Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: stellinabg    18/12/2018    1 recensioni
Da quando Armin si è trasformato per la prima volta in Colossale, sente che qualcosa è cambiato dentro di sé.
Sensi di colpa? O è l'animo di Bertholdt che cerca di farsi largo in lui?
La sua mente era davvero nelle mani di Bertholdt? Nessuno poteva saperlo, nemmeno lo stesso Armin.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annie Leonhardt, Armin Arlart, Berthold Huber
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Era già un po’ che avevo in mente di scrivere qualcosa del genere e l’uscita del capitolo 112 mi ha dato la spinta a concretizzare in parole quel che già mi frullava in testa da tempo, aiutandomi anche a trovare una conclusione al tutto.
Ovviamente, sconsiglio di leggere a chi non è in pari con il manga.
N.B.: Questo testo è presente anche nel mio account di role.



Tutto quel che ricordava, era di essere stato travolto da quel vapore bollente emanato dal Colossale che, non solo aveva pian piano bruciato il suo corpo, ma lo aveva lasciato sempre di più senza respiro.
Poi il nulla.
Quel che avvenne dopo non lo sapeva con chiarezza: si muoveva in un corpo fuori misura, senza avere pieno controllo delle sue azioni. Se si sforzava di ricordare, gli venivano alla mente solo alcuni flash di lui che afferrava Bertholdt con le sue mani giganti fino a portarselo alla bocca; poi ricordava le urla del suo vecchio amico che implorava agli altri di salvarlo e poi quei due nomi: «REINER! ANNIE!»

Quella scena gli ritornava spesso alla mente durante la notte, ma la cosa bizzarra è che gli appariva come se fosse Bertholdt a viverla: vedeva quel corpo tutto ustionato trasformarsi in gigante, la sua faccia enorme che lo osservava e poi quella mano che lo afferrava, fino ad avvicinarlo alla bocca. Con quel sogno, Armin percepiva il terrore del ragazzo, come se lo vivesse lui stesso e, sopraffatto da tutto quel dolore, finiva con lo svegliarsi di soprassalto, gridando quegli stessi nomi che anche Bertholdt aveva urlato nei suoi ultimi istanti di vita.

Altre volte, il biondo si ritrovava a sognare luoghi o situazioni che non poteva conoscere. Anche in quel caso, il tutto gli appariva come se fossero dei ricordi di Bertholdt, tanto da poter percepire, per esempio, i sentimenti del ragazzo di fronte al sorriso di Annie o all’affetto quasi fraterno di Reiner e di un altro bambino della loro età, di cui stranamente Armin sapeva anche il nome.

«Quando pensi di farti avanti con Annie?»
«Non posso, Marcel. Non finché tutto questo non sarà finito…»
Questo dialogo era quello che più di tutti continuava a riproporsi nella sua mente con un’intensità tale che aveva fatto capire ad Armin che, se continuava a sognare tutte quelle cose, non era per i sensi di colpa che provava nell’aver eliminato Bertholdt, ma era quasi come se il suo vecchio amico volesse fargli conoscere il suo passato, quasi a giustificazione di tutte le azioni orribili di cui si era macchiato nel corso degli anni e magari convincerlo di avere pietà per Reiner e Annie. O forse, poteva anche essere che l’animo di Bertholdt volesse cercare di prevalere sul suo, per riuscire a salvare Annie.
Non riusciva assolutamente a capirlo. E più quei sogni lo tormentavano e si facevano sempre più intensi, e più Armin si sentiva terribilmente confuso; così, spinto dal desiderio di cercare di capirci qualcosa, aveva deciso di fare visita ad Annie che, ancora racchiusa in quell’enorme cristallo che lei stessa aveva creato, era tenuta nelle segrete della città interna.

Ricordava bene la prima volta che era sceso in quello scantinato, pieno di curiosità, ma al tempo stesso impaurito di ciò che ne sarebbe conseguito. Tuttavia, si era fatto coraggio e si era avvicinato, quasi come un automa, a quel cristallo per poi toccarne la superficie. Rimase in quel modo per diversi minuti e disse anche qualche parola alla ragazza, per aggiornarla sulla situazione. A quel punto, si aspettava una reazione da parte di quest’ultima o che l’animo sopito di Bertholdt riuscisse a stabilire un contatto, magari mentale, con lei, ma le supposizioni del biondo rimasero disattese, lasciandolo a metà tra la delusione e il sollievo di essersi sbagliato: Annie era sempre priva di conoscenza dentro a quel cristallo e lui era il solito Armin; mentre l’animo di Bertholdt che tormentava costantemente il suo sonno, pareva invece non esistere in quegli attimi.

