mio turno. In poche parole, ero fottuto.
    «Allora, ‘Ka-san?» mi richiamò, tirandomi una ciocca di capelli e, lagnandomi, gli feci lasciare la presa.
    «Jaz, questa è una cosa che per adesso non posso spiegarti», mi giocai quella carta, sperando che almeno per quel giorno accantonasse il discorso. Speranza vana, in realtà.
    «Ma perché no?»
    Alzai lo sguardo al soffitto,
esasperato. «Perché non posso, Jaz, sei ancora troppo piccolo», mi lasciai sfuggire, e non l’avessi mai detto. Dovetti subirmi una lamentela alla Edward Elric.
    «Io non sono piccolo, ‘Ka-san!» esclamò, agitando le braccine e rischiando di cadere, ma per fortuna lo trattenni svelto, poggiandogli un dito sulle labbra.
    «Sei grande, sei grande», mi affrettai a dire. «Ma non posso spiegartelo lo stesso».
    Jaz si imbronciò nuovamente e incrociò le braccia al petto, fissando i suoi occhi azzurri in giù. Mi ricordò quasi dolorosamente me da bambino, con quell’espressione da cane bastonato. «Non mi dici mai niente», riattaccò, distraendomi dai miei pensieri.
    «Ti dirò tutto quello che vorrai quando sarai cresciuto», gli promisi nello scompigliargli i capelli, appuntandomi di non fargli nessun discorso sul sesso. Quello l’avrei malignamente lasciato fare ad Edward se fossimo tornati in tempo a Central.
    Anche se non del tutto convinto, alla fin fine Jaz annuì, cosicché potei finalmente portarlo fino in camera per prendere dei vestiti per me e per lui prima di dirigermi in bagno. Lottai non poco per farlo entrare nella vasca, ritrovandomi a fare l’ennesima doccia fuori programma. E fortuna che non mi ero ancora vestito, eh. Ormai fradicio, mi scompigliai i capelli per liberarli dall’acqua in eccesso, voltandomi un po’ per cercare dell’altro shampoo e la saponetta.
    Una domanda di Jaz, però, mi lasciò con entrambi i prodotti a mezz’aria una volta trovati. «Ma tu e ‘To-san fate il bagno insieme, ‘Ka-san?» Da dove nascevano certi quesiti? Mi voltai come un automa, ancora una volta senza risposte. Era vero, certo, quando Edward veniva a trovarci facevamo il bagno insieme... e non solo per lavarci. Ma questo non spiegava di certo il perché della domanda, tanto che mi ritrovai a chiederglielo. Peggio d’un bambino anche io. «Gli altri bambini a scuola dicevano che i ‘To-san e le ‘Ka-san fanno il bagno assieme», rispose, come se quello spiegasse tutto. «Anche tu e ‘To-san?»
    I bambini non sono più quelli di una volta, quella fu l’unica cosa razionale che riuscii a pensare. Già a cinque anni a chiedersi certe cose. Come cambiavano i tempi! Mio malgrado, quindi, mi ritrovai ad arrossire. Maledetto il mio ventenne che si trovava fuori dai guai, adesso! «Jaz, lo sai che queste cose non si chiedono?» feci, sperando che mi prendesse in parola. Mi sarei imbarazzato troppo a rispondere, affermativamente o negativamente che fosse.
    Jaz corrucciò il visino, giocando distratto con la schiuma che lambiva la vasca. «Che ho chiesto di brutto?» mi domandò ancora, mandandomi all’esasperazione. Non ce l’avrei mai fatta a vincere contro di lui e i suoi occhioni azzurri, inutilmente vero.
    «Non hai chiesto nulla di brutto, ma è una cosa che...» mi interruppi, cercando le parole adatte. «É una cosa che devono sapere solo gli Oto-san e le Oka-san». E non avevo tutti i torti, anche se lui si imbronciò maggiormente, corrugando le sopracciglia.
    «Ma se lo devono sapere solo le ‘Ka-san e i ‘To-san, perché gli altri bambini lo sanno?» chiese.
    Ecco, ad una logica simile non avrei saputo rispondere. Mi grattai il collo, ormai senza sapere come poter sfuggire a quella situazione. Perché diavolo se n’era uscito con certi quesiti, quella mattina? «Stammi a sentire, Jaz», cominciai, arrampicandomi ormai sugli specchi. «Sono solo le ‘Ka-san femminucce che fanno il bagno con i ‘To-san maschietti, capito?» Provai a mettergliela su quel piano, sempre con la speranza che la smettesse di fare domande e si lasciasse lavare i capelli in tranquillità.
    «E perché?» fu invece la sua risposta alla mia affermazione.
    Mi lasciai cadere sul pavimento bagnato con un lamento, girandomi di schiena per adagiarmi alla vasca e reclinare la testa all’indietro, in modo che potessi guardarlo bene senza perderlo quindi di vista. I miei capelli sfioravano appena il pelo dell’acqua su cui galleggiava la schiuma. «Questo lo capirai tra un paio d’anni», me ne uscii, vedendo il suo faccino atteggiarsi ad un’espressione vagamente perplessa e incuriosita. «Quando avrai la mia età o quella del tuo Oto-san, scoprirai che è molto divertente fare il bagno con una femminuccia».
    «E non lo posso scoprire adesso?»
    Sorrisi un po’ a quella sua constatazione. Ah, beata innocenza. «Adesso no, più in là», dissi, e lui si fece pensoso.
    «Quindi, se è divertente, le ‘Ka-san e i ‘To-san giocano?» mi chiese ancora, e se non avesse avuto soltanto cinque anni avrei detto che la sua era malizia.
    Mi ritrovai a ridacchiare, alzando un braccio per scompigliargli i capelli bagnati e far schizzare appena qualche gocciolina d’acqua da tutte le parti. «Una cosa del genere», feci, sentendo le sue manine fra i miei, di capelli.
    «E come giocano?» cominciò a passare le dita fra ogni ciocca, prendendo di tanto in tanto la schiuma per buttarcela sopra insieme all’acqua. «Giocano come quando tu giochi con me e i miei pupazzetti, ‘Ka-san?»
    Eh, aye... proprio una beata innocenza. Tirandomi su con i capelli ormai nuovamente bagnati, mi apprestai a fare lo stesso con i suoi, vedendolo socchiudere gli occhi infastidito quando gli massaggiai la cute con le dita. «Diciamo di sì, Jaz», esordii tranquillamente, sebbene di tanto in tanto mi scappasse qualche risatina per la mia bugia a fin di bene che lui cercava di capire.
    Jason diede finalmente tregua alle sue domande, permettendomi di fargli lo shampoo; gli passai il sapone, così che potesse cominciare a lavarsi almeno un po’ per benino, anche se dopo poco cominciò a giocare con la schiuma, coinvolgendomi quasi senza che me ne accorgessi. Più bambino di lui, ne presi una bella manciata e me la passai in viso, soffiando via il restante incitato dalle sue risate divertite e le sue mani che battevano a pelo d’acqua.
    «Come sei buffo, ‘Ka-san!» esclamò giocoso, allungando le braccia per togliermi la schiuma dal naso e passando di nuovo le dita fra i capelli, dove ne era caduta un po’. Ridacchiando, riempii anche lui di schiuma, vedendolo arricciare il nasino prima di strofinarsi la faccia nel tentativo di pulirsela.
    Il resto del tempo se ne andò più o meno così, tra nuvole di schiuma e risate. E, beh... e l’acqua sul pavimento. Fu quasi con rammarico che dovetti tornare alla realtà, ricordandomi di scuola e lavoro. Sciacquai Jason da tutta la schiuma che avevamo creato e di cui si era praticamente vestito, tirandolo fuori dalla vasca per avvolgerlo nel suo accappatoio. A misura di bambino, ma comunque grande. Ed era lui a sembrare buffo, adesso. Buffo, aye, ma terribilmente dolce.
    Cominciai a tamponargli i capelli con un asciugamano, liberandoli dall’acqua in eccesso prima di passare ad asciugarlo completamente senza che si muovesse come suo solito. Aveva il visino rilassato, come quando era pronto per il suo pisolino. «Ehi... hai sonno?» gli chiesi, mentre gli infilavo la maglietta.
    Con una manica sì e una no, lui annuì, strofinandosi un occhio con il braccio libero. Mi intenerii alla vista della sua boccuccia all’ingiù, espressione che adottava solo quand’era stanco; risi e continuai a vestirlo, passando presto a me mentre lui se ne stava seduto sulla tavoletta del water, a sbadigliare di tanto in tanto. Infilati i boxer, cercai il mio pantalone, fermandolo alla vita con la cintura una volta indossato. Mi stavo apprestando a chiudere la camicia quando Jaz mi richiamò di nuovo.
    «Lo voglio anche io, ‘Ka-san», mormorò, con la vocina ammorbidita dal sonno.
    Lo guardai senza capire, chiudendo gli ultimi bottoni. «Che cosa, Jaz?» chiesi, riprendendolo in braccio, e lui si sporse un po’ oltre la mia spalla, indicando un punto dietro di me. Quando mi voltai, non potei evitarmi di ridere divertito, recuperando il mio orologio d’argento dal lavandino. «Ti piace?» chiesi ancora, porgendoglielo.
    Jaz cominciò a cincischiarci e lo caricò, premendo il pulsante sopra di esso per aprire il coperchio e sbirciare al suo interno prima di chiuderlo con uno scatto e aprirlo di nuovo. «Mi piace tanto tanto», ammise, alzando gli occhi azzurri verso di me. «Me lo regali?» Lo disse con un tono così speranzoso che mi dispiacque dovergli negare quella richiesta.
    «Non posso, Jaz», gli risposi, corrugando un po’ le sopracciglia. «Non è di Oka-san».
    Con il visino imbronciato, lui tornò a studiarselo, passando un dito sull’incisione dell’araldica del Comandante Supremo. «E di chi è?» mi domandò mesto.
    Mi incamminai verso la porta con lui in braccio, sospirando. «É del posto dove lavoro, mi serve», gli spiegai con parole semplici, sentendo nuovamente i suoi occhi su di me. «Senza quello Oka-san non può andarci». Gliela buttai sul facile, vedendolo annuire mogio. Si attorcigliò la catenella intorno ad un dito, riporgendomelo subito dopo.
    «‘Ka-san...» chiamò ancora, concentrandosi sui bottoni della mia camicia. «Ma se non ci vai una volta a lavoro... ti sgridano?»
    Mi guardò con i suoi occhioni azzurri e non potei resistere. Lo abbracciai più stretto, baciandogli con dolcezza la chioma nera mentre sentivo un sorriso andare ad incurvare le mie labbra. Ero io quello che non voleva avere figli una volta, eh? «A dire il vero non lo so, Jaz», semplificai il tutto, sentendo le sue manine aggrapparsi alla stoffa, come se non volesse lasciarmi.
    «Vuoi stare con me?» mi chiese con voce morbida.
    Come avrei potuto resistere ad una simile richiesta fatta con quel tono? Se ci fosse stato Edward, avrebbe sicuramente detto che lo viziavo troppo. «E come fai per la scuola?» feci invece io, anche se sentivo benissimo che, se l’avesse chiesto, non l’avrei portato per restare quel giorno con lui. Dovevo essere una madre più presente, in fondo. Almeno quando potevo. Un giorno o due a casa da lavoro e scuola non avrebbe di certo fatto crollare il mondo.
    «Non posso restare a casa con te?» ed ecco la domanda che aspettavo.
    Gli sorrisi raggiante, come se volessi rassicurarlo. Se quel giorno non mi sarei presentato, il Quartier Generale non sarebbe andato a rotoli, no? La mia presenza non era poi così essenziale o di vitale importanza, visto che scaldavo una sedia e riempivo scartoffie quando mi andava. Nemmeno in missione mi mandavano più, quindi figurarsi. «Sai che facciamo, Jaz?» gli dissi, dirigendomi con lui all’ingresso. «Visto che siamo vestiti, ce ne andiamo al parco, ti va?»
    Il suo viso, a quelle mie parole, si illuminò di un sorriso. «Sì!» esultò felice, gettandomi con impeto le braccia al collo e scoccandomi un sonoro bacio sulla guancia. «Grazie, ‘Ka-san!»
    Vedere quegli sprazzi di allegria e gioia mi scaldava il cuore. Lo distraeva, almeno in parte, dalla situazione che stavamo affrontando, dato che vivevamo separati da Edward, in un posto a parecchie ore di distanza. Uscimmo dal palazzo, lasciandoci andare entrambi a risatine divertite, uno più bambino dell’altro. La giornata era una delle più belle e assolate che avessi mai visto nell’afosa South City, ideale per una passeggiata nel parco fra il verde della natura. Mi meravigliai non poco a vedere quante coppie fossero lì presenti già dal primo mattino, persino genitori seduti sulle panchine ad osservare i figli che giocavano poco distanti. Avevano fatto tutti la mia stessa pensata, a quanto sembrava.
    «Mettimi giù, ‘Ka-san, voglio andare sullo scivolo!» esclamò Jaz, attirando anche l’attenzione di una coppia che stava passando lì vicino. E fui sicuro che quello che mi lanciarono fu uno sguardo stranito...
    Mi chinai per permettere a Jason di poggiare i piedini a terra, mettendogli le mani sulle spalle prima di puntellarmi sulle ginocchia, così da poterlo guardare meglio in viso. «Jaz, come ti ho detto che devi chiamarmi fuori casa?» lo ammonii, ma non in tono severo.
    Abbassò lo sguardo sui ciottoli bianchi, portandosi le braccia dietro alla schiena. «‘To-san», rispose, tornando a fondere il suo cielo con la mia antracite. «Però... perché?»
    Oh, no... rieccolo con le domande. Gli accarezzai la testa amorevolmente, sorridendogli. «Te lo spiegherò poi», mi risolsi a dire. «Ora vai a giocare, coraggio».
    Con quelle paroline magiche, riuscii ad evitarmi un’altra conversazione fatta solo di quesiti. Quando gli venivano certe curiosità non sapevo proprio dove sbattere la testa. Seguii Jason con lo sguardo mentre lo vedevo raggiungere le giostrine, avvicinandomi a mia volta al piccolo spazio gioco prima di lasciarmi cadere seduto sulla panchina. Come al solito fu subito attorniato dalle bambine lì presenti, e quasi mi sembrò che se lo litigassero. Difficile non sorridere, a quella vista. E quasi fui sul punto di scoppiare a ridere e di farmi guardare male dalla donna che si era appena seduta quando fu lui stesso a scegliere, prendendo - guarda caso - la mano di una biondina.
    Beata innocenza avevo detto, eh?







Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: My Pride