Nonostante avesse appurato quindi che quegli “incontri” erano del tutto inutili, per qualche strana ragione però Armin volle continuare ad andare da Annie con regolarità, ovviamente quando i suoi impegni militari glielo permettevano. Credeva che fosse dovuto ai sensi di colpa che sentiva per aver divorato Berholdt o per l’affetto che un tempo aveva provato per quella ragazza che, sebbene fosse sempre stata molto fredda e chiusa in sé stessa, il biondo aveva ritenuto “una brava persona” e, nonostante quel che Annie aveva fatto, una parte di Armin continuava a credere di non aver sbagliato nell’esprimere quel giudizio. Il biondo, infatti, non riusciva ancora ad accettare l’idea che Annie, Reiner e Bertholdt fossero gli stessi mostri che avevano distrutto le mura e provocato tutte quelle morti, tra cui quella della madre del suo migliore amico. Li aveva conosciuti, aveva passato tanto tempo in loro compagnia e mai aveva percepito dei sentimenti negativi: sembravano tre bravi ragazzi, come tanti altri.

E allora, perché? Perché avevano fatto tutte quelle cose?
Avrebbe tanto voluto chiederglielo, ma Bertholdt era morto, Annie era rinchiusa in quel maledetto cristallo e Reiner…beh, lui non era lì.
Quella domanda lo tormentava in continuo, tanto che Armin aveva iniziato a credere che magari i sogni che faceva, in realtà, non fossero dei ricordi di Bertholdt, bensì fosse un modo che aveva il suo inconscio di provare a dare una risposta a quell’enorme dubbio che lo assillava.

Si era ormai convinto di ciò che rimase totalmente esterrefatto, quando Eren gli fece quella pioggia di domande che fecero riaffiorare in lui tutta una serie di dubbi che credeva archiviati da tempo: «Armin, tu frequenti ancora il luogo in cui è custodita Annie, non è vero? Lo fai di tua spontanea volontà? O forse è la volontà di Bertholdt a influenzarti?»
«Ch-!Che stai dicento…?!» Incertezza e paura affollavano la sua mente, come se due personalità contrapposte lottassero l’una contro l’altra: l’Armin razionale e desideroso di arrivare alla verità, contro la paura irrazionale che Eren potesse avere ragione.
«I ricordi giocano un ruolo fondamentale nella creazione dell’identità di una persona, ragion per cui è corretto affermare che una parte di te è diventata Bertholdt. Anche se in minima parte, il guerriero nemico innamorato della sua compagna che è in te sta condizionando le tue scelte. […] Armin, la tua mente è nelle mani di Bertholdt.»
Quell’ultima affermazione lo colpì come un proiettile. Era una conclusione che Armin già diverse volte aveva formulato dentro di sé, ma che poi si era convinto ad accantonare per delle spiegazioni che erano più di suo gradimento. Inoltre, aveva sempre creduto che un’idea del genere gli fosse venuta in mente quasi per provare meno rimorso per aver strappato via la vita a Bertholdt: se l’animo del ragazzo fosse stato ancora presente in lui, infatti, si poteva dire che non era andato del tutto, rendendo la sua colpa meno dolorosa da accettare.
Ma ora, ecco che Eren confermava quella sua intuizione che, seppur da una parte gli aveva dato del conforto, dall’altra parte lo aveva spaventato a tal punto che aveva voluto andare a trovare Annie, nella speranza  di confutare quella sua terribile tesi. E, non percependo l’animo di Bertholdt in quella sua prima visita, si era convinto di essersi sbagliato e aveva continuato ad andare dalla ragazza per rafforzare in sé il pensiero che quell’idea fosse erronea. Ma forse, non era stato Armin a fare quella scelta. Forse, ormai l’animo di Bertholdt si era fuso talmente in profondità con il suo che non riusciva più a percepire la differenza di quel che faceva per propria volontà o perché guidato inconsciamente dal vecchio amico.

La sua mente era davvero nelle mani di Bertholdt? Nessuno poteva saperlo, nemmeno lo stesso Armin.
   
 
